domenica 31 luglio 2011

D'AVANZO: FECE CONOSCERE AGLI ITALIANI L'AFFAIRE TELEKOM SERBIA

Giuseppe D'Avanzo ebbe il merito di far conoscere agli italiani l'affaire Telekom Serbia e di indicare a procura Torino e Commissione parlamentare la via delle rogatorie internazionali per verificare le società off-shore di Milosevic a Cipro

Di Giulio Manfredi [*]
Giustamente "La Repubblica" e altri giornali ricordano oggi uno dei grandi meriti giornalistici di Giuseppe D'Avanzo (con Carlo Bonini): quello di aver fatto conoscere a tutti gli italiani, con un'inchiesta aperta il 16 febbraio 2001, l'affaire Telekom Serbia, ovvero l'acquisto per 456 milioni di euro del 29% dell'azienda Telekom Serbia da parte di Telecom Italia, il 10 giugno 1997 (all'epoca Telecom Italia era ancora nelle mani del Ministro del Tesoro, Carlo Azeglio Ciampi); ovvero un affare solo per Slobodan Milosevic, che si servì dei soldi dei contribuenti italiani per rinsaldare il proprio traballante potere; quando nel dicembre 2002 Marco Tronchetti Provera rivenderà ai serbi la partecipazione, perderà 500 miliardi di lire.

Vorrei aggiungere che Giuseppe D'Avanzo (con Carlo Bonini) ha avuto anche il merito di indicare la pista giusta da seguire per scoprire dove finirono i soldi dei contribuenti italiani. Esattamente otto anni fa, in un pezzo su "La Repubblica" del 4 luglio 2003, D'Avanzo/Bonini scrivevano, criticando la commissione parlamentare d'inchiesta che non aveva occhi se non per Igor Marini: "La commissione ha preferito far lievitare nel sospetto le rivelazioni di personaggi oscuri senza acchiappare una sola risposta alle domande dell'affaire. Era davvero così arduo ottenere, in un anno, qualche brandello di verità, magari nuovendo con prontezza le rogatorie internazionali, avviate soltanto nelle ultime settimane di lavoro? Per dirne una, era possibile seguire il denaro finito nei conti dei mediatori o nelle casse delle società off-shore di Slobo e ricostruire così, almeno parzialmente, la mappa dei beneficiari dell'acquisizione?".

E più avanti D'Avanzo/Bonini citano l'accurato "Rapporto Torkildsen", dal nome dell'analista norvegese che lo redasse per conto del Tribunale Penale dell'Aja, che offre una precisa descrizione del meccanismo di finanziamento creato da Milosevic a Cipro. Il "Rapporto Torkildsen" fu consegnato dai radicali sia alla Procura della Repubblica di Torino sia alla Commissione parlamentare d'inchiesta su Telekom Serbia; il "Rapporto" è disponibile sui siti radicali. Nè la Procura nè la Commissione fecero indagini sul campo a Cipro.

Qualche giornalista prenderà il testimone lasciato da Giuseppe D'Avanzo e tenterà di continuare la sua opera di indagine, senza guardare in faccia nessuno?

[*] Vice-presidente del Comitato nazionale di Radicali Italiani e autore del libro "Telekom Serbia: Presidente Ciampi nulla da dichiarare? - Diario ragionato del caso dal 1994 al 2003” (Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri, 2003)

venerdì 29 luglio 2011

LA NUOVA CRISI TRA KOSOVO E SERBIA

Intervista a Matteo Tacconi
La crisi di questi giorni in Kosovo è stata causata dal tentativo di Pristina di forzare la situazione e saggiare la capacità di imporre la propria autorità sul nord del territorio, dove i serbi sono maggioranza, si rifiutano ostinatamente di arrendersi alla realtà dell'indipendenza proclamata dagli albanesi e hanno costruito istituzioni parallele che non riconoscono altro governo che quello di Belgrado.
La reazione violenta dei serbp-kosovari potrebbe però essere anche diretta proprio contro il governo serbo che in pochi mesi ha consegnato al Tribunale internazionale gli ultimi due super-ricercati per crimini di guerra e ha avviato negoziati tecnici con la controparte albanese, mettendo da parte per ora, con lungimiranza e realismo, la questione dello "status". Proprio l'atteggiamento pragmatico mostrato da Belgrado potrebbe aver indotto nei serbo-kosovari la sensazione di essere stati abbandonati dalla madrepatria spingendoli a reagire con durezza alla provocazione degli albanesi.
Come si può dare una prospettiva di soluzione ad una situazione in cui le opposte intransigenze bloccano qualunque compromesso? Non con le alchimie politico-diplomatiche, ma piuttosto con l'economia. Affrontando i problemi pratici della popolazione, come i negoziati tecnici tra Belgrado e Pristina hanno cominciato a fare. Dando un futuro ad una terra, il Kosovo, totalmente in mano alle mafie politiche e criminali, da una parte, e, dall'altra, avviando concretamente il processo di integrazione europea della Serbia.
 
Questo, in estrema sintesi, il contenuto dell'intervista a Matteo Tacconi per Radio Radicale.
Giornalista esperto di Europa centro-orientale e Balcani, Matteo è autore, tra l'altro, di Kosovo: la storia, la guerra, il futuro (Castelvecchi, 2008) e curatore del blog Radio Europa Unita.


