giovedì 28 giugno 2012

VIDOVDAN: LA STORIA SERBA PASSA PER IL 28 GIUGNO

di Riccardo De Mutiis [*]
Tutte le analisi storiche e politiche delle guerre jugoslave si soffermano sulla presunta specificità del popolo serbo, sulla evoluzione assolutamente singolare del suo percorso storico. E d’altronde il mito del destino particolare, insieme drammatico e nobile, è profondamente sentito dalla società serba a tutti i livelli, e cioè sia dalla sua più alta espressione scientifica, l’Accademia delle Arti e delle Scienze, la quale, nel famoso Memorandum del 1987 afferma che il popolo serbo nel corso dei secoli si è sempre sacrificato per gli altri, ma, ciò nonostante, è stato sempre derubato delle sue vittorie, sia dalla gente comune, che si autodefinisce “nebeski narod”, popolo celeste, in quanto tale investito di una missione divina. Si tratta, ovviamente, di costruzioni soggettive, e quindi condivisibili o meno a seconda della interpretazione che si da ai fatti storici su cui esse si fondano. Vi è tuttavia una caratteristica, stavolta oggettiva, che distingue il popolo serbo da tutti gli altri popoli, e cioè il fatto che tutti gli eventi decisivi nella sua storia si sono verificati il 28 giugno, giorno di San Vito, Vidov dan.


Dipinto del pittore contemporaneo serbo Zoran Pavlovic

Una coincidenza che ha dell’incredibile

Tutto inizia il 28 giugno 1389, con la battaglia di Kosovo Polje, quando l’esercito turco guidato da Murad sconfigge quello serbo guidato dal duca Lazar: l’evento è di fondamentale importanza per la storia europea e, ovviamente, per quella serba. La connotazione internazionale della battaglia è data dal fatto che essa segna l’ inizio del lungo dominio degli ottomani sull’Europea sudorientale e sulla Serbia in particolare, che durerà per circa cinquecento anni: i Balcani, soggetti al dominio del Sultano, vengono tagliati fuori dai contatti con il resto dell’Europa e quindi ignorano o perlomeno conoscono con ritardo quegli eventi, sia economici come la rivoluzione industriale inglese, sia culturali e politici come l’illuminismo e la rivoluzione francese, che hanno caratterizzato l’ evoluzione dell’ Europa Occidentale. E Kosovo Polje segna ovviamente un momento fondamentale anche della storia nazionale dei serbi, e non solo perché segna la fine della loro indipendenza, che verrà riconquistata solo nell’Ottocento.

Le implicazioni psicologiche della battaglia, della perdita dell’indipendenza, sono notevoli e durature: nasce proprio a Kosovo Polje l’idea della Serbia come antemurale della cristianità, la leggenda del popolo serbo che si è sacrificato per difendere l’Europa cristiana dall’invasione musulmana. Questo mito si è poi consolidato nel corso dei secoli e dura, lo si è visto con il Memorandum dell’Accademia , fino ai giorni nostri. Ma con la battaglia di Kosovo Polje nasce anche una letteratura che riecheggia in termini epici il contrasto tra serbi e musulmani: i poemi che mitizzano le lotte tra gli eroi serbi e gli infedeli presentano evidente analogie con le opere degli scrittori occidentali che celebrano le crociate cristiane in Terra Santa.

Dopo Kosovo Polje il giorno di San Vito torna ad essere, per più di cinque secoli, un giorno assolutamente normale, ma nel 1914 questa ricorrenza torna a sconvolgere non solo il mondo serbo ma anche quello europeo, con una violenza quale non si era mai vista in precedenza. Il teatro dell’avvenimento è Sarajevo, capoluogo della Bosnia, regione abitata da serbi e all’epoca contesa tra l’Impero Austro–Ungarico, a cui apparteneva, e la Serbia. Il 28 giugno 1914, come è noto, l’arciduca Francesco Ferdinando, fratello dell’imperatore d’Austria Francesco Giuseppe, viene assassinato da un nazionalista serbo, Gavrilo Princip. L’incidente è il detonatore della prima guerra mondiale a cui prendono parte, a causa di un complicato sistema di alleanze, quasi tutti gli Stati europei. Gli effetti della Grande Guerra in termini di perdite di vite umane e di distruzioni sono risaputi, e non è il caso di intrattenersi sul punto.

In un ottica specificamente serba l’episodio di Sarajevo ed il conflitto che ne è conseguito hanno una importanza fondamentale: la Serbia si ingrandisce, assorbendo i territori del Montenegro, della Croazia, della Slovenia, della Macedonia e della Bosnia, ed il nuovo Stato assume la denominazione di Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni, che cambierà dopo qualche anno in quella di Jugoslavia. I serbi sono il gruppo etnico egemone della nuova compagine statale, nonostante le istanze autonomiste di croati e sloveni: serba infatti è la dinastia regnante, quella dei Karageorgevic, serbi sono quasi tutti i ministri e serbi sono i vertici dell’apparato militare.

Il giorno di San Vito torna ad incidere sui destini della Serbia ed anche sugli equilibri geopolitici internazionali nel 1948 : siamo in pieno clima di guerra fredda e la Jugoslavia fa parte del blocco comunista guidato dall’URSS. Il 28 giugno 1948 il Cominform, l’organismo di consultazione fra i partiti comunisti europei, fondato nell’anno precedente dal partito comunista russo, di cui attuava in modo scrupoloso gli orientamenti internazionali, si riunisce a Bucarest ed adotta una risoluzione con cui espelle il partito comunista jugoslavo. La motivazione ufficiale dell’espulsione è quella, tipica delle purghe all'interno del sistema comunista, della deriva controrivoluzionaria, del trozkismo, della deviazione dai principi fondamentali della dottrina comunista. In realtà la ragione dell’espulsione era diversa : Stalin non accettava il fatto che Belgrado svolgesse una politica estera autonoma, di cui è tipico esempio il progetto di realizzazione di una confederazione balcanica guidata dalla Jugoslavia e comprendente la Bulgaria (il leader bulgaro Dimitrov venne chiamato a Bucarest per riferire sul punto), mentre Tito si sentiva autorizzato ad agire autonomamente in quanto riteneva di essere giunto al potere con le proprie forze, senza l’ aiuto decisivo di Mosca, verso la quale non si sentiva obbligato e di cui, di conseguenza, non accettava i diktat, almeno nella politica estera.

Le conseguenze dello strappo sono note: sul piano delle relazioni internazionali il blocco sovietico perde un importante tassello, e la cosiddetta cortina di ferro retrocede verso est di diverse centinaia di chilometri e di ciò si giova particolarmente l’Italia che non è più a diretto contatto con una nazione facente parte del Patto di Varsavia e quindi non è più a rischio d’ invasione. Il sollievo degli occidentali, e degli italiani in particolare, per la rottura tra Tito e Stalin ed il conseguente arretramento della cortina di ferro venne efficacemente espresso dall’ambasciatore italiano a Parigi, Pietro Quaroni: “E' un vantaggio così grande che non sarebbe mai pagato troppo caro”. Ma le conseguenze internazionali dello scisma non finiscono qui. Tito fonda, con l’ egiziano Nasser, l’indonesiano Sukarno e l’indiano Nehru, il movimento dei Paesi non allineati, il cui scopo, quello di inserirsi quale terza forza nella rivalità tra mondo comunista e paesi democratici, non verrà tuttavia concretizzato. E le conseguenze del Vidov dan del 1948 sono state di tutto rilievo anche per la Jugoslavia, e quindi per la Serbia.

Londra e Washington , a seguito della condanna della Jugoslavia da parte del Cominform, offrono a Tito appoggio economico e militare: nel successivo trentennio il paese balcanico gode, grazie soprattutto agli aiuti occidentali ed a quelli che dal 1955 (anno della riconciliazione con la Russia di Kruscev) riotterrà dall’URSS, di un periodo di benessere, il cui sintomo, nella parole di tutti gli jugoslavi di una certa età, era rappresentato dal fatto che essi potevano permettersi di recarsi a Trieste, e quindi in un paese occidentale, a fare acquisti. Si trattava, sia detto per inciso, di un benessere illusorio: venuti meno, dopo la fine del comunismo nell’est, gli aiuti occidentali e russi, e fallito l’esperimento dell’autogestione, il regime crollerà prima economicamente e poi politicamente.

Ed il crollo della Jugoslavia trova il suo incipit, ancora una volta, nel giorno di San Vito, il 28 giugno 1989, nel dopo Tito (scomparso nel 1980 dopo essere stato al potere, incontrastato, per 35 anni) e ci troviamo ancora una volta a Kosovo Polje, dove il seicentesimo anniversario della battaglia viene celebrato da un discorso di Slobodan Milosevic, all’ epoca presidente della repubblica federata serba. Il contesto politico in cui venne tenuto il discorso è rovente: la regione del Kosovo, provincia autonoma all’interno della repubblica serba, da qualche anno ha perso l’autonomia che le aveva concesso Tito, di qui una serie di violenti scontri tra i kosovari, etnia maggioritaria della regione, e la minoranza serba.

Nel suo discorso Milosevic esalta i valori del popolo serbo: la maggioranza dei commentatori ha letto nelle parole del vozd il segno della volontà di dominio dell’etnia serba sulle altre componenti etniche della Jugoslavia ed infatti di lì a qualche anno inizieranno le cosiddette guerre jugoslave (Slovenia 1990, Croazia 1991-1992, Bosnia 1992-1995, Kosovo 1999) che condurranno alla disgregazione dello Stato.

Per due volte, quindi il Vidov dan, e per due volte a Kosovo Polje, segna un momento drammatico nella storia serba: nel 1389 segna la fine dell’indipendenza del popolo serbo, che durerà per circa 500 anni, e nel 1989 segna l’inizio della disgregazione della Jugoslavia, di cui i serbi costituivano la componente etnica più numerosa. Ma anche la parabola di Milosevic, iniziata, lo si è visto, il giorno di San Vito, quello del 1989, si spegne esattamente 11 anni dopo, il 28 giugno 2001, quando il dittatore viene estradato in Olanda, per essere giudicato dal Tribunale Penale Internazionale per i crimini commessi nell’ex Jugoslavia .

