lunedì 23 dicembre 2013

BUON FESTE E BUON ANNO NUOVO




Happy new year
Heureuse nouvelle année
Feliz ano nuevo
Glückliches neues Jahr
Gezuar vitin e ri
Sretna nova godina
Srecno novo leto
Stastliva nova godina
Yeni yiliniz kutlu olsun
Srekna nova godina
An nou fericit
Sala we ya nu piroz be
Sena l-gdida kuntenti
Shnorhavor nor tari
Yeni iliniz mubarek
Chestita nova godina
Kalí hroniá
Bangi vasilica baxt
Shana tova
A gut yohr

Passaggio a Sud Est si prende qualche giorno di pausa. Torneremo on-line dal 7 gennaio 2014. Su Radio Radicale torneremo in onda a partire dal 9 gennaio. A presto.

** Many thanks to all photographers whose images were used for realizing the video.
 

domenica 22 dicembre 2013

COSA INSEGNA L'UCRAINA

Due domeniche fa mi chiedevo se il futuro dell'Unione Europea si stia giocando in Ucraina. Per proseguire la riflessione su quanto sta avvenendo a Kiev e dintorni propongo il post seguente pubblicato sul magazine online Strade. L'autore è Olivier Dupuis, che è stato per diversi anni prima dirigente e poi segretario del Partito Radicale Transnazionale e deputato europeo, eletto in Italia, per due legislature. Attualmente si definisce in congedo dalla politica e, tra le altre cose, gestisce il blog leuropeen.eu. Buona lettura.

EuroMaidan (Photolure)

Ucraina al bivio. Ha ragione Sergei Lavrov: che siano gli Ucraini a decidere!
di Olivier Dupuis - 20 Dicembre 2013

Con il movimento di cittadini che prosegue da quasi un mese in Ucraina e mentre i Presidenti ucraino e russo hanno appena firmato un accordo che prevede la concessione da parte della Russia di un prestito di 15 miliardi di dollari all'Ucraina, senza condizioni ha tenuto a precisare il Presidente russo (un cattivo augurio quanto all'utilizzo che ne sarà fatto dal regime ucraino), e un contratto temporaneo di fornitura di gas a prezzo stracciato, non è inutile trarre qualche primo insegnamento.

1. Contrariamente alla Rivoluzione arancione, questo movimento non è una mobilitazione di parte, opposizione contro governo, ma un enorme movimento di cittadini mobilitato da un'aspirazione – lo stato di diritto incarnato dall'Unione europea – e da una reazione all'imbroglio di una parte dell'élite al potere.

2. Contrariamente alla Rivoluzione del 2004, l'attuale movimento non contrappone una Ucraina meridionale ed orientale ad una Ucraina centrale ed occidentale. Come testimoniano numerosi episodi (per esempio, le manifestazioni a Donetsk, Odessa, Dnipropetrovsk, ...), questo è un movimento che riunisce i cittadini al di là delle divisioni geografiche e linguistiche.

3. L'accordo di Associazione UE/Ucraina non è stato né firmato né ratificato. Non c'è quindi nessuna ragione che consenta di giudicarlo responsabile della grave crisi economica e finanziaria ucraina. Questa crisi è il risultato dell'enorme sperpero operato dal presente governo e, in parte, dai governi precedenti.

4. Checché ne dica Sergei Lavrov, il molto elegante e sovieticamente educato ministro russo degli Affari esteri, la fortissima opposizione di Mosca all'Accordo di Associazione EU/Ucraina si fonda certo su delle considerazioni economiche (in particolare la possibilità per il regime russo di prendere il controllo delle infrastrutture di trasporto di energia) ma, soprattutto, su delle considerazioni di ordine politico: la volontà di restaurare in una forma nuova il vecchio impero russo e il terrore putiniano di fronte al rischio di vedere radicata in un grande Paese «fratello» e vicino un regime politico fondato sullo stato di diritto e su un'autentica democrazia.

5. Con qualche notevole eccezione, le leadership dell'Unione europea e dei suoi stati membri hanno affrontato la questione dell'Accordo di Associazione con l'Ucraina, nel migliore dei casi, con un'incredibile leggerezza e, nel peggiore, con un approccio introvertito e di corta veduta che richiama direttamente certi avvenimenti tutt'altro che gloriosi della storia europea.

6. La posta in gioco è molto chiara. Come lo dice Ivan Krastev «se si esclude la bancarotta, non rimangono che due scenari possibili per l'Ucraina: firmare l'Accordo di Associazione con l'Unione europea oppure raggiungere l'Unione doganale di Vladimir Putin».

7. Vladimir Putin e Viktor Janukovyc hanno indiscutibilmente vinto il 2° set della partita. Il 1° l'hanno vinto i manifestanti d'EuroMaidan. Rimane quindi il 3° set. Con un vantaggio. La lunga partita di “poker truccata” di Viktor Janukovyc è ormai conclusa.

Sulla base di questi primi insegnamenti, tentiamo di formulare alcune linee direttrici intorno alle quali si potrebbe costruire una uscita pacifica dalla crisi.

Un referendum. Se la mobilitazione è cittadina, la migliore risposta alle aspirazioni e alle rivendicazioni espresse non può che esserlo anch'essa. L'organizzazione di un referendum nella prossima primavera - proposta avanzata per primo da Vladimir Oleynik, deputato del Partito delle Regioni - costituirebbe il modo più sicuro per radicare il superamento delle divisioni geografiche e partitiche che è stato, sin dall'inizio, il segno più innovatore e più efficace del movimento EuroMaidan. Costituirebbe inoltre un formidabile bastione contro qualsiasi tentativo di manovra di palazzo. Sergei Lavrov non dovrebbe che rallegrarsene, lui che ha dichiarato che « se c'è libertà di scelta, lasciamo il popolo ucraino decidere ».

Un governo d'unione nazionale. Per garantire che si svolga nelle migliori condizioni possibili, questo referendum dovrebbe essere organizzato da un nuovo governo di unione nazionale, il cui Primo ministro proverebbe dai ranghi del Partito delle Regioni e il ministro degli interni dai ranghi dell'opposizione. Questo nuovo governo avrebbe come obiettivi principali l'organizzazione del referendum sotto la supervisione diretta dell'OSCE e del Consiglio d'Europa, il negoziato di prestiti transitori presso le istituzioni finanziarie internazionali e l'adozione delle leggi e regolamenti necessari all'entrata in vigore sin dal 2014 del regime di liberalizzazione dei visti con l'Unione europea.

Garanzie per i manifestanti e per l'opposizione. L'accordo dovrebbe garantire la liberazione di tutti i manifestanti arrestati, l'annullamento di tutti i capi di imputazione nei loro confronti e consentire a Yulia Tymoshenko di farsi curare all'estero.

Garanzie per il Presidente Janukovyc. Per stabilire un clima sereno, l'accordo di uscita dalla crisi dovrebbe comprendere anche una serie di garanzie per il Presidente Janukovyc. L'assicurazione, per primo, che egli possa portare a termine il suo mandato presidenziale. La certezza che nessuna azione penale verrà lanciata contro di lui alla fine del suo mandato. E, infine, l'assicurazione che potrebbe, se ne esprimesse un giorno l'auspicio, trovare asilo in un Paese dell'Unione europea con tutte le garanzie in termini di sicurezza.

Piaccia o meno ai denigratori della costruzione europea, di sinistra o di destra, di estrema sinistra o di estrema destra, dimentichi, troppo spesso, di ciò che è alle fondamenta stesse delle nostre democrazie – ovvero lo stato di diritto -, quel che accade oggi in Ucraina è un avvenimento di fondamentale importanza. Per gli Ucraini, si tratta di evitare di vedersi condannati alla doppia e pesante pena della lukashenkizzazione: la consacrazione del non-diritto e dell'arbitrio come principi di governo del Paese e l'istituzionalizzazione della vassallaggio dell'Ucraina al nuovo impero sognato da Vladimir Putin.

Le leadership dell'Unione europea e dei suoi stati membri riusciranno a ergersi all'altezza delle aspirazioni, del coraggio e della determinazione degli Ucraini? Si decideranno ad accompagnarli nella loro ricerca di libertà e di dignità, dicendo loro, finalmente, chiaro e forte, che l'Ucraina semplicemente ha la vocazione a diventare membro dell'Unione europea?

giovedì 19 dicembre 2013

ELEZIONI ANTICIPATE IN SERBIA?

Di Marina Szikora
E’ chiaro che la Serbia, sul piano internazionale, e’ concentrata sul suo cammino europeo, vale a dire sul definitivo segnale verde per l’avvio dei negoziati di adesione e questo sempre in chiave, come imposto da Bruxelles, della normalizzazione delle relazioni con il Kosovo. Ma sempre di piu’ si parla anche della situazione politica interna dove continuano discussioni su possibili elezioni anticipate. Cosi’ il vicepresidente del governo serbo e’ presidente del maggiore partito governativo, il Partito Serbo del Progresso, Aleksandar Vučić non esclude la possibilita’ di elezioni anticipate se, come ha detto, nella societa’ continuera’ a manifestarsi una brutta atmosfera i cui protagonisti sono i gruppi criminali e corrotti nonche’ gli insoddisfatti partiti politici.

