In qualche modo era prevedibile. Il recente riconoscimento del genocidio degli armeni da parte del parlamento svedese e, pochi giorni prima, della Commissione Esteri della Camera Usa (che potrebbe preludere ad un voto analogo da parte dell'intero Congresso) rischia di compromettere seriamente il processo di riavvicinamento tra Turchia ed Armenia da poco iniziato tra grandi difficoltà e diffidenze reciproche.
Il premier turco Recep Tayyip Erdogan ha ventilato la possibilità di espellere dal paese le migliaia di immigrati irregolari armeni in risposta alle risoluzioni adottate in Svezia e Usa. In Turchia vivono circa centomila armeni, soprattutto donne, che lavorano come in particolare come baby-sitter o domestiche."Cosa farò domani? Se necessario dirò loro 'Via, tornate nel vostro paese', non sono obbligato a tenerli in Turchia", ha detto Erdogan in un'intervista rilasciata martedì sera alla Bbc e rilanciata il giorno seguente con grande evidenza da gran parte della stampa turca.
Iniziative come quelle dei parlamentari svedesi e statunitensi, secondo Erdogan, "sfortunatamente, hanno un impatto negativo sulle nostre buone attitudini"e "colpiscono gli stessi cittadini armeni e alla fine tutto si blocca". Riferendosi ai recenti colloqui per riavviare i rapporti diplomatici con l'Armenia, culminati lo scorso anno nella sigla di alcuni protocolli (per altro non ancora ratificati dai due parlamenti), Erdogan ha detto: "Noi abbiamo teso la nostra mano, ma se la nostra controparte chiude la sua mano in un pugno, non c'è nulla che possiamo fare".
Nemmeno da Erevan, del resto, arrivano segnali incoraggianti. L'Armenia accusa la Turchia di mettere a serio rischio il processo di normalizzazione dei rapporti bilaterali creando "difficoltà ed ostacoli" nuovi, ha detto il ministro degli Esteri, Edward Nalbandyan, facendo riferimento al mancato riconoscimento del genocidio armeno e alle polemiche tra Ankara ed i Paesi che invece il genocidio lo hanno riconosciuto.
"Le dichiarazioni infondate da parte turca sul fatto che la risoluzione all'esame o adottata presso la Camera dei rappresentanti Usa, dal parlamento svedese e in altri Paesi potrebbe danneggiare la normalizzazione turco-armena sono solo uno scudo per coprire il fatto che la stessa Turchia non risparmia sforzi per creare precondizioni che generano difficoltà e ostacoli nel processo di normalizzazione", ha dichiarato il ministro degli Esteri armeno, secondo quanto riportato dall'agenzia Interfax, auspicando che "le autorità turche comprendano la gravità delle conseguenze che il perserverare di questa politica potrebbe avere".
In questi stessi giorni l'Akp, il partito islamico-moderato del premier Erdogan, ha depositato al parlamento turco la bozza di una nuova legge elettorale nella quale non figura più la possibilità di stampare materiale elettorale in lingua curda. La legge introduce alcuni importanti cambiamenti in materia di correttezza del voto e di trasparenza del finanziamento delle campagne elettorali, ma non prevede la possibilità di stampare e diffondere materiale elettorale in lingua curda.
La soluzione della questione curda è (era?) uno dei cavalli di battaglia del premier Erdogan con l'obiettivo di porre fine al lunghissimo e sanguinoso conflitto che ha condannato alla povetà e all'arretratezza il sud est del Paese. In questo quadro erano stati autorizzati corsi universitari in lungua curda e l'apertura del canale televisivo in curdo alla tv pubblica. Nei mesi scorsi si era pure parlato di un piano di pace a cui avrebbe partecipato anche il leader del Pkk, Abdullah Ocalan, detenuto nell'isola di Irmrali dove sconta una condanna all'ergastolo.
Il passo indietro del partito di maggioranza sulla legge elettorale arriva ora dopo la chiusura del partito curdo Dtp nel dicembre scorso da parte della Corte Costituzionale. E proprio le aperture alla minoranza curda e la possibilità di un accordo di pace con i guerriglieri separatisti avevano messo Erdogan nel mirino sia dell'opposizione nazionalista di destra del Mhp, sia di quella kemalista del Chp.
Tutti questi fatti messi in fila possono far immaginare che i prossimi mesi per la Turchia saranno tutt'altro che tranquilli.
In Turchia da tempo si sta svolgendo uno scontro istituzionale tra governo, militari e magistratura che rappresenta lo specchio del più vasto sommovimento sociale che oppone le varie componenti della socità turca: prinsipalmente quella legata all'establishment kemalista e la nuova classe dirigente emersa con Erdogan e l'Akp, ma anche un'anima "modernista" che vorrebbe guardare la futuro lasciandosi alle spalle proprio le contrapposizioni tra "tradizionalisti" laici e "modernizzatori" islamico-moderati.
Nel luglio del 2011 ci saranno le elezioni politiche. Le amministrative del 2009 hanno indicato un calo del favore popolare e la possibilità di ripetere fra 16 mesi una vittoria plebiscitaria come quella del 2007 appare al momento assai scarsa. Il che significa che Erdogan, pur vincendo le elezioni, potrebbe non avere più la possibilità di governare con la solida maggioranza monocolore dell'Akp. Di mezzo c'è anche la riforma della costituzione per la quale l'Akp non ha abbastanza voti in parlamento (essendo venuto meno l'appoggio dei rappresentanti curdi). Erdogan sembra intenzionato quindi a giocare nei prossimi mesi la carta del referendum popolare.
Le dure reazioni di Erdogan dopo il voto in Usa e Svezia sulla questione del genocidio degli armeni si possono allora interpretare anche come un tentativo di far leva sul nazionalismo turco (sempre presente in tutti gli strati sociali in varie declinazioni), rispondendo agli attacchi dell'opposizione, togliendo argomenti ai militari e ricompattando il proprio partito. Il tutto condito con una politica estera giocata a tutto campo, da potenza regionale (quale la Turchia non fa mistero di voler diventare), senza mettere in discussione le tradizionali alleanze ma in totale autonomia.
Con tutta probabilità nei prossimi mesi ne vedremo delle belle. La Turchia rischia di trovarsi una volta di più a camminare per i mesi a venire sull'orlo di una crisi di nervi. E comunque sia, ancora una volta, sarà il caso di seguire con molta attenzione quanto avverrà a cavallo del Bosforo.
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