Con l’estradizione di Milosevic, con l’allontanamento del principale protagonista del dramma che ha ferito profondamente i serbi e gli altri popoli dell’ex Jugoslavia, si apre, sia pure a fatica, un periodo di pace e di rinnovamento nella regione: la Serbia arresta e consegna importanti personaggi al Tribunale Penale, le elezioni si svolgono sempre in modo regolare e democratico, ai cittadini serbi viene concesso di viaggiare all’estero, le sanzioni economiche vengono abolite e Bruxelles conferisce al Paese lo status di candidato all’ ingresso nell’Unione Europea.

Ecco quindi che, finalmente, il Vidon dan, dopo aver segnato per tante volte i momenti tragici della storia serba, finalmente, nel 2001 inaugura una fase positiva e di riscatto per lo sfortunato popolo balcanico.

[*] Riccardo De Mutiis, esperto di relazioni internazionali, particolarmente sotto il profilo giuridico, conoscitore della realtà serba e di quella balcanica più in generale, anche per aver partecipato a diverse missioni di carattere politico patrocinate da istituzioni internazionali.


ANCHE LA SERBIA FA I CONTI CON CORRUZIONE E CRIMINALITA' ORGANIZZATA AD ALTO LIVELLO

I sospetti sull'ex presidente Tadic, ma anche sul leader socialista Dacic. Il ruolo di Mladjan Dinkic nella privatizzazione di Mobtel. L'inchiesta austriaca sull'ex premier croato Sanader potrebbe arrivare in Serbia.

Di Marina Szikora [*]
"Anche Belgrado sotto pressione dell'Ue sta iniziando a fare i conti con la corruzione.... il piu' spesso menzionato e l'ex membro del governo Mlađan Dinkić, ma anche lo stesso Boris Tadić ed uno dei suoi piu' fedeli collaboratori, Vuk Jeremić che adesso va alle Nazioni Unite": cosi' un articolo del quotidiano croato 'Večernji list' sulla situazione relativa alla lotta contro la corruzione in Serbia. 'Večernji' aggiunge che in Serbia non e' stato ancora costituito il governo anche se dalle elezioni parlamentari e' passato un mese e mezzo e evidentemente come una specie di preludio nell'accordo sulla coalizione governativa si conducono battaglie su chi e quanto e' corrotto.

Il piu' attaccato e' Mlađan Dinkić, leader del nuovo partito Regioni Unite della Serbia che potrebbe far parte della nuova coalizione intorno a Boris Tadić. Lo scrive il giornale che si ritiene piu' vicino a Tadić, il quotidiano 'Kurir'. Il giornale pubblica un articolo in cui a Mlađan Dinkić viene attribuito il ruolo nella privatizzazione del Mobtel, la rete mobile principale in Serbia su cui la procura austriaca sta svolgendo le indagini. Dinkić, che fu ministro e governatore della Banca popolare serba replica di non essere coinvolto in nessuna indagine ma che si sta indagando su Bogoljub Karić che prima ancora si era impossessato del 51 percento della proprieta' della Mobtel. Va sottolineato che Bogoljub Karić e' da anni latitante a causa di imputazione nel caso Mobtel ma alle ultime elezioni ha appoggiato Tomislav Nikolić, eletto nuovo presidente della Serbia.

'Večernji list' spiega che a tutto cio' negli ultimi giorni si aggiunge l'osservazione dell'istituto internazionale indipendente con sede a Ljubljana, Ifimes che si occupa dei Balcani e del Medio Oriente e in una analisi pubblicata lo scorso venerdi' annuncia una specie di desanaderizzazione della Serbia attraverso il caso di Mlađan Dinkić. Nello scandalo relativo alla vendita di Mobtel aggiungono anche il nome dell'ex presidente serbo Boris Tadić. La “desanaderizzazione” si intende come l'inizio della lotta alla corruzione al piu' alto livello come nel caso dell'ex premier croato Ivo Sanader attualemente sotto processo in Croazia per gravi atti di corruzione e abuso d'ufficio.

L'analisi dell'istituto sloveno, firmata dal suo direttore Zijak Bećirović e da Bakhtar Aljaf afferma che le indagini austriache inevitabilmente arriveranno fino alla Serbia e che si dovra' indagare sul ruolo non soltanto di Mlađan Dinkić bensi' anche su quello di Boris Tadić, Vuk Jeremić e Srđan Šaper, i piu' stretti collaboratori di Tadić. Si ritiene che la persona chiave nelle indagini e' Bogoljub Karić che potrebbe offrire risposte a molte domande e contribuire a concludere le indagini relative alla vendita criminale di Mobtel, concludono gli analisti dell'istituto Ifimes. L'istituto di Ljubljana ed i suoi esperti vengono a volte citati dai media serbi e la loro convincenza aumenta quando vengono citati gli ex politici. Va detto anche che il presidente onorario dell'istituto sloveno e' l'ex presidente croato Stipe Mesić e tra i nomi conosciuti c'e' anche quello di Zoran Živković, ex premier serbo.

Ifimes nelle sua analisi si dichiara apertamente contro Tadić e afferma che il nuovo governo serbo dovrebbe essere formato dai vincitori elettorali, quindi dal Partito del progresso che fino alla sua vittoria presidenziale e' stato guidato da Tomislav Nikolić. Nel caso della Serbia, conclude il quotidiano croato 'Večernji list' una cosa e' certa: dal paese si aspetta che sul suo cammino verso l'Ue bisogna sostanzialmente indagare su 24 casi di privatizzazione delle imprese statali. Quanto alla formazione del nuovo governo sono in corso diversi giochi sotto tavolo. La parola chiave continua ad averla Ivica Dačić, leader dei socialisti di Slobodan Milošević di cui si afferma essere sotto influsso decisivo della Russia e della vedova di Milošević, Mira Marković. Ma anche su Dačić pendono scandali di corruzione. Ultimamente Dačić ha condizionato la sua entrata nel governo con quella di Mlađan Dinkić che, secondo i media di Belgrado, non sarebbe gradito da Boris Tadić.

[*] Il testo è tratto dalla corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi a Radio Radicale. La trasmissione è stata realizzata prima che arrivasse la notizia dell'incarico conferito dal presidente serbo Tomislav Nikolic al socialista Ivica Dacic per la formazione di un governo di coalizione tra Sns e Sps.

BELGRADO E PRIŠTINA PRONTE A COLLOQUI AD ALTO LIVELLO?

Sia nella capitale serba che in quella kosovara si considera l'ipotesi di proseguire i colloqui ad un livello politico più alto, ma da una parte e dall'altra non mancano perplessità. 


Di Marina Szikora [*]
Secondo gli ultimi annunci mediatici, il dialogo tra Belgrado e Priština, dovrebbe assumere un formato diverso e proseguire ad un livello politico più alto. Secondo le informazioni dell'emittente serba B92, le recentissime vicende implicano che lo scenario di questo processo sarebbe in accelerata preparazione e su questo concordano tutti gli esperti della questione kosovara. Per l'agenzia di stampa serba Tanjug, il direttore del Forum per le relazioni etniche, Dušan Janjić, ha affermato che la comunita' internazionale ha una sua agenda e strumenti convincenti e che non si ostinera' ad utilizzarli al fine di adempiere il suo obiettivo, che sarebbe la chiusura delle cosiddette istituzioni parallele al nord del Kosovo entro la primavera del 2013, così che si possano organizzare di seguito le elezioni comunali su tutto il territorio del Kosovo. Quello che i protagonisti offriranno sul tavolo, quello sara', aggiunge Janjić. Proprio a favore di questo obiettivo, e' l'opinione dell'esperto politico serbo, si sta lavorando intensamente sull'accordo di un nuovo formato del dialogo tra Belgrado e Priština. Per adesso e' probabile che ci siano sul tavolo diverse ipotesi: il proseguimento del dialogo dei team di esperti a livello tecnico, ipotesi sostenuta da Priština, il proseguimento del dialogo ad un livello politico piu' alto, che sarebbe sostenuto dalla comunita' internazionale ma su idea di Belgrado e che prevede la formazione di due livelli paralleli di negoziati, quello tecnico e quello politico, che secondo gli analisti sarebbe l'ipotesi migliore per la Serbia. Al G20 di Rio de Janeiro, il segretario di stato americano Hillary Clinton ha concordato con il presidente serbo Tomislav Nikolić che bisogna aprire una nuova fase di dialogo e simili messaggi sono arrivati anche da Bruxelles, durante la prima visita ufficiale di Nikolić nella “capitale” dell'amministrazione europea. Ma c'e' ancora incertezza sul futuro formato dei colloqui tra le due parti. Lo dimostra anche il fatto che non si sa ancora se il negoziatiore dell'Ue, Robert Cuper, continuera' a svolgere la sua funzione nel dialogo tra Belgrado e Priština o si ritirera' a Mianmar, informa la Tanjug serba citando fonti bruxellesi.

L'idea di alzare il dialogo ad un livello piu' alto si e' potuta sentire pubblicamente dallo stesso presidente serbo Tomislav Nikolić il quale ha detto che ritiene necessario continuare il dialogo in futuro a livello di premier mentre ancora prima aveva detto che come presidente della Serbia e' pronto, se necessario, a guidare il processo personalmente. Ma una parte dell'opinione pubblica, incluso anche il capo negoziatore serbo Borislav Stefanović, ritiene che l'inclusione del presidente o del premier della Serbia nel dialogo di fatto significherebbe riconoscere l'indipendenza del Kosovo. Il professore delle scienze politiche serbo Predrag Simić, nelle ultime vicende vede un tentativo della comunita' internazionale di preparare lo scenario per il riconoscimento del Kosovo e in questo senso vede molto pericolosa l'idea che il dialogo sia guidato dal presidente o dal premier. “In tal caso si tratterebbe gia' di negoziati statali e di fatto si tratterebbe del riconoscimento del Kosovo in quanto stato indipendente”, afferma Simić. Secondo le sue parole, la Serbia si trova in un vuoto politico sin dall'inizio della campagna elettorale, soprattutto perche' non e' stato formato ancora un governo e perche' Belgrado non sa cosa vuole mentre Priština "consapevolmente e efficacemente" utilizza questo vuoto politico. Simić aggiunge che "in Serbia non esiste la coalizione governativa ed il governo, ma nemmeno qualcosa di simile ad una piattaforma politica di Belgrado. L'ultima di cui Belgrado dispone sono i quattro punti dell'ex presidente Boris Tadić". Simić aggiunge che andare in negoziati senza sapere chiaramente quello che Belgrado vuole ottenere e' controproducente.

