domenica 26 febbraio 2012

IL SALVATAGGIO DELLA GRECIA E' SOLO UN'ILLUSIONE?

Italia, Spagna e Portogallo possono tirare il fiato. Ma fino a quando?

L'accordo dell'area euro lascia la Grecia con un debito elevato e con molte difficoltà nell'attuazione del piano che ''potrebbero farlo deragliare, impedendo al paese di tornare a crescere dopo alcuni anni di devastante recessione che sta già causando tensioni sociali e incertezza politica''. Lo ha scritto il Wall Street Journal, all'indomani delle decisioni prese dall'Eurogruppo, sostenendo che i termini dell'accordo mostrano come il salvataggio non sia per la Grecia, per la quale restano rischi, ma per Spagna, Italia e Portogallo.
Secondo il Wsj, infatti, l'austerità che dovrà essere imposta alla Grecia e le annunciate elezioni, aumentano la possibilità di una rivolta popolare e dell'avvento di un governo che potrebbe ridiscutere i termini del piano. In pratica, secondo il Wall Street Journal, il rischio di un'uscita della Grecia resta, ma il salvataggio lo ritarda di settimane se non mesi, concedendo a Spagna, Italia e Portogallo più tempo per rafforzarsi e ed essere meno esposte al contagio.
Per questo, ha scritto il Wsj, ''Madrid, Roma e Lisbona non dovrebbero congratularsi con Atene per il nuovo salvataggio. Dovrebbero esprimerle la loro eterna gratitudine: questo salvataggio non e' per salvare la Grecia, ma salverà Spagna, Italia e Portogallo''.
Diversa la valutazione di Kenneth Rogoff, professore ad Harvard, in un lungo articolo sul New York Times intitolato “Per la Grecia un salvataggio; per l'Europa forse solo un'illusione”. Un'analisi condivisa anche da altri osservatori secondo i quali il rischio maggiore e' che il piano di salvataggio inneschi una fuga degli investitori dai bond europei, il che si tradurrebbe in un nuova debolezza finanziaria ed economica in Europa.
''L'Italia e' nella trappola del debito'', aggiunge Richard Batty di Standard Life Investment, secondo il quale l'Italia per aver un debito sostenibile dovrebbe crescere del 5% l'anno o gli interessi sui bond a 10 anni dovrebbero essere del 3,6%. ''Durante il boom dell'Europa, fra il 2002 e il 2007, il pil nominale italiano e' cresciuto in media del 3,6%. E i rendimenti sono al 4,5%'' evidenzia Batty.

sabato 25 febbraio 2012

TURCHIA E CINA STRINGONO LE RELAZIONI

Il vicepresidente cinese Xi Jinping
con il premier turco Recep Erdogan
Importante visita in Turchia del vice presidente cinese Xi Jinping, considerato il prossimo numero uno della Cina e al quale, proprio per questo, le autorità di Ankara hanno riservato l'accoglienza che il protocollo riserva ai capi di Stato. Una visita servita e consolidare i già floridi rapporti tra i due Paesi. La Cina rappresenta, infatti, per la Turchia il primo partner commerciale in Asia e il terzo a livello globale dopo Germania e Russia. Il valore dell'interscambio, che nel 2000 era a un miliardo di dollari, ha raggiungo lo scorso anno i 24 miliardi di dollari complessivi (anche se con un forte squilibrio a favore cinese visto che l'export turco verso la Cina è di 2,5 miliardi di dollari, mentre quello cinese verso la Turchia super i 21 miliardi) con l'obiettivo di raddoppiare nel 2015 e arrivare a 100 miliardi nel 2020.

Nella fitta l'agenda di impegni del vicepresidente cinese, oltre alla firma di molti nuovi accordi che mirano soprattutto a rafforzare le relazioni commerciali e a moltiplicare gli investimenti, c'erano però anche alcuni importanti temi politici bilaterali. Il primo era la condizione degli uiguri, la minoranza turcofona e musulmana che vive nella regione dello Xinjiang (Turkestan orientale) e che due anni fa ha fatto rischiare un raffreddamento dei rapporti fra Ankara e Pechino a causa della dura repressione cinese. Il secondo tema caldo era invece la Siria, dopo il veto opposto da Russia e Cina in Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ad una risoluzione contro il regime di Bashar Assad, al quale Ankara ha imposto delle sanzioni.

Le divergenze su alcune importanti questioni di politica estera non ha però evidentemente guastato gli ottimi rapporti bilaterali: la visita di Xi in Turchia, seguita a quelle negli Usa e in Irlanda, già di per sé è un segno evidente dell'importanza che la leadership cinese attribuisce ad Ankara. Ma ancora di più lo dimostrano gli accordi di cooperazione siglati in vari campi, da quello finanziario a quello culturale a quello energetico. Secondo il quotidiano Sabah, Pechino sarebbe interessata alla costruzione di un impianto nucleare in Turchia dal valore di 20 miliardi di dollari. Il vice primo ministro, Ali Babacan, confermando che nel 2013 inizierà la costruzione del primo impianto da parte dei russi nella provincia di Marsin, ha detto che dall'andamento dei negoziati già in corso con giapponesi e coreani dipenderà “se il secondo o terzo impianto sarà commissionato ai cinesi”.

Protesta degli uiguri in Turchia contro la visita di Xi Jinping

giovedì 23 febbraio 2012

QUATTRO PRESIDENTI AL CASTELLO

Sabato scorso si e' svolta nella Repubblica Ceca, nel castello di Lany, vicino a Praga, un vertice informale di quattro presidenti: il padrone di casa, Vaclav Klaus, ha ospitato il suo omologo croato, Ivo Josipović, quello slovacco, Ivan Gašparovič, e quello serbo, Boris Tadić. I quattro capi di stato hanno concordato sull'utilità di una tale iniziativa impegnandosi a ripeterla. Il testo che segue è tratto dalla corrispondenza di Marina Szikora per la puntata odierna di Passaggio a Sud Est.


Al vertice informale al castello di Lany, il presidente slovacco, Ivan Gašparović ricordando che la Croazia tra breve diventerà il prossimo membro dell'Ue, ha affermato la sua convinzione che la Serbia avra' lo status di candidato all'adesione sottolineando che la Croazia e la Serbia sono due paesi che decidono sul futuro dei Balcani occidentali. Il presidente serbo Boris Tadić si e' detto convinto che l'adesione della Serbia all'Ue sara' prima di tutto utile alla Serbia. "La posizione della Serbia e' che l'adesione all'Ue significa investimento....l'adesione e' un contributo" ha detto Tadić. Il suo collega slovacco ha osservato che l'Ue non puo' condizionare lo status di candidato all'adesione della Serbia con il riconoscimento del Kosovo e ha rilevato che la Serbia deve essere valutata in base all'adempimento delle condizioni e non in relazione alla questione di Priština". La sua opinione che il Kosovo non deve essere la condizione di ottenimento dello status di candidato e' condivisa da parte di tutti i partecipanti di questa riunione quadrilaterale.

Il presidente croato Ivo Josipović da parte sua ha confermato che il riconoscimento del Kosovo non e' una condizione per lo status ma ha indicato che l'Ue segue lo sviluppo della situazione e che avra' le sue aspettative a riguardo della questione. "Sapete che l'apertura dello status di candidato non e' stata condizionata dal riconoscimento. I prossimi rapporti politici dimostreranno in quale direzione si svolgera' la situazione e quindi, alla fine l'Ue sicuramente formulera' le sue aspettative. Voglio soltanto ricordarvi che la Croazia oltre ad adempiere l'acquis aveva anche condizioni politiche che doveva rispettare e noi l'abbiamo fatto. Sono certo che anche la Serbia lo fara'" ha detto Josipović.
Il presidente serbo Boris Tadić ha ripetuto che la Serbia non riconoscera' il Kosovo affermando che "la Serbia fa tutto avendo presente la propria costituzione e le leggi che garantiscono il funzionamento del sistema sul territorio dell'Europa sudorientale, Priština....che comunque e' in sintonia con tutti i principi europei, ma sicuramente non riconoscera' il Kosovo indipendente".

Va detto che il presidente ceco Vaclav Klaus ha convocato la riunione informale dei presidenti della Slovacchia, Croazia e Serbia perche' ritiene che questi quattro paesi hanno certe similtudini e temi comuni nel nuovo contesto europeo. "Noi in Croazia ci impegnamo che i nostri vicini entrino al piu' presto nei processi europei e alla Serbia spetta di adempiere le condizioni e di costruire pian piano con il Kosovo delle relazioni migliori rispetto a quelle attuali" ha detto Ivo Josipović.

Alla riunione si e' parlato anche di uno dei tempi piu' importanti per l'ingresso della Croazia all'Ue, vale a dire del processo di ratifica dell'accordo di adesione nei singoli parlamenti degli stati membri dell'Unione. Il presidente ceco Vaclav Klasu, per quanto riguarda la Repubblica Ceca, ha detto che il suo paese ratifichera' l'accordo croato e che qui non vi e' alcun problema. Ha precisato che la Slovacchia e' stata piu' veloce, infatti il primo paese che ha ratificato, ma secondo Klaus e' casuale e anche la Repubblica Ceca lo ratifichera'. Da aggiungere anche che dopo la Slovacchia il secondo paese a ratificare e' stata l'Ungheria, poi, settimana scorsa la ratifica importante della Camera dei deputati italiana, infine, lo scorso venerdi' alla lista dei parlamenti che hanno gia' ratificato l'Accordo croato si e' aggiunta anche la Bulgaria. Gli occhi croati sono puntati ora sul Senato italiano che ratificando l'accordo portera' l'Italia ad essere il primo grande paese dell'Ue a compiere l'ultimo passo necessario affinche' la Croazia possa diventare a pieno titolo il 28-esimo paese membro dell'Ue.dinario nella collaborazione tra le ditte di Čačak e quelle russe nel settore edilizio ed agricolo.

LA SERBIA IN ATTESA DELLE DECISIONI DI BRUXELLES

di Marina Szikora [*]
I media serbi hanno giudicato la giornata di martedi' come il "D Day" per la Serbia che il prossimo mese si aspetta una risposta positiva relativa allo status di candidato all'adesione. "D Day" perche' martedi' e' dovuto proseguire l'interrotto dialogo tra Serbia e Kosovo. Secondo i media serbi, sul cammino europeo della Serbia continua ad esserci l'ostacolo principale che e' la irrisolta questione del Kosovo. "Il Kosovo e' il grande buco nero e cosi' sara' anche la Grecia se falliscono le riforme politiche ed economiche", scrive in questi giorni il giornale svedese 'Expressen' e questo articolo e' stato riportato da tutti i media serbi in vista della ripresa del dialogo tra Belgrado e Priština. Ma come scrive il quotidiano di Zagabria 'Vjesnik', il ritardo della delegazione di Priština a Bruxelles dove doveva iniziare il dialogo dopo due mesi di sospensione, ha aumentato la gia' fervente atmosfera.