Ascolta qui l'intervista a Matteo Tacconi

TENSIONE SEMPRE ALTISSIMA IN KOSOVO

La Kfor prende il controllo dei posti di frontiera: i militari autorizzati all'uso della forza. I serbi accusano Nato ed Eulex di parteggiare per Pristina. Belgrado protesta per l'esclusione del suo ministro degli Esteri dalla riunione del Consiglio di sicurezza. Da Tirana il premier albanese Berisha parla di "spettri della Grande Serbia". Due agricoltori serbi sarebbero stati picchiati dalla polizia nel sud del Kosovo.

Kosovo: barricate erette dai serbi a Zubin Potok
(Foto Tatjana Lazarevic/Osservatorio Balcani e Caucaso)
Resta tesissima la situazione al confine tra Serbia e Kosovo dopo i gravi incidenti di mercoledì quando un gruppo di persone, quasi certamente giovani estremisti serbi, ha incendiato e distrutto il valico di confine di Jarinje, dopo che gli incidenti, costati la vita ad un poliziotto kosovaro, che avevano accompagnato la decisione del governo di Pristina di inviare unità speciali della polizia per ribadire la propria sovranità nella zona a maggioranza serba e rimasta fedele a Belgrado. Gli attivisti serbi continuano a mantenere i blocchi realizzati con camion, trattori, tronchi d'albero, copertoni e oggetti vari sulle due principali arterie stradali che conducono verso la frontiera con la Serbia. Il blocco della strade continua malgrado il suo smantellamento sia stato richiesto ieri dal comando della Kfor e dal vertice della missione civile europea Eulex e dopo che un accordo in tal senso era stato raggiunto tra le parti con la mediazione della Kfor.

Gli attivisti serbi accusano però proprio Nato ed Eulex di parteggiare con il governo di Pristina che ha deciso di imporre il suo controllo sui due posti di confine con la Serbia per far rispettare l'embargo contro le merci provenienti da Belgrado. Il comandante Kfor, Erhard Buehle, che continua ad avere incontri con le parti, ha confermato che i due valichi di confine al centro della disputa, sono stati dichiarati "zona militare interdetta": nessuno, se non autorizzato, può attraversare o sostare nell'area circostanza ed i militari sono autorizzati all'impegno di forza letale e delle loro armi per difendere se stessi, la popolazione, le proprietà e l'area sotto controllo. "Le regole di ingaggio sono molto chiare", ha dichiarato Buhele a scanso di equivoci. Secondo i rappresentanti del governo serbo, con questa decisione la Kfor è andata però oltre il suo mandato “e sta chiaramente aiutando la creazione dello stato indipendente del Kosovo", come ha riferito da Borko Stefanovic, capo del team negoziale di Belgrado con Pristina. Stefanovic ha ribadito l'invito ai cittadini serbi del nord del Kosovo"a mantenersi calmi e non cedere alle provocazioni".

La nuova crisi in Kosovo è stata affrontata ieri dal Consiglio di Sicurezza dell'Onu. Era stata la stessa Serbia a chiedere una riunione di emergenza, ma, secondo quanto riferito dal ministro degli Esteri di Belgrado, Vuk Jeremic, precipitatosi a New York, alla Tv nazionale serba, "tre membri permanenti del Consiglio di sicurezza sono ricorsi al loro diritto di veto per impedire alla Serbia di prendere parte alle consultazioni". Secondo Jeremic, ciò è stato necessario per “nascondere al pubblico internazionale le verità sugli eventi in Kosovo: chi ha ordinato il dispiegamento delle unità albanesi paramilitari, chi era a conoscenza di questo, chi ha incoraggiato questa operazione, perché Eulex ha lasciato il nord della provincia e perché vengono permesse azioni unilaterali”. Tutte domande, ha proseguito il ministro serbo, “che andavano poste e che non è stato concesso di porre". Nelle prossime ore il governo di Belgrado dovrebbe riunirsi per affrontare la situazione, mentre il parlamento di Pristina, riunito ieri di urgenza, ha già adottato un provvedimento che autorizza il governo a "ristabilire ordine e legge in tutto il Pese".

In questo clima rovente non contribuiscono certo ad abbassare la temperatura le dichiarazioni con cui il primo ministro albanese, Sali Berisha, in una conferenza stampa ha condannato quelli che ha definito “atti criminali delle falangi di sostenitori della Grande Serbia, sostenuti, ispirati e finanziati da ambienti ultranazionalisti di Belgrado". Secondo Berisha “lo spettro della Grande Serbia continua ancora a tutt'oggi a minacciare la pace e la stabilità nella regione", mentre il governo albanese "sostiene pienamente le autorità e il popolo del Kosovo, la KFOR e le autorità internazionali nel Kosovo nella loro determinazione a garantire l'ordine costituzionale, l'integrità territoriale, il rispetto delle leggi e della Costituzione".

A ulteriore dimostrazione della estrema delicatezza della situazione e dei rischi di una sua degenerazione violenta, ieri è arrivata la notizia di un nuovo episodio di violenza interetnica che sarebbe avvenuto nella parte meridionale del Kosovo, nella località di Strpce. Secondo quanto ha riferito l'emittente belgradese B92, che ha citato a sua volta una radio locale (Radio Klokot), "dei membri della unità speciale 'Rosu' della polizia kosovara, hanno aggredito e maltrattato due serbi". In base alla ricostruzione, due agricoltori serbi, che si stavano dirigendo in auto al mercato di Strpce, hanno riferito di essere stati fermati dagli uomini dell'unità speciale “Rosu” della polizia kosovara che li avrebbero "brutalmente picchiati” per costringerli a rimuovere dall'auto la vecchia targa serba, non più riconosciuta dalle autorità di Pristina. La polizia kosovara però non ha confermato l'episodio dichiarando che esso "non risulta essere registrato".

giovedì 28 luglio 2011

KOSOVO AD ALTISSIMA TENSIONE

Nuovi incidenti nella notte al confine con la Serbia. Attaccato un check-point e una base Kfor. Ue condanna le violenze e richiama Belgrado e Pristina alle loro responsabilità. Oggi riunione del Consiglio di sicurezza.