Secondo Dušan Janjić bisognerebbe continuare il dialogo a livello tecnico per risolvere le questioni che riguardano energia e telecomunicazioni, nonche' contemporaneamente alzare il livello politico del dialogo in cui il ruolo di presidente o di premier sarebbe rigorosamente controllato in modo tale che la sua autorita' e funzione possano assicurare il consenso all'interno del governo e dello stato. Janjić si aspetta che dopo gli incontri ai margini del vertice di Rio, Nikolić proponga una piattaforma reale che si baserebbe sulla tutela delle capacita' economiche e delle risorse naturali della Serbia in Kosovo. E che anche Priština stia riflettendo sul cambiamento del formato dei colloqui, scrivono i media serbi, risulta dalla notizia che il premier Hashim Thaci avrebbe destituito la capo del team negoziale kosovaro, Edita Tahiri, il che secondo il giornale locale 'Koha ditore' significa la conclusione della fase tecnica del dialogo e l'annuncio dell'avvio di quella politica. Il fatto che questa informazione sia stata in seguito smentita non fa cambia la situazione, conclude B92, cioè che si stia preparando uno scenario per la nuova fase di ricerca di una soluzione della questione Kosovo.

[*] Il teso è tratto dalla corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi a Radio Radicale

KADARE: LE CIVILTA' BALCANICHE DEVONO CONVIVERE

Ismail Kadare
(da Wikipedia, Zurigo, autunno 2002)
Ismail Kadare, scrittore, poeta e saggista albanese, uno dei più importanti intellettuali europei, più volte candidato al Nobel nonché membro d'onore all'Accademia Francese, intervistato dalla rivista serba Nin, parla di temi molto delicati come la divisione tra serbi e albanesi e il perenne astio reciproco, la rabbia e il rancore, le amicizie e gli equivoci con gli scrittori serbi, le distorsioni della storia, e spiega perché a su giudizio la Serbia avrebbe dovuto essere la prima a riconoscere l’indipendenza del Kosovo.

Leggi la versione in italiano dell'intervista sul sito di Albania News


Dell'intervista a Ismail Kadare ha parlato anche Artur Nura su Radio Radicale nelle puntate di Passaggio a Sud Est del 7 giugno e del 28 giugno 2012

PASSAGGIO IN ONDA

E' on-line la puntata di Passaggio a Sud Est trasmessa oggi da Radio Radicale. La trasmissione è riascoltabile nella sezione "In Onda" del blog oppure, insieme a quelle precedenti, sul sito di Radio Radicale.


mercoledì 27 giugno 2012

SERBIA: DACIC PREPARA IL SUO GOVERNO

Il leader socialista serbo Ivica Dacic
Sono passati quasi due mesi dalle elezioni legislative del 6 maggio, ma la Serbia è ancora senza governo, mentre sembrerebbe farsi più concreta l'ipotesi di un accordo tra il Partito serbo del progresso (Sns) del neo presidente Tomislav Nikolic, e il Partito socialista (Sps) del già vicepremier Ivica Dacic, che così volterebbe le spalle al Partito democratico (Ds) dell'ex presidente Boris Tadic, stracciando l'alleanza siglata prima del secondo turno delle presidenziali che avrebbe permesso di rinnovare la coalizione che ha governato la Serbia negli ultimi anni. Secondo quanto scriveva ieri il quotidiano “Politika”, sarebbe già stato messo a punto lo schema del nuovo governo con il partito del presidente Nikolic pronto ad offrire al leader socialista il ruolo di premier. “Perché dovremmo essere qualcuno nel governo, quando potremmo guidarlo?”, è la domanda che si è posto lo stesso Dacic, citato dall'emittente B92. Il leader socialista ha però precisato che “non c'è ancora una decisione definitiva” sul patto siglato l'8 maggio con i Democratici. I quali a loro volta replicano che “i Socialisti hanno sostenuto un governo congiunto guidato da Boris Tadic e l'opinione pubblica deve sapere se quell'accordo è ancora valido”: una nota in cui si chiede chiarezza, ma che a più d'uno è parsa il preannuncio della resa.

La riproposizione di un governo basato sull'accordo tra Democratici e Socialisti era l'ipotesi più accreditata dopo il sostegno accordato dal Partito socialista alla rielezione di Tadic (in cambio, si diceva, della poltrona di premier a Dacic, forte dell'affermazione elettorale ottenuta il 6 maggio). La vittoria di Nikolic, a dispetto dei sondaggi, ha però cambiato le carte in tavola e anche le elezioni legislative potrebbero a questo punto riservare qualche sorpresa. Alla base dello sgretolamento dell'alleanza tra Socialisti e Democratici ci sarebbe la politica economica. In Serbia la crisi sta colpendo duro e ha portato alla diminuzione degli stipendi medi, scesi sotto i 400 euro al mese, mentre la disoccupazione è al 24%. Tadic vorrebbe proseguire sui binari seguiti in questi anni, con un'impostazione liberista aperta agli investitori stranieri. Dacic, invece, vorrebbe rivedere molte privatizzazioni compiute in questi anni (che in effetti sollevano diverse perplessità), e ridiscutere l'accordo con il Fondo monetario internazionale. La notizia è che all'accordo Partito del progresso-Partito socialista potrebbe aggiungersi l'Unione delle Regioni Serbe, partito minore guidato dall'economista liberale Mladjan Dinkic, in passato tradizionale alleato di Tadic, ma da tempo in rotta con il leader democratico.

Per dare vita al governo sembra che il partito del presidente Nikolic abbia fatto ampie offerte ai potenziali alleati: a Dacic andrebbe la carica di premier, mentre ai regionalisti di Dinkinc spetterebbe un numero consistente di posti nei dicasteri economici. Se così fosse i Democratici si troverebbero per la prima volta all'opposizione dall'epoca della caduta di Slobodan Milosevic nel 2000, mentre la vittoria di Nikolic alle presidenziali non sarebbe più “dimezzata” dalla coabitazione con un esecutivo di segno opposto. Il neo presidente vedrebbe così premiata la svolta moderata che, dopo la sconfitta alle presidenziali del 2008, lo portò a lasciare il Partito radicale serbo dell'ultranazionalista Vojislav Seselj (sotto processo all'Aja per crimini di guerra) per approdare a posizioni sì conservatrici e nazionaliste, ma più moderate e non contrarie all'integrazione nell'Ue. In ogni caso, la nascita del governo dipenderà unicamente da Ivica Dacic, vero ago della bilancia della politica serba. Secondo la Costituzione il limite è il cinque settembre prossimo e dunque il leader del Partito socialista ha ancora tempo per preparare con calma quello che in ogni caso sarà il “suo” governo. [RS]

martedì 26 giugno 2012

E IL FONDO MONETARIO ANDÒ IN VISITA A SARAJEVO…


di Luca Leone
Tra il 16 e il 19 maggio 2012 il Fondo monetario internazionale (Fmi), nella persona di Costas Christou, ha effettuato una missione in Bosnia Erzegovina per verificare le condizioni dell’economia bosniaca e per vedere se Sarajevo sta attuando le riforme richieste dal Fmi, che è creditore di qualcosa come 1,2 miliardi di dollari nei confronti del Paese balcanico.

In sintesi, Christou ha rilevato – e scritto nel suo rapporto – che la ripresa economica, avviata nel 2010, si è successivamente indebolita per effetto della crisi dell’Eurozona, che ha colpito negativamente le esportazioni e i flussi di capitale; la domanda interna di beni resta sottodimensionata, venendo ostacolata dalle dure misure fiscali, dalla stagnazione dei salari, dalla crescita del credito troppo lenta; il raffreddamento dell’economia ha portato a un rallentamento dell’inflazione; per il 2012 ci si attende un arresto della crescita e le prospettive del periodo successivo sono legate a quanto accadrà nell’Eurozona, in connessione alla debolezza insita nell’economia locale. Tuttavia, le misure fiscali restrittive hanno consentito di mantenere il deficit nei limiti del 3 per cento nel 2011, scendendo dal 4,2 per cento del 2010; il risultato è però dovuto a misure temporanee, che il Fmi invita a non adottare più. Buona notizia invece per il settore bancario, che ha reagito bene alla crisi finanziaria globale, tornando ai profitti del 2011.

Qualcuno ha spiegato – prima che partisse – a Christou lo stato dell’economia reale bosniaca?

Nel suo rapporto, Christou sottolinea non solo che le banche stanno bene ma anche che sta aumentando la prospettiva di credito ai privati, a cominciare dalle famiglie. Deve essere uno scherzo. Quale banca fa credito ai poveri in un Paese in cui – come Christou stesso ha scritto, la domanda interna è sottodimensionata e i salari sono stagnanti? Se le prospettive di credito s’incrementano per aumentare il benessere delle famiglie già ricche, siamo nella pura statistica e siamo d’accordo. Se invece vogliamo parlare di vita vissuta e reale, in Bosnia la gente fa la fame, se porti a casa 400 euro al mese sei fortunato e le banche applicano non di rado tassi d’interesse – sia ai privati che alle aziende – del 15 per cento e oltre (per noi nell’Eurozona sostanzialmente più che d’usura), per non parlare dei prelievi a sorpresa sui conti delle imprese e dei privati e del mutamento unilaterale delle condizioni di deposito e di credito.

Christou, insomma, è solo un burocrate che soppesa l’economia dal piano di una scrivania di mogano, lavorando per gli interessi dei suoi padroni, gli squali del Fmi, che non sono un’associazione benefica ma il top del neoliberismo planetario. Questo è quanto. E ora sarebbe interessante se Christou e i suoi capi bussassero alla porta di ogni bosniaco e gli dicessero: “Evviva! Sorridi! Il deficit del tuo ultracorrotto Paese è al 3 per cento e ora prepariamo la riforma del sistema sanitario”. Sistema sanitario al collasso, quasi interamente privatizzato e sclerotizzato dalla mancanza totale di investimenti, controllo anti corruzione e aggiornamento tecnico e professionale.