L'obiettivo del dialogo tra le due parti e' quello di raggiungere un accordo sull'amminsitrazione integrata ai posti di confine e sullo status regionale del Kosovo. Terza questione e' la libera circolazione della KFOR e dell'EULEX in Kosovo. Secondo l'articolo svedese, l'Occidente ha investito cinque miliardi di euro in Kosovo dove il tasso di disoccupazione e' del 45 percento. In questo modo, il paese dipende dall'aiuto internazionale, ma vi fioriscono corruzione, criminale, traffico di armi e di droga nonche' traffico di esseri umani, scrive il giornale svedese riferendosi ai rapporti di Europol. "In Kosovo nessuno sa cosa fa l'Ue, l'ONU, il governo, l'ambasciata americana o la mafia. Tutte le decisioni del parlamento il quale e' diviso nei clan oppure quelle del governo inefficace possono essere abolite dal rappresentante della comunita' internazionale.

L'articolo non sorprende soprattutto per il fatto che la Svezia era pronta ad appoggiare lo status di candidato della Serbia ancora lo scorso dicembre e anche adesso rileva che Belgrado con il suo impegno per trovare una soluzione relativa al Kosovo merita questo status. Il ministro degli esteri francese Allain Juppe per 'Večernje novosti" parla altrettanto a favore dello status di candidato alla Serbia. Anche dalla Repubblica Ceca arriva il sostegno alla candidatura serba e i vertici cechi ritengono che lo status di candidato non deve essere legato alla questione Kosovo. Va detto anche che un nuovo ostacolo e' emerso qualche giorno fa quando, secondo le informazioni mediatiche, il governo di Priština ha inviato una lettera all'Ue in cui il Kosovo accusa la Serbia per il fallimento del dialogo e invita l'Ue di non dare lo status di candidato alla Serbia. Questo ha subito provocato reazioni da parte di Belgrado che vede la lettera come una prova che la candidatura serba e' questione politica e non una questione di adempimento dei criteri. Bruxelles invece dichiara di non essere a conoscenza di questa lettera.

[*] Corrispondente di Radio Radicale. Il testo è tratto dalla corrispondenza per la puntata odierna di Passaggio a Sud Est.

BALCANI: GLI INTERESSI USA E QUELLI RUSSI

William Burns in Kosovo, Serbia e Croazia sostiene la “via europea”. Mosca a Belgrado: non dimenticate i vecchi amici.


di Marina Szikora [*]
Nei giorni scorsi, si e' svolto un miny tour balcanico del vicesegretario di stato americano William Burns, con tappe a Priština, Belgrado e Zagabria. Nel corso del suo viaggio e degli incontri con i vertici dei singoli paesi, Burns ha detto che Belgrado e Priština devono avere un approcio piu' flessibile nei colloqui a proposito del modo in cui il Kosovo sara' rappresentato ai forum regionali, affinche' sia raggiunto un accordo accettabile per entrambi le parti. "Gli Stati Uniti ed i partner europei hanno detto che entrambe le parti stanno cercando di avere un approccio piu' flessibile e costruttivo perche' il Kosovo possa partecipare ai forum internazionali e regionali. Per tal motivo bisogna trovare una formula accettabile per entrambi le parti" ha detto il vicesegretario di stato americano per la RTV Kosovo. A fine della sua visita a Priština, Burns ha detto che i colloqui con Belgrado devono continuare rilevando che il popolo del Kosovo deve valutare da solo quale e' il loro interesse nazionale. Una questione sensibile e complicata, ha avvertito, ma la cosa piu' importante e' capire che Priština deve essere rappresentata nelle iniziative internazionali e che devono essere poste le basi per la collaborazione con l'Ue. In questo senso, Burns ha valutato che il Kosovo deve essere rappresentato a pari diritto con gli altri stati. Secondo la sua opinione, in Kosovo e' stato raggiunto grande progresso per quanto riguarda il rispetto dei diritti umani e delle liberta'. Burns ha ribadito che gli Stati Uniti restano schierati a favore dell'indipendenza del Kosovo e della sua integrita'. Nell'ambito della sua visita in Kosovo, il vicesegretario di stato americano ha visitato anche il monastero Gračanica, il luogo di culto della fede ortodossa serba in Kosovo.

Gli Stati Uniti appoggiano fortemente la candidatura della Serbia per l'adesione all'Unione Europea e questo obiettivo si trova a portata di mano, ha detto Burns a Belgrado sottolineando pero' l'importanza del proseguimento del dialogo tra Belgrado e Priština. Il vicesegretario di stato americano ha affermato che l'obiettivo serbo di ottenere la candidatura e' raggiungibile nelle prossime settimane e anche se gli Stati Uniti non hanno una voce nell'Ue, ha promesso che Washington fara' il tutto possibile per incoraggiare questa decisione. Venerdi' scorso Burns ha incontrato a Belgrado il presidente serbo Boris Tadić, il premier Mirko Cvetković e il ministro della difesa Dragan Šutanovac. Il tema principale e' stato lo status di candidato all'adesione della Serbia. In una intervista alla tv serba RTS, alla domanda se gli Stati Uniti appoggeranno l'azione di Priština di stabilire con forza la base al nord del Kosovo, Burns ha risposto che l'utilizzo della forza da nessuna parte non sarebbe utile ma al contrario controproducente. Ha aggiunto che bisogna dedicarsi al dialogo e ha ribadito che e' stato raggiunto un progresso significativo, che lo status di candidato della Serbia e' a portata di mano. Si e' detto consapevole che per questo ci vogliono decisioni e passi difficili ma che la via europea e' possibile. Il rappresentante americano ha sottolineato che e' nell'interesse della stessa Unione il proseguimento del dialogo tra Belgrado e Priština.

Dall'altra parte, a Čačak, l'ambasciatore russo Aleksandar Konuzin ha detto che la Russia non e' contraria al fatto che la Serbia ha nuovi amici, ma che non sarebbe buono che si dimentichi di quelli vecchi e che deve valutare bene quale sara' il prezzo della via verso l'Ue. L'occasione a Čačak e' stata la consegna del premio della citta' di Čačak all'ambasciatore russo. Konuzin ha ricordato che la terra di Čačak e Šumadia e' stata bagnata dal sangue del suo popolo il quale difese i serbi da quelli che sono venuti ad uccicerli e saccheggiarli. Stanno sbocciando nuovi germogli di fascismo e di tutto querllo contro il quale si e' combattutto nella piu' atroce guerra della storia, ha detto Konuzin aprendo la via di Čačak che portera' il nome dell'Armata rossa. L'ambasciatore russo ha sottolineato che la Russia e' tra i primi partner commerciali-economici della Serbia e che questa collaborazione e' sempre piu' forte. Inoltre, secondo Konuzin, il legame e' anche di cultura, tradizione e di fede ortodossa. La decisione di conferire il premio all'ambascitore russo e' stata presa da parte dei consiglieri dell'Assemblea di Čačak a causa del suo contributo straordinario nella collaborazione tra le ditte di Čačak e quelle russe nel settore edilizio ed agricolo.

[*] Corrispondente di Radio Radicale. Il testo è tratto dalla corrispondenza per la puntata odierna di Passaggio a Sud Est.

martedì 21 febbraio 2012

GRECIA: VIA LIBERA AGLI AIUTI, MA IL PAESE E' DI FATTO COMMISSARIATO

Oggi all'alba, dopo una maratona negoziale iniziata nel tardo pomeriggio di ieri, i Paesi dell'area dell'euro, riuniti a Bruxelles, hanno il via libera al nuovo piano di aiuti per la Grecia per un valore di 130 miliardi. ''Un accordo molto buono'', lo ha definito il presidente della Bce. Mario Draghi, sottolineando come ora sia ''molto importante che le principali forze politiche in Grecia riconoscano questo programma e che supportino gli impegni che sono stati presi dal primo ministro e dal ministro delle Finanze''. In effetti l'accordo per assicurare la sostenibilita' del debito greco parte dal presupposto che la Grecia consolidi i conti e torni ad un avanzo primario nel 2013, faccia le privatizzazioni e applichi le riforme della troika. Il premier greco Lucas Papademos si e' detto ''molto soddisfatto'' dell'accordo raggiunto dall'Eurogruppo ed ha assicurato che le riforme concordate per ottenere gli aiuti saranno applicate anche dopo le elezioni. Ma la sua parola evidentemente da sola non basta, visto che il suo Paese dovrà accettare una sorta di protettorato, visto che la troika Ue-Bce-Fmi rafforzera' e rendera' permanente la sua presenza ad Atene per sorvegliare l'applicazione del secondo programma, come ha annunciato il commissario Ue agli affari economici Olli Rehn.

Un ''bel risultato per Grecia ed Eurozona. E per i mercati speriamo'', è stato il commento del presidente del Consiglio Mario Monti che ha aggiunto: ''E' stato un lungo lavoro, l'Europa e' anche in grado di funzionare''. L'accordo raggiunto dall'Eurogruppo garantisce la tenuta della Grecia nell'Euro e le da' il tempo di tornare su un percorso di crescita sostenibile, ha detto da parte sua il presidente dell'Eurogruppo Jean Claude Juncker. il quale ha anche detto di aspettarsi ''che una decisione sull'aumento del firewall venga presa a marzo'', aggiungendo che a suo avviso per avere un aumento importante, si puo' partire combinando il fondo salva-Stati transitorio Efsf e quello permanente Esm (attualmente dotati rispettivamente di 500 miliardi e di 250 miliardi). L'Eurogruppo si aspetta dal Fmi una partecipazione ''importante'' al piano di aiuti per la Grecia, ma, fa sapere il direttore generale del Fondo Christine Lagarde,''importante vuol dire molte cose e il board del Fmi decidera' a marzo''. Intanto si sa che la Bce partecipera' al piano di aiuti per la Grecia distribuendo alle banche centrali nazionali i profitti sui bond greci nel suo portafoglio, a loro volta le banche centrali li verseranno agli Stati dell'Eurozona che hanno acconsentito a versarli alla Grecia nell'ambito del piano di riduzione del suo debito.

Ecco i punti principali dell'accordo che ha dato il via libera ai 130 miliardi di euro di aiuti, come riportati questa mattina in un lancio dell'Ansa.