L'attacco al check-point di Larinje (Euronews)
Non accenna a diminuire la tensione nel nord del Kosovo, lungo la frontiera con la Serbia, dove ieri sera un gruppo di estremisti serbi ha dato alle fiamme il posto di confine di Jarinje. La situazione continua ad essere incerta. Un'ora dopo mezzanotte a Jarinje sono arrivati i pompieri di Leposavići per domare l'incendio e riparare i danni, mentre un denso fumo si levava dalle costruzioni attaccate. Otre ai pompieri sono intervenuti anche uomini del contingente americano della Kfor, come ha dichiarato il portavoce della Kfor, Hans Ditter Wichter. Secondo le informazioni, le decine di giovani serbi che a volto coperto hanno attaccato il check point, successivamente hanno attaccato anche una vicina base della Kfor, lanciando bombe molotov e sparando colpi di arma da fuoco e costringendo i militari a rispondere con colpi in aria. Gli estremisti hanno anche aggredito due operatori dell'agenzia di stampa serba Tanjug. Al momento, il check point si trova sotto l'esclusivo controllo delle truppe Nato, in base all'accordo raggiunto nella notte nella riunione tra il comandante della Kfor, Erhard Biller, e i rappresentanti del governo serbo, Goran Bogdanović e Borislav Stafanović. La Kfor manterrà il controllo soprattutto per ostacolare il contrabbando di armi. Secondo il portavoce della Kfor, al confine di Brnjak insieme agli uomini del contingente Nato, ci saranno anche agenti della polizia kosovara.

Secondo Borislav Stefanović, “nonostante la situazione spiacevole provocata dall'incendio di Jarinje da parte degli estremisti, ci sono forti garanzie che non ci sarà alcuna invasione delle unità speciali della polizia kosovara e che non ci saranno tentativi di portare funzionari albanesi al confine amministrativo”. Nella giornata odierna, ha affermato ancora Stefanović, verranno concordati ancora alcuni dettagli poiché per i serbi “è accettabile tutto tranne la situazione di tre giorni fa”. Il ministro serbo per il Kosovo e Metohija, Goran Bogdanović, dopo l'accordo con il comandante della Kfor, Erhard Biller, ha dichiarato di sperare in una soluzione positiva della crisi provocata dal tentativo delle unità speciali kosovare di occupare il confine amministrativo al nord del Kosovo. “Continuiamo i colloqui. Parleremo anche della frontiera di Brnjak. Speriamo nella soluzione migliore che soddisfi gli interessi dei cittadini del nord del Kosovo”, ha detto Bogdanović.

I gravi incidenti di ieri sera sono arrivati dopo tre giorni di forti tensioni seguite alla decisione del governo kosovaro di inviare unità speciali della polizia nei territori a maggioranza serba per rafforzare l'embargo imposto la scorsa settimana alle merci serbe, come ritorsione a quello che Belgrado applica ai beni kosovari dall'indipendenza del 2008. Le violenze sono state però duramente condannate dal presidente serbo Boris Tadic che ha accusato “gli estremisti e gli hooligans” di agire “contro gli interessi dei cittadini serbi e della Serbia”. Anche l'Ue giudica “inaccettabili e intollerabili” le violenze scoppiate alla frontiera con la Serbia ed esorta le parti a porvi fine “senza indugio”. Una forte condanna della violenza è arrivata ieri in tarda serata dal capo della diplomazia europea Catherine Ashton, che ha parlato al telefono con il presidente serbo Tadic e con il premier kosovaro Hashim Thaci, richiamandoli alle loro "responsabilità". La nuova emergenza in Kosovo sarà oggetto anche di una riunione straordinaria e a porte chiuse del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. [RS]


Con la collaborazione di Marina Szikora

KOSOVO: LA SERBIA NON FARA' LA GUERRA

Qui di seguito la corrispondenza di Marina Szikora sulla nuova crisi tra Serbia e Kosovo, per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda il 28 luglio a Radio Radicale

Militari Kfor al confine tra
Kosovo e Serbia in una foto
di repertorio (da Der Spiegel)
"La Serbia non fara' guerra" cosi' il presidente della Serbia Boris Tadić richiama alla ragionevolezza e alla calma a proposito dell'azione della polizia kosovara sulla linea amministrativa invocando una soluzione diplomatica del nuovo problema che minaccia seriamente la tregua tra il Kosovo e la Serbia. Pero', al tempo stesso, Tadić ha qualificato del tutto inaccettabile l'azione delle forze speciali della polizia del Kosovo al nord del paese, avvertendo che un qualsiasi unilateralismo minaccia di far crollare pienamente il dialogo tra Belgrado e Priština. Il presidente serbo ne ha parlato con l'alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell'Ue, Catherine Ashton e ha illustrato che azioni di questo tipo rischiano di porre fine al processo di pace prima che vi siano raggiunti risultati concreti. "Ho avuto garanzie che l'Ue e Bruxelles procederanno in base a tutti gli standard precedenti, in modo neutrale, cercando la soluzione durante il dialogo. Mi aspetto che anche l'amministrazione degli Stati Uniti fara' lo stesso. Credo che in questo senso non ci sono dilemmi, ma e' possibile che alcune persone dell'amministrazione americana incoraggino Priština a tali mosse" ha detto Tadić.