Christou e i suoi, come minimo, si beccherebbero un meritato “ma vai al diavolo!”…
E, personalmente, mi allineo…

Luca Leone è autore, tra gli altri, di “Bosnia Express”(©Infinito edizioni 2012)

IL MONTENEGRO APRE I NEGOZIATI CON L'UE MA RESTA SORVEGLIATO SPECIALE

L'Unione europea ha dato via libera all'apertura dei negoziati di adesione con il Montenegro, candidato all'Unione europea dal dicembre del 2010, ma Podgorica viene posta però sotto “sorveglianza speciale”. Il problema è lo stesso di un po' tutti i paesi dell'area balcanica: indipendenza del sistema giudiziario, corruzione, criminalità organizzata. Per sciogliere le riserve di alcuni Stati membri, è stato deciso che Europol dovrà monitorare la situazione del crimine organizzato nel paese: un contributo “che sarà preso in considerazione nei prossimi rapporti di valutazione”, si legge nel documento ufficiale.
I primi capitoli in discussione dovrebbero essere quelli relativi a giustizia e diritti fondamentali e, alla luce delle esperienze passate, Bruxelles ha annunciato che d'ora in poi “sarà applicato un nuovo approccio” con l'obiettivo di dare al paese candidato il massimo tempo possibile perché non solo adotti le norme necessarie a mettersi in linea con gli standard comunitari, ma perché possa raggiungere un adeguato livello di attuazione. La decisione del Consiglio Affari generali dell'Ue sarà ratificata dal Consiglio europeo che si riunisce giovedì e venerdì, e l'apertura ufficiale dei negoziati è prevista per il 29 giugno.

Dopo la Slovenia (membro dell'Ue dal 2004) e la Croazia (che entrerà il 1 luglio 2013), il Montenegro è il terzo Paese dell'area ex Jugoslava ad avviare i negoziati di adesione. La Macedonia è ufficialmente candidata dal 2005 ma l'apertura dei negoziati è bloccata dal veto greco a causa della irrisolta questione del nome ufficiale della repubblica ex jugoslava. La Serbia dovrebbe ottenere il via libera al Consiglio europeo di dicembre, sempre che nel frattempo ci siano sostanziali passi avanti sulla questione kosovara. La Bosnia Erzegovina per ora ha firmato nel 2008 l'Accordo di stabilizzazione e associazione, primo passo formale nel processo di adesione. Per il Kosovo, infine, questa prospettiva resta per il momento lontana, anche se Bruxelles potrebbe dare un “incoraggiamento” con l'abolizione dei visti.

Il fatto che il Montenegro sia posto sotto stretta sorveglianza su questioni importanti come diritti fondamentali e giustizia, indica che, dopo l'euforia del 2004 e dopo l'ingresso, forse un po' troppo affrettato di Bulgaria e Romania, la strada per l'integrazione si fa quindi sempre più ripida e sempre più faticosa, ma viene comunque confermata e indicata come prospettiva per tutti i Paesi europei che ancora non fanno parte dell'Unione. Tutto sta a vedere quale sarà il destino dell'Unione alla luce della attuale pesantissima crisi che rischia di far fallire il sogno dei “padri fondatori”.

lunedì 25 giugno 2012

GRECIA ED UNIONE EUROPEA: CHI HA BISOGNO DI CHI?

Foto Simon Dawson/Bloomberg
Nuova Democrazia ha vinto le elezioni del 17 giugno in Grecia. Nei giorni seguenti il leader di ND, Antonis Samaras, ricevuto l'incarico di formare il nuovo governo, ha dato vita ad un esecutivo di coalizione con il Pasok (socialisti), sostenuto da una maggioranza di cui fa parte anche Dimar (Sinistra Democratica).
Come promesso in campagna elettorale - anche se nelle sue primissime dichiarazioni dopo la vittoria Samaras se lo era "dimenticato" - il neo premier ha annunciato che Atene chiederà alla Unione Europa maggior tempo per far fronte agli impegni assunti con la firma del "memorandum" imposto da Ue, Bce e Fmi per concedere gli aiuti economici necessari a superare la crisi ed evitare la bancarotta della Grecia che potrebbe trascinare nella rovina l'euro e con esso tutta l'Unione. Ma è proprio vero che il futuro dell'Europa dipenda così tanto dalla Grecia?

Sul tema segnalo il commento di Francesco Martino di Osservatorio Balcani e Caucaso

Elezioni in Grecia: un po' di tempo in più


Di Francesco Martino segnalo anche la mia intervista per Radio Radicale sull'esito del voto del 17 giuno ed i suoi possibili sviluppi



venerdì 22 giugno 2012

LA SERBIA ANCORA SENZA UN GOVERNO

Di Marina Szikora [*]
Dalle elezioni politiche dello scorso 20 maggio, la Serbia manca ancora di un nuovo esecutivo. Sono invece sempre attuali le previsioni, speculazioni e lunghe trattative e la soluzione non e' ancora visibile. Settimana scorsa, a Novi Sad, il leader del Partito Socialista della Serbia, Ivica Dačić, ritenuto l'ago della bilancia in queste trattative, ha detto che attualmente esiste una 'confusione' intorno alla questione della formazione del governo della Serbia ma la colpa non e' del Partito Socialista bensi del Partito Democratico e del Partito del Progresso. "Perche' chiedete a me perche' non si forma il governo? Che sia formato senza di me, non m' importa. Perche' dovrei entrare nel governo in cui qualcuno domani mi dira' che bisogna accettare tutto quello che chiede l'Ue? Oppure, perche' dovrei entrare nel governo che dice che noi non possiamo nemmeno negoziare con l'Ue?" ha chiesto Dačić ai giornalisti a Novi Sad. Il leader dei socialisti serbi ha ripetuto che il partito Regioni Unite della Serbia e' inaccettabile per il Partito Democratico mentre dall'altra parte il Partito Socialista non vuole accettare che il terzo partner sia il Partito Liberaldemocratico e che dai liberali dipenda la maggioranza parlamentare.

Dačić non ha negato l'affermazione che Mosca stia facendo pressione su di lui a fin di formare il governo con il Partito del Progresso, valutando che ci sono pressioni anche dalle altre parti. Ha aggiunto che vuole veramente che l'opinione pubblica sia informata sinceramente delle trattative, ma che costantemente vengono fatte questioni relative alla formazione del governo all'indirizzo sbagliato perche' il Partito Socialista non e' quello che forma il governo. Dačić ha detto di "sapere esattamente" quali sono i prossimi passi da Bruxelles: "Dall'Ue diranno che dalla Serbia non si chiede di riconoscere il Kosovo ma che si chiede di aprire un ufficio della Serbia a Priština oppure che non si chiede alla Serbia di accettare l'indipendenza del Kosovo ma al Kosovo verra' attribuito un prefisso telefonico singolare" ha spiegato Dačić aggiungendo che queste sono le questioni sulle quali il futuro governo dovra' saper reagire e ha ammesso di essere nazionalista serbo "piaccia questo a qualcuno o no" e che su di lui nessuno puo' far pressione ne' da Londra, ne' da Washington ne' da Mosca. "Non mi interessano! Che formini il governo, che vadano al potere, io andro' all'opposizione e non mi importa. Colui che formera' il governo deve trovare la maggioranza parlamentare e poi si faccia vivo con me. Arrivederci" ha salutato Dačić i giornalisti rifiutandosi a rispondere alle altre domande.

Quindi, nemmeno dopo un mese e mezzo dalle elezioni parlamentari non si profila ancora un accordo tra i partiti parlamentari sul nuovo governo e ancor meno si sa chi sara' quello che lo formera'. Gli esperti economici avvertono pero' che sia indispensabile formare l'esecutivo al piu' presto e trovare la soluzione dei problemi sociali ed economici ardenti. Secondo le informazioni mediatiche quotidiane, risulta comunque che il nuovo governo potrebbe essere formato da "tutti con tutti". Va ricordato che il nuovo parlamento della Serbia e' stato costituito lo scorso 31 maggio con 250 deputati e il precedente governo svolge la funzione di governo tecnico, vale a dire ha una capacita' limitata fino alla formazione del nuovo esecutivo. La Costituzione serba prevede che il governo deve essere formato entro 90 giorni dopo la costituzione del parlamento. Se cio' fallisce, il parlamento viene sciolto e devono essere indotte nuove elezioni entro 60 giorni dal momento della loro indizione.

Secondo il quotidiano di Belgrado 'Blic', il Partito Socialista della Serbia di Ivica Dačić e le Regioni Unite della Serbia di Mlađan Dinkić avrebbero raggiunto un accordo di partecipare congiuntamente ai prossimi negoziati sulla formazione del governo e che oltre a Ivica Dačić, alle prossime riunioni con i lider del Partito Democratico di Boris Tadić ci sara' anche Dinkić. Questo, secondo il giornale serbo, sara' una pressione aggiuntiva verso Tadić. I socialisti di Dačić, non vogliono che il governo dipenda soltanto dal Partito Libaraldemocratico di Čedomir Jovanović per le posizioni ben note di questo partito sul Kosovo e sulla Republika Srpska. Facendo riferimento a fonti del Partito Democratico, il quotidiano serbo 'Danas' scrive che il Partito Democratico ha ancora 5 giorni per raggiungere l'accordo con i socialisti e con le Regioni Unite della Serbia, cioe' un accordo tra Tadić, Dačić e Dinkić sulle soluzioni programmatiche e nomine nel nuovo governo. Se questo accordo fallisce, Dačić e Dinkić si volteranno ufficialmente al Partito del Progresso poiche', secondo questo giornale, in negoziali informali avrebbero gia' accettato tutte le loro condizioni.

[*] Corrispondente di Radio Radicale. Il testo è tratto dalla corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda giovedì 21 giugno.

LA VISITA DI NIKOLIĆ A BRUXELLES

Che cosa si sono detti i vertici dell'Ue e il neo presidente serbo Tomislav Nikolić durante la sua prima visita ufficiale a Bruxelles il 14 giugno scorso? Sono stati in molti a chiederselo, sia in Serbia che nella regione balcanica.
Qui di seguito la corrispondenza di Marina Szikora per la puntata di Passaggioa a Sud Est andata in onda giovedì 21 giugno a Radio Radicale.

L'incntro tra Tomislav Nikolic e Catherine Ashton a Bruxelles
Come curiosita' del post-festum, cosi' dalle notizie, la responsabile della diplomazia europea Catherine Ashton, pochi minuti prima dell'incontro con Nikolić, pare non sapesse nemmeno che aspetto avesse il nuovo presidente serbo. Cosi', dicono i media, la Ashton doveva chiamare in aiuto Robert Cooper, mediatore nel dialogo tra Belgrado e Priština, ma nemmeno lui era a conoscenza dell'aspetto di Nikolić. Fortunatamente, nella grande confusione, uno dei collaboratori piu' stretti aveva almeno una foto di Nikolić per chiarire le cose. Secondo i media serbi si tratta di un'immagine della superficialita', della routine e dell'atteggiamento di superiorita' artificiale dei funzionari europei durante gli incontri bilaterali al piu' alto livello. L'ultima gaffe, registrata anche con una video camera, proseguono i media serbi, e' soltanto l'ennesimo di tutta una serie di esempi quotidiani relativi alla elite europea.
La domanda che si pone la B92 serba e' quanto la responsabile della diplomazia europea si stia occupando veramente della regione balcanica che formalmente a Bruxelles viene considerata una delle priorita' della politica estera dell'Ue. Ovvero: quanto davvero l'Ue proietta la sua politica estera verso i Balcani? Vi e' una strategia a lungo termine, oppure si tratta di mosse quotidiane al fine di provvedere a spegnere l'incendio? L'unica circostanza per alleggerire le cose sta nel fatto che il presidente Nikolić, la scorsa settimana si trovava per la sua prima visita ufficiale nel centro politico dell'Ue proprio con l'obiettivo che le due parti si possano conoscere direttamente e convincere l'un l'altra di avere visioni comuni, obiettivi simili e le migliori intenzioni, conclude B92.

C'e' da dire che il neo presidente serbo diceva di recarsi a Bruxelles "con molto ottimismo e con grandi ambizioni". A Belgrado e' tornato confermando quello che secondo gli analisti in Serbia e' un suo ottimo talento per il pragmatismo della real-politik. Sempre secondo alcuni media serbi, a differenza del suo predecessore, Boris Tadić, un politico emotivo facile agli entusiasmi, Nikolić e' il prototipo di un pragmatico. Lo si rispecchia nella sua dichiarazione, subito dopo l'incontro con Catherine Ashton in cui ha detto: "La Serbia non riconoscera' mai l'indipendenza del Kosovo, se cio' dipendera' da me". Giovedi' scorso pero', tutti i vertici europei, dal commissario all'Allargamento, Stefan Feule, alla Ashton, fino a José Barroso e a Herman Van Rampouy, hanno cercato di convincere il presidente serbo che la politica europea verso il Kosovo non cambiera' a causa di Nikolić. Lo stesso giorno, al governo del Kosovo e' stata inviata la road map per la liberalizzazione del regime di visti, quella stessa mappa che nel 2008 fu inviata agli altri paesi indipendenti dei Balcani occidentali, inclusa la Serbia. Secondo la B92, "niente di fondamentale accadra' sul piano della realizzazione delle giravolte retoriche del presidente serbo conosciute in vista delle recentissime elezioni. E soprattutto nulla potra' realizzarsi per quanto riguarda le grida retoriche quando Nikolić insieme all'imputato dell'Aja, Vojislav Šešelj, iniziava ad incamminarsi verso l'insediamento al palazzo presidenziale".
Adesso a Bruxelles, Nikolić, senza alcun problema, ha dichiarato che "non ci pensa nemmeno che possa esistere un futuro migliore per la Serbia che non sia quello dell'adesione all'Ue". Ma Stefan Feule, presente a nome dell'Ue alla cerimonia di insediamento a Belgrado, non ha mancato di sottolineare che "per la Serbia, nel suo cammino verso l'Ue, la priorita' chiave e' quella di raggiungere un avanzamento visibile e sostenibile nelle relazioni con il Kosovo".

giovedì 21 giugno 2012

PASSAGGIO IN ONDA

E' on-line la puntata di Passaggio a Sud Est trasmessa oggi da Radio Radicale. La trasmissione è riascoltabile nella sezione "In Onda" del blog oppure, insieme a quelle precedenti, sul sito di Radio Radicale.

martedì 19 giugno 2012

ELEZIONI IN GRECIA: LA FINE DI UN EPOCA

Il risultato del voto del 17 giugno non è un ribaltone ma segna sicuramente la fine di un'epoca nella politica greca: il Pasok (socialisti) paga le sue responsabilità per il sistema di potere corrotto e clientelare costruito dopo la fine della dittatura dei colonnelli ed è ormai marginale nel panorama politico, mentre Nea Dimokratia, che pure è egualmente corresponsabile dell'attuale crisi, ha saputo rinnovarsi almeno in parte. Ora però il nuovo governo dovrà riuscire dove hanno fallito i predecessori: rinegoziare il "memorandum" siglato con Ue, Bce e Fmi, come è stato promesso in campagna elettorale. Anche perché sicuramente gli atti dei politici e dell'esecutivo saranno da ora in poi strettamente controllati dall'opinione pubblica come non era mai accaduto in passato. La Grecia, anche in questo può essere un laboratorio per gli altri paesi europei e non solo stremati dalla crisi: banco di prova non solo delle misure imposte dai mercati, ma anche delle possibili alternative.
E' questa l'opinione di Dimitri Deliolanes, corrispondente dall'Italia della televisione nazionale greca e autore, tra l'altro di "Come la Grecia", libro uscito nel 2010, all'inizio quindi della crisi attuale, che facendo un parallelo tra la situazione greca e quella italiana, analizzava come una crisi economica è diventata una crisi di sistema, non solo nei due Paesi, ma in tutta Europa.

L'intervista è tratta dallo Speciale sulle elezioni del 17 giugno in Grecia andato in onda oggi a Radio Radicale. La registrazione è ascoltabile direttamente qui



ELEZIONI IN GRECIA: DALLO SCHIAFFONE AL RIBALTONE

Secondo Antonio Ferrari, editorialista del Corriere della Sera, il risultato del voto greco di domenica 17 giugno rappresenta un ribaltone rispetto a quello della consultazione del 6 maggio: il 30% degli elettori ha cambiato partito rispetto alle precedenti elezioni anticipate, sia Nuova Democrazia che Syriza hanno aumentato di molto i consensi, il Pasok è ai minimi storici e molti elettori hano votato ND "turandosi il naso" come una volta molti italiani facevano con la DC. La "grande paura" che ha accompagnato queste elezioni ha segnato la fine di un'epoca nella recente storia della Grecia. Ora, pur con tutte le responsabilità che pure i greci hanno per l'attuale situazione che stanno vivendo, resta la necessità di trovare una via di uscire da una crisi che potrebbe avere conseguenze gravissime.

L'intervista, tratta dallo Speciale di Radio Radicale dedicato alle elezioni del 17 giugno in Grecia andato in onda oggi, è riascoltabile qui




Leggi  qui l'editoriale di Antonio Ferrari sul Corriere della Sera del 18 giugno

ELEZIONI IN GRECIA: LA SVOLTA DEL 17 GIUGNO

Uno Speciale di Radio Radicale sulle elezioni del 17 giugno

L'esito del voto del 17 giugno, le sue conseguenze e gli scenari che si aprono ora in base ai risultati che hanno decretato la vittoria di Nea Demokratia, l'affermazione di Syriza e il ridimensionamento forse definitivo del Pasok (socialisti). Il nuovo quadro politico segna la fine di un epoca della recente storia greca e una svolta politica di grande portata. Resta da vedere quali saranno ora gli sviluppi in una situazione di pesantissima crisi economica e di tensioni sociali sempre pronte ad esplodere.. 
Intanto il nuovo governo - probabilmente una coalizione tra Nea Dimokratia, Pasok e Dimar (Sinistra democratica) - dovrà affrontare subito il nodo dei rapporti con l'Europa e con la Germania, a partire dal "memorandum" sottoscritto con la troika Ue-Bce-Fmi, che tutte le forze che sosterranno il nuovo esecutivo hanno promesso in campagna elettorale di voler rispettare, rinegoziandolo però nei modi e nei tempi.
Lo Speciale propone le opinioni e le analisi di Emma Bonino, sostenitrice della prospettiva federalista europea per uscire dalla crisi, del corrispondente dall'Italia della tv nazionale greca, Dimitri Deliolanes (autore del fortunato volume "Come la Grecia" uscito nel 2010), e dell'editorialista del Corriere della Sera, Antonio Ferrari. Da Atene, collegamenti con Elisabetta Casalotti, giornalista di Eleftherotypia e collaboratrice di Rai News, sugli ultimi sviluppi della formazione del governo, e con Gabriele Carracoy, collaboratore di Radioradicale.It.

Lo Speciale, andato in onda in diretta oggi alle 15, è riascoltabile direttamente qui oppure sul sito di Radio Radicale


domenica 17 giugno 2012

LA GRECIA AL VOTO: LE UNICHE CERTEZZE SONO LE INCOGNITE

Uno speciale di Radio Radicale in attesa dei risultati delle elezioni di oggi


La Grecia torna oggi di nuovo al voto quaranta giorni dopo le elezioni anticipate del 6 maggio che non hanno prodotto una maggioranza parlamentare capace di esprimere un governo. Una consultazione considerata decisiva per il futuro del Paese, ma anche gravida di conseguenze per i Paesi dell'eurozona e non solo. Non si tratta, come qualcuno ha scritto, di un referendum sull'euro o sull'Europa: tutti i principali partiti tranne, come da tradizione, i comunisti, sono favirevoli alla moneta unica e alla permanenza nell'Unione Europea. Ciò che è in discussione è il "memorandum" con cui la "troika" Ue-Bce-Fmi ha imposto le durissime misure economiche necessarie per ottenere gli aiuti internazionali necessari al salvataggio. i conservatori di Nea Demokratia e i socialisti del Pasok sostengono l'accordo, che del resto hanno sottoscritto, pur chiedendo una diversa modulazione. Syriza (il Coordinamento della sinistra radicale), dopo l'exploit del 6 maggio, che potrebbe ripetersi oggi, chiede invece l'azzeramento del memorandum e la sua completa rinegoziazione.
Sulla base degli ultimi sondaggi pubblicati due settimane fa e di che quelli che sono circolati "informalmente" in questi giorni, si prevede un testa a testa tra Nd e Syriza. Nessun partito, nemmeno con il premio di 50 seggi che spetta alla formazione che prendere più voti, potrà da solo avere la maggioranza. Difficile dunque al momento prevedere quale coalizione potrà esprimere un governo. Possibile, ma assolutamente disastroso sul piano politico ed economico, sarebbe anche un ritorno alle urne se non si troverà un accordo per il nuovo governo.
In attesa di conoscere l'esito del voto lo speciale andato in onda questa mattina a Radio Radicale fa il punto della situazione e riassume i motivi che hanno portato a queste elezioni con le opinioni di Antonio Ferrari, editorialista del Corriere della Sera, Pavlos Nerantzis, direttore del terzo canale della radio nazionale greca, e Georgia Manzi, giornalista e blogger. In collegamento da Atene Elisabetta Casalotti, giornalista di Eleftherotypia, e Francesco Martino, inviato di Osservatorio Balcani e Caucaso.

Ascolta qui la registrazione dello Speciale


venerdì 15 giugno 2012

SUCCESSO DELLA SERBIA ALL'ONU: JEREMIĆ ELETTO PRESIDENTE DELL'ASSEMBLEA GENERALE


Vuk Jeremic
di Marina Szikora [*]
La Serbia segna un'importante successo internazionale al Palazzo di vetro: Vuk Jeremić, da oltre cinque anni ministro degli Esteri, e' stato infatti eletto presidente della 67esima Assemblea generale delle Nazioni Unite. Dopo una votazione segreta, Jeremić ha ottenuto il sostegno di 99 paesi membri dell'Onu. Come primo tema del prossimo dibattito dell'Assemblea generale, Jeremić ha proposto "l'avvicinamento delle posizioni e la soluzione dei conflitti internazionali con mezzi pacifici". Non a caso, un tema molto soffisticato, che Jeremić ha giustificato con le esperienze della stessa Serbia, ritenendo che in base alle proprie esperienze, la Serbia puo' contribuire alla messa in atto di tutte le proposte accordate, soprattutto quelle che riguardano l'impedimento dei conflitti.

"Durante l'esame di questa questione cruciale, il prossimo settembre e dopo, non dimentichiamo che la pace non e' soltanto una semplice assenza di guerra" ha sottolineato Jeremić. Il capo della diplomazia serba ha ricordato, tra l'altro, che "durante gli ultimi anni, sotto la guida coraggiosa di Boris Tadić, la Serbia ha dato una mano di amicizia e di riconciliazione ai suoi vicini". "Una fase dolorosa oggi finalmente si sta concludendo. Il nostro paese si presenta al mondo di nuovo con la testa alta dopo che solo due decenni fa era escluso da questa famiglia" ha detto Jeremić nel suo discorso alle Nazioni Unite a seguito del voto, sottolineando la devozione della Serbia alla salvaguardia della pace e della sicurezza internazionale, il primo obiettivo dichiarato delle Nazioni Unite. Jeremić ha spiegato che nel suo paese il potere cambia in modo pacifico, in conformita' con lo stato di diritto.

Il neo presidente dell'Assemblea generale dell'Onu ha detto che il voto dello scorso venerdi' che lo ha eletto a questo prestigioso incarico, e' stato una specie di referendum sulla Serbia. Ha sottolineato che per la Serbia hanno votato alcuni stati membri dell'Ue molto influenti. E' stata una grande partita diplomatica in cui la Russia ha dato un forte sostegno alla Serbia ma questo non e' una sorpresa poiche' la Russia appoggia la Serbia in tutte le questioni all'Onu, ha spiegato il capo della diplomazia serba Jeremić.

L'agenzia di stampa Reuters ha osservato che la lotta per questo incarico ha incluso "affermazioni di minacce e mosse perfide simili a quelle dei tempi della guerra fredda". Lo sfidante di Jeremić, l'ambasciatore lituano Dalius Cekulis ha accusato la Russia di aver sollecitato il ministro serbo ad ostacolare la Lituania ad ottenere la presidenza dell'Assemblea generale e punire Vilnius per la sua posizione relativa alla seconda guerra mondiale: vale a dire che la liberazione della Lituania da Hitler e la sua annessione all'Unione Sovietica ha portato a questo paese baltico oltre quattro decenni di tirania. Ma a differenza del Consiglio di Sicurezza che puo' approvare risoluzioni giuridicamente vincolanti e introdurre sanzioni o interventi militari, l'Assemblea generale produce raccomandazioni che non hanno una forza giuridica, fa presente la Reuters.

Secondo la Russia invece, l'elezione del ministro degli esteri serbo e' una prova dell'autorevolezza della Serbia nelle relazioni internazionali nonche' delle qualita' professionali dello stesso Jeremić. In un comunicato, il ministero degli esteri russo ha espresso la speranza che "il neoeletto presidente dell'Assemblea generale dell'Onu contribuira' all'attivazione di questo organo, incluso il miglioramento dei metodi di lavoro dell'Assemblea nonche' il miglioramento dell'efficacia dell'organizzazione mondiale con l'obiettivo del suo adattamento alla realta' del mondo moderno”.

Tutto sommato, una notizia a cui è stata data molta importanza e e che è stata accolta con soddisfazione in Serbia. Non va dimenticato pero' che il capo della diplomazia serba e' una personalita' politica del governo uscente e l'elezione alla presidenze della prossima Assemblea generale delle Nazioni Unite e' una soluzione per il suo futuro politico immediato. Resta da vedere il profilo che assumerà la maggioranza che formerà il prossimo esecutivo in Serbia, molto atteso ma la cui composizione è ancora abbastanza incerta.

[*] Il testo è tratto dalla corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda giovedì 14 giugno a Radio Radicale

giovedì 14 giugno 2012

SERBIA: ALL'INSEDIAMENTO DI NIKOLIĆ GLI ASSENTI SI NOTANO PIU' DEI PRESENTI


Non sono piaciute le dichiarazioni del neo presidente su Srebrenica, Vukovar e “grande Serbia”

Tomislav Nikolic legge il suo discorso
durante la cerimionia di insediamento
di Marina Szikora [*]
Lunedi', 11 giugno, si e' svolta la tanto discussa inaugurazione del nuovo presidente della Serbia Tomislav Nikolić. Nel corso dell'inaugurazione Nikolić ha dichiarato che durante il suo mandato condurra' una politica di pace, stabilita' e collaborazione nel vicinato e che nell'interesse della Serbia collaborera' con tutti, sia quelli all'est che quelli all'occidente. Molti sono stati i partecipanti alla cerimonia solenne ma con l'assenza di quasi tutti i capi di stato della regione. Rivolgendosi ai presenti, Nikolić non ha mancato di sottolineare che non permettera' che le diverse vedute relative alle singole vicende del passato mettano a repentaglio il futuro comune: "Tutte le differenze ed i problemi risolveremo con mezzi pacifici e democratici, prima di tutto attraverso il dialogo. Proteggero' la costituzione, rispettero' e salvaguardero' l'unita' territoriale della Serbia e cerchero' di unire tutte le forze politiche del nostro paese a fin di stabilire ed attuare la politica comune verso il nostro Kosovo". Il neopresidente ha sottolineato anche che collaborera' con il futuro governo ma che vegliera' su ogni suo atto e se necessario lo critichera'. "Chiedero' e partecipero' io stesso nella ferma lotta contro la criminalita' e corruzione. Non mi calmero' finche' non sapro' tutto e finche' non saranno trovati i responsabili per la privatizzazione di saccheggio che e' stata effettuata in Serbia", ha inoltre promesso Nikolić dichiarando che sara' fedele alle sue promesse elettorali.

Il discorso ufficiale di Tomislav Nikolic
Come detto, assente il maggior numero dei capi di stato della regione, con l'eccezione del presidente del Montenegro Filip Vujanović e del leader dei serbi della Bosnia Erzegovina, il presidente della Republika Srpska Milorad Dodik. Il presidente del Partito socialista della Serbia Ivica Dačić ha valutato l'assenza dei presidenti dei paesi vicini come "un boicotto organizzato e una umiliazione verso la Serbia e non verso Nikolić poiche' e' stato il popolo della Serbia a decidere a favore di Nikolić come presidente e questo deve essere rispettato da tutti". Dačić ha rilevato che questo non e' nello spirito della riconciliazione e delle eurointegrazioni, che non conduce verso un progresso delle relazioni di buon vicinato. Secondo gli analisti, d'ora in poi, Nikolić verra' giudicato in base alle sue azioni e non secondo le parole pronunciate: per quanto riguarda l'esame su quello che aveva detto, eviderntemente e' gia' stato bocciato.

A nome della Commissione europea, a Belgrado c'era il commissario all'allargamento Stefan Fuele il quale ha ribadito l'appoggio dell'Unione alle integrazioni europee della Serbia e alle riforme necessarie su questo cammino. "L'Ue vi appoggera' e sara' il vostro maggiore alleato. Saremo accanto a voi e ai cittadini della Serbia" ha promesso l'eurocommissario aggiungendo che l'Ue spera ad una veloce formazione del nuovo governo serbo. Fuele ha salutato le promesse fatte da Nikolić relative alla continuita' delle istituzioni e ha altrettanto salutato la prima visita ufficiale del neopresidente a Bruxelles. Il commissario europeo ha osservato che l'Ue non ha richieste nascoste e che esaminera' innanzitutto l'avanzamento di Belgrado nel dialogo con Priština nonche' il proseguimento della normalizzazione dei rapporti.

[*] Il testo è tratto dalla corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi a Radio Radicale

PASSAGGIO IN ONDA

E' on-line la puntata di Passaggio a Sud Est trasmessa oggi da Radio Radicale. La trasmissione è riascoltabile nella sezione "In Onda" del blog oppure, insieme a quelle precedenti, sul sito di Radio Radicale.

martedì 12 giugno 2012

GRECIA: QUESTA CRISI E' UN'OCCASIONE SPRECATA

Un'intervista di Francesco Martino a Jason Manolopoulos per Osservatorio Balcani e Caucaso

La crisi, anche questa crisi così grave e dolorosa avrebbe potuto essere sfruttata per osare il cambiamento, ma così non è stato. E' mancato, e continua a mancare, un reale dibattito sulle cause dell'attuale situazione greca che ha tre radici: i problemi specifici del Paese, la debolezza dell'euro e la crisi globale. La vera preoccupazione dei greci resta il lavoro e solo i politici hanno fatto passare il voto del 17 giugno come un referendum sull'euro. Anche perché il destino del Paese è già stato deciso "di comune accordo con Bruxelles: a prescindere dai risultati elettorali, Atene uscirà dall'euro. Sarà un processo difficile, e avverrà in modo negoziato, visto che né l'UE né la Grecia sono pronti a questo passo. Lo dice Jason Manolopoulos, autore di "Greece’s ‘Odious’ Debt - The Looting of the Hellenic Republic by the Euro, the Political Elite and the Investment Community", saggio pubblicato lo scorso anno che propone un'analisi delle profonde radici politiche, sociali, e psicologiche del dissesto economico greco, oggi uno dei nodi più problematici della crisi globale partita nel 2008.

Nonostante la certezza dell'uscita dall'euro - "Forse ci vorrà ancora un anno, ma è inevitabile" - Manolopoulos resta convinto che la Grecia avrà ancora bisogno del progetto politico dell'Unione Europea, ma è vero anche il contrario perché "nessuno vuole uno stato fallito al centro del Mediterraneo, in una posizione geopolitica che resta di fondamentale importanza. La Russia non aspetta altro che un errore dell'Occidente per poterne approfittare in termini di influenza". D'altra parte anche una larga maggioranza di cittadini vorrebbe una vera trasformazione europea del Paese, ma non ha un partito che rappresenti questa istanza. E questo perché "la Grecia è ancora preda dei demoni del passato e non riesce a guardare al futuro. Così, "la campagna elettorale è stata un'occasione perduta di confronto vero sul futuro. Purtroppo, i cittadini greci non sono pronti a questa discussione, preferiscono cercare capri espiatori. Anche perché i media sono controllati dalla stessa élite politico-economica che ha portato il paese al disastro".


Leggi l'intervista di Francesco Martino sul sito di Osservatorio Balcani e Caucaso
Grecia, una crisi sprecata

Jason Manolopoulos è un operatore finaziario con una lunga esperienza internazionale oltre che co-fondatore e dirigente della Dromeus Capital

SERBIA: IL MANDATO DI NIKOLIC INIZIA IN SALITA

Ieri il neo presidente serbo, Tomislav Nikolic, si è insediato ufficialmente alla guida del suo Paese, ma la solennità del momento è stata offuscata dall'assenza della maggior parte dei presidenti dell'area ex jugoslava. Bosnia, Croazia, Macedonia e Slovenia hanno deciso di disertare la cerimonia dopo che Nikolic, in un'intervista ad un programma della tv montenegrina, aveva sostenuto che il massacro di Srebrenica, compiuto dalle truppe serbo-bosniache al comando di Ratko Mladic, “non fu un genocidio”. Un'assenza che assomiglia molto ad un boicottaggio, al quale non hanno aderito, invece, il presidente montenegrino Filip Vujanovic, ed il premier della Repubblica Srpska di Bosnia, Milorad Dodik. Per Nikolic un'inizio in salita, dunque, a tre settimane dal voto che, smentendo certe previsioni, lo ha visto prevalere sul presidente uscente Boris Tadic che aveva fatto della distensione con i Paesi vicini (in primis con la Croazia, Paese chiave della regione insieme alla Serbia) uno degli assi portanti della sua presidenza, con la benedizione di Bruxelles che pone la riconciliazione regionale come condizione essenziale per il processo di integrazione europea dei Balcani occidentali.

Le dichiarazioni su Srebrenica, come quelle su Vukovar, “città serba nella quale i croati non dovrebbero tornare” e quelle sul sogno della “grande Serbia” accantonato solo perché oggi i confini non possono essere modificati, sono stati altrettanti passi falsi ai quali, per dissipare la diffidenza internazionale, l'entourage di Nikolic ha cercato di rimediare con la solennità dei festeggiamenti, “inaugurati al suono dell'inno serbo e dell'inno dell'Unione europea”, e con la presenza a Belgrado di un ospite di riguardo come il Commissario europeo all'Allargamento, Stefan Fuele, che, prima della cerimonia di insediamento, ha avuto un faccia a faccia con il neo presidente. “Abbiamo parlato del processo di dialogo tra Belgrado e Pristina che dovrebbe porci nella condizione di risolvere il problema”, ha dichiarato Nikolic dopo il colloquio. Fuele è il primo alto rappresentante dell'Ue ad incontrare il presidente serbo dopo l'elezione e lo stesso presidente compirà la sua prima visita all'estero recandosi il 14 giugno a Bruxelles. Una scelta che non può essere casuale dopo le incaute parole di questi giorni.

L'ex presidente Tadic aveva centrato gran parte del suo mandato presidenziale sulla fine dell'isolamento con la prospettiva dell'integrazione europea (e nel 2008 prevalse su Nikolic anche grazie all'assist che gli fornì Bruxelles con lo sblocco dell'Accordo di stabilizzazione e associazione pochi giorni prima del voto). Dopo quella sconfitta Nikolic, negli ultimi anni, ha abbandonato le posizioni ultranazionaliste del passato, ha lasciato il Partito radicale serbo di Vojislav Seselj (di cui era stato a lungo il principale collaboratore) approdando a posizioni nazionaliste moderate con la fondazione del Partito serbo del progresso, favorevole all'adesione all'Ue, ma non fino al punto di rinunciare al Kosovo in nome del suo sogno europeo. Nei giorni scorsi Fuele, con un'intervista al quotidiano Vecernije Novosti, aveva voluto mandare un messaggio rassicurante confermando l'intenzione di Bruxelles di “proseguire le buone relazioni tra l'Ue e la Serbia”, ma i problemi restano e non sono pochi, complicati anche dal fatto che cinque Paesi membri dell'Ue continuano a non voler riconoscere l'indipendenza di Pristina.

In una conferenza stampa congiunta con il neo presidente, Fuele ha ribadito che il miglioramento delle relazioni con Pristina è la principale condizione da soddisfare se la Serbia vuole ottenere l'apertura i negoziati di adesione, aggiungendo di sentirsi “molto incoraggiato” dal colloquio avuto con Nikolic. Ieri, raccontano le cronache, gli ospiti internazionali della cerimonia di insediamento del nuovo presidente sono stati accolti con una rakija, la tipica grappa locale, prodotta in Sumadija, la regione centro meridionale della Serbia da dove proviene Tomislav Nikolic. Grappa che, chiamandosi “Tominu rakija” è stata già ribattezzata “grappa del presidente”. Il brindisi ha sicuramente contribuito a distendere il clima, ma non è certo riuscito anche a far digerire i problemi. Almeno per ora. [RS]

Il servizio di B92

sabato 9 giugno 2012

I GRECI E LA CRISI (E LE PROSSIME ELEZIONI)

Intervista a Georgia Manzi
Georgia Manzi, giornalista, scrittrice e blogger italiana che da 13 anni vive ad Atene, racconta a Radio Radicale la situazione della Grecia in crisi, ma soprattutto la situazione dei greci che si avviano senza nessuna fiducia e tra molte incognite alle elezioni anticipate del 17 giugno il cui esito è del tutto incerto.

Ascolta qui l'intervista




Il blog di Georgia Manzi




venerdì 8 giugno 2012

UNESCO: A MOSTAR UN VERTICE IN TONO MINORE

Oltre a quelli serbo e a quello croato, assenti anche i capi di Stato di Turchia, Romani, Bulgaria, Grecia e Slovenia

Di Marina Szikora [*]
Secondo i media croati, il vertice UNESCO a Mostar, doveva essere una riunione anche con foto di presidenti dei paesi dell'Europa sudorientale, in particolare dei capi di stato dei paesi dell'ex Jugoslavia. Croazia, Serbia, Montenegro e Bosnia Erzegovina, tutti insieme nel santuario cattolico di Međugorje, nel monastero ortodosso di Žitomislić e nel luogo di preghiera musulmana alle sorgenti di Buna a Blagaj. Ma dopo la vittoria di Tomislav Nikolić alle elezioni presidenziali in Serbia l'idea dell'incontro dei presidenti balcanici programmata dallo scorso settembre, e' fallita.

La ragione principale, scrivono i giornali croati, e' che il presidente croato Ivo Josipović non voleva partecipare ad un incontro in cui ci sarebbe stato presente anche Nikolić. Questa riunione doveva in effetti essere la manifestazione di collaborazione nella regione, invece, per i motivi ormai ben noti, e' diventata un segnale dell'attuale sviluppo di relazioni politiche in cui, almeno per adesso, non e' possibile questo tipo di riunione dei capi di stato della regione.

La riunione di cui si parla doveva essere il decimo vertice UNESCO dei capi di stato dei paesi dell'Europa sudorientale: il patrimonio religioso, culturale e storico come base per una collaborazione piu' intensa tra i paesi. Fino all'ultimo momento non e' stato cancellato nemmeno il volo presidenziale di Nikolic da Belgrado a Mostar, ma alla fine nemmeno Nikolić si e' presentato e la delegazione serba e' stata guidata dal ministro della cultura del governo tecnico, Predrag Marković. A nome di quella croata, c'era il vice della ministro per la cultura.

Alla riunione hanno preso parte anche il presidente della Macedonia,quello del Montenegro e il presidente di turno della presidenza tripartita della Bosnia Erzegovina. Oltre ai capi di stato della Serbia e della Croazia a Mostar erano assenti, per motivi diversi, anche i presidenti di Turchia, Romania, Bulgaria, Grecia e Slovenia.

Il vertice ha approvata una Dichiarazione sul patrimonio religioso e culturale-storico come base per rafforzare la collaborazione tra gli stati. Il presidente albanese Bamir Topi ha chiesto che i rappresentanti del Kosovo siano inclusi nelle attivita' UNESCO il che ha provocato reazioni da parte del ministro serbo per la cultura. Marković ha ricordato che esiste un accordo preciso relativo alla presenza del Kosovo alle riunioni internazionali dicendosi contrario alla proposta del presidente albanese.

[*] Corrispondente di Radio Radicale. Il testo è tratto dalla puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda il 7 giugno

giovedì 7 giugno 2012

GRECIA: PICCOLI NAZISTI MENANO (IN DIRETTA TV)

Ilias Kasidiaris
Ilias Kasidiaris, portavoce e deputato di “Alba dorata”, il partito neonazista greco che con poco meno del 7% dei voti ha conquistato una rappresentanza parlamentare alle recenti elezioni anticipate del 6 maggio, ha aggredito due colleghe della sinistra durante un dibattito televisivo andato in onda in diretta sull'emittente Ant1. L'atmosfera si è surriscaldata sulla questione della gestione delle riserve petrolifere situate nel Mediterraneo a sud dell'isola di Creta. In particolare Kasidiaris stava polemizzando duramente con Liana Kanelli del Partito comunista. A far scattare l'aggressione è stata la deputata di Syriza, Rena Dourou, che ha ricordato il processo che vede l'esponente di “Alba dorata” imputato per complicità in una rapina a mano armata risalente al 2007.

Kasidiaris ha prima lanciato un bicchiere d’acqua in faccia alla parlamentare di Syrixa, poi si è scagliato contro Liana Kanelli, che si era alzata per protestare, colpendola con schiaffi e pugni in faccia. Il conduttore è immediatamente intervenuto e la trasmissione è stata interrotta, ma secondo quanto afferma il quotidiano Ekathimerini, citando testimoni oculari, l’aggressione è continuata. Kasidiaris ha quindi lasciato gli studi televisivi: un giornalista dell'emittente ha raccontato che alcune persone hanno cercato di bloccarlo, ma inutilmente. Secondo una fonte giudiziaria la procura di Atene ha ordinato il suo arresto.

Dopo il successo del 6 maggio scorso, “Alba Dorata” potrebbe restare in parlamento anche alla prossima tornata elettorale: gli ultimi sondaggi pubblicati prima del silenzio imposto dalla legge attribuivano ai neonazisti circa il 4% delle intenzioni di voto, un dato in calo rispetto ad un mese fa ma sufficiente a superare la soglia di sbarramento fissata al 3%.

SERBIA: NIKOLIĆ PRESTA GIURAMENTO ED E' SUBITO POLEMICA


In Serbia proseguono le trattative per lsa formazione del nuovo governo dopo le recenti elezioni. Mentre non è ancora chiaro a chi affiderà l'incarico di formare l'esecutivo, come ha riportato l'emittente B92, il neo presidente Tomislav Nikolic ha incontrato il primate della chiesa ortodossa serba per avere consigli e benedizioni. Dopo un lungo incontro con il patriarca Irinej, Nikolić ha espresso speranza che questa sia l'ultima settimana in cui "la Serbia perde tempo" e che molto presto potra' affidare il mandato a quelli che assicureranno di poter formare il governo. Il neo presidente ha spiegato ai giornalisti di aver chiesto benedizione e consiglio in tempi difficili al patriarca. Intanto, però, fanno discutere e suscitano preoccupazioni le dichiarazioni di Nikolic su Srebrenica, Vukovar e sui sogni di "Grande Serbia" mai abbandonati dal neo presidente.

Qui di seguito la corrispondenza di Marina Szikora per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi a Radio Radicale.

Tomislav Nikolic
"Lottero' per una Serbia che sara' membro a pari diritti dell'Ue e che mai rinunciera' alla sovranita' ed integrita' territoriale del suo Kosovo e Metohija": queste le parole pronunciate dal neo presidente della Serbia, Tomislav Nikolić, nel suo primo discorso dopo aver prestato giuramento alla riunione solenne del Parlamento serbo lo scorso giovedi'. Nikolić ha rilevato che la Serbia la vede come una casa con due porte, girata verso l'occidente e l' oriente. "Venti anni sono stato all'opposizione e spesso sono stato vittima dell'ingiustizia. Per questo non smettero' di lottare affinche' la Serbia diventi uno stato di diritto e giusto, libero dalla criminalita' organizzata e dalla corruzione", ha aggiunto il neoeletto presidente avvertendo che il suo paese e' devastato dalla crisi e che i suoi cittadini hanno perso fiducia nelle istituzioni, valutando inoltre che la riforma della giustizia e' stata condotta secondo gli interessi di partito e che i media vengono controllati dai partiti politici, con la conseguenza della persecuzione di quei cittadini indicati come avversari politici.

"Una privatizzazione irresponsabile, saccheggio di proprieta' del popolo, corruzione e criminalita' hanno prodotto insicurezza presso i cittadini e sfiducia nelle istituzioni" ha accusato Nikolić. Per questo motivo, ha detto di voler una Serbia diversa, finalmente unita nella lotta per una vita migliore, una Serbia libera dalla paura del domani. Cosi' e' iniziato anche ufficialmente il mandato di cinque anni del nuovo presidente della Serbia eletto al ballottaggio, nella sfida contro Boris Tadić, lo scorso 20 maggio. Davanti al palazzo del Parlamento popolare, Nikolić e' stato salutato da una folla di circa 3.000 simpatizzanti, gli stessi che pero' hanno scandito "ladri, ladri!" all'arrivo dell'ex presidente Boris Tadić, presidente del Partito Democratico e a Čedomir Jovanović, leader del Partito liberaldemocratico. Similmente e' stato accolto anche l'ex premier Mirko Cvetković e alcuni altri ministri del governo uscente mentre gli applausi sono andati perfino all'ex premier Vojislav Koštunica, sostenitore di Tomislav Nikolić ma forte avversario dell'ingresso della Serbia nell'Ue.

La cerimonia di insediamento del nuovo presidente e' fissata per il prossimo 11 giugno. E su questo non mancano temi e polemiche soprattutto nella regione. Dopo che e' stata resa pubblica una intervista al prestigioso giornale tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung, rilasciata ancora prima delle elezioni, in cui Nikolić ha confermato che il progetto della “Grande Serbia” e' il suo sogno non realizzato, che oggi rispetta i confini internazionalmente riconosciuti della Croazia, ma che i croati non hanno motivo per tornare a Vukovar "poiche' questa e' stata una citta' serba", si e' alzata molta polvere nella vicina Croazia e queste dichiarazioni sono state giudicate scandalose. Motivo questo per una sempre piu' probabile assenza del presidente croato Ivo Jospović all'inaugurazione di Nikolić. E dopo che le dichiarazioni di Nikolić su Vukovar hanno suscitato perplessita' sulla futura collaborazione tra Croazia e Serbia, compromettendo i buoni rapporti stabiliti in questi anni dai due presidenti, Boris Tadić e Ivo Josipović, arriva un'altra doccia fredda, questa volta sul conto della Bosnia Erzegovina.

Lo stesso giorno in cui Nikolić ha assunto ufficialmente l'incarico di presidente, ha affermato che non si rechera' a Srebrenica come il suo predecessore poiche' a Srebrenica non e' stato commesso un genocidio contro i bosgnacchi. E' seguita subito la replica della presidenza tripartita della Bosnia in cui si dice che questa dichiarazione e' falsa e umiliante per i bosgnacchi, innanzitutto per le vittime sopravvissute di Srebrenica. "Se il presidente della Serbia Boris Tadić e' stato a Srebrenica e ha condannato il crimine, se il parlamento della Serbia ha condannato il crimine di Srebrenica, perche' dovrei continuare a riscaldare questa questione", si e' cheisto Nikolić in una intervista alla televisione del Montenegro, aggiungendo che "a Srebrenica non vi e' stato il genocidio. A Srebrenica e' stato commesso un grande crimine da parte di alcuni membri del popolo serbo che devono essere ritrovati, portati davanti alla giustizia e puniti". In questo modo, il neo presidente serbo ha ignorato la qualifica di genocidio da parte del Tribunale dell'Aja e della Corte internazionale di giustizia relativa ai crimini commessi a Srebrenica.

L'esponente bosgnacco della presidenza tripartita della Bosnia, Bakir Izetbegović, ha avvertito che le dichiarazioni di Nikolić minacciano seriamente la credibilita' della sua retorica proeuropea e le sue dichiarazioni di impegno per relazioni corette nella regione e collaborazione tra i paesi vicini. "La negazione del genocidio di Srebrenica stabilito dall'ICTY non e' la via di collaborazione e rinnovamento di fiducia, bensi' proprio il contrario, la fonte di nuove incomprensioni e tensioni. Con le dichiarazioni su Vukovar come 'citta' serba' e affermazioni esplicite che a Srebrenica non e' stato commessio il genocidio, Nikolić, purtroppo, dimostra che non e' ancora pronto ad affrontare la verita' sulle vicende del vicino passato", ha detto Bakir Izetbegović aggiungendo che proprio affrontare la verita' sui crimini commessi in Bosnia Erzegovina da parte dei leader serbi e della nazione serba e' la via per migliorare le relazioni e creare le possibilita' per il futuro della regione, soprattutto per quanto riguarda i rapporti tra Serbia e Bosnia, affinche' siano migliori rispetto al brutto passato.

Ma sono stati soltanto i bosgnacchi a reagire alle dichiarazioni di Nikolić. "L'Ue rigetta fortemente qualsiasi intenzione di revisione storica e la negazione dei fatti che il massacro di Srebrenica nel luglio 1995 sia stato un genocidio e crimine contro l'umanita' cosi' come confermato dal Tribunale che giudica i crimini in ex Jugoslavia e dalla Corte internazionale di giustizia. Non dovremmo mai dimenticarlo ne' permettere che questo si ripeta", ha detto Pia Ahrenkilde Hausen, portavoce della Commissione europea. Hausen ha rilevato che l'Ue su questo ha posizioni molto chiare ed e' pronta ripeterlo ogni qualvolta lo sia necessario. La portavoce della Commissione ha aggiunto che si parlera' della riconciliazione nella regione durante la visita ufficiale del neopresidente serbo il prossimo 14 giugno a Bruxelles quando dovra' incontrare tutti i vertici dell'Ue. Secondo le fonti diplomatiche citate dai media l'Ue si aspetta una riunione abbastanza difficile e si sottolinea che a Nikolić verra' detto chiaramente che ogni sua mossa verra' seguita con attenzione e che la partecipazione della Serbia nelle integrazioni europee dipendera' dal suo comportamento.

Anche il deputato italiano Pietro Marcenaro, membro dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, ha espresso preoccupazioni per le posizioni di Nikolić relative al genocidio di Srebrenica. Negando il genocidio di Srebrenica del 1995, Nikolić ha gettato un'ombra sulla funzione del presidente, e' dell'opinione Marcenaro affermando che il riconoscimento di responsabilita' di tutte le parti nella guerra che aveva distrutto il territorio dell'ex Jugoslavia tra il 1991 e 1995 e' la precondizione di riconciliazione. In quanto presidente della Commissione delle questioni politiche e democrazia del PACeE, ed ex relatore per la riconciliazione e dialogo politico tra i paesi dell'ex Jugoslavia, Marcenaro ha ricordato che la comunita' internazionale aveva salutato la risoluzione che condanna il massacro di Srebrenica e le scuse della Serbia per non aver fatto di piu' affinche' fosse evitata questa tragedia approvata dal parlamento serbo due anni fa come un gesto importante sulla via verso la piena riconciliazione. Il passo indietro odierno, afferma il rappresentante del CoE, puo' soltanto provocare maggiori tensioni nella regione e mettere a repentaglio la via della Serbia verso le piene integrazioni europee.