Riduzione del debito con nuovi aiuti
Con la contribuzione del settore privato e pubblico il rapporto debito/pil della Grecia, oggi al 160%, arrivera' al 120,5% nel 2020, ovvero una soglia giudicata ''sostenibile'' che sblocca gli aiuti. I 130 miliardi di euro saranno versati entro il 2014, e saranno distribuiti tramite l'Efsf, in attesa che il Fmi decida a marzo sulla sua parte che l'Eurozona spera sara' significativa.

Troika permanente ad Atene
E' essenziale, per l'Eurozona, che la Grecia sia monitorata ed assistita a livello tecnico durante tutto lo svolgimento del programma di tagli e riforme, per questo Ue-Bce-Fmi si installeranno in modo permanente nel Paese. Inoltre, per essere sicuri che Atene non sia insolvente sulle sue future emissioni, mettera' gli interessi su un conto bloccato monitorato sempre dalla troika.

Bce, Fmi e banche nazionali
Anche la Banca centrale partecipera' al piano di aiuti distribuendo alle banche centrali nazionali i profitti sui bond greci nel suo portafoglio, a loro volta le banche centrali li verseranno agli Stati dell'Eurozona che hanno acconsentito a versarli alla Grecia nell'ambito del piano di riduzione del suo debito. E anche le stesse banche centrali che detengono bond greci rinunceranno fino al 2020 ai profitti, per cederli alla Grecia ed alleviare il suo debito dell'1,8%.

L'”haircut” dei privati
L'accordo con i privati (Psi) prevede un 'haircut' o taglio nominale del 53,5% sui titoli in portafoglio, che saranno scambiati (swap) con titoli a piu' lunga scadenza e che avranno una cedola del 3% fino al 2014, 3,75% fino al 2020 e 4,3% dopo il 2020. Lo swap dei titoli partira' nelle prossime settimane, e' volontario, ma l'Eurozona si aspetta una partecipazione vicina al 90%.

Partecipazione degli Stati alle perdite
Gli Stati dell'Eurozona hanno acconsentito ad abbassare in modo retroattivo gli interessi sui prestiti concessi ad Atene nel 2010, nell'ambito del primo programma. Questa mossa consentira' di ottenere 1,4 miliardi di euro che andranno a tagliare il debito ellenico del 2,8%.

lunedì 20 febbraio 2012

COME LA GRECIA. L'ITALIA O L'EUROPA?

Dimitri Deliolanes
Siamo o non siamo come la Grecia? Faremo o no la fine della Grecia? Da mesi questo ritornello ricorre nei discorsi di politici e politologi di casa nostra. Con il governo Monti il nostro Paese sembra aver riacquistato un'immagine positiva agli occhi del mondo e dei mercati, mentre la Grecia continua ad essere guardata con preoccupazione (o con sospetto), anche a causa delle annunciate elezioni anticipate che dovrebbero tenersi ad aprile. Ma la discussione su analogie e differenze più che Roma e Atene, riguarda l'Europa e il progetto di unione europea.
L'attuale crisi economica ha messo infatti in luce definitivamente i nodi politici del progetto di unione del Vecchio Continente che sono stati lasciati irrisolti ma che sono drammaticamente arrivati al pettine. In altre parole: mentre la crisi economica in un modo o nell'altro verrà prima o poi superata (con quali costi sociali è altro discorso e lo verificheremo sulla nostra pelle), se non sarà affrontata con coraggio e determinazione la questione dell'unione politica, il progetto dell'Unione europea rischia di fallire definitivamente e rovinosamente con conseguenze incalcolabili per tutti.

Di questo ho parlato con Dimitri Deliolanes, corrispondente dall'Italia della radio-tv nazionale greca Ert, autore di "Come la Grecia. Quando la crisi di una nazione diventa la crisi di un intero sistema" (Fandango Libri), nell'intervista per Radio Radicale che potete ascoltare direttamente qui.



venerdì 17 febbraio 2012

MACEDONIA: SI RACCENDONO LE TENSIONI ETNICO-RELIGIOSE

A metà dello scorso gennaio alcune maschere giudicate offensive dell'Islam esibite al carnevale di Vevcani, il più famoso della Macedonia, hanno riacceso le tensioni etniche e religiose. Eventi che, a dieci anni dal conflitto e dagli accordi che hanno posto fine agli scontri armati, rivelano le fragilità del Paese, la debolezza delle sue istituzioni e le difficoltà della convivenza tra la maggioranza slava e la consistente minoranza albanese. Ne abbiamo parlato anche noi con la corrispondenza di Artur Nura nella puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda il 9 febbraio a Radio Radicale.
Qui di seguito riporto l'articolo di Risto Karajkov pubblicato il 16 febbraio sul sito di Osservatorio Balcani e Caucaso.


Macedonia: si infiamma la violenza religiosa
di Risto Karajkov
A metà gennaio, in una replica locale del noto caso delle caricature di Maometto pubblicate nel 2005 da un quotidiano danese, il sentimento religioso ha generato episodi di violenza in occasione del carnevale di Vevcani, probabilmente il più noto del Paese. La comunità musulmana macedone (in gran parte composta da albanesi, ma anche da turchi e macedoni etnici) si è infatti ritenuta profondamente offesa da una maschera che a suo avviso prendeva in giro i rituali della preghiera islamica. Nelle proteste organizzate dalla comunità islamica di Struga (città nel sud-ovest della Macedonia), diverse migliaia di persone hanno manifestato marciando attraverso il centro della città, inneggiando ad Allah e gridando slogan come "a fuoco Vevcani" e "morte ai cristiani".
Durante la protesta, la bandiera nazionale macedone è stata strappata dal palazzo municipale e sostituita con la bandiera verde dell'Islam. In altri incidenti legati alle proteste, un autobus è stato preso a sassate e molte altre bandiere macedoni sono state strappate dagli edifici istituzionali, alcune bruciate.
Gli incidenti sono proseguiti nei giorni seguenti, con la distruzione di una croce di legno di una chiesa di paese e di molte finestre di un centro medico locale. A fine gennaio, la chiesa del villaggio di Labunista è stata data alle fiamme, anche se l'edificio è stato salvato dal tempestivo intervento della gente del posto.

Scaricabarile
"Tutta colpa del carnevale di Vevcani" ha dichiarato Ramiz Merko, sindaco del comune di Struga (che comprende diversi villaggi, tra cui Labunista), infiammando ulteriormente gli spiriti. Merko ha chiamato a scusarsi il suo omologo, il sindaco di Vevcani. Quest'ultimo, fedele alla tradizione politica macedone per cui nessun funzionario si sente mai responsabile di alcunché, ha pubblicamente rifiutato di farlo, con argomenti che andavano da "il comune non è l'organizzatore" (quindi non ha nulla di che rispondere) alla ben nota libertà di espressione e così via.
Toni lievemente concilianti sono arrivati dai partecipanti al carnevale, alcuni dei quali si sono scusati sostenendo che non volevano offendere nessuno. Con la tensione già alta, tuttavia, questo non è stato sufficiente. Le prime pagine dei quotidiani lanciavano avvertimenti contro la minaccia del fondamentalismo islamico; i soliti teorici della cospirazione ricordavano che nulla è ciò che sembra; gli editorialisti dibattevano su chi aveva cominciato. Su Facebook esplodeva la violenza verbale, in gran parte ad opera di giovani. I politici si accusavano a vicenda di sfruttare la vicenda per ottenere facili consensi.
Nikola Gruevski, primo ministro e leader del partito di destra VMRO DPMNE, ha accusato l'opposizione (SDSM) e il suo leader Branko Crvenkovski di essere dietro le proteste. Crvenkovski ha a sua volta biasimato la coalizione di governo guidata dal VMRO e dal partner albanese dell'Unione Democratica per l'Integrazione (DUI) per l'aumento delle tensioni etniche.

Ritorno alla calma
Dopo la sfuriata iniziale, la situazione ha cominciato a calmarsi. La leadership della comunità islamica in Macedonia ha invitato i credenti a non lasciarsi fuorviare dalle provocazioni. Ermira Mehmeti (DUI) ha ragionevolmente invitato a non dibattere oltre su chi avesse appiccato il fuoco (gli analisti di destra macedoni avevano sostenuto che la maschera fosse stata una risposta a precedenti provocazioni albanesi, come la bandiera macedone recentemente bruciata durante alcune partite di calcio), ma su come spegnerlo.
Il Comitato parlamentare per i rapporti interni alla comunità (CRI) ha tenuto una sessione agli inizi di febbraio e tutti hanno invitato alla tolleranza, anche se governo e opposizione hanno continuato con le accuse reciproche senza riuscire a giungere a conclusioni comuni, dato che il Partito Democratico degli Albanesi ha rifiutato di votare.
A fine gennaio, in risposta agli eventi, l'Alto Commissario OSCE per le minoranze nazionali Knut Vollebaek è arrivato in Macedonia per una serie di incontri con la leadership politica del Paese. Il 9 febbraio, in un discorso ai membri del CRI, ha ricordato che "non manca molto perché la situazione degeneri e vada fuori controllo" e ha chiesto una risposta adeguata agli eventi recenti. L'OSCE ha riproposto il suo progetto di istruzione integrata, naufragato nel 2010 a causa dell'opposizione della comunità albanese. Il progetto prevedeva anche che i bambini albanesi studiassero il macedone dalla prima elementare, idea respinta dalla maggior parte dei genitori albanesi.

Il difficile esercizio della tolleranza
Non c'è dubbio che i politici abbiano sfruttato gli eventi per guadagnare consenso. È loro abitudine. Ma finché cercano consensi smorzando il clima di violenza, non è un problema. Le preoccupazioni sorgono quando cercano consensi incitando all'odio.
Stavolta, però, non sono stati i politici a creare la tensione, ma stupide, insensibili maschere di carnevale. Come al solito, nessuna cospirazione: solo irresponsabilità. Chi ha creato quelle maschere avrebbe dovuto pensarci due volte. La libertà di espressione è una bella cosa, ma non assolve da ogni responsabilità. Diversi mesi fa, alcuni giovani albanesi sono stati arrestati per aver dipinto un graffito sulla Grande Albania su un muro a Tetovo. Sono stati rilasciati, ma dovranno difendersi in tribunale dalle accuse di incitamento all'odio etnico e religioso. È ragionevole pensare che siano colpevoli come i creatori delle maschere di Vevcani, che però non hanno subito alcun provvedimento.
Durante il recente campionato europeo di pallamano a Niš, Serbia, la scritta sul muro "la Macedonia è terra serba" ha guadagnato le prime pagine dei giornali di Skopje. Tutti si sentivano offesi. Ma i tifosi macedoni cantano il loro inno nazionalista dicendo che "la terra intorno a Salonicco sarà nostra", e nessuno a Skopje si ferma a pensare “un attimo, questo potrebbe essere offensivo per qualcuno”. Spesso, l'odio viene da noi stessi, da dentro di noi. Dobbiamo continuare a ricordare a noi stessi che la responsabilità individuale è un valore fondamentale in una democrazia.

giovedì 16 febbraio 2012

REFERENDUM IN KOSOVO: VINCONO I NO

La larghissima vittoria dei “no” era ampiamente prevista e il risultato finale è andato anche oltre le più rosse previsioni. La quasi totalità dei serbi del nord del Kosovo si è detta pronunciata contro il riconoscimento della sovranità e delle istituzioni di Pristina. Nel referendum tenutosi martedì e mercoledì, contro il parere contrario del governo di Belgrado, della Ue e di tutte le altre istituzioni internazionali, il 99,74% dei partecipanti al voto ha detto “no” all'indipendenza proclamata unilateralmente dagli albanesi kosovari proprio quattro anni fa. L'affluenza è stata del 75,28%. I risultati finali ufficiali saranno resi noti il 19 febbraio.