Il capo dello stato serbo si e' appellato a tutti i cittadini del Kosovo di mantenere la calma e ha rilevato che solo con la diplomazia si possono risolvere i problemi. Tadić ha aggiunto che l'azione di Priština e' stata intrapresa con l'obiettivo di governare il Kosovo il che e' assolutamente inaccettabile. Ha precisato inoltre che da quando e' iniziata l'azione unilaterale Rosu che e' stata strumentalizzata da parte delle istituzioni competenti di Priština affinche' siano occupate frontiere e punti di controllo doganali, le istituzioni della Serbia hanno reagito e hanno lavorato a fin di calmare la situazione. Tadić ha avvertito che in questo momento in Serbia ci sono partiti politici che ritengono che ora bisogna entrare in conflitto ed aprire nuove guerre e violenze. Ma il presidente della Serbia si e' detto convinto che la maggior parte dei cittadini non sostiene una tale politica. Proprio al contrario, bisogna continuare a partecipare nel dialogo e contribuire alla pace, ha detto Tadić rilevando che non bisogna nuovamante cadere nella trappola in cui il popolo serbo e lo stato erano caduti negli anni novanta.

Il segretario di stato serbo presso il Ministero per il Kosovo e Metohija, Oliver Ivanović ha valutato che la situazione in Kosovo e' delicata e che solo congiuntamente e' possibile oltrepassare la crisi e l'instabilita' creatisi dopo questa vicenda alle frontiere di Jarinje e Brnjak. Secondo il vicepresidente del governo serbo Božidar Đelić il modo in cui la Serbia ha reagito all'embargo e al tentativo di cambiare la situazione al confine amministrativo al nord del Kosovo dimostra chi e' quello che in effetti promuove i valori europei nella regione e un tale atteggiamento, e' convinto Đelić, verra' riconosciuto.

Tra i commenti in Serbia, vi e' anche quello dell'autorevole analista politico Predrag Simić secondo il quale la decisione del governo kosovaro di mandare le forze sulla linea amministrativa con la Serbia rappresenta una mossa di azzardo con la quale vengono sondate le forze della Serbia. "Temo che la prognosi e' brutta e che le provocazioni continueranno. Priština tentera' di influire al massimo sulle vicende in Serbia, rafforzando la divisione tra i partiti politici serbi e soffermando l'attenzione della comunita' internazionale cerchera' di portare la Serbia ad una posizione di stallo" ha detto Simić per l'agenzia di stampa serba Beta. Ha aggiunto che l'embargo, se proseguira', fara' perdere alla Serbia annualmente oltre 300 milioni di dollari e piu' di 5.000 posti di lavoro, mentre e' solo incerto fino a quando il Kosovo potra' resistere e ricuperare la merce, sopratutto gli alimentari che arrivano dalla Serbia. Simić conclude che nel momento della debolezza della Serbia a causa delle elezioni l'interesse di Priština e' di provocare incidenti e in tal modo ottenere delle concessioni e rafforzare la posizione negoziale nei colloqui che proseguiranno a settembre a Bruxelles.

Il presidente serbo Boris Tadic riceve il Premio Polak a Praga
Proprio mentre incalzavano tensioni al confine, il presidente della Serbia Boris Tadić riceveva a Praga il prestigioso premio "Polak" per aver contribuito alle riforme democratiche ed economiche in Europa centro-orientale. Va detto che tra i laureati di questo premio istituito nel 1994 ci sono stati anche l'ex premier della Serbia, il defunto Zoran Đinđić e quello della Repubblica Ceca, Vaclav Klaus, nonche' l'ex presidente polacco Lech Walesa. Il premio americano-ceco Polak e' stato consegnato a Tadić all'Universita' Carlo di Praga. Rivolgendosi agli studenti della scuola estiva dell'Istituto americano per i sistemi politici ed economici e dell'Istituto di giornalismo di Praga il presidente serbo ha reagito anche agli ultimi passi di Priština condannandoli come uno schiaffo a tutti quelli che credono nell'accordo. Tenendo lezione ai futuri politolosi, economisti e giornalisti, Tadić si e' allacciato alle visioni dell'ex premier assassinato Zoran Đinđić che dallo stesso palco si rivolse agli studenti nove anni fa, altrettanto come laureato del premio Polak.

Tadić ha citato le parole di Đinđić: "con i vicini bisogna chiudere la finestra attraverso la quale il passato entra nella quotidianita' e nel futuro". Il presidente della Serbia ha detto che il desiderio del suo paese e' quello di avere i migliori rapporti possibili con i vicini. L'obiettivo e' la stabilita', ha rilevato Tadić e ha aggiunto che se la Serbia avra' buoni rapporti con la Croazia, cio' sara' buono anche per la BiH e se rafforzera' le relazioni con l'Albania, questo portera' del bene anche ai cittadini del Kosovo. Tadić ha detto che la regione balcanica puo' trovare soluzioni per tutti i problemi nel dialogo. "Noi siamo pronti a sederci con gli albanesi kosovari e discutere come organizzare le nostre relazioni. Questo non deve essere affrettato. Quasi 20 anni non vi e' stata nessuna comunicazione e bisogna costruire la fiducia" ha detto Tadić. Il presidente serbo ha condannato gli eventi al confine e ha detto di essere stato convinto che si e' al di sopra della politica di violenza. "Evidentemente non lo siamo. L'ultima azione e' uno schiaffo a quelli che credono nel potere dei negoaziati" ha sottolineato Tadić ponendo la domanda come sara' possibile adesso avere fiducia.