In una intervista al quotidiano di Belgrado ‘Danas’ Vučić ha sottolineato che il governo funziona bene e che con il premier Ivica Dačić (leader del Partito socialista) collabora bene ma cio’ nonostante elezioni anticipate non sono da escludere. Al tempo stesso, il primo vicepremier della Serbia ha negato la legittimita’ del governo in Vojvodina a capo del quale si trova il vicepresidente del maggiore partito di opposizione, Bojan Pajtić. Ultimamente, ci sono anche diversi conflitti politici proprio sull’asse Vojvodina-Belgrado.

Commentando le critiche dell’opposizione e l’affermazione che l’accordo di Bruxelles sulla normalizzazione delle relazioni tra Belgrado e Priština sia l’unico successo dell’attuale governo serbo, Vučić ha rilevato altri contributi durante il mandato dell’attuale governo. In questo senso ha sottolineato l’avvio di una feroce lotta conro la corruzione. La Serbia, ha indicato Vučić, ha migliorato la sua posizione sulla lista dei paesi che lottano contro la corruzione. Sempre in difesa dell’attuale potere, Vučić ha rilevato inoltre che vi e’ una crescita della produzione industriale del 3,2 per cento e tra poco ci sara’ l’adozione della legge per diminuire le procedure burocratiche, la legge sulla privatizzazione, la legge sul lavoro, ecc.

Il testo è tratto dalla trascrizione della corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi a Radio Radicale.

BOSNIA: SEMPRE PIU’ STRETTO IL LEGAME TRA REPUBLIKA SRPSKA E SERBIA

Aleksandar Vucic e Milorad Dodik (Foto Beta)
Di Marina Szikora
Proseguono le iniziative per rafforzare il legame che unisce la Serbia e Republika Srpska, l’entita’ a maggioranza serba della Bosnia Erzegovina. A Banjaluka, capoluogo della RS, lunedi’ si e’ svolta la quinta riunione congiunta dei due governi. Il primo vicepremier della Serbia, Aleksandar Vučić, ha dichiarato che nel prossimo periodo si vedranno i risultati concreti della collaborazione degli organi competenti di Serbia, Republika Srpska e Bosnia Erzegovina nella lotta contro la criminalita’ e la corruzione. Vučić si e’ detto soddisfatto di questo tipo di riunione dei due governi, ma ha aggiunto che per i cittadini della RS e della Serbia e' molto piu’ importunate costruire le relazioni economiche che produrranno nuovi posti di lavoro e in questo senso si lavorera’ soprattutto sul mercato dei prodotti agricoli. Il presidente della RS, Milorad Dodik, tra l’altro ha detto che la collaborazione tra Belgrado e Banjaluka si svolge in base agli Accordi di Dayton, per il benessere dei due popoli e non va a danno di nessun altro.

E per restare nell'ambito della buona collaborazione e dello stretto legame tra Serbia e RS, che molto spesso infastidisce la Bosnia in quanto stato unitario dei tre popoli costituenti (bosgnacchi, serbi e croati), sempre a Banjaluka, il vicepremier serbo Aleksandar Vučić ha ricevuto il premio “Personalita’ dell’anno” istituito dal quotidiano ‘Nezavisne novine’. Nel suo discorso, Vučić ha voluto dedicare questo riconoscimento ai cittadini della Serbia ringraziandoli della grande fiducia che hanno nel Partito serbo del progresso e della speranza in una vita migliore e diversa in Serbia. Vucic ha invitato i cittadini della Republika Srpska a rispettare i loro vicini bosgnacchi e tutti gli altri popoli. Si e’ detto convinto, inoltre, che con bosgnacchi e croati nel futuro si vivra’ in pace, ma anche meglio rispetto ad oggi. “Prometto ai serbi, in Serbia e nella Republika Srpska, che noi, in quanto leadership del paese e dell’entita’, troveremo sempre il modo per collaborare rispettando gli Accordi di Dayton e la Bosnia Erzegovina, che troveremo il modo di aiutare economicamente i nostri popoli, ma che questo tipo di relazioni le svilupperemo con tutti gli altri popoli, salvaguardando la nostra unita’ culturale e nazionale”, ha detto Vučić.

Il testo è tratto dalla trascrizione della corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi a Radio Radicale.

BELGRADO-PRIŠTINA: ANCORA NESSUN ACCORDO SULLA GIUSTIZIA

Di Marina Szikora
L’atteso accordo sulla giustizia tra Belgrado e Priština non e’ stato raggiunto. Questa la conclusione dell’ultimo giro di colloqui di quest’anno, tra il premier serbo Ivica Dačić e quello kosovaro Hashim Thaci svoltosi venerdi’ scorso a Bruxelles. Dačić accusa Priština di continuare ad insistere sulla richiesta che nelle competenze della corte a Mitrovica siano inclusi anche i comuni serbi, condizione che pero’ per Belgrado e’ inaccettabile. I gruppi di esperti continuano quindi i colloqui su questo tema.
Il premier serbo ha rilevato che la Serbia da molto tempo ha adempiuto la sua parte dell’accordo di Bruxelles quando si tratta del sistema giudiziario, ma e’ mancato quindi l’accordo sulla costituzione del tribunale a Kosovska Mitrovica. Per precisare, Priština insiste che anche i tre comuni a maggioranza albanese al nord del fiume Ibar siano inclusi nelle competenze di questa corte e questo Belgrado non lo accetta argomentando che in tal caso gli albanesi avrebbero una maggioranza di due terzi negli organi giudiziari.
Dačić ha ribadito che bisogna tener presente che non è possibile nel nord collegare sul piano amministrativo i quattro comuni serbi con i comuni a maggioranza albanese. Secondo il premier serbo ogni soluzione pratica deve rispettare la realta’ sul terreno e questa realta’ e’ che i comuni serbi al nord hanno le loro particolarita’. Dačić ha aggiunto che se in Kosovo tutto fosse normale e se ci fosse fiducia, non ci sarebbe bisogno del dialogo e ha rilevato che cio’ che la Serbia richiede non e’ nessun separatismo. Ha aggiunto che la parte serba e’ pronta al proseguimento di colloqui. Si e’ detto convinto che la mancanza di un accordo finale non mettera’ a repentaglio la dinamica dell'integrazioni europea della Serbia.
Il premier serbo ha sottolineato che la parte serba non e’ responsabile per la mancanza di accordo e merita che le sia riconosciuta la buona volonta’ nel dialogo e l’attuazione di quanto concordato e ha nuovamente accusato la parte kosovara di ostruzionismo.
Quindi, anche se concordano che in Kosovo deve esistere un sistema giudiziario unico, Belgrado e Priština non riescono ancora a raggiungere un accordo su come in concreto questo dovrebbe essere attuato e quella del sistema giudiziario, almeno per quanto riguarda Belgrado, resta ancora l’unica questione aperta nel processo di normalizzazione delle relazioni tra le due parti.
Secondo l’accordo di Bruxelles, la struttura degli organi della giustizia, come nel caso della polizia, deve rispettare la struttura etnica. Belgrado ritiene in questo momento che non sia realistico che “i giudici e i procuratori albanesi processino i serbi e viceversa”.

Il testo è tratto dalla trascrizione della corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi a Radio Radicale.

SERBIA: DA GENNAIO I NEGOZIATI DI ADESIONE ALL'UE

Di Marina Szikora
I negoziati di adesione della Serbia con l’Unione Europea inizieranno definitivamente a gennaio. Lo hanno deciso i ministri degli Esteri dell’Ue riunitisi lunedì e martedì a Bruxelles in preparazione del Consiglio europeo che si svolge oggi e domani. Nel momento, quindi, in cui scriviamo questa corrispondenza siamo ancora in attesa dell’ultima parola che spetta appunto ai capi di Stato e di governo, ma già si sa, stando a quanto deciso dai capi delle diplomazie dei 28, a che punto stanno le cose relative al cammino europeo della Serbia.
I ministri degli esteri non hanno fissato una data precisa, ma, secondo le informazioni, la conferenza intergovernativa che segnerà il vero avvio dei negoziati, sarà convocata dalla Grecia che dal 1° gennaio assumerà la presidenza di turno dell’UE. Vi è stata una prima proposta del 21 gennaio come data della convocazione di questa conferenza e secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa serba Tanjug questa data resta comunque la più probabile.
I ministri degli Esteri dell’UE hanno inserito nella cornice dei negoziati anche la controversa clausola con cui si afferma che Belgrado e Priština, entro la fine dei negoziati di adesione della Serbia, devono firmare un accordo giuridicamente vincolante. Su questa clausola ha insistito particolarmente la Germania, ma anche la Gran Bretagna.
Il Consiglio continuerà a seguire con attenzione l’impegno permanente della Serbia sulla normalizzazione delle relazioni con il Kosovo, nonché l’attuazione di tutto quello che è stato raggiunto con l’accordo, si legge nella bozza delle conclusioni del Consiglio ministeriale e si aggiunge che Belgrado e Priština non potranno porre veti reciproci sul processo di integrazione.
La Serbia viene invitata, inoltre, a prestare particolare attenzione allo stato di diritto e soprattutto alle riforme nei settori della giustizia e della lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata. Infine, Belgrado dovrà assicurare l’indipendenza delle istituzioni, la libertà dei media, il miglioramento del settore economico e imprenditoriale e la protezione delle minoranze, in particolare quella dei rom e della popolazione Lgbt.

Il testo è tratto dalla trascrizione della corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sud Est andata inonda oggi a Radio Radicale.

PASSAGGIO IN ONDA

E' on-line la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda il 19 dicembre.
La trasmissione e' ascoltabile direttamente qui oppure sul sito di Radio Radicale.