La consultazione, che non avrà alcuna rilevanza giuridica, potrebbe avere però un peso politico sul cammino di integrazione europea della Serbia, a partire dal Consiglio europeo di marzo che dovrebbe decidere se concedere o no lo status di Paese candidato all'adesione, dopo il rinvio di dicembre. Per questo il governo serbo e il presidente Boris Tadic avevano condannato il referendum definito inutile, controproducente e dannoso agli interessi statali della Serbia. Il Parlamento kosovaro ha adottato da parte sua una risoluzione in cui si sostiene che il referendum viola l'ordine costituzionale del Kosovo.

Il referendum potrebbe accrescere le tensioni interetniche ostacolando ulteriormente il già difficilissimo dialogo fra Belgrado e Pristina intrapreso un anno fa con la mediazione di Bruxelles e da cui dipende la candidatura della Serbia all'adesione all'Ue. Dalla scorsa estate la tensione si mantiene alta nel nord del Kosovo, dove i serbi hanno eretto blocchi e barricate per ostacolare e impedire il controllo di due posti di frontiera con la Serbia da parte di poliziotti e doganieri albanesi inviati da Pristina. Critiche e condanne all'iniziativa del referendum sono venute dall'Unmik, la missione dell'Onu in Kosovo, e dalla Ue, secondo cui i problemi del Kosovo possono essere risolti solo con il dialogo e il compromesso.

PIU' CHE IL REFERENDUM IN KOSOVO, LA SERBIA ATTENDE LE DECISIONI DELL'UE

Il testo che segue è una trascrizione di una parte della corrispondenza di Marina Szikora per la puntata di oggi di Passaggio a Sud Est su Radio Radicale. La corrispondenza è stata preparata mentre era ancora in corso il voto dei serbi del Kosovo per il referendum in cui sono stati chiamati a decidere se accettare o meno le istituzioni della “cosidetta repubblica del Kosovo”. Il referendum si è svolto nonostante la contrarietà di Belgrado e della comunità internazionale. Secondo il governo serbo la consultazione è inutile perché la costituzione serba non riconosce comunque le istituzioni di Pristina. Il referendum non avrà dunque nessuna conseguenza sul piano legale, ma potrebbe avere un peso politico soprattutto in vista del Consiglio europeo di Marzo che dovrà decidere se concedere o meno alla Serbia lo status di Paese candidato all'adesione all'Ue. Questo e le elezioni di maggio, più che il referendum nel nord del Kosovo, sono i temi che impegnano il mondo politico serbo.

Il primo giorno del voto, il presidente della Serbia Boris Tadić ha detto di comprendere la necessita' dei serbi al nord del Kosovo di eprimere la loro volonta' politica, ma ha sottolineato che non e' possibile che gli autogoverni locali facciano di piu' rispetto allo stato per quanto riguarda la soluzione del problema della popolazione serba in Kosovo. "Questa iniziativa dei leader comunali al nord del Kosovo puo' soltanto rendere minore il potenziale dello stato e non e' nell'interesse dei serbi nella regione. In qusto modo si compie un danno allo stato nella difesa degli interessi legittimi in Kosovo" ha detto Tadić. Il capo dello stato serbo ha ripetuto che la Serbia non riconoscera' l'indipendenza del Kosovo, che rispetta la Risoluzione 1244 e di essere nella ricerca di una soluzione per la rappresentanza degli esponenti di Priština ai forum regionali che non significhera' ne' esplicitamente ne' implicitamente il riconoscimento dell'indipendenza.

Secondo il ministro serbo per il Kosovo, Goran Bogdanović il risultato si sa in anticipo poiche' il cento percento dei serbi al nord della regione e l'intero governo serbo sono contrari alle istituzioni kosovare. Non serve ad altro, afferma Bogdanović, che complicare maggiormente la gia' difficile situazione e utilizzare questo argomento per scopi della politica quotidiana ed ottenere qualche voto in piu' alle prossime elezioni. Il ministro per il Kosovo e' dell'opinione che il referendum e' frutto dell'influenza di alcuni lider politici di Belgrado sui presidenti dei comuni al nord del Kosovo per destabilizzare la situazione nel momento in cui la Serbia e' in attesa della decisione sullo status di candidato di adesione all'Ue.

Diversa invece l'opinione di Krstimir Pantić, presidente del comune Kosovska Mitrovica il quale ritiene che il referendum e' organizzato come le elezioni locali del 2010. Per la Radio B92, Pantić ha detto che il referendum e' una "espressione di volonta' e del desiderio di tutti i serbi in Kosovo e Metohia a fin di dire chiaramente e ad alta voce che non accetteranno azioni unilaterali e violente". Secondo Pantić l'effetto del referendum sara' proprio "il rafforzamento della posizione del team negoziale della Serbia" e la diminuizione delle pressioni al nord del Kosovo. "Questa e' l'occasione per tutti di convincersi sull'umore della popolazione al nord del Kosovo... La situazione del team sara' rafforzata perche' avra' dietro di se 70.000 serbi che hanno detto fermamente di non volere le istituzioni kosovare" ha detto il presidente del comune di Kosovska Mitrovica. Ha aggiunto che Belgrado e' contraria al referendum perche' "ci sono grandissime pressioni sul governo e sul presidente Boris Tadić".

I rapprsentanti dei serbi al nord del Kosovo, la sera prima del voto hanno dichiarato che il referendum sara' un messaggio al mondo e alla Serbia che i serbi in quest'area non accettano le istituzioni kosovare. Per la televisione 'Most', i presidenti dei comuni Zvečan, Kosovska Mitrovica, Zubin Potok e Leposavić hanno detto di essere consapevoli che il referendum non risolvera' tutti i problemi, ma si sono detti convinti che questo sara' "un forte messaggio politico". "Con la forza si puo' diventare schiavi, ma noi non ci assimileremo e non ci integreremo volontariamente in questo stato, il popolo vuole vivere qui dove hanno vissuto i loro antenati, nella Repubblica Serbia" ha detto il presidente dell'Assemblea del comune di Zvečan, Dobrosav Dobrić, mentre il presidente del comune di Zubin Potok, Stevan Božović ha aggiunto che i serbi dimostreranno a tutti quelli "che hanno dichiarato che il referendum e' stato indetto dai presidenzi dei comuni e dai criminali" che questo non e' vero. "Non stiamo facendo nulla contro gli interessi dello stato serbo. Stiamo proteggendo la Costituzione, l'integrita' e la sovranita' dello stato" ha detto Slavko Stefanović, presidente del comune Leposavić ricordando che i serbi in Kosovo e Metohija possono fare e fanno ancora per il loro paese.

Il referendum in Kosovo non e', tuttavia, il tema principale in Serbia. L'atmosfera e' gia' quella di campagna preelettorale e di attesa della decisione alla prossima riunione del Consiglio europeo. Se la Serbia il prossimo marzo non otterra' lo status di paese candidato di adesione all'Ue, le conseguenze di una tale decisione saranno serie e gravi, sono generalmente le opinioni di analisi e commenti politici relativi al cammino europeo della Serbia. In questo poco tempo restante alla decisione dell'Ue, da Bruxelles arrivano informazioni che e' difficile prevedere quali saranno le valutazioni dei paesi membri dell'Ue. Da una parte, la Commissione europea e il Consiglio europeo affermano che "c'e' ancora tempo" affinche' la Serbia decida ad adempiere le tre condizioni poste lo scorso dicembre, ma ufficiosamente si possono sentire parole di preoccupazione e di avvertimento che il tempo sta velocemente scorrendo e che un progresso, soprattutto relativo al dialogo con il Kosovo, non c'e'. Dal Centro per la politica europea, avvertono che le conseguenze di un nuovo rinvio potrebbero essere molto serie per il futuro della Serbia.

La campagna elettorale in Serbia e' praticamente gia' iniziata. Come si puo' leggere in uno degli articoli della Deutsche Welle, le forze ultranazionaliste sembra che abbiano abbastanza sostegno e l'attuale presidente Boris Tadić ha veramente bisogno di qualcosa di convincente per i suoi elettori. Un esito negativo al prossimo Consiglio europeo avrebbe un impatto molto negativo alla prospettiva dei partiti maggiormente proeuropei. Alcuni esperti politici sono anche dell'opinione che in caso di un altro segnale rosso alla Serbia da parte dell'Ue potrebbe avere conseguenze negative anche per il resto della regione dei Balcani occidentali relative alla questione dell'allargamento. Tuttavia, seppure e' noto che la Commissione europea imputa alla Serbia la responsabilita' a riguardo del suo cammino europeo, ci sono sempre piu' voci che ritengono sia necessario un segnale positivo anche da parte dell'Ue, e il via libero alla candidatura sarebbe proprio questo tipo di segnale.

Quanto alle prossime elezioni in Serbia, il presidente della Commissione amministrativa del Parlamento serbo, Nenad Konstantinović e' dell'opinione che vi sara' una grande affluenza alle urne degli aventi voto. Konstantinović afferma che le prossime elezioni parlamentari e locali dovrebbero svolgersi, secondo le aspettative, il 29 aprile o il 6 maggio. Per l'agenzia di stampa serba Tanjug, Konstantinović ha rilevato che queste elezioni sono di estrema importanza per il futuro cammino europeo della Serbia. Per quanto rigurada le elezioni locali, esse vanno indette dal presidente del Parlamento e per ragioni economiche si prevede che le elezioni locali si svolgeranno in contemporanea con quelle parlamentari. Secondo Konstantinović, sempre nel 2012 si possono attendere anche le elezioni presidenziali.