PASSAGGIO IN ONDA

La puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda il 28 luglio a Radio Radicale

Gli argomenti della trasmissione

Kosovo: di nuovo alta la tensione al confine con la Serbia dopo la decisione di Pristina di bloccare le merci serbe in risposta all'embargo deciso da Belgrado dopo l'indipendenza. L'invio di unità speciali della polizia kosovara provoca le proteste dei serbi. Negli incidenti muore un poliziotto kosovaro. Interviene la Kfor. Le preoccupazioni internazionali.
N.B.: la trasmissione è stata registrate prima delle nuove violenze verificatesi la scorsa notte con l'attacco al posto di confine di Jarinjie

Crimini di guerra / 1: prima udienza davanti al Tribunale internazionale per l'ex Jugoslavia del processo a Goran Hadzic, l'ultimo latitante, arrestato il 20 luglio e subito estradato all'Aja, ma l'ex capo politico dei serbi di Croazia, imputato di crimini di guerra e contro l'umanità, rifiuta di dichiararsi colpevole o innocente e l'udienza è stata perciò rinviata di trenta giorni.

Crimini di guerra / 2: la procura speciale di Pristina mette sotto inchiesta due importanti esponenti del partito del premier Hashin Thaci (il Partito democratico del Kosovo) per crimini che sarebbero stati commessi durante il conflitto con la Serbia del 1999.

Albania: conclusa la "storia infinita" dell'elezione del sindaco di Tirana. Dopo contestazioni, ricorsi, accuse di brogli e irregolarità, Lulzim Basha, ex-ministro dell'Interno e candidato del centro-destra, ha finalmente prestato giuramento e ha preso il posto di Edi Rama, leader del Partito socialista che lascia dopo tre mandati consecutivi.

Macedonia: quasi pronto il nuovo governo, dopo le elezioni del 5 giugno che hanno confermato il premier uscente Nikola Gruevski. Confermata anche la coalizione tra il partito del premier e il principale partito della minoranza albanese guidato da Ali Ahmeti.

In apertura si parla del recente Consiglio generale del Partito Radicale Nonviolento Transnanzionale e Transpartito svoltosi a Tunisi dal 22 al 24 luglio. Sintesi dell'intervista di David Carretta a Emma Bonino su integrazione euro-mediterranea e futuro del progetto politico dell'Unione Europea.

La trasmissione è stata realizzata con la collaborazione di Marina Szikora e Artur Nura ed è riascoltabile direttamente qui



oppure sul sito di Radio Radicale nella sezione delle Rubriche

mercoledì 27 luglio 2011

TENSIONE SEMPRE MOLTO ALTA NEL NORD KOSOVO

I serbi bloccano la strada Leposavic-Mitrovica
Resta alta la tensione nel Nord del Kosovo anche se la situazione sembra sotto controllo dopo gli incidenti di ieri, sfociati in scontri a fuoco tra poliziotti kosovari e i manifestanti serbi che hanno portato alla morte di un agente kosovaro, membro dell'unità speciale “Rosa”, in circostanze non chiare. Nella serata di ieri uomini dell'unità speciale delle polizia kosovara avevano raggiunto il valico di Brnjak e avevano poi trascorso la notte lungo la strada che collega Leposavic a Kosovska Mitrovica, dopo che la popolazione serba della zona aveva reagito costruendo barricate per proteggere il valico di Jarinje. Diverse persone erano state arrestate, mentre un serbo era rimasto ferito. Le autorità di Pristina avevano deciso di inviare le forze speciali nella zona a maggioranza serba a nord del Kosovo, rimasta fedele a Belgrado, con l'obiettivo di assumere il controllo dei due punti di confine con la Serbia per rafforzare l'embargo all'importazione di merci serbe in vigore dalla scorsa settimana come ritorsione a quello che Belgrado applica alle merci kosovare, dalla dichiarazione di indipendenza del 2008.

I serbi avevano subito reagito bloccando le vie d'accesso alla polizia kosovara e solo l'intervento della Kfor, la missione Nato in Kosovo, ha evitato che la situazione degenerasse in ulteriori e più gravi violenze. Il comandate Kfor, Erhard Buehler, aveva poi mediato un accordo tra le parti che prevedeva il ritiro della polizia kosovara dal Nord dalle 8 di stamattina, congiuntamente allo sblocco delle strade da parte dei manifestanti serbi. I media locali annunciavano quindi l'avvio del ritiro dei poliziotti kosovari dalle barricate vicino Leposavic e più tardi dal valico di Brnjak , ma l'agenzia Beta riferiva poi che la polizia kosovara era tornata verso Brnjak facendo ricorso alle armi per farsi largo tra i manifestanti serbi che cercavano di bloccarne il passaggio. Le forze speciali della polizia kosovara si sono infine ritirate definitivamente solo nel primo pomeriggio di oggi. "Le unità (speciali di polizia) hanno ristabilito l'ordine e creato le condizioni per il dispiegamento e il lavoro di doganieri e della polizia di frontiera" ha riferito un portavoce della polizia di Pristina.