Sommario della trasmissione

La puntata è interamente dedicata alle decisioni del Consiglio Europeo sull'integrazione dei Paesi dei Balcani: in particolare si parla di Albania, Bosnia Erzegovina, Kosovo, Macedonia, Montenegro e Serbia. A quest'ultima è dedicato uno spazio particolare dopo la decisione di Bruxelles di dare il via libera definitivo all'apertura dei negoziati di adesione il prossimo gennaio. Oltre a questo si parla dello stato dei colloqui tra Belgrado e Pristina, in particolare nel settore giudiziario, delle relazioni sempre più strette tra le Serbia e la Republika Srpska di Bosnia e della situazione politica interna con la possibilità di elezioni anticipate nel corso del prossimo anno.

La trasmissione, realizzata con la collaborazione dei corrispondenti Marina Szikora e Artur Nura, è ascoltabile direttamente qui



In occasione delle feste di fine anno Passaggio a Sud Est su Radio Radicale si prende una piccola pausa e tornerà nuovamente in onda a partire da giovedì 9 gennaio.

mercoledì 18 dicembre 2013

UE, VIA LIBERA AL NEGOZIATO CON LA SERBIA: REAZIONI E COMMENTI

“Ho detto ai ministri quanto sia rimasta colpita dai progressi fatti e dall'impegno mostrato dai due premier e dalle rispettive delegazioni [impegnati nei colloqui per la normalizzazione delle relazioni tra Belgrado e Pristina, ndr] Se si guarda all'elenco dei risultati ottenuti dall'accordo di aprile, credo che sia davvero impressionante. In alcuni campi siamo andati anche oltre e più veloci di quanto pensassi”. Lo ha detto lunedì scorso l'Alto rappresentante per la politica estera dell'Unione Europea, Catherine Ashton, al termine della prima giornata di lavori del Consiglio Affari esteri a Bruxelles, rispondendo al corrispondente della televisione serba. La Ashton aveva così anticipato il giudizio positivo contenuto nel suo rapporto sul dialogo Belgrado-Pristina che ha poi presentato martedì ai capi delle diplomazie dei 28. Restano da definire i dettagli di alcune questioni, per esempio nel settore giudiziario, ma la Serbia ha compiuto progressi impressionanti nella normalizzazione delle relazioni con Pristina, ed è tempo di avviare il negoziato di adesione con la UE, è in definitiva la conclusione a cui è arrivata la responsabile della politica estera di Bruxelles che in questa veste continua a mediare il dialogo tra Serbia e Kosovo.




“Vivissima soddisfazione” è stata espressa dal Ministro degli Esteri Emma Bonino per la decisione presa dai ministri degli Esteri dell’Unione Europea di dare via libera all'avvio dei negoziati per l’adesione della Serbia all’UE con la convocazione della prima Conferenza Intergovernativa il prossimo gennaio. "Si tratta di un momento storico perla Serbia e per i Balcani”, afferma il ministro Bonino, secondo una nota ufficialedella Farnesina nella quale ricorda che “l’Italia ha sempre incoraggiato e sostenuto il percorso europeo di Belgrado, in particolare gli sforzi di quest’ultima nell’adempimento delle misure concordate con le Autorità di Pristina lo scorso 19 aprile, volte alla realizzazione di una progressiva normalizzazione nei rapporti tra Serbia e Kosovo e la cui positiva attuazione ha rappresentato la condizione principale posta dall’UE per poter procedere all’apertura dei negoziati di adesione”. Il nostro ministro degli Esteri ha quindi riaffermato che “l’Italia continuerà a garantire il suo convinto sostegno al percorso europeo di Belgrado, che, proprio grazie al prossimo avvio dei negoziati, compie un fondamentale e irreversibile passo in avanti”.

Soddisfazione, ovviamente, è stata espressa dal premier serbo Ivica Dacic, che in un'intervista alla tv di stato Rts ha parlato di “obiettivo storico”, di un via libera per Belgrado deciso “all’unanimità” dai 28, come “mi ha rivelato al telefono Ashton”. Un risultato, ha detto ancora il premier, “atteso da generazioni e da molti governi” prima del suo e che ora “non è più solo un sogno” per la leadership serba e per i cittadini, “ma la realtà”. E' la fine di un processo e contemporaneamente “l’inizio di un altro molto più difficile”.

In una conferenza stampa a Belgrado, Dacic ha detto di non vedere per Belgrado alcun obbligo di riconoscere l'indipendenza del Kosovo nelle conclusioni con cui i ministri degli Esteri dell'UE hanno dato il via libera all'inizio del negoziato di adesione con la Serbia. Dacic ha anche detto anche di ritenere che la Serbia entrerà nella UE più velocemente di ogni altro Paese, sottolineando che la velocità del negoziato dipenderà dall'impegno e dalla serietà con cui verrà portato avanti. Finora il negoziato più rapido è stato quello della Slovacchia, durato cinque-sei anni: la Serbia secondo Dacic è in grado di fare altrettanto, dato che il suo governo “non solo ha aperto la porta all'Europa ma ha già fatto un passo al suo interno”.

Non tutti però sono così soddisfatti e ottimisti come il capo della diplomazia europea, il nostro ministro degli Esteri e i vertici di Belgrado. A Pristina, il via libera di Bruxelles alla Serbia è stato accolto con scetticismo e reazioni generalmente negative da diversi analisti secondo i quali l'Unione Europea ha sopravvalutato i progressi fatti da Belgrado nel dialogo con le autorità kosovare. Secondo il politologo Ilir Deda, direttore dell'istituto 'Kipred', dopo quello di aprile si dovrebbe arrivare ad un secondo accordo fra Belgrado e Pristina dato che fino ad ora i colloqui hanno favoritola parte serba, che continuerà così a mantenere la sua influenza nelle zone a maggioranza serba, mentre per il Kosovo continuerà una situazione di statu quo. Anche Arten Korenica ritiene che Bruxelles abbia volutamente accelerato la strada della Serbia verso l'integrazione europea, nonostante Belgrado non abbia applicato tutti i punti dell'accordo del 19 aprile. Generalmente negativi anche i commenti della stampa kosovara. I quotidiani Koha Ditore e Tribuna criticano in particolare il rapporto molto positivo sulla Serbia fatto dalla Ashton, mentre per Pristina Bruxelles ritiene per ora sufficiente l'avvio del negoziato per l'Accordo di stabilizzazione e associazione.

BELGRADO CE L'HA FATTA: IL 21 GENNAIO INIZIA IL NEGOZIATO PER L'ADESIONE ALLA UE

Sarà il 21 gennaio 2014: in quel giorno la Serbia inizierà ufficialmente il suo cammino verso il traguardo dell'ingresso nell'Unione Europea. E' questa la notizia venuta ieri da Bruxelles, alla vigilia del Consiglio europeo. Forse non casualmente, sono stati gli “ex jugoslavi” ministri degli Esteri sloveno, Karl Erjavec, e croata, Vesna Pusic, a informare per primi che Belgrado ce l'ha fatta e che, dopo aver incassato dal Consiglio europeo dello scorso giugno l”ok” all'apertura del negoziato di adesione all'UE, ora ha ottenuto anche la tanto agognata data per l'apertura ufficiale delle trattative.

Dopo una lunga riunione, nella quale è stato illustrato ai ministri degli Esteri dell’Unione il rapporto sul dialogo tra Belgrado e Pristina, e in base anche al giudizio positivo dell'Alto rappresentante per la politica estera europea, Catherine Ashton, che di quel dialogo è stata ed è la mediatrice, alla fine è arrivato il via libera dei Ventotto. La data sarà ufficialmente confermata dalla presidenza di turno greca che inizia il 1° gennaio, ma ormai è certo che in un martedì del gennaio 2014 la Serbia volterà una pagina fondamentale della sua storia recente: quello che seguirà non sarà un negoziato né breve, né facile, ci saranno battute d'arresto e slanci in avanti, ma una fase nuova inizia, anche formalmente.

Ieri, via Twitter, il commissario europeo all’Allargamento Stefan Fuele ha confermato che Bruxelles e i governi europei hanno voluto riconoscere la bontà del processo di riforme avviato in Serbia, i passi avanti fatti e soprattutto la disponibilità ad arrivare ad una normalizzazione delle relazioni con il Kosovo. Un processo di normalizzazione che però per Belgrado al momento non comprende il riconoscimento dell'indipendenza del Kosovo e questo scoglio riemergerà molto presto nei negoziati con Bruxelles. Tanto più che per Fuele il negoziato dovrebbe essere “comprensivo”.

La Germania, da parte sua, auspica una “piena normalizzazione” delle relazioni tra Serbia e Kosovo, un'espressione che assomiglia così tanto al riconoscimento dell’indipendenza di Pristina che, secondo l'agenzia di stampa serba Tanjug, dovrebbe alla fine essere esclusa dal documento ufficiale sull’inizio dei negoziati. Anche perché sulla questione non c'è unanimità nemmeno tra i Paesi membri dell'UE, cinque dei quali, lo ricordiamo, non hanno ancora riconosciuto l'indipendenza del Kosovo e non intendono farlo, per il momento.

