di Artur Nura Il testo che segue è la trascrizione della corrispondenza per lo Speciale di Passaggio a Sud Est andato in onda mercoledì 3 marzo su Radio Radicale
Il caso del presunto traffico di organi umani viene considerato del tutto artificiale anche se formalmente il portavoce della missione Eulex, Christophe Lamfalussy, ha annunciato che gli inquirenti e i magistrati europei stanno procedendo con l'inchiesta relativa al presunto caso del traffico degli organi umani in Kosovo. Lamfalussy ha precisato che gli investigatori stanno ancora cercando le prove in Kosovo e nel nord dell'Albania che comprovano tali sospetti, mentre non ha saputo dire quando l'inchiesta sarà completata e da allora nessuna notizia e venuta all’attenzione dell’opinione pubblica. Si che si sa che la Procura per i crimini di guerra della Serbia sta indagando sulla vicenda al traffico di organi dei serbi e della popolazione non albanese, sulla scia delle rivelazioni del libro "La Caccia" del ex capo procuratore Carla del Ponte. Si tratta dunque del famoso caso della "casa gialla" di Burrel, nell'Albania settentrionale, dove si dice siano stati sottratti gli organi alle persone rapite dall'Esercito di liberazione del Kosovo. L'indagine preliminare è stata guidata dall'UNMIK, ma credo che vale ripetere che la polizia del Kosovo ha arrestato un agente di polizia di nazionalità serba che ha minacciato un testimone, collegato al caso legato del presunto traffico di organi dei serbi rapiti dall'UCK. Come hanno fatto sapere i mass media si trattava dell'agente Grigorije Jocinac, che avrebbe minacciato un testimone collegato al caso dei tre agenti serbi, indagati perchè raccoglievano delle prove false sui presunti crimini commessi contro i serbi del Kosovo a nord dell'Albania. La Radio Televisione del Kosovo, circa un mese fa, ha mostrato dei rapidi video sulle attività di Igor Jocinc, Radanovic e Zeljkovic, accusandoli così del tentativo di fornire delle false testimonianze sul presunto traffico di organi nel villaggio di Burelj in Albania. Ma, nell’analizzare tale situazione e giusto affermare che tutto questo dovvrebbe essere considerato una conseguenzza, invece della causa di questa tragedia lunghissimi per il popolo Albanese del Kosovo. Credo che sarebbe giusto che stare nell’argomento causa di tutto questo, bisogna ricordare che fin ai primi giorni della campagna NATO, nel marzo del 1999, questo popolo ha subito una oppressione tremenda per quasi 100 anni.
Le prime bombe NATO hanno colpito Kosovo il 24 marzo 1999, stesso giorno in cui l'Alleanza atlantica ha avviato la sua campagna militare contro il regime di Milošević e questa azione della NATO era benvoluta e considerata dalla comunità albanese come ''fuoco amico'', gli attacchi alle caserme dell'esercito jugoslavo erano visti come parte delle iniziative per bloccare la violenza di Belgrado nei confronti degli albanesi anche se venivano sulle loro case e terra. Prima della liberazione del Kosovo dalle truppe Nato, le truppe serbe, assieme alla polizia e ad altre persone con uniformi militari hanno devastato tutto uccidendo e bruciando. Furono in molti tra gli albanesi a ritrovarsi bloccati in città per tutta la durata della campagna NATO, sino al 12 giugno, con una libertà di movimento estremamente limitata. La gente Albanese venne lasciata a vagare per la strada principale della città, e poté rincontrare chi rimaneva della sua famiglia solo quando le truppe serbe lasciarono il Kosovo e il territorio iniziò ad essere amministrato dagli internazionali, la sicurezza dei suoi confini e del suo territorio garantito da truppe NATO. Di quei giorni rimangono molti in grado di testimoniare in merito ad arresti di massa di uomini tra i 16 e i 65 anni, poi inviati in vari luoghi della regione e portati nei carceri Serbe, e molto di loro giustiziati prima della fine, in giugno, dei bombardamenti NATO. In Kosovo molto spesso diverse associazione di madri Albanesi che si occupano di persone scomparse, hanno invitato le autorità kosovare a procedere all'identificazione dei circa 400 corpi conservati presso l'obitorio di Pristina. Vi sono ancora circa 2000 persone Albanesi che risultano scomparse dopo la guerra del 1999.
Continuare a parlare su un presunto campo di tortura dell'UÇK in territorio albanese già sollevate da Carla del Ponte col suo libro "La caccia" dobbiamo affermare che parliamo di una città poverissima sin d'allora e tuttora oggi. Dobbiamo anche aggiungere che secondo un articolo investigativo pubblicato sul portale BIRN, nell'Albania settentrionale durante il conflitto in Kosovo nel 1999 sarebbe esistito perlomeno un campo di torture controllato dall'UÇK. Diversi testimoni citati nell'articolo parlano di vittime civili di etnia albanese, serba e rom provenienti dal Kosovo. Ma, tranne poche ripubblicazioni da parte di alcuni giornali di Tirana, l'articolo è stato accolto in silenzio e nessun commento né da parte dei media né da parte dei politici. L'ex procuratrice sosteneva nel suo libro che in un'abitazione dalla facciata gialla, a Gurra, un villaggio nei pressi di Burrel nell'Albania settentrionale, avevano avuto luogo operazioni di asportazione di organi destinati in seguito al traffico internazionale. Il caso della "casa gialla" divenne oggetto di numerose reazioni e l'abitazione di una famiglia disagiata del nord albanese diventò per qualche mese centro di pellegrinaggio di giornalisti albanesi e stranieri. Però la questione, secondo quanto afferma nel suo libro Carla del Ponte, aveva ottenuto l'attenzione anche degli organi di giustizia internazionale, ma era stata in seguito abbandonata per mancanza di prove.
In generale la maggior parte degli analisti e politici albanesi in Kosovo, e in Albania, hanno escluso ogni possibilità di traffico d'organi, partendo soprattutto dal presupposto che le operazioni di asporto richiedono condizioni igieniche che in Albania non possiedono neanche gli ospedali più sviluppati. La famiglia che abita nella cosiddetta “Casa gialla” dove avrebbero avuto luogo tali operazioni, ha dichiarato più volte di voler fare causa alla procuratrice, ma di non poter sostenere le spese del processo. Inizialmente la procuratrice generale albanese, Ina Rama, aveva dichiarato la disponibilità delle autorità di Tirana a collaborare con quelle di Belgrado, ma poche settimane dopo, ciò è stato smentito, ed è stato negato anche la possibilità alla procura serba di recarsi sul posto per avviare proprie indagini. La decisione delle autorità albanesi si è basata sul fatto che un'inchiesta era stata intrapresa in precedenza da parte delle autorità internazionali in Kosovo, per poi essere interrotta per mancanza di prove. Per concludere possiamo affermare che i fatti riportati nell'articolo investigativo sui campi di tortura a Kukës oppure la vicenda della casa gialla di Burrel, fanno emergere un aspetto del conflitto kosovaro sconosciuto alla maggior parte degli albanesi visto il dramma e la tragedia in cui questo popolo ha subito per quasi un secolo violento...
OH Gesu' d'amore acceso, non ti avessi mai offeso !!!!!!!!!!!!!!
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