L'azione unilaterale del governo kosovaro è stata fortemente criticata dalla Comunità internazionale che teme per l'andamento del fragile dialogo tra Belgrado e Pristina, ripartito lo scorso marzo con la supervisione e la mediazione dell'Ue, dopo oltre tre anni di gelo. La Russia ha diffuso oggi una nota per dichiarare la propria “preoccupazione per la situazione” nel Kosovo settentrionale. L'Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune dell'Ue, Catherine Ashton, ha parlato oggi sia con il premier kosovaro Hashim Thaci che con il presidente serbo Boris Tadic, invitandoli a “ripristinare immediatamente la calma” e ad “aiutare a disinnescare le tensioni e a fare tutto il necessario per calmare la situazione”.
Per Bruxelles “gli sforzi si devono concentrare sulla risoluzione delle questioni attraverso il dialogo per cui l'Ue opera da facilitatore”, in quanto si tratta della sola strada per risolvere il problema dei dazi doganali e ripristinare il libero commercio tra il Kosovo e la Serbia. Per questo l'Alto rappresentante Ue ha anche chiesto a Pristina e Belgrado di “aiutare gli sforzi del rappresentante speciale dell'Ue e di Eulex che stanno parlando con entrambe le parti per concordare una ragionevole via d'uscita".

Anche se la situazione sembra al momento sotto controllo, la tensione resta molto alta. Il premier kosovaro Hashim Thaci ha definito “difficile eppure necessaria” la decisione del suo governo di inviare unità speciali di polizia alla frontiera per rafforzare il blocco dell'importazione delle merci dalla Serbia, ma il governo di Belgrado non ci sta e ha chiesto la convocazione urgente di una riunione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per affrontare la questione. Da parte serbo-kosovara arrivano anche accuse contro le forze internazionali. In un’intervsita esclusiva per La Voce della Russia, uno dei leader dei serbi che vivono nei territori settentironali del Kosovo, Marko Jakscic, ha affermato che nella base Kfor di Leposavic si troverebbero agenti kosovari arrivati alla vigilia degli scontri di ieri con elicatteri della Kfor: "In questo modo le forze internazionali guidate dalla Nato hanno violato il principio di neutralità", ha detto Jaksic, insistendo sul ritiro di questi poliziotti in quanto la base si trova ad alcuni chilometri di distanza dal valico di Jarinje. "In ogni caso continueremo a difendere la frontiera e siamo pronti ad un nuovo tentativo di Pristina di prendere sotto controllo questa parte della regione", ha detto ancora Jaksic. [RS]

martedì 26 luglio 2011

BELGRADO-PRISTINA: IL DISGELO APPENA COMINCIATO E' GIA' FINITO?

E' di nuovo crisi tra Serbia e Kosovo, a riprova che nei Balcani nulla è mai scontato e niente, ancor meno, può mai essere dato per certo. I negoziati “tecnici”, che con l'alto patrocinio di Bruxelles, stavano cercando di risolvere alcune questioni pratiche lasciando da parte, per ora, la questione dello status della (ex) provincia serba, non sono serviti, evidentemente a cambiare il clima e i primi, timidi segni di “disgelo” sembrano essere durati giusto il tempo di una primavera, forse meno. Il 20 luglio scorso le autorità di Pristina hanno deciso, infatti, per la prima volta dalla fine della guerra, di autorizzare le dogane a respingere le merci serbe in entrata in Kosovo e ad incrementare del 10% le tasse doganali come ritorsione all'embargo imposto da Belgrado a quelle kosovare dopo la dichiarazione di indipendenza, nel 2008. Lo stop all'importazione riguarda anche le merci provenienti dalla Bosnia (la Serbia esporta in Kosovo beni per 270 milioni di euro l'anno, mentre la Bosnia per circa 80 milioni).

Secondo il ministro del Commercio kosovaro, Mimoza Kusari-Lila, l'embargo sulle merci serbe è "un'applicazione del principio di reciprocità commerciale che dovrebbe vigere tra due stati" ed è stato adottato "nell'ambito dei diritti costituzionali, dopo che è saltato il raggiungimento di un accordo con la Serbia sul libero mercato durante i negoziati in corso a Bruxelles". Secca la replica del sottosegretario del ministero serbo per il Kosovo, Oliver Ivanovic, secondo cui la decisione di Pristina viola il fondamento dei negoziati bilaterali e rappresenta un'azione unilaterale che può mettere a repentaglio la validità degli accordi che sono stati raggiunti sino ad ora, in materia di libera circolazione, registri anagrafici e riconoscimento dei titoli di studio, nessuno dei quali, va detto, ha trovato finora applicazione pratica. Intanto, il primo effetto della decisione dei kosovari è stato il rinvio a settembre del sesto round negoziale che avrebbe dovuto svolgersi in questi giorni a Bruxelles e che tra le varie materie avrebbe dovuto affrontare anche quella dei rapporti commerciali.