Forse anche per questo, per ora si preferisce guardare alla metà (o forse un quarto) del bicchiere già piena e lasciare al futuro negoziato trovare il modo di riempire il resto. In conferenza stampa Fuele ha voluto dare ampio riscontro a quelli che ha definito “gli enormi sforzi” compiuti dai vertici di Belgrado e di Pristina per cercare di trovare un compromesso sui tanti punti di contrasto. Sforzi che sono valsi a Pristina l'auspicio che entro la primavera siano concluse le trattative in corso per l’Accordo di Stabilizzazione e Associazione con l'UE. Il problema, semmai, per il Kosovo, per la Serbia, ma non solo per loro, è capire quale Europa ci sarà fra qualche anno.

Comunque, per il momento è indubbio che la Serbia abbia raggiunto un “obiettivo storico”, come ha detto alla tv di Stato il premier Ivica Dacic. Un risultato “atteso da generazioni e da molti governi” prima dell'attuale e che ora “non è più solo un sogno ma una realtà”, per gli attuali vertici serbi, ma anche per una buona parte dei cittadini. Finisce un processo, quello che ha portato alla decisione unanime dei Ventotto sull'apertura dei negoziati con Belgrado, e nello stesso tempo ne inizia un altro “molto più difficile”. Che questo sia riuscito all'attuale leadership conservatrice e nazionalista moderata del presidente Nikolic, del premier Dacic e del vicepremier Vucic, invece che a quella precedente, guidata dall'ex presidente filo-europeo Tadic è, forse, solo uno scherzo della Storia.

lunedì 16 dicembre 2013

PARTENARIATO ORIENTALE UE: LA MOLDAVIA PUO' ESSERE UNA STORIA DI SUCCESSO

La scelta dell'Armenia e a quanto pare anche dell'Ucraina di preferire l'unione doganale con Mosca all'accordo di libero scambio con Bruxelles, potrebbe fare della Moldavia una success story del "partenariato orientale" dell'Unione Europea che altrimenti rischierebbe di naufragare. Con gli ultimi avvenimenti la Moldavia è divenuta, infatti, il paese capofila del programma di associazione, avendo incassato al summit di Vilnius l'avvio dell'accordo di associazione e della liberalizzazione dei visti uniti ad una serie di apprezzamenti dei partner europei. Un'analisi dell'attuale situazione in Moldavia è contenuta in un documento dell'European Stability Initiative pubblicato il 2 dicembre scorso.

Dal 2011, la Moldavia è risultata ogni anno al primo posto nell’indice per l’integrazione europea dei paesi del partenariato orientale e nel corso del 2013 risulta essere il paese più riformatore nella regione e il più vicino a soddisfare gli standard dell'UE. La Moldavia è povera, ma nonostante questo è anche democratica, cosa che costituisce un fenomeno raro nella politica dei paesi post-sovietici anche se questo risultato non deve essere dato per scontato. Il "successo" della Moldavia resta fragile e non si è ancora tradotto in miglioramenti concreti sentiti dai cittadini. La dichiarazione finale adottata a Vilnius il 29 novembre, per esempio, non ha fatto alcun riferimento all'articolo 49 del trattato sull'Unione europea, che afferma che ogni Stato europeo può presentare domanda di adesione all'UE, purché rispetti i valori fondamentali dell'UE.

La Moldavia rimane una società conservatrice e gli atteggiamenti omofobici sono all'ordine del giorno. Nessun’altra minoranza in Moldavia soffre tanto pregiudizio e aggressività come quella LGBT. Ma dato che questa è una delle questioni posta del piano d'azione dell’UE per concedere la liberalizzazione dei visti, il parlamento moldavo nel maggio 2012 ha approvato una legge antidiscriminazione. L’aver posto una condizione e aver mantenuto posizioni di principio da parte dell’UE ha prodotto dunque un risultato positivo a Chisinau. Le prospettive di ottenere l'esenzione dai visti e la firma dell'accordo di associazione, a questo punto, sono entrambe buone notizie. Allo stesso tempo però, la Moldavia ha disperatamente bisogno di sviluppo economico e di un aumento degli investimenti esteri diretti. Per questo una chiara prospettiva a lungo termine di adesione all'UE sarebbe fondamentale.

In definitiva, secondo l'European Stability Initiative se l'Unione Europea vuole che la Moldavia diventi una vera storia di successo nell’area orientale, dovrebbe essere disposta ad andare oltre Vilnius e il Consiglio europeo di questa settimana, potrebbe essere il momento giusto per mostrare al popolo e ai responsabili politici, in Moldavia, ma anche agli altri Paesi del "partenariato orientale, soprattuto Georgia e Ucraina, che da una parte le riforme aprono le porte dell'Unione e dall'altra che un’Europa unita e libera può trasformare la società e garantire migliori condizioni di vita per tutti i cittadini.

The surprising front-runner. Moldova before and after the Vilnius summit
Leggi qui il report sulla Moldova dell'European Stability Iniziativa

domenica 15 dicembre 2013

UN FUMETTO PER ALEX LANGER


Recentemente ho parlato di "In fondo alla speranza. Ipotesi su Alex Langer", un bel racconto a fumetti (o graphic novel, come si dice oggi) scritto da Jacopo Frey e Nicola Gobbi e pubblicato dalle edizioni Comma 22. Attraverso il racconto di un viaggio in un paese in guerra (l'ex Jugoslavia) l'opera ripercorre la vicenda umana di Alex Langer, politico, pensatore, militante della pace (ma non necessariamente pacifista ad ogni costo), sostenitore del dialogo tra i popoli e del superamento delle frontiere fisiche e mentali, morto suicida il 3 luglio del 1995. Usando le parole dello stesso Langer, insieme ai ricordi di chi lo ha conosciuto e ne ha condiviso la vicenda umana e politica, Frey e Gobbi, pagina dopo pagina trasformano quella missione di pace in un viaggio in cui Lamger va alla ricerca dei fili da riannodare per tentare di ritrovare una convivenza possibile tra le persone ma anche con sé stesso. Ora l'intervista che ho fatto ai due autori per Radio Radicale la potete leggere sul sito di Osservatorio Balcani e Caucaso che ringrazio per l'ospitalità.
 

giovedì 12 dicembre 2013

KOSOVO: CONTINUA IL DIALOGO TRA BELGRADO E PRIŠTINA

Belgrado attende dal Consiglio europeo la data di apertura dei negoziati di adesione all'UE

Di Marina Szikora
Incontrando recentemente gli ambasciatori dell’Unione Europea, il premier serbo Ivica Dačić ha affermato che Belgrado si aspetta la convocazione della prima conferenza intergovernativa sull’adesione al piu’tardi nel gennaio 2014. Ogni eventuale imposizione di nuovi condizionamenti influenzerebbe sull’attuale processo delle integrazioni europee della Serbia e sull’umore dei cittadini verso l’Ue, ha detto Dačić. Il premier serbo ha informato gli ambasciatori europei sul processo di implementazione dell’accordo di Bruxelles tra Belgrado e Priština. Ha rilevato che il governo della Serbia e’ impegnato affinche’ nell’interesse della sopravvivenza dei serbi in Kosovo e una stabilita’ permanente siano pienamente attuati gli accordi finora raggiunti e che con il proseguimento del dialogo siano risolte tutte le questioni aperte.

Sempre settimana scorsa, si e’ svolto un’altro round di colloqui tra il premier della Serbia Ivica Dačić e il suo omologo kosovaro Hashim Thaci con la mediazione dell’alto rappresentante dell’Ue per la politica estera e di sicurezza Cathrine Ashton. Durante l’incontro a Bruxelles e’ stato raggiunto l’accordo sulla polizia ma non sulla giustizia, informano i media serbi. Dačić ha rilevato l’importanza di un rapporto positivo dell’alto rappresentante Chatrine Ashton alla prossima riunione dei ministri degli stati membri dell’Ue che si svolgera’ il 17 dicembre. Il successo dell’attuazione dell’accordo di Bruxelles, sara’ coronato con l’inizio dei negoziati di adesione, ha ricordato Dačić. Quanto all’accordo, la candidature degli agenti di polizia dovrebbe iniziare nei prossimi giorni e questo accordo e’ pienamente nell’interesse del popolo serbo che vive in Kosovo. La struttura degli impiegati, ha rilevato Dačić, rispecchiera’ la struttura etnica nei comuni. Ha aggiunto che la questione dell’istituzione del Tribunale principale a Mitrovica e’ rimasta aperta e si dovra’ decidere se si trattera’ di uno o due tribunali, di chi ne sara’ il presidente e quale sara’ la struttura etnica.

Secondo Dačić, la parte kosovara su questo argomento si e’ presentata con posizioni molto rigide e massime richieste. Il premier kosovaro Hashim Thaci da parte sua ha detto che si aspetta la soluzione della questione giustizia gia’ al prossimo incontro con Dačić previsto per il 13 dicembre a Bruxelles e ha aggiunto che nel corso di quest’ultimo incontro si e’ parlato anche di stabilire un sistema funzionante della dogana al nord del Kosovo. Secondo Maja Kocijančić, portavoce dell’ufficio di Cathrine Ashton, l’accordo di Bruxelles non e’ ancora pienamente implicato e bisogna quindi rafforzare il lavoro sulla sua attuazione affinche’ il prossimo rapporto che verra’ presentato al Consiglio europeo sia piu’ positivo possibile.

Lunedi’ poi, il premier serbo Ivica Dačić ha ribadito che questa settimana continua il dialogo con Priština dal quale dipende la data della conferenza intergovernativa sull’adesione della Serbi all’Ue. Se a fine dicembre, o a gennaio o perfino nemmeno allora poiche’, ha osservato Dačić, ci sono paesi secondo i quali questa data andrebbe rimandata. Il premier serbo ha precisato che ci sono preannunci di una tale posizione della Germania e di una parte delle forze politiche in Gran Bretagna ma ufficialmente si attende il rapporto dell’alto rappresentante Ue Cathrine Ashton.“Sono necessarie buone notizie e non pressioni o cambiamenti di condizionamenti, per questo i prossimi giorni sono importanti e venerdi’ ci sara’ un nuovo giro di colloqui in cui si dovrebbe risolvere la questione giustizia” ha detto Dačić. Secondo le sue parole, e’ stata Priština a rinviare la decisione sulle corti poiche’ e’ stato accordata la formazione di nuove corti a partire da settembre che includerebbero anche le corti negli ambienti serbi. Il premier serbo ha ribadito che devono essere prese decisioni difficili ed e’ proprio per questo che i cittadini eleggono i loro leader politici.

Il testo è tratto dalla trascrizione della corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sud est andata in onda oggi a Radio Radicale

CROAZIA: DOPO QUELLO SUL MATRIMONIO UN REFERENDUM CONTRO IL CIRILLICO?

Di Marina Szikora
Dopo il referendum sul matrimonio, in Croazia si discute della possibilita’ di un altro referendum. Le firme sono gia’ state raccolte e si tratta del referendum popolare contro l’introduzione dell’alfabeto cirillico come uno dei due alfabeti ufficiali a Vukovar. La raccolta delle firme in 200 localita’ croate e’ stata organizzata da un’associazione denominata “Quartier generale per la difesa della Vukovar croata”. Secondo le informazioni dell’associazione, sono state raccolte oltre 50 mila firme ovvero il 10 per cento delle firme in piu’ rispetto al numero necessario per chiedere il referendum. Secondo le leggi croate, le firme raccolte devono superare la cifra di 450 mila che e’ il 10 percento del numero degli aventi diritto al voto. In questo caso si tratta della richiesta di referendum per cambiare l’articolo 12 della legge costituzionale sui diritti delle minoranze nazionali secondo la quale vi e’ l’obbligo dell’utilizzo di una seconda lingua o alfabeto nei comuni in cui una minoranza etnica o nazionale supera un terzo della popolazione del comune.

Va sottolinato che a Vukovar, citta’ martire della guerra di occupazione contro la Croazia, l’affissione delle insegne bilingui, in croato e serbo e con il doppio alfabeto negli uffici pubblici ha causato nei mesi scorsi una ondata di manifestazioni di protesta e perfino scontri con la polizia. Il Quartier generale per la difesa di Vukovar ha chiesto quindi di cambiare la legge che regolamenta la questione in modo tale che vi sia necessaria una percentuale del 50 per cento di appartenenti ad una minoranza prima di inserire il doppio alfabeto e la doppia lingua in un comune.Ma secondo l’opinione del capo dello stato Ivo Josipović, il referendum sul cirillico non e’ in sintonia con la Costituzione. Josipović ha detto che bisogna prima di tutto esaminare le firme che sono state raccolte, vi e’ la procedura che lo stabilisce. Inoltre, stabilire se questo tipo di domanda e’ conforme alla Costituzione e alla Legge, vi e’ sempre una certa procedura che va rispettata, ha detto Josipović. Il Presidente ritiene che la Croazia non dovrebbe ricorrere a soluzioni che tentano a diminuire i diritti delle minoranze. “Ci sono i principi costituzionali e ritengo che il referendum come anche la domanda che si pone, non sono in sintonia con la Costituzione” ha concluso il Presidente croato.

Il testo è tratto dalla trascrizione della corripondenza per la puntata di Passaggio a Sud est andata in onda oggi a Radio Radicale

Aggiornamento
Il Parlamento croato ha avviato la procedura per la modifica degli articoli della Costituzione che regolano il referendum, dopo la consultazione popolare del primo dicembre che con una bassissima affluenza ha introdotto nella Carta una definizione del matrimonio che in pratica proibisce la legalizzazione dei matrimoni tra persone dello stesso sesso. Gli emendamenti proposti dalla Commissione Affari costituzionali prevedono un abbassamento del numero delle firme richieste dalle attuali 450 mila a 200 mila, ma al contempo l'introduzione di regole piu' chiare sull'ammissibilita' dei quesiti, in particolare su quelli che riguardano i diritti delle minoranze o che incidono sulla tutela dei diritti umani, che in caso di approvazione delle modifiche proposte non potranno piu' essere oggetto di referendum. Sara' inoltre introdotto un quorum di voti al di sotto del quala la consultazione non sarà valida. La votazione in aula, per la quale sono richiesti i due terzi
dei deputati, e' prevista tra una decina di giorni.

TRIBUNALE INTERNAZIONALE: BRAMMERTZ, “PERSEGUIRE CHI HA AIUTATO I LATITANTI”

Di Marina Szikora
La settimana scorsa, alla riunione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite in cui e’ stato presentato il rapporto annuale del Tribunale dell’Aja che giudica i crimini commessi in ex Jugoslavia, il procuratore generale Serge Brammertz ha espresso un giudizio positivo sulla collaborazione della Serbia con il Tribunale, aggiungendo che e’ pero' necessario perseguire e indagare su coloro che hanno aiutato la fuga dei criminali latitanti. Il capo della procura dell’Aja ha rilevato che la Serbia “ha continuato a svolgere un ruolo importante per assicurare la conclusione del lavoro dell’Ufficio della procura dell’Aja” e ha aggiunto che i rappresentanti del governo serbo durante l’incontro a Belgrado hanno ribadito le precedenti garanzie che la collaborazione con l’Aja sara’ continuata. Cio’ riguarda in particolare l’avvicinamento ai testimoni e la loro deposizione davanti al Tribunale. Brammertz ha aggiunto che adesso e’ necessario che la Serbia, dopo l’arresto degli ultimi latitanti, Mladić e Hadžić, renda disponibili le informazioni complessive relative alla loro fuga e alla latitanza durata per cosi’ lungo tempo, nonche’ sulle indagini e il perseguimento di coloro che li hanno assistiti nella latitanza. Alla riunione del Consiglio di sicurezza e’ intervenuto anche il presidente del Tribunale, Theodor Meron il quale ha presentato il rapporto sul lavoro del tribunale nel periodo dal 1 agosto 2012 al 31 luglio 2013. Secondo la sua valutazione, il processo di primo grado contro Radovan Karadžić, dovrebbe essere concluso nel ottobre 2015 mentre quello contro Goran Hadžić entro la fine dell’anno. Il processo a Ratko Mladić potrebbe durare fino alla fine del 2016. Secondo Meron il Tribunale ha svolto un lavoro importante negli ultimi due decenni conducendo processi contro 161 persone ed ha aiutato le giustizie nazionali nei Balcani a condurre autonomamente i processi.

Il testo è tratto dalla trascrizione della corripondenza per la puntata di Passaggio a Sud est andata inonda oggi a Radio Radicale


"QUI TIRANA". LA CORRISPONDENZA DI ARTUR NURA

Gli argomenti della corrispondenza di Artur Nura per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi a Radio Radicale.

La strategia del governo di Edi Rama per rafforzare la presenza delle piccole e medie imprese italiane in Albania; le preoccupazioni degli imprenditori italiani e la creazione di un gruppo parlamentare che doverebbe sollecitare il dialogo con il governo per la soluzione dei loro problemi; la cooperazione di Tirana con la Banca Mondiale e la situazione economica.

La situazione politica e governativa in Kosovo dopo i risultati delle ultime elezioni locali.

La situazione del processo di integrazione euro-atlantica della Fyrom- Macedonia secondo le valutazioni del presidente Giorgi Ivanov, del permier Nikola Gruevski e del vicepremier del governo macedone.


PASSAGGIO IN ONDA

E' on-line la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda il 12 dicembre.
La trasmissione e' ascoltabile direttamente qui oppure sul sito di Radio Radicale.



Sommario della trasmissione

Conferenza stampa di Emma Bonino alla Stampa Estera: le risposte del ministro degli Esteri ai corrispondenti esteri in Italia su futuro dell'Unione Europea, Turchia, Ucraina e libera circolazione delle persone nell'UE.

Giustizia internazionale: presentato all'Onu il rapporto annuale del Tribunale per la ex Jugoslavia; il procuratore generale Serge Brammertz chiede che venga perseguito anche chi ha favorito e protetto la fuga dei ricercati.

Albania: la situazione economica, la cooperazione con la Banca Mondiale e le iniziative del governo per attrarre e rafforzare la presenza delle imprese italiane.

Croazia: dopo il referendum che ha introdotto nella Costituzione una definizio del matromonio che impedisce la legalizzazione delle unioni tra persone dello stesso sesso, i nazionalisti si muovono per una nuova consultazione popolare contro l'uso del cirillico; intanto il Parlamento discute nuove norme suol referendum.

Kosovo: la situazione politica e governativa dopo le elezioni locali.

Serbia: prosegue il dialogo con Pristina mentre Belgrado si aspetta che il Consiglio europeo della prossima settimana fissi la data di inizio dei negoziati di adesione all'Unione Europea.

Macedonia: il processo di integrazione europea nell'opinione di presidente, premier e vicepremier.

La trasmissione è stata realizzata con la collaborazione dei corrispondenti Marina Szikora e Artur Nura. La registrazione è ascoltabile direttamente qui



mercoledì 11 dicembre 2013

IL CAFFE' TURCO E' PATRIMONIO DELL'UMANITA'

Il caffè turco è patrimonio dell'umanità. L'apposita commissione per la conservazione dell'Unesco, l'organizzazione dell'Onu che tutela il patrimonio culturale mondiale, che ha sede a Parigi, ha deciso di iscrivere il “Turk Kahvesi” nella lista dei beni appartenenti al patrimonio immateriale dell'umanità su proposta del governo di Ankara. Ocal Oguz, presidente della Commissione turca per l'Unesco, ha spiegato “non è più solo una bevanda: è famoso in tutto il mondo per il suo stile, il metodo di preparazione, la presentazione tradizionale”. Esportato nei tre continenti che si affacciano sul Mediterraneo (Europa, Asia e Africa), è uno dei lasciti più famosi, consolidati e “transnazionali” dell'Impero Ottomano, tanto che in diversi Paesi è stato “nazionalizzato”: e così abbiamo il caffè “cipriota”, quello “greco”, o quello “bosniaco”. “Una tazza di caffè si ricorda per quarant'anni”, afferma un detto turco e in effetti ha sempre affascinato artisti, viaggiatori e ambasciatori di tutto il mondo fin dalla sua preparazione. La cosa singolare è che, nonostante la sua nobile e secolare storia, proprio in Turchia è meno popolare del Chai, il tè, che i turchi bevono forte e bollente ad ogni ora del giorno.

Se volete assaporarlo e provare a farlo anche a casa vostra, ecco la ricetta
Prima dovete macinare i chicchi di caffè in modo che ne risulti una polvere finissima che poi dovete fare bollire in un piccolo bricco lucido d'ottone (ibrik), con acqua e zucchero. A seconda delle tradizioni locali, e del vostro gusto, potete aggiungere qualche spezia (come il cardamomo). Il caffè deve bollire e sbollire tre volte. Quando è pronto va versato in una tazzina di porcellana avvolta da un guscio d'ottone (secondo i greci le bollicine di schiuma che si formano in superficie rappresentano baci in arrivo). Prima di berlo deve essere fatto riposare per qualche minuto in modo che la polvere di caffè si depositi sul fondo. Nel fondo si può leggere passato e futuro e sapere tutto di amori e denaro, salute e fortuna: la “caffeomanzia” è stata un'arte praticata per secoli in tutti i territori dell'impero.

Ps: da Parigi fanno sapere che l'espresso italiano non è nell'elenco del patrmonio immateriale dell'umanità perché nessun governo italiano fin'ora ha avanzato la richiesta.


lunedì 9 dicembre 2013

L'ABC DELLE PROTESTE IN UCRAINA

Qui di seguito riporto il “piccolo vocabolario” scritto da Matteo Tacconi per il quotidiano Europa che lo ha pubblicato lo scorso 4 dicembre. E' un testo sintetico e chiaro che aiuta a capire cosa sta succedendo a Kiev e nelle altre città ucraine, quali sono i principali attori del braccio di ferro di queste settimaner e quali sono le poste in gioco in una partita che si svolge su più tavoli e in cui non tutti i giocatori giocano pulito.





Piccolo vocabolario delle proteste in Ucraina
Dalla A di "accordi di associazione" alla Y di Yanukovich: tutto quello che c'è da sapere sulle manifestazioni a Kiev e nelle altre città ucraine

Oggi [4 dicembre, n.d.r.] è il quattordicesimo giorno consecutivo di proteste a Kiev. La gente non si schioda dalla piazza, non smantella l’assedio ai palazzi del potere. Il governo, da parte sua, non molla. Ieri, in parlamento, respinta una mozione sulla sfiducia. Il braccio di ferro continua. In attesa di capire come andrà a finire, questo è un compendio sui principali nodi, come sui protagonisti, della crisi ucraina.

A come accordi di associazione. Costituivano, assieme a un’intesa sul libero scambio, il pacchetto di incentivi economici e commerciali offerti dall’Ue. L’obiettivo? Rafforzare la cooperazione con Kiev, rilanciare l’azione comunitaria a Est e contenere – scopo implicito – l’influenza russa. Le autorità ucraine, bocciando le intese alla vigilia del recente vertice di Vilnius tra Bruxelles e le repubbliche ex sovietiche, hanno scatenato la reazione popolare.

D come Donetsk. In questi giorni si è protestato anche in molte altre città del paese. A Leopoli, nell’occidente. Ma anche a Donetsk e Kharkhiv, nell’est russofono e legato economicamente e culturalmente a Mosca, il tradizionale serbatoio di voti del presidente Viktor Yanukovich e del suo Partito delle Regioni. Il che indica quanto sia diffusa la sfiducia verso l’operato del capo dello stato e dell’esecutivo.

E come elezioni. Il voto anticipato non va escluso, ma non è la naturale e inevitabile conclusione della vertenza in corso. In ogni caso, dietro l’angolo ci sono le presidenziali del 2015. I capi dell’opposizione stanno cercando, lì sulla piazza, di misurare il loro potenziale elettorale e le rispettive chance di sfidare Yanukovich tra poco più di un anno.

F come Fondo monetario internazionale. Quando nel 2008 è scoppiata la crisi globale l’Ucraina è caduta rovinosamente. È stata uno dei primi paesi soccorsi dal Fmi (con il contributo dell’Unione europea). La “seconda crisi”, legata ai debiti sovrani, ha spinto Kiev nuovamente al tappeto, portandola a riaprire i negoziati con il Fondo. Che, in cambio di un prestito da 15 miliardi di dollari, ha chiesto riforme incalzanti e l’aumento del costo del gas. Kiev ha opposto resistenza e le trattative sono saltate, lasciando scoperto il “buco”. È così che Yanukovich ha chiesto all’Ue di legare agli Accordi di associazione e sul libero scambio l’erogazione di un prestito notevole. Poi, saltato anche questo tavolo, ha bussato alla porta della Russia. Adesso sta rilanciando nuovamente con l’Ue. Insomma, le sue mosse non riguardano solo il collocamento internazionale del paese, ma sono anche – forse persino soprattutto – una questione di soldi.

G come giovani e I come Internet. Sulle strade di Kiev, oltre ai membri e agli elettori dei partiti dell’opposizione, si stanno facendo notare i giovani. Odiano Yanukovich, ma diffidano dei partiti dell’opposizione. E – questo per completare il loro profilo – hanno una certa dimestichezza con la rete. Le loro idee se le fanno sul web, più che alla tv. Sono una generazione connessa. In queste due settimane hanno sapientemente usato i social network, facendone strumenti politici. Ma, nonostante questo, post e cinguettii sono solo uno dei dettagli di una battaglia che è decisamente “hardware”.

H come hryvnia. La moneta ucraina. Già molto debole, da quando è scoppiata la protesta ha perso ancora più valore (si scommette addirittura sulla crisi monetaria), a conferma che squilibri economici e turbolenze politiche viaggiano di pari passo.

K come Klitschko. Vitali Klitschko, pugile e politico. Sul ring ha fatto la storia. In politica sta avendo risultati più che discreti. Il partito da lui fondato, Udar, forza centrista che sostiene l’ancoraggio del paese all’Ue, è andato in doppia cifra alle elezioni del 2012. Klitschko è uno dei protagonisti della protesta. Incita, ci mette la faccia, piace ai media. Le sue quotazioni sono ulteriormente in rialzo e c’è chi dice che potrebbe essere il più serio sfidante di Yanukovich nel 2015, dato che, in un paese elettoralmente spaccato (l’est sta con Yanukovich, l’ovest contro), è riuscito nel 2012 a riscuotere buoni consensi anche nelle regioni dell’est.

M come Maidan. Maidan significa piazza. E la Nezalezhnosti Maidan, la piazza dell’Indipendenza, la grande spianata nel centro di Kiev, è il campo base della protesta. Fu così anche al tempo della Rivoluzione arancione. Mentre #euromaidan è diventata sul web la parola chiave delle manifestazioni. Quasi un logo.

O come oligarchi. Controllano le più grandi industrie nazionali, hanno patrimoni immensi, condizionano le scelte dei politici. Molto spesso loro stessi, sono dei politici. C’è da credere che stiano studiando la situazione, in attesa di prendere una posizione chiara. O di non prenderla.

P come Putin. Si sa: non vuole che l’Ucraina prenda la via dell’Europa. Kiev, vista da Mosca, è un tassello strategico per formare quell’Unione eurasiatica che nelle intenzioni di Putin dovrebbe (ri)cementare lo spazio post-sovietico. Il Cremlino, per evitare che Kiev firmasse gli accordi con l’Ue, ha usato bastone e carota. In agosto, come avvertimento, ha posto l’embargo sui prodotti dolciari ucraini. Al tempo stesso ha aperto alle richieste di sconto sulle tariffe del gas (troppo alte secondo Kiev) avanzate da Yanukovich. E, notizia di ieri, Gazprom ha concesso all’Ucraina, a corto di soldi, di pagare in primavera il conto delle bollette di quest’ultimo trimestre.

R come Rivoluzione arancione. Stessa piazza, la Nezalezhnosti Maidan. Stesso nemico: Yanukovich. Ma le analogie tra i moti di piazza che portarono al potere Viktor Yushchenko e Yulia Tymoshenko si fermano qui. Stavolta, l’opposizione non ha un vero leader, uno capace di trascinare tutti e di unire (Klitschko non lo è, non ancora). E poi, rispetto alla resistenza pacifica del 2004-2005, a questo giro ci si è anche picchiati.