BOSNIA: DOPO IL PREMIER FINALMENTE ANCHE IL GOVERNO

di Marina Szikora [*]
La Bosnia Erzegovina finalmente ha un nuovo governo, vale a dire il Consiglio dei ministri guidato da Vjekoslav Bevanda, rappresentante croato, dell'Hdz BiH. Dopo un vuoto durato dall'ottobre 2010 quando si sono svolte le elezioni politiche i rappresentanti politici si possono finalmente occupare del funzionamento dello stato e in primis del suo cammino verso le integrazioni euroatlantiche. Lo scorso venerdi', la Camera dei deputati del Parlamento bicamerale della Bosnia con 26 voti a favore, uno astenuto e 7 contrari ha appoggiato il neo Consiglio dei ministri e subito dopo si e' svolta la prima riunione del nuovo esecutivo. La priorita' del governo dovrebbe comunque essere il miglioramento della situazione economica e il superamento del blocco del cammino europeo della Bosnia. Il presidente del Partito socialdemocratico bosniaco, Zlatko Lagumdžija e' il nuovo ministro degli esteri, ed e' l'unico dei leader dei sei maggiori partiti della coalizione governativa a far parte del Consiglio dei ministri.

Con questo completamento del potere esecutivo, si spera essere compiuto un passo avanti e ne e' dell'opinione anche la Commissione esteri del Parlamento Europeo che ha presentato recentemente la bozza di Risoluzione sull'avanzamento della Bosnia Erzegovina. Il testo definitivo di questa risoluzione dovrebbe esssere approvato il prossimo aprile. La bozza di risoluzione saluta l'accordo raggiunto tra i leader dei partiti politici in Bosnia sulla formazione del governo a livello statale, il bilancio per il 2012 e le leggi sugli aiuti statali. Pero' viene sottolineata la preoccupazione a causa di "un limitato avanzamento" della Bosnia, in quanto candidato potenziale per l'adesione all'Unione Europea.

La relatrice del Parlamento Europeo per la Bosnia Erzegovina, la tedesca Doris Pack, vede questa risoluzione come un "invito al risveglio" ai politici bosniaci i quali sono invitati ad assumersi la responsabilita' verso i propri cittadini, di arrivare al compromesso, all'accordo sulle riforme e ad una visione comune sul futuro del Paese. Pack ricorda che uno stato funzionante e un potere funzionante a livello statale sono condizioni indispensabili per l'avanzamento della Bosnia verso l'Ue. "Esistono due entita', ma sono due colonne di uno stato unico. Se non ci sara' uno stato unico, la Bosnia Erzegovina non aderira' mai all'Ue. Questo e' cristalmente chiaro" afferma Doris Pack.

La bozza di risoluzione del Parlamento Europeo indica anche ad una profonda corruzione, un sistema giuridico nonfunzionante, un sistema educativo diviso, una mala situazione economica. La Commissione esteri del PE si e' detta anche preoccupata a causa di informazioni sul crescente nazionalismo estremista in Bosnia, l'influenza dei vahabiti ma anche l'assenza di condanna di una tale situazione da parte della comunita' islamica bosniaca.

[*] Corrispondente di Radio Radicale. IL testo è tratto dalla corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi a Radio Radicale.

PASSAGGIO IN ONDA

E' on-line la puntata di Passaggio a Sud Est in onda oggi a Radio Radicale.
La trasmissione è riascoltabile nella sezione "In Onda" del blog oppure, con tutte quelle precedenti, sul sito di Radio Radicale.

martedì 14 febbraio 2012

LE LACRIME E IL SANGUE DEI GRECI

Domenica sera il parlamento greco ha approvato il nuovo piano "lacrime e sangue" imposto dalla "troika" Fmi-Ue-Bce per evitare il default. Mentre il parlamento discuteva, fuori, in piazza Syntagma e nelle strade di Atene decine di migliaia di persone esprimevano la loro rabbia, gruppi di giovani si scontravano con la polizia e si verificavano gravi violenze. Il giorno dopo quali sono i sentimenti dei greci, qual è la situazione reale della gente, quali sono le prospettive politiche in vista delle elezioni che dovrebbero tenersi ad aprile?
Ne ho parlato con Pavlos Nerantzis, giornalista, direttore del terzo canale della Radio nazionale greca, in un'intervista per Radio Radicale che potete ascoltare direttamente qui




Di Pavlos riporto anche l'articolo pubblicato sabato scorso, 11 febbraio, sul sito di Lettera22 con cui collabora da un paio di anni.


ATENE, LACRIME E SANGUE SOTTO LA NEVE
La recessione si fa sempre più profonda. Ospedali senza medicinali, alunni mal nutriti che svengono, aumento dei suicidi.

Pavlos Nerantzis - Lettera 22, sabato 11 febbraio 2012

Atene - Nella centralissima piazza Syntagma, a pochi passi dal parlamento, teatro di centinaia di manifestazioni di protesta e di scontri duri con la polizia negli ultimi due anni, a causa della crisi economica e delle misure imposte dalla Troika (Fmi, Ue, Bce), tutto sembra normale in questi giorni. Le temperature sotto zero e la neve a cui gli ateniesi non sono abituati, li ha “obbligati” a muoversi poco. Ma questa è soltanto l’ apparenza. Dietro le quinte, i Greci stanno vivendo una tragedia.

«Ftanei. Den paei allo», «Basta. Non si può andare avanti cosi», è la frase che si sente ovunque: «Saremmo disposti a fare dei sacrifici se prima l’avessero fatto i parlamentari, se fossero stati processati i responsabili degli scandali e della corruzione, se il governo avesse preso delle misure contro gli evasori fiscali e coloro che hanno esportato grandi capitali all’estero», è la litania dei cittadini comuni.

Il programma “lacrime e sangue”, ha provocato la recessione, una profonda crisi politico-istituzionale, mentre il debito pubblico e il deficit restano altissimi. «Perché non avete promosso le riforme», sostengono i creditori. «Perché i tagli servono per salvaguardare i vostri interessi, dei mercati e delle banche», sottolineano le sinistre e i sindacati in continua mobilitazione.

«Come vanno gli affari?», chiediamo ai negozianti. «Vedi qualcuno? Nonostante gli sconti, la gente non compra nulla. Soldi non ci sono nemmeno per comprare cose di prima necessità» dice Michele, che ha già venduto la sua macchina per pagare il mutuo di casa. La banca telefona ogni due giorni per ricordargli che è in ritardo sulle rate. Succede a migliaia di altre famiglie, 400 mila secondo le statistiche, che vivono con l’ incubo di essere sfrattate.

Lunghe file di persone, invece, al Deh, l’Azienda Pubblica di energia elettrica, anch’essa, come tanti altri enti pubblici, già in via di privatizzazione a grandi monopoli stranieri. Il governo socialista ha imposto una nuova sovra-tassa per gli immobili, costringendo tutti i proprietari a pagarla con la bolletta della luce. «Altrimenti ci tagliano la corrente. E’ un ricatto», dice Eirene, una signora anziana. «Ho appena venduto tutti i miei gioelli. Mi hanno dato 400 euro. Non so se devo usarli per il cibo per i miei nipoti oppure per questa sovra-tassa», aggiunge Yannis, un pensionato. Più drammatiche le parole di Eleutherios, un altro pensionato: «Ho finito tutti i miei risparmi. Ho 68 anni. Ho lavorato come un mulo tutta la vita, ma non ho più nulla. Mi hanno tagliato la pensione di 350 euro. Mi sento solo. Cosa faccio? Devo chiedere l’elemosina? Oppure mi impicco? Dimmi tu». «Siamo già morti. Non abbiamo più denaro per vivere», aggiunge con rabbia e amarezza Dimitris, un giovane imprenditore.

Ospedali senza farmaci, mezzi di trasporto pubblici e auto della polizia senza carburante, famiglie con due stipendi da mille euro che non riescono a pagare le sovratasse imposte dal governo senza preavviso, scuole senza libri, alunni che svengono durante le lezioni. In certi quartieri poveri della capitale, gli abitanti dicono di non aver soldi per mantenere i figli. In altri centri urbani le amministrazioni locali hanno smesso di fornire cibo agli asili nido comunali. Il comune di Atene ha già registrato 200 casi di neonati malnutriti, perché i loro genitori sono disoccupati, mentre un numero crescente di scuole elementari si rivolge alle mense della chiesa per nutrire per gli alunni. Ovunque ci sono persone comuni che frugano tra i rifiuti.

Più colpiti sono i giovani fino ai 34 anni: uno su due è senza lavoro. É aumentato anche del 22% il numero dei suicidi. Da Atene, Salonicco, Creta, da tutto il territorio arrivano sempre più spesso notizie di persone che hanno preferito uccidersi. «Certo questo aumento dei suicidi è legato alla crisi» nota la psicologa Eleni Bekiari, responsabile di un centro che cerca di aiutare le persone socialmente isolate. Per aggiungere che «indubbiamente il numero dei tentativi è molto più alto, visto che molti casi non arrivano agli ospedali e quindi non vengono registrati».

La depressione sociale non viene provocata soltanto dai tagli continui agli stipendi e alle pensioni, bensì dal fatto che la maggioranza non vede una via d’uscita da questo tunnel nel quale è entrato il paese a causa del programma lacrime e sangue. Né il governo precedente, né l’attuale, tanto meno la troika sembrano preoccupati della vita dei cittadini. Tutti parlano della salvezza del paese, ma nessuno pensa ai suoi abitanti.

lunedì 13 febbraio 2012

KOSOVO: I SERBI VOTANO SUL RICONOSCIMENTO DI PRISTINA

“Riconosci le cosiddette istituzioni della Repubblica del Kosovo?”. La domanda è semplice, la questione a cui è legata, invece, è estremamente complicata (e insidiosa). Prima di tutto perché il referendum a cui sono chiamati, domani e mercoledì, i serbi del Kosovo - che non riconoscono l'indipendenza dichiarata unilateralmente dagli albanesi il 17 febbraio 2008 - non è autorizzato, né da Belgrado, né tanto meno da Pristina. Nonostante ciò, da domani si vota a Zubin Potok, Zvecan e Kosovska Mitrovica, mentre i cittadini di Leposavic - unico dei quattro comuni a maggioranza serba ad avere un'amministrazione democratica-filoeuropeista - sono convocati per la sola giornata di mercoledì. Nemmeno il freddo e la neve di questo periodo hanno fatto venire meno la determinazione dei promotori del referendum intenzionati a far sentire la voce dei serbi del Kosovo senza mediazioni e indipendentemente dal parere negativo di Belgrado, sulla delicatissima questione dello status della (ex) provincia serba. “E' possibile che il cattivo tempo influirà sull'affluenza, ma sono certo che sarà soddisfacente”, ha detto all'agenzia Tanjug Ljubomir Radovic, membro della Commissione referendaria. Per questo sono state stampate almeno 35mila schede, in parte anche in albanese.

Scontato il risultato: secondo le attese i "no"dovrebbero essere circa il 98%. Il timore è che il referendum, provochi reazioni destabilizzanti sul terreno inasprendo le tensioni tra i serbi che vivono nelle enclavi a sud del fiume Ibar e i nazionalisti albanesi. I serbi del Kosovo non vogliono fare da agnello sacrificale per gli interessi internazionali della leadership di Belgrado che per ottenere lo status di Paese candidato all'adesione all'Ue al Consiglio europeo dell'inizio di marzo, dopo il rinvio di dicembre, è chiamata a pesanti concessioni nell'ambito del dialogo con Pristina. Il governo di Pristina tende comunque a moderare i toni: “Siamo pronti a gestire ogni situazione, ma confidiamo che non vi saranno incidenti etnici e nessun tentativo di farsi giustizia da soli”, ha dichiarato il vicepremier Hajredin Kuci, citato dal quotidiano Koha Ditore, dicendosi convinto che “i cittadini albanesi, se necessario, sapranno fidarsi delle istituzioni nazionali ed internazionali”. I primi risultati sono annunciati per mercoledì sera e quelli definitivi entro il 19 febbraio. Rappresentanti della missione Onu e dell'Osce “saranno invitati a monitorare il referendum e quelli dell'International crisis group (Icg) hanno già espresso disponibilità”, ha fatto sapere Ljubomir Radovic.

giovedì 9 febbraio 2012

KOSOVO, VUK JEREMIĆ ALL'ONU: PER IL DIALOGO, CONTRO GHETTI E FILO SPINATO

Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite mercoledì ha discusso del Kosovo. Alla riunione è stato esaminato il rapporto trimestrale del segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon, relativo al periodo 16 ottobre 2011 - 15 gennaio 2012, e in questo quadro si è discusso anche del dialogo tra Belgrado e Priština, del lavoro di Eulex e delle indagini sul presunto traffico di organi umani.
Il ministro degli esteri serbo, Vuk Jeremić, ha respinto il tentativo di descrivere la situazione in Kosovo in maniera positiva da parte di alcuni stati membri del Consiglio e del ministro degli esteri kosovaro, sottolineando che quello che si può vedere in Kosovo sono ghetti e fili spinati, mentre la popolazione serba è la più minacciata in Europa.
"Invito il Consiglio di Sicurzzea a venire in Serbia e in Kosovo per vedere la situazione. Le cose vanno viste così come sono. La Serbia è pronta a dialogare, a scoraggiare ogni tentativo di provocazione e a ciò ci atterremo, ma per favore, non facciamoci illusioni", ha detto Jeremić al Palazzo di vetro.
Il capo della diplomazia serba ha ricordato alcuni rapporti di organizzazioni internazionali, come Human Rights Watsch, Osce, Transparency International, nonché il rapporto della Commissione europea, che hanno constatato la crescita della corruzione, la discriminazione della popolazione non albanese, i condizionamenti politici sulla giustizia, la cattiva protezione dei testimoni.
L' Undp, ha spiegato Jeremić, nel suo rapporto constata che il processo democratico non è in sintonia con gli standard democratici, l'Osce ha concluso che ci sono influenze politiche sui processi giuridici, che ai giudici vengono rivolte minacce, mentre la protezione dei testimoni non è efficace.
Jeremić punta anche sui dati della Commissione europea secondo cui gli sforzi nella lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata non sono efficaci.
Il ministro degli esteri serbo ha detto che i negoziati sono l'unico modo per raggiungere una soluzione duratura in Kosovo e ha lanciato un appello al Consiglio di sicurezza perché appoggi la risoluzione approvata.
[con la collaborazione di Marina Szikora]

BOSNIA: POLEMICHE SULLE ORIGINI E SUL FUTURO DELLA REPUBLIKA SRPSKA

di Marina Szikora [*]
L'ultima vicenda di un durissimo scontro tra il leader liberaldemocratico serbo Čedomir Jovnović e il presidente della RS Milorad Dodik, e' stato il tema di una intervista del quotidiano di Sarajevo 'Dnevni avaz' con Jelko Kacin, europarlamentare e relatore per la Serbia. Secondo Kacin, la sentenza del Tribunale dell'Aja ha stabilito che a Srebrenica nel 1995 e' stato commesso un genocidio e qui non c'e' piu' nulla da aggiungere. "E' un fatto. Lo si commenta, se ne prende atto" ha detto l'europarlamentare sloveno. Kacin non ha voluto pero' commentare piu' profondamente le dichiarazioni di Čedo Jovanović che la RS e' nata sul genocidio come nemmeno tutte le tensioni che queste dichiarazioni hanno suscitato. Il fatto e' comunque che il leader della RS nega e respinge duramente queste imputazioni e si aggiunge un'altra scintilla che non e' per niente nuova: secondo Dodik la BiH prima o poi si disgreghera'. Quanto a Jelko Kacin, la BiH ha una chiara prospettiva europea e la RS ha una prospettiva europea all'interno della BiH. Dall'altra parte, la Serbia nelle prossime fasi di avvicinamento all'Ue si trovera' in dilemmi molto chiari. Le verra' richiesto di appoggiare tutti i vicini sul loro cammino verso l'Ue, spiega Kacin e aggiunge che bisogna creare il futuro e non sognare il passato. Secondo le sue parole, in questo momento non ci sono veri argomenti per una disgregazione della BiH. I processi europei sono integrativi, sottolinea l'europarlamentare, sono processi di allargamento mentre quello che si e' potuto sentire nel duello tra Dodik e Jovanović e' qualcosa che manda messaggi di divisione, frammetanzione, isolamento, odio, mancanza di fiducia e di collaborazione internazionale. La Serbia, afferma Kacin, non puo' ottenere lo status di candidato se non vengono create le condizioni per una libera circolazione di persone, merce, servizi, capitale e idee. Le barricate e le divisioni non sono la via verso l'Ue. L'isolamento di una entita' non e' altrettanto una via verso l'Ue. Sono una ottima ricetta per il 19-esimo secolo, conclude Kacin e si esprime positivamente nei confronti del candidato a premier, vale a dire presidente del Consiglio dei ministri della BiH Vjekoslav Bevanda. Secondo l'europarlamentare sloveno, con le sue dichiarazioni e posizioni, Bevanda ha dimostrato che in BiH ci sono rappresentanti dello stato consapevoli di responsabilita' politica il che fa sperare che tra breve verra' nominato il Consiglio dei ministri in BiH.
[*] Corrispondente di Radio Radicale. Il testo è tratto dalla corrispondenza andata in onda nella puntata di Passaggio a Sud Est di oggi.

CROAZIA: PROSPETTIVE DELLA POLITICA ESTERA DEL NUOVO GOVERNO

di Marina Szikora [*]
Sul significato e sulle prospettive della politica estera e regionale croata scrive il noto esperto politico, editorialista del quotidiano di Zagabria 'Vjesnik', Davor Gjenero. In un articolo di questa settimana, Gjenero osserva che Bruxelles e' diventata la destinazione principale dei rappresentanti chiave della politica estera croata e quindi anche i primi viaggio della ministro degli esteri Vesna Pusić e del premier Zoran Milanović sono stati quelli nel centro dell'Ue in veste di rappresentanti-osservatori del nuovo futuro membro al tavolo degli attuali 27 dell'Ue. D'ora in poi sara' cosi', tutto dopo la firma del Trattato di adesione e del 'si'' croato al referendum europeo. Restano ora le ratifiche del trattato nei singoli paesi nazionali degli stati membri dell'Unione. Settimana scorsa, a rompere il ghiaccio, o meglio ad avviare questo processo che dovrebbe acconsentire l'ingresso della Croazia il primo luglio 2013 e' stata la Slovacchia. Con un voto unanime, il parlamento slovacco e' stato il primo dei 27 a ratificare il trattato di adesione della Croazia all'Ue.

La prossima destinazione, dopo Bruxelles, per i rappresentanti croati nell'ottica della strategia della politica estera croata e' senz'altro la regione balcanica. Come osserva Gjenero, si tratta di una specie di "dichiarazione delle priorita' internazionali della Croazia. La ministro degli esteri e il premier hanno deciso comunemente di partire – Vesna Pusić a Belgrado, il premier invece si rechera' a Sarajevo. Il presidente della Repubblica, in contemporanea con l'inizio della nuova strategia della politica estera croata, ha deciso di lanciare in BiH, nell'ambito dell'iniziativa Igman e nel forum che compongono i presidenti della Serbia, Croazia e membri della presidenza della BiH, l'iniziativa di una comune persecuzione dei criminali di guerra. Il presidente Josipović ha scelto in modo abile l'iniziativa per la riunione trilaterale perche' la questione del processi per i crimini di guerra complica anche le relazioni bilaterali tra Croazia e Serbia e tra Serbia e Bosnia Erzegovina".

C'e' da sottolineare che l'iniziativa del presidente Josipović che ha avuto proseguimento, come illustrato prima, alla riunione trilaterale presidenziale a Jahorina, ha come obbiettivo proprio il superamento delle tensioni internazionali che nascono in casi come ad esempio quello della "Dobrovoljačka" che ha visto due illustri cittadini della Bosnia, uno professore universitario, l'altro ex membro della presidenza e generale in pensione, venir arrestati rispettivamente a Londra e a Vienna in base ad un mandato di cattura da parte di Belgrado per essere poi constatato dalle corti di questi due paesi, come anche dalla procura della Bosnia che non ci sono prove sufficienti per sollevare il processo anche se da parte di Belgrado i due risultano accusati. Simile e' stato anche il caso del difensore croato Tihomir Purda tenuto incarcerato in Bosnia Erzegovina e infine rilasciato, altrettanto a causa di un mandato di cattura da parte della Serbia. In quest'ultimo caso, grazie ad un impegno da parte della ministro della giustizia serba e dei funzionari della Procura speciale per i crimini di guerra di Belgrado, il caso e' stato risolto positivamente e abbastanza veloce. Invece, nel caso della "Dobrovoljačka" per ragioni politiche, la Serbia insiste sugli atti di accusa anche se sono stati rigettati da due corti internazionali e prima ancora da parte del Tribunale ad hoc per i crimini di guerra dell'Aja. Secondo Gjenero, se il presidente Josipović riuscira' con la sua iniziativa, sara' un suo trionfo sia in quanto capo di stato che in quanto professore universitario di diritto penale. Questo successo, e' dell'opinione l'esperto politico croato, sarebbe molto importante per la formazione della nuova politica regionale croata e sarebbe una prova che la Croazia e' veramente cresciuta ad assumere la sua parte di responsabilita' verso la comunita' internazionale per il consolidamento nella regione.

Un'altra questione importante nelle relazioni bilaterali tra Croazia e Serbia e' quella delle reciproche accuse davanti alla Corte internazionale di giustizia dove la Croazia sta conducendo un processo contro la Serbia a causa della violazione della risoluzione contro il genocidio. Anche qui e' in atto una politica comune del nuovo governo e del Presidente. Davor Gjenero in questo senso spiega che il presidente della Serbia e la ministro della giustizia serba Snežana Malović hanno capito chiaramente l'offerta della nuova amministrazione croata. Vale a dire che e' possibile raggiungere un accordo ed evitare la sentenza in tribunale se la Serbia riconosce la responsabilita' per l'aggressione di Milošević contro la Croazia, se viene garantita la punizione per i crimini di guerra commessi durante l'aggressione, se viene stabilita una efficace collaborazione per stabilire il destino delle persone disperse ed infine se la Serbia restituira' il patrimonio artistico e culturale saccheggiato durante l'aggressione in Croazia e portato via in Serbia. Quello che Belgrado finora offriva in cambio della rinuncia da parte di Zagabria alla accusa davanti alla Corte internazionale di giustizia era il ritiro della contro accusa davanti alla stessa corte. Questa contro accusa, va sottolineato, e' opera dell'ex ministro della giustizia di Milošević, Tibor Varadi ed in piena sintonia con lo spirito dell'epoca del regime Milosević, "a nome dei cittadini croati di nazionalita' serba, diffondendo implicitamente la sovranita' dello stato serbo sull'allora parti occupate della Croazia". Per Tadić e per la ministro Malović, afferma Gjenero, e' chiaro che sul tavolo si trova adesso una proposta negoziale dura ma al tempo stesso opportuna per la Serbia democratica.

In questo senso, la prima visita di Vesna Pusić a Belgrado, anche se in occasione di una riunione informale multilaterale dei ministri degli esteri regionali, ha avuto principalmente un forte accento di incontri bilaterali, a partire da quello con il capo dello stato serbo Boris Tadić. La ministro degli esteri croata ha ribadito che la Croazia fara' il tutto possibile nei forum europei affinche' sia accolta positivamente la candidatura della Serbia per l'adesione all'Ue. Una riconferma che la Croazia non condizionera' in nessun modo il cammino europeo dei vicini a causa delle questioni bilaterali aperte. L'alleanza croata senza dubbio vuole essere sincera e aperta e si tenta a sottolineare che queste relazioni non possono essere messe a repentaglio se ci sono questioni in cui i due paesi pensano in modi diversi. In particolare quando si tratta della delicatissima questione Kosovo, poiche' Zagabria appartiene a quelli che hanno riconosciuto l'indipendenza di Priština.

[*] Corrispondente di Radio Radicale. Il testo è tratto dalla corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi.

BALCANI: A JAHORINA LA TRILATERALE BOSNIA, CROAZIA E SERBIA

di Marina Szikora [*]
Uno degli eventi piu' importanti della scorsa settimana nella regione balcanica e' stata di sicuro la riunione informale trilaterale a Jahorina, l'evento che avevamo gia' annunciato nella nostra trasmissione di giovedi' scorso. Una riunione senza dubbio importante che mira a compiere progressi per quanto riguarda diverse questioni aperte tra Bosnia Erzegovina, Croazia e Serbia e di cui i rispettivi presidenti hanno deciso di discutere regolarmente incontrandosi due volte all'anno.
Un tema altrettanto toccato, ma presto concluso e' stata la recentissima dichiarazione del leader liberaldemocratico serbo Čedomir Jovanović in cui ha accusato l'entita' a maggioranza serba, la Republika Srpska di essere nata sul genocidio provocando cosi' reazioni molto negative da parte del leader serbo bosniaco Milorad Dodik. Il presidente della Serbia Boris Tadić dopo l'incontro a Jahorina, a tal proposito ha dichiarato brevemente di non condividere questa posizione cosi' come illustrata da Čedo Jovanović .
Per i presidenti della Croazia Ivo Josipović e i membri della presidenza della Bosnia Erzegovina, Željko Komšić, Bakir Izetbegović e Nebojša Radmanović, scrive 'Dnevni avaz' di Sarajevo, questo discorso e' finito appunto con la breve dichiarazione di Tadić, quella che nega ogni imputazione che la RS sia nata sul genocidio. Per il resto, sempre secondo 'Dnevni avaz', la seconda riunione trilaterale dei leader della Croazia, Serbia e Bosnia a Jahorina, successiva a quella di Briuni della scorsa estate, non ha portato passi significativi relativi alla soluzione dei problemi tra gli stati, alla questione irrisolta dei confini o quella a riguardo delle relazioni patrimoniali-giuridiche. Parlando di un progresso relativo alla soluzione dei contenziosi confinali tra Croazia e Bosnia, Josipović ha detto che risultati spettacolari non ci sono ancora, ma che si e' aperta anche la possibilita' che questi contenziosi terminino con l'arbitrato, come lo e' nel caso del contenzioso confinale tra Croazia e Slovenia.

La Croazia e la Serbia appoggiano pero' la proposta messa sul tavolo dal presidente Ivo Josipović sull'accordo relativo ai processi per i crimini di guerra. E questo, di sicuro, non e' un passo insignificante. Anzi. "Nessuno di quelli che hanno commesso crimini di guerra non puo' rimanere impunito" ha detto il presidente croato sottolineando che e' di importanza assoluta evitare la politicizzazione dei crimini di guerra. A fine riunione che si e' tenuta in condizioni metereologiche estremamente difficili a causa delle abbondanti nevicate che hanno gravemente ostacolato il rientro dei presidenti croato e serbo nei loro rispettivi paesi, Josipović ha precisato che si tratta dell'intenzione di firmare un accordo bilaterale tra Croazia e Serbia sul processamento dei crimini di guerra. Ha rilevato che lui e il presidente Tadić concordano sulla necessita' di raggiungere l'accordo che acconsentirebbe di processare i criminali di guerra secondo i paesi della loro residenza. Ma mentre il presidente serbo ha accolto l'iniziativa di Josipović, una simile risposta e' mancata da parte della presidenza della BiH. I tre rappresentanti del Paese che ha ospitato la riunione trilaterale non si sono associati all'accordo bilaterale tra Serbia e Croazia poiche' non vi e' una posizione unica sulla questione, vale a dire che tra i tre non vi e' un consenso. L'attuale presidente della presidenza tripartita, il croato Željko Komšić ha detto che gli imputati dovrebbero subire il processo nel paese in cui hanno commesso i crimini. Pero' esistono delle modalita' secondo le quali la Procura della BiH potrebbe cedere alcuni casi agli altri stati se valuta che si possa arrivare ad un processo piu' facile ed efficace, ha detto Komšić.

Secondo il presidente croato, gli stati della regione dovrebbero rafforzare la lotta comune contro la criminalita' organizzata poiche' si tratta di un problema comune. Josipović ha detto ai giornalisti che "questa regione e' appesantita da una seria infrastruttura criminale". Dalla prima riunione trilaterale a Briuni, la Croazia ha cambiato governo e vi e' stato il referendum che ha detto il 'si' definitivo del popolo croato all'ingresso del loro paese nell'Ue. Ivo Josipović ha rilevato a tal proposito che la Croazia resta pronta ad appoggiare i suoi vicini sulla via verso l'Unione. Boris Tadić da parte sua ha parlato di passi avanti compiuti nella regione dopo la riunione a Briuni sottolineando come vicende importanti l'arresto dei due fuggitivi dell'Aja, Ratko Mladić e Goran Hadžić. Ha appoggiato anche la soluzione del problema delle persone disperse dicendo che verranno esaminati, tra l'altro, i crimini nei campi di concentramento in Serbia commessi dopo la caduta di Vukovar. Il capo dello stato serbo, scrive il corrispondente del quotidiano croato 'Vjesnik' Alenko Zornija, ha parlato anche della necessita' di collaborazione economica nella regione, menzionando particolarmente il portar a termine i corridoi stradali paneuropei e la costruzione del tratto ferroviario sul corridoio 10.

[*] Corrispondente di Radio Radicale. Il testo è tratto dalla corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi e ascoltabile qui

mercoledì 8 febbraio 2012

KOSOVO: IL GELO CONTINUA...

A smentire quanto ho scritto nel post precedente ecco le ultime dal/sul Kosovo

Thaci: il piano di Tadic o qualsiasi altro piano per il Kosovo è inaccettabile
Tanjug | 08. 02. 2012.
Il premier kosovaro Hashim Thaci ha dichiarato oggi che il piano per il Kosovo in quattro punti proposto dal presidente della Serbia Boris Tadić e' inaccettabile.
Alla riunione del Governo di Priština, Thaci ha detto che questo o qualsiasi altro piano che verra' proposto da parte della Serbia per loro e' inaccettabile e che non c'e' posto per discussioni. Il premier kosovaro ha aggiunto che la Serbia non deve perdere tempo preparando piani per il Kosovo. "Il Kosovo e' uno stato sovrano e indipendente e decide da solo sulle proprie questioni" ha detto Thaci. Valutando che "la storia una volta comune con la Serbia e' indimenticabile nel senso negativo" Thaci ha detto che il tempo in cui la Serbia faceva piani sul Kosovo e' passato e non tornera' piu'. "Sul Kosovo e i suoi cittadini saremo noi a fare i piani secondo la nostra costituzione. Noi abbiamo la nostra costituzione che rispetteremo pienamente. E' questa la nostra risposta di ieri, oggi e domani" ha concluso il premier kosovaro.

Grazie a Marina Szikora per la segnalazione.

KOSOVO: DOPO IL GRANDE FREDDO CI SARA' IL DISGELO?

Questo mese di febbraio 2012 potrebbe essere decisivo per le relazioni tra Serbia e Kosovo. Bisognerà vedere, però, se le leadership dei rispettivi Paesi decideranno di seguire la road map indicata dalla Comunità internazionale, e dell'Unione eurpea in particolare o sceglieranno la linea dettata dalle esigenze della loro politica interna. Semplificando di molto, nel primo caso verrebbe consolidata, probabilmente in via definitiva, l'indipendenza di Pristina, dando in contropartita a Belgrado lo sblocco del suo processo di integrazione europea con l'apertura dei negoziati di adesione. Diversamente, il dialogo tra Belgrado e Pristina sarà compromesso forse definitivamente e il processo di integrazione europea finirà per bloccarsi per entrambi a tempo indeterminato. La scelta è decisiva in particolare per l'attuale leadership filoeuropeista serba e peserà in maniera determinante sull'esito delle elezioni legislative ormai alle porte. Per questo il presidente serbo, Boris Tadic, si è fatto promotore di un piano in quattro punti con l'obiettivo di sbloccare lo stallo dei negoziati con Pristina, senza per questo spostare fette consistenti di elettorato verso i partiti nazionalisti.