Il presidente serbo Boris Tadic ha condannato il blocco delle merci giudicandolo "un gesto inaccettabile e ostile" e denunciando il “grave errore” degli "sponsor internazionali" che sostengono la decisione di Pristina, giudicata una provocazione per la Serbia oltre che una mossa “immorale, assurda e contraria ai principi" dell'Unione europea. L'Ue, da parte sua, ha cercato nei giorni scorsi di gettare acqua sul fuoco. All'indomani della decisione di Pristina e dopo le dure reazioni arrivate da Belgrado, la portavoce dell'Alto rappresentante per la politica estera, Catherine Ashton, si è detta "fiduciosa" che si possa trovare una soluzione attraverso il dialogo tra le parti. Gli eventi di queste ultime ore, però, suonano come una smentita dell'ottimismo, un po' obbligato, espresso a Bruxelles.Un tentativo di smorzare le tensioni è arrivato, va detto, anche dalla parte serbo-kosovara o, almeno, dal , vicepresidente del parlamento kosovaro e rappresentante della minoranza serba, Petar Miletic, che dalle pagine del quotidiano Danas, lunedì 25, ha affermato che i camion serbi saranno lasciati passare, dopo il colloquio con il ministero del Commercio che avrebbe dato garanzie in tal senso. Una possibilità smentita però dal ministro Mimoza Kusari-Lila. "Vigileremo al fine di evitare ogni violenza, ma non ci sarà alcun ritiro" ha aggiunto, da parte sua, il ministro dell'Interno, Bajram Rexhepi.

E per rafforzare l'embargo alle merci serbe imposto la scorsa settimana, il governo di Pristina ha pensato bene di dispiegare forze di polizia a controllo dei punti confine nel nord del Kosovo, nella regione a maggioranza serba. Una mossa che ha provocato la protesta degli abitanti serbi che si sono radunati spontaneamente presso i checkpoint presidiati dalla polizia kosovara, obbligando le truppe della missione Nato (Kfor) ad adottare le misure necessarie a calmare la situazione, come ha riferito un portavoce all'agenzia Tanjug. La mossa di Pristina non è piaciuta affatto a Bruxelles: l'Ue ha infatti espresso tutta la sua disapprovazione per un'iniziativa definita "non utile", mentre il Direttore generale della polizia kosovara, il comandante Reshat Maliqi, si è dimesso per non essere stato informato della decisione del suo governo. Vista la presa di posizione di Bruxelles le autorità kosovare hanno deciso allora di fare marcia indietro e, dopo un accordo tra i rappresentanti di Belgrado, Pristina e della Kfor, gli agenti hanno cominciato a ritirarsi. La situazione resta comunque molto tesa, ha detto il ministro serbo per il Kosovo, Goran Bogdanovic, che si è recato nella zona con Borko Stefanovic, capo del team negoziale di Belgrado. "La decisione delle autorità albanesi è priva di senso", ha aggiunto Bogdanovic, informando che il presidente Boris Tadic e il premier Mirko Cvetkovic "hanno contattato la Commissione europea, l'Onu, e la Nato" per riferire della situazione.

In questa situazione appare assai ottimista l'ipotesi che entro la fine del 2012 il Kosovo possa uscire dalla supervisione internazionale, come scritto dal portale Balkan Insight che cita "fonti molto ben informate" secondo cui l'Ufficio civile internazionale (Ico), guidato dal diplomatico olandese Peter Feith, sarebbe pronto a chiudere i battenti entro quella il prossimo anno. In effetti, in una riunione dell'International steering group (Isg), l'organismo formato dai 25 Paesi che sostengono l'indipendenza che il Kosovo e che finanzia l'Ico, era emersa pubblicamente l'intenzione di ridurre progressivamente il ruolo dell'Ufficio, che ha l'incarico di applicare, in coordinamento con il governo di Pristina, il “Piano Ahtisaari” su cui si basa l'indipendenza kosovara e l'organizzazione istituzionale del nuovo stato.

Il portavoce dell'Ico, Andy McGuffie, ha confermato che in effetti "l'Isg ha autorizzato l'Ico a lavorare in concerto con il governo kosovaro per iniziare a preparare la sua chiusura", e l'Ufficio civile internazionale ha già smantellato nei mesi scorsi il suo dipartimento economico e diversi uffici regionali. Nonostante ciò "il premier kosovaro Hashim Thaci ha detto (..) che non vi sarà un termine arbitrario", ha precisato Mc Guffie. Resta il fatto che uno dei principali obiettivi fissati dal Piano Ahtisaari, non ancora realizzato dall'Ico, è quello di istituire nella zona a maggioranza serba che si rifiuta di riconoscere l'autorità kosovara, una amministrazione legata a Pristina, ma autonoma. A complicare la situazione c'è infine il fatto che Belgrado non ha mai voluto riconoscere l'Ico, giudicandolo non neutrale rispetto all'indipendenza del Kosovo, contrariamente alla missione civile europea (Eulex). [RS]

L'ARRESTO DI GORAN HADZIC

La corrispondenza di Marina Szikora sull'arresto di Goran Hadzic andata in onda nel notiziario di Radio Radicale del 20 luglio

La cattura di Goran Hadzic, l'ultimo ricercato per crimini
contro l'umanità dal Tribunale internazionale per l'ex Jugoslavia
L'ultimo super ricercato del Tpi dell'Aja, Goran Hadžić e' stato catturato in Serbia, piu' precisamente vicino al villaggio Krušedol a Fruška gora questa mattina. E' significativo che la casa della famiglia dell'imputato dell'Aja si trovi proprio in questa zona e che Hadžić sia stato arrestato con documenti falsi e con nome falso. La notizia e' stata confermata dal presidente della Serbia Boris Tadić ad una conferenza stampa straordinaria oggi alle ore 11. Tadić ha precisato che Goran Hadžić e' stato catturato dai servizi di sicurezza ed informazione serbi (BIA) e ha fermamente rigettato informazioni secondo le quali le autorita' serbe avrebbero saputo da lungo tempo dove si trovava il super ricercato della giustizia internazionale. Secondo il presidente della Serbia, con l'arresto di Goran Hadžić, la Serbia ha soddisfatto i suoi obblighi internazionali relativi alla collaborazione con il tribunale dell'Aja ma anche i suoi obblighi morali. Ha ricordato che in tre anni da quando e' attivo il Consiglio per la sicurezza nazionale e il team di azione sono stati catturati i principali criminali di guerra latitanti: Karadžić, Mladić e Hadžić. Con questo ultimo gesto, ha sottolineato Tadić, si e' chiusa la pagina oscura della storia della Serbia.