S come Svoboda. È un partito fortemente nazionalista, tacciato di antisemitismo, radicato nell’ovest dekl paese. Alle elezioni del 2012 è andato in doppia cifra, entrando per la prima volta in Parlamento. I suoi militanti, sulla piazza di Kiev, sono stati in prima linea. Non è da escludere che in prospettiva questa formazione possa incrementare ulteriormente il suo consenso. Il che non fa il gioco né del blocco fedele alla Tymoshenko, né di Klitschko.

T come Tymoshenko. L’Ue aveva vincolato la firma delle intese alla sua liberazione. Yanukovich non ne ha voluto sapere. Yulia ha chiesto di andare avanti comunque, escludendo il suo caso dai negoziati. Ma Yanukovich ha ridetto no. Ora, una parte dell’opposizione insiste nel domandare la sua liberazione. Yanukovich ribadisce che non se ne parla.

U come Unione europea e come Usa. La grande sconfitta, per ora. Però Yanukovich sa che la modernizzazione del paese passa dal potenziamento dei rapporti con l’Ue, più che dai rapporti con la Russia. La partita non è finita e Bruxelles può ancora calare qualche carta. Quanto agli Stati Uniti: praticamente non pervenuti, al momento.

Y come Yanukovich. Nome di battesimo Viktor. È il presidente ucraino, eletto nel 2010. Molti semplificano, dicendo che è filorusso. In realtà, pur prediligendo il rapporto con Mosca, sa che serve un contrappeso – l’Europa – per evitare che i russi si divorino l’Ucraina.

domenica 8 dicembre 2013

IL FUTURO DELL'UE SI GIOCA IN UCRAINA?

Kiev, EuroMaidan (Photolure)
In Ucraina, da giorni, decine di migliaia di persone sono in piazza per protestare contro la decisione del governo e del presidente Viktor Yanukovic di non firmare l'accordo di libero scambio con l'Unione Europea e per opporsi alla sostanziale battuta d'arresto del processo di integrazione deciso dall'attuale governo e dall'attuale presidente. E fa impressione vedere come, al di fuori dell'Unione Europea, ci siano persone disposte a scontrarsi con la polizia e a rischiare la repressione per esprimere la loro volontà di integrazione europea, proprio mentre in Italia, per esempio, c'è chi sostiene l'esatto contrario e straparla di impossibili referendum sull'Euro, e nella stessa Unione prendano piede forze politiche dichiaratamente anti-europeiste, che vorrebbero la fine o il drastico ridimensionamento dei poteri di Bruxelles. Forze che vedremo rappresentate, in maniera non irrilevante, con tutta probabilità nel prossimo Parlamento europeo che eleggeremo a maggio del 2014.

Guardando quelle piazze di Kiev dove sventola la bandiera blu stellata ho l'impressione che, al di fuori dei ristretti circoli degli esperti e degli analisti di politica internazionale, qui in Italia non molti riescano ad andare al di là della cronaca cercando di capire la portata degli avvenimenti in atto. Forse per la prima volta l'Unione Europea non ha più quella capacità di attrazione che ha avuto in tutti questi anni. Dopo i grandi entusiasmi del 2004, il processo di allargamento ha subito un evidente raffreddamento, ha patito uno “stress” come si dice. Forse per la prima volta, però, il rallentamento non viene da Bruxelles, non sono i Paesi che già fanno parte dell'Unione a tirare il freno, ma sono i Paesi all'esterno, quelli “in lista di attesa” che sembrano cominciare a perdere fiducia nell'UE e a guardare da un'altra parte. Della Turchia già sappiamo e molto si è detto in questi anni, ma quanto sta avvenendo in Ucraina dovrebbe far riflettere.

E' chiaro che c'è altro dietro le bandiere blu stellate sventolate in piazza e che sotto il marchio “Euro Maidan” c'è un movimento assai composito. C'è molto altro anche nelle decisioni del governo di Kiev. La Russia può offrire molto in termini di sbocchi di mercato per i prodotti dell'Ucraina e in contropartite energetiche. Inoltre, il processo di integrazione nell'UE obbligando l'Ucraina a rivedere profondamente il proprio quadro legislativo in questioni delicate come stato di diritto, sistema penale, lotta alla corruzione e indipendenza dei media, finirebbe inevitabilmente per incidere sugli assetti di potere e destabilizzerebbe equilibri consolidati. Ma soprattutto, la Russia di oggi non è quella debole degli anni '90 e dei primi anni Duemila, mentre l'Unione Europea in crisi, invece di essere quel grande progetto politico di unione dei popoli europei costruito dopo la seconda guerra mondiale e preconizzato dal manifesto di Ventotene, rischia di apparire sempre più un club esclusivo le cui regole sono imposte dai soci più ricchi (cioè dalla Germania).

La crisi dell'Unione Europea è certamente crisi economica, ma forse ancora di più crisi di progetto politico e di prospettiva storica. Se così è, quel “soft power” che è stato il cemento della costruzione europea e che ha costituito un fortissimo fattore di attrazione per i Paesi dell'est dopo la caduta del muro Berlino, rischia di essere bruciato in un forno alimentato dal gas e dal petrolio russi. In Ungheria, nel 1956, la rivolta del popolo contro la dittatura del comunismo sovietico, finì per essere abbandonata a sé stessa a causa della crisi di Suez (c'erano di mezzo il petrolio e la ridefinizione degli equilibri internazionali dopo la seconda guerra mondiale). Sarebbe triste che il movimento sceso in piazza in questi giorni in Ucraina, al di là delle parole roboanti venute da Bruxelles, fosse lasciato per ragioni analoghe (pur con tutte le differenze del caso). Lasciamo agli esperti di politica internazionale e a coloro che conoscono molto bene questo scacchiere, analizzare in profondo quanto sta avvenendo a Kiev. Ci resta l'impressione che, molto più di quanto appaia oggi, l'Ucraina sarà un banco di prova del futuro dell'Unione Europea. [RS]

venerdì 6 dicembre 2013

CI VORREBBE UN MANDELA ANCHE PER I BALCANI

Il giorno dopo la scomparsa di Nelson Mandela è unanime il cordoglio che viene dalle massime autorità dei Paesi balcanici per la scomparsa del grande leader sudafricano. Profondo dolore è stato espresso dal presidente serbo Tomislav Nikolic, che nel messaggio inviato al presidente sudafricano Jacob Zuma, descrive Mandela come “un combattente, un leader, un modello” che “resterà a lungo nel ricordo dei serbi e del mondo intero, come colui che ha posto le basi per l'opera di tutti quelli che credono sinceramente nella pace, nella giustizia, nell'uguaglianza e nella libertà". Per il presidente croato Ivo Josipovic ''con la morte di Nelson Mandela il mondo ha perso un grande uomo che dopo quasi trent'anni di carcere è stato pronto a perdonare e ha saputo cooperare con coloro che lo avevano perseguitato'', mentre il presidente montenegrino Filip Vujanovic ha notato che "la lunga lotta per l'affermazione dei diritti umani e dell'uguaglianza ha fatto di Mandela un simbolo". In Slovenia,dove in segno di lutto per la sua scomparsa le bandiere sono state poste oggi a mezz'asta, e lo saranno anche nel giorno dei funerali, il presidente Borut Pahor ha ricordato Mandela come “simbolo della lotta alla segregazione razziale e ha dimostrato di credere fortemente nella libertà nell'uguaglianza e nella riconciliazione''.

Riconciliazione e verità sono state le chiavi della transizione che ha consentito al Sudafrica di affrontare la fine dell'apartheid evitando la guerra civile e il bagno di sangue. Verità e riconciliazione potrebbero essere le strade da percorrere anche per i Paesi dell'ex Jugoslavia. L'esperienza del Sudafrica potrebbe essere una strada percorribile (fatte le necessarie e inevitabili differenze) anche per i Balcani occidentali, per iniziare a chiudere finalmente le ferite ancora aperte dopo la tragedia delle guerre degli anni '90. Per fare questo ci vorrebbe un leader con il carisma di Mandela, ma al momento mancano figure di questa caratura. E, a parte alcune personalità isolate, mancano responsabili politici capaci di scelte lungimiranti come Frederik Willem De Klerk, l'ulitmo presidente del Sudafrica bianco, e religiosi di pace come monsignor Desmod Tutu. E ci vorrebbe una classe politica coraggiosa e capace di guardare al futuro invece di continuare a sfruttare il passato per il proprio tornaconto elettorale. Ma questo, purtroppo, non è un  poblema solo balcanico.



giovedì 5 dicembre 2013

CROAZIA: IL 'SI' AL REFERENDUM E' UN 'NO' AI MATRIMONI GAY

Ma il parlamento sta per discutere una proposta del governo per la regolarizzazione delle unioni tra persone dello stesso sesso

Un'immagine del Pride di Zagabria dello scorso giugno
di Marina Szikora
L'esito del referendum del 1 dicembre che ha introdotto nella Costituzione la definizione del matromonio come “unione di un uomo e di una donna”, ha suscitato commenti e polemiche di ogni tipo. C'e' perfino chi ha giudicato che il solo fatto che in Croazia e' stato indetto un referendum sul matrimonio, rappresenta la sconfitta della democrazia, o che dal giorno dopo il referendum la Croazia sara' comunque un paese diverso. Ci sono poi quelli che in tutti i modi hanno cercato di difendere il diritto di ogni bambino ad entrambi i genitori, madre e padre, l'insostituibile valore della famiglia tradizionale e dell'unione tra uomo e donna come unico vero matrimonio. Quale che siano stati gli argomenti pro e contro, i cittadini croati domenica scorsa si sono recati alle urne per votare al referendum sul matrimonio, il terzo referendum nella storia della Croazia, decretando la vittoria del 'si'. Mentre i primi due referendum sono stati politici - il primo ha riguardato la decisione dei cittadini di vivere in uno stato indipendente in cui la stragrande maggioranza ha deciso a favore della Croazia libera ed indipendente, il secondo e' stato quello del 'si' all'ingresso del Paese nell'Ue - questo terzo riguardava innanzitutto il pensiero, il modo di vivere, ma per molti e' diventato anche una battaglia politica.

Il risultato, anche secondo chi vi informa, non e' una grande sorpresa, gia' i sondaggi lo annunciavano. La Croazia continua ad essere un paese tradizionalista, un paese in cui il valore della famiglia tradizionale e' ancora molto forte e in cui comunque la fede cattolica ha una prevalenza molto rilevante. Non condividerei alcune opinioni mediatiche che la Croazia del 'si' a questo referendum e' una Croazia ultranazionalista e perfino fascista. Anche queste sono delle valutazioni molto pericolose e commenti del genere sono sicuramente inutili. E' indubbiamente vero che la decisione di inserire nella Costituzione la definizione del matrimonio in quanto unione esclusivamente tra uomo e donna e' una decisione che ci allontana dai valori europei, siamo il paese ultimo entrato nell'Ue, abbiamo problemi molto piu' pesanti quali la situazione economica e il grave peso della crisi, un grande tasso di disoccupazione, non c'e' assolutamente tempo da perdere per quanto riguarda i problemi che sono davvero vitali. L'allontanamento verso posizioni di discriminazione e dove la maggioranza non rispetta ogni tipo di minoranza e' un argomento da tener ben presente e senz'altro da valutare soprattutto per quanto riguarda l'attuale governo di sinistra governato dai socialdemocratici di Zoran Milanović.

Tra i primi a commentare i risultati e' stato il capo dello stato Ivo Josipović. Secondo il presidente croato l'esito del referendum non e' una sorpresa ma senza dubbio una delusione. “Mi aspetto che questo referendum, che e' stato inutile, domani non diventi un ostacolo per la sicurezza legale e per i pari diritti delle coppie dello stesso sesso ovvero alla legge che garantira' l'uguaglianza a tutte le unioni. Spero che la nostra societa' su questo argomento sara' unita”, ha detto il presidente Josipović. Il capo dello stato croato si e' detto ancora fiducioso che il risultato del referendum non porti a nuove divisioni nella societa' croata, atteggiamenti ostili verso quelli che sono diversi poiche' l'esaurimento nelle divisioni ideologiche non va bene, ci sono molte questioni piu' importanti, soprattutto quelle economiche. Per la ministro degli esteri croata Vesna Pusić si tratta di un campanello d'allarme poiche' il solo 35% che ha riconosciuto nella domanda referendaria una discriminazione nascosta e un attacco alla liberta' di ogni cittadino e' una percentuale insufficiente ed invita a molto lavoro e molta riflessione.

Tutto sommato, i valori tradizionali hanno prevalso contro gli appelli del governo, del presidente della Repubblica, di una larga parte dei media croati, del mondo accademico che nel poco tempo quanto e' durata la campagna referendaria hanno incitato i cittadini ad esprimersi contro questa forma di discriminazione e di divisione. Va sottolineato che l'iniziativa dell'associazione 'Nel nome della famiglia', promotore di questo referendum, ha avuto un forte appoggio da parte della Chiesa cattolica croata. Vi e' stato un esplicito invito dei vescovi alle omelie domenicali ai fedeli di esprimersi a favore della definizione cristiana del matrimonio. Resta pero' il dubbio della legittimita' democratica del referendum poiche' il tasso di affluenza e' stato molto basso anche se questo fatto pero' non compromette la validita' dato che non era richiesto nessun quorum. Stesso allora si potrebbe giudicare per quanto riguarda il precedente referendum sull'ingresso della Croazia all'Ue che ha avuto altrettanto un'affluenza alle urne molto bassa. Dal governo croato arriva pero' un altro tipo di risposta: una precisazione che tra brevissimo, vale a dire il 6 dicembre si conclude il dibattito sulla Proposta della legge sulle unioni civili tra le persone dello stesso sesso. La proposta andra' quindi nella procedura del governo e cio' vuol dire che il tema si potrebbe trovare in Parlamento ancora prima della pausa invernale che inizia il 15 dicembre, ha detto il ministro della pubblica amministrazione Arsen Bauk, responsabile della regolamentazione per le unioni dello stesso sesso. La futura legge prevede che alle coppie siano garantiti tutti i diritti di quelle sposate, ad eccezione dell'adozione dei figli.

Il testo è tratto dalla corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda il 5 dicembre a Radio Radicale


BOSNIA: IL MINISTRO DEGLI ESTERI OTTIMISTA SULLA SITUAZIONE DEL PAESE

di Marina Szikora
L'unita' della Bosnia Erzegovina non ha alternative e ogni tentativo della sua divisione porterebbe il Paese a vicende simili a quelle di 18 anni fa e provocherebbe instabilita' in tutta la regione, ha dichiarato il ministro degli Esteri Zlatko Lagumdžija in una recente intervista all'agenzia di stampa serba 'Tanjug'. Lagumdžija rileva che non e' possibile dividere la Bosnia in modo pacifico e afferma che dopo tutto il Paese e' riuscito a sopravvivere mentre ogni tentativo di divisione porterebbe soltanto a versamenti di sangue, guerra ed instabilita'. Il capo della diplomazia bosniaca non vede nessuna persona seria nella regione come nemmeno nel mondo che sarebbe pronta ad una tale avventura che causerebbe alla spartizione della Bosnia. La constatazione nel documento che recentemente e' stato pubblicato dall'ufficio del presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik, sulle due opzioni di fronte alla Bosnia - la confederazione secondo l'ordinamento dell'Accordo di pace di Dayton o la dissoluzione in tre unita' territoriali - secondo Lagumdžija e' legittima ma non realistica. Per quanto riguarda le frequenti dichiarazioni “che la Bosnia Erzegovina e' uno stato incompiuto”, il ministro degli Esteri dice che cio' puo' valere per tutti gli stati, perfino per l'Ue che costantemente si trova nella ricerca di nuovi modelli di collaborazione e trasformazione interna.

Nonostante commenti e critiche, Lagumdžija e' dell'opinione che la Bosnia oggi si trovi in una condizione molto migliore rispetto a quella di 10 o 15 anni fa. Ha indicato che il Paese e' adesso nel processo di avvicinamento all'Ue e che cio' significa l'obbligo di trasformazione, di essere stato nazionale ma al tempo stesso uno stato civico e una societa' civile. “Semplicemente, la Bosnia Erzegovina non ha alternative e penso che a tutti nella regione e nel Paese questo e' perfettamente chiaro”, ha detto Lagumdžija osservando che non bisogna perdere tempo mettendo in questione il destino della Bosnia. Quanto alla ben nota questione dell' attuazione della sentenza della Corte europea sul caso Sejdić-Finci, che attualmente rappresenta un ostacolo al cammino europeo della Bosnia, Lagumdžija ha detto che ci sono possibilita' affinche' la questione sia risolta entro la meta' di dicembre, una specie di tempo limite. Si tratta della questione legata alla riforma costituzionale e alla riforma del sistema elettorale che garantirebbe pari diritti non soltanto ai popoli costituenti bensi' anche a tutte le minoranze. Il rispetto di questa sentenza e' necessario affinche' la Bosnia Erzegovina possa ottenere l'approvazione dell'Accordo di stabilizzazione e associazione e quindi anche un'applicazione credibile per l'adesione all'Ue. Cio' incamminerebbe definitivamente anche questo Paese verso l'Ue.

Lagumdžija si e' soffermato anche sulle critiche espresse da parte dell'euorparlamentare Doris Pack la quale lo ha accusato di essere responsabile per il fallimento dell'accordo sull'attuazione della sentenza nel caso Sejdić-Finci. Secondo Lagumdžija, Doris Pack arriva dal gruppo di quei partiti che rappresentano la destra e quindi vicini ai politici bosniaci quali il leader dell'Hdz della Bosnia Erzegovina, Dragan Čović, e del leader dei bosgnacchi Bakir Izetbegović. Lagumdžija afferma di essere non soltanto impegnato nelle riforme della Federazione di Bosnia Erzegovina (l'entità a maggioranza croato-bosgnacca), bensi' nelle riforme dell'intero stato della Bosnia. Secondo lui la soluzione sta proprio nell'intera riforma della Bosnia attraverso i negoziati con l'Ue. A tal proposito, Lagumdžija si e' detto fiducioso che il prossimo governo in Bosnia Erzegovina sara' dedicato alla trasformazione del Paese e della Federazione, cioè l'entita' a maggioranza bosniaco-croata che attualmente sta scontrando gravi problemi di funzionamento.

Il testo è stato utilizzato per la realizzazione della puntata di Passaggio a Sud Esta andata in onda il 5 dicembre a Radio Radicale