Dopo la bocciatura di dicembre, Tadic punta infatti ad ottenere il via libera dei 27 alla candidatura della Serbia all'adesione all'Ue al Consiglio europeo di marzo, ultimo appuntamento utile prima delle elezioni previste per l'inizio di maggio. In cambio, però, Bruxelles pone a Belgrado tre difficili condizioni da rispettare nell'ambito delle trattative con Pristina. A partire dalla soluzione della crisi nel nord del Kosovo, dove la popolazione serba, sostenuta dalle frange nazionaliste, non è disposta a riconoscere le autorità di Pristina, per favorire le aspirazioni europee della madrepatria. Per risolvere la questione, il piano di Tadic chiede una “soluzione speciale” per l'area a nord del fiume Ibar, evitando di affrontare direttamente la questione dello status del Kosovo.

Gli altri tre punti del suo piano puntano poi ad ottenere garanzie speciali per i monasteri serbo ortodossi in Kosovo, per le enclavi serbe sparse a sud dell'Ibar e la restituzione delle proprietà sottratte ai serbo-kosovari dopo la proclamazione dell'indipendenza. Per Tadic questo potrebbe rappresentare un'adeguata contro partita, al rispetto alle richieste di Bruxelles: oltre al rientro della crisi a Nord, l'applicazione degli accordi raggiunti da marzo ad oggi con la controparte ed il raggiungimento di un'intesa, affinché le autorità di Pristina possano partecipare ai forum internazionali come rappresentanti di uno Stato sovrano, senza che Belgrado opponga veti o boicottaggi. Per le ambizioni europee della Serbia, è inoltre di cruciale importanza riuscire almeno a rimandare il referendum convocato dei serbi del Kosovo per il 14 e 15 febbraio prossimi. Una consultazione definita “inutile e dannosa” dal ministro serbo per il Kosovo e Metohia, Goran Bogdanovic, secondo il quale l'iniziativa “ridurrebbe lo spazio di manovra con la Comunità internazionale del governo e della leadership di statale.

Se questi sono i problemi di Belgrado, anche Pristina ha le sue gatte da pelare. Anche il governo del premier Hashim Thaci, infatti, ha dovuto di recente fare i conti con le frange nazionaliste più estreme incarnate dal movimento "Vetevendosje" (Autodeterminazione), guidato da Albin Kurti, protagonista di dure proteste contro l'ulteriore distensione con la Serbia. Ma Thaci ha dalla sua parte l'orientamento dei 25 paesi incaricati di vigilare sull'indipendenza della giovane repubblica, riuniti nell'International steering group, che hanno dato parere favorevole a sospendere il protettorato internazionale entro la fine dell'anno. In questo senso, si è espresso anche il parlamento di Pristina con una risoluzione che ha raccolto anche i voti favorevoli dell'opposizione moderata (anche se non quelli dei deputati di Kurti).

Il presidente serbo Tadic ha fatto poi un ulteriore passo dicendosi “pronto ad incontrare il premier kosovaro Hashim Thaci”, a patto che questo dialogo possa essere costruttivo per una soluzione in Kosovo”. 'annuncio è giunto all'indomani dell'intervista rilasciata ad una tv macedone in cui Thaci si era detto pronto ad incontrare Tadic e potrebbe gettare le basi per un incontro davvero di portata storica. In una conferenza stampa tenuta a Jahorina, in Bosnia, a margine della trilaterale con i suoi omologhi bosniaci e croato, tadic ha comunque puntualizzato di essere disposto solamente ad un “incontro costruttivo” e non “di promozione del consolidamento dello stato kosovaro, o di carattere folkloristico”. “Io e Boris Tadic, in qualità di leader, abbiamo il compito di tenderci la mano l'un l'altro”, sono state le dichiarazioni a sorpresa di Thaci alle queli il presidente serbo ha replicato che non vi sono “barriere personali” e che da parte serba “vi è lo spazio per una una discussione se dall'altra parte vi è la volontà di parlare del piano in quattro punti o di un altro piano”.

E' molto freddo questo febbraio nei Balcani, ma anche dopo l'inverno più duro, presto o tardi alla fine arriva la primavera. Vedremo presto se al disgelo meteorologico corrisponderà anche quello del clima politico. [RS]

sabato 4 febbraio 2012

EUROPA: LA CROAZIA CONTINUA A CREDERCI

Di Marina Szikora [*]
Recentemente ho accompagnato il leader radicale Marco Pannella a Zagabria. Il suo ritorno in Croazia ha risvegliato ricordi emozionanti: vent’anni fa, il Capodanno di Osijek, trascorso nelle trincee sotto gli attacchi dell’aggressore, in divisa croata come segno di solidarietà, da non violento, insieme ai compagni radicali per chiedere l’immediato cessate il fuoco e il riconoscimento internazionale della Croazia indipendente. Sin da quei giorni così duri, bagnati di sangue e dell’ingiusta interruzione di molti ideali e progetti giovanili, la Croazia sognava un sogno unico: essere uno stato indipendente ed europeo, far parte della vecchia signora Europa cui da sempre apparteneva.

Per tutti questi anni, affrontando un destino consueto per molti paesi in transizione, con tante debolezze, frustrazioni, pur sempre appesantita dalle conseguenze della guerra (ancor oggi il Paese non è tornato al livello economico di prima della guerra), durante un processo di negoziati di adesione così lungo e sfiancante, il più lungo rispetto a tutti gli altri paesi che oggi fanno parte dell’Ue, la Croazia è rimasta fedele al suo obiettivo europeo. Alla domanda, come la trova oggi, questa Croazia rispetto a quel paese per la cui libertà e riconscimento lottava con le armi della nonviolenza, Pannella ha risposto fermamente: proprio così come me la immaginavo, incamminata con successo verso l’Europa, non quella delle patrie ma quella della Patria europea.

Forse, sapendo con quanta lealtà verso l’Europa la Croazia ha affrontato tutte queste difficoltà, non dovrebbe sorprendere l’esito del referendum dello scorso 22 gennaio che ha visto la vittoria del Sì croato all’Ue. In un momento così particolare per questa Unione così debole e nel più profondo della sua crisi, il voto croato dovrebbe risvegliare l’attenzione di tutti quelli in Europa che forse consideravano questo Paese marginale e di poco conto: il prossimo 28-esimo paese membro dell’Ue forse catturerà l’attenzione e permetterà un momento di riflessione seria: sì, ci sono ancora quelli che vogliono credere nell’Europa, forse più che mai nell’Europa dei suoi fondatori. Secondo me, non importa in questo momento la più bassa affluenza alle urne dei cittadini croati rispetto alle altre nazioni delle precedenti adesioni. Domani questo si dimenticherà…

Le spiegazioni del perché sono diverse. La più facile è quella che deriva dalle preoccupazioni per quello che accade nelle vicinanze: a partire dalla durezza ungherese, per non parlare dell’ormai incancrenita situazione greca, aggiungendovi la gente in piazza in Romania… E poi l’Italia, il Bel Paese che per i croati è sempre stata la destinazione preferita. Le rigidità di Regno Unito e Francia, che storicamente non hanno mai optato a favore della Croazia. Il costante pensiero: che cosa comporta l’ingresso nel club dei 27? La perdita dell’identità nazionale che è stata conquistata con così tanto sangue e sudore? Quasi sette anni di un processo così frustrante e con condizionamenti che non sembravano finire mai, la delusione verso il Tribunale dell’Aja per i crimini commessi in ex Jugoslavia. Comprensibilmente, tutta questa confusione desta preoccupazione e molti dubbi. E poi, nell’ultimo mese prima del referendum, molto molto chiasso da parte degli euroscettici entrati in gara contro la campagna di tutti i partiti parlamentari.

Altra spiegazione: a differenza degli altri paesi finora aderenti, la Croazia ha avuto le elezioni parlamentari solo poco meno di due mesi fa. Oltre le aspettative, i cittadini della Croazia ormai stanchi di otto anni di un governo i cui più alti rappesentanti devono rispondere per diversi scandali di corruzione, a partire dall’ex premier Ivo Sanader, avevano risposto con una alta partecipazione al voto scegliendo con una maggioranza netta la coalizione dei partiti della sinistra guidati dall’attuale premier Zoran Milanović. Va sottolineato che nel Parlamento sono entrati tutti i partiti proeuropei, e soltanto un seggio è stato affidato alla parlamentare il cui partito si oppone all’ingresso della Croazia nell’Ue, almeno per ora. In questo senso, già questo è stato un forte Sì degli elettori croati al futuro europeo del loro Paese.

Infine, un altro particolare da tener presente: un dato bizzarro che per anni ha sorpreso l’opinione pubblica croata e questa volta non è stato trascurato nemmeno dalle agenzie di stampa internazionali: oltre quattro milioni e mezzo di elettori in uno stato che secondo l’ultimo censimento di fine giugno 2010 conta appena 4,2 milioni di abitanti. Si tratta senza dubbio di una rarità in termini mondiali. Il nuovo governo di coalizione intende già da quest’estate adottare le modifiche della Legge sulla residenza e permanenza dei cittadini:ciò consentirebbe di aggiornare entro la metà del 2013 e la data delle elezioni locali il numero degli elettori. Proprio per questo particolare così bizzarro, la percentuale reale dei votanti a questo referendum europeo sarebbe più alta rispetto al 43,51% dei dati ufficiali della Commissione elettorale statale.

Il segnale dato all’Europa, in ogni caso, è forte. Nessuno nel Paese si attende miracoli o miglioramenti dall’oggi al domani. ”Per la Croazia, soprattutto per il governo, quello attuale e qualche futuro, il risultato del referendum è un obbligo grande e difficile a continuare le rifome e far sì che la Croazia sia completamente compattibile con gli alti standard in tutti i settori della vita. Soltanto così potrà affronatare i cittadini che hanno votato CONTRO e dire loro che avevano temuto l’Europa ingiustamente. è importante che la Croazia, e soprattutto il potere, non siano presi da un esagerato euroottimismo, dalle aspettative che l’Ue di per se sarà la medicina per tutte le nostre debolezze. L’Europa ci sarà utile così come saremo in grado di lavorare”, ha scritto il presidente croato Ivo Josipović.

Ed è assolutamente vero: è solo l’inizio, le nostre speranze e l’ottimismo che pur esistono devono diventare azione e risultato. Ne saremo all’altezza? Dipende da noi, ma dipende anche dall’Europa, se saprà riconoscerci e valutarci. Noi ci crediamo quando molti sembrano non crederci più.

[*] Corrispondente di Radio Radicale, collaboratrice di Passaggio a Sud Est. Questo articolo è stato pubblicato in origine su Libertiamo.It