L'ex presidente dell'autoproclamata Republika Srpska di Krajina, Goran Hadžić e' accusato dal Tpi dell'Aja in 14 capi di imputazione di gravi crimini di guerra e contro l'umanita', per il suo coinvolgimento nell'uccisione di centinaia di croati e per la deportazione di decine migliaia di croati e altri non serbi durante la guerra degli anni novanta. Tra l'altro, il cosidetto “boia di Vukovar” e' accusato anche dell'uccisione di 250 croati che sono stati portati via dall'ospedale di Vukovar e fucilati nel 1991. Hadžić e' accusato anche di incarcerazioni forzate e maltrattamenti di prigionieri di guerra nei campi di concentramento in Croazia nonche' in Serbia e di distruzione del patrimonio della popolazione non serba nella Slavonia orientale. La giornata odierna e la notizia della cattura di Hadžić e' stata vissuta con grande sollievo nella citta' di Vukovar ed i suoi cittadini sperano, anche se questo momento e' arrivato dopo cosi' tanto tempo, che il processo a Hadžić mettera' luce anche sul destino di miglia di persone scomparse di cui non si ha tuttora nessuna notizia ne' traccia.

"La giustizia e' lenta ma raggiungibile" e' stato il primo commento del presidente croato Ivo Josipović il quale si e' detto fiducioso che la procura dell'Aaja e il Tribunale svolgeranno il loro lavoro nel miglior modo possibile e che presto si avra' un processo giusto. L'arresto di Goran Hadžić, ha precisato Josipović e' positivo dal punto di vista della giustizia, delle relazioni di buon vicinato ma anche e soprattutto per la Serbia che finalmente ha deciso di collaborare con il Tribunale dell'Aja. Secondo la premier croata Jadranka Kosor e' una buona notizia per l'intera umanita', per il mondo, per la Croazia e per le famiglie di migliaia di vittime. "Abbiamo aspettato troppo tempo poiche' quest'anno abbiamo celebrato 20 anni dell'indipendenza e Vukovar purtroppo anche i 20 anni dall'invasione delle forze ostili che avevano commesso crimini terribili" ha rilevato Jadranka Kosor alla saputa della notizia mentre si trova in visita ufficiale in Polonia.

La cattura dell'ultimo super ricercato dell'Aja a Belgrado hanno salutato rappresentanti dei partiti politici della coalizione governativa serba e analisti politici, mentre alcuni partiti di opposizione valutano questa vicenda come un obiettivo delle autorita' per raccogliere i punti politici alle prossime elezioni. Il ministro degli interni serbo Ivica Dačić ha valutato che adesso non ci sono piu' ragioni per condizionare la Serbia sulla sua via verso le integrazioni europee. Infatti, secondo molti commenti nella regione, si pone ora la questione se le ultimissime vicende relative all'arresto di Mladić e poco dopo di Hadžić sono il frutto di pressioni sulla Serbia affinche' Belgrado possa ottenere alla fine dell'anno lo status di candidato per l'adesione all'Ue e se cio' significhera' anche un veloce inizio dei negoziati di adesione.

L'agenzia di informazione serba Tanjug ha trasmesso le dichiarazioni dell'ex procuratore capo dell'Aja Carla del Ponte secondo la quale il governo serbo con la cattura di Mladić e Hadžić ha fatto un passo enorme verso il futuro democratico e verso la pace e che adesso la Serbia avra' un cammino piu' facile verso l'ingresso nell'Ue. L'arresto e' un successo enorme per la giustizia internazionale e ora il mandato del Consiglio di Sicurezza e' adempiuto, ha detto Del Ponte. Tutte le istituzioni europee, a partire dal Consiglio dell'Ue, la Commissione e il PE nonche' la NATO hanno plaudito la notizia di oggi relativa all'arresto dell'ultimo super ricercato della giustizia internazionale come un segnale positivo di Belgrado all'Ue ma anche ai paesi vicini della Serbia.

CROAZIA: TORNA L'EX PREMIER IVO SANADER, COME IMPUTATO

Ivo Sanader (Foto K. Zanetic)
di Marina Szikora [*]
La notizia della settimana in Croazia e' senza dubbio il trasferimento e l'estradizione dell'ex premier Ivo Sanader dal carcere austriaco di Salisburgo in Croazia. Anche se all'inizio Sanader si rifiutava di essere estradato dall'Austria dove si trovava in carcere per presunti crimini di corruzione accusando un processo politico al quale verrebbe sottoposto nel proprio paese, infine su sua personale richiesta e' stato estradato con una procedura abbreviata. Secondo i suoi legali, l'ex premier croato avrebbe deciso di mettere luce sui casi di cui viene sospettato dichiarando la non colpevolezza e sottolineando che i suoi collaboratori e compagni di partito sarebbero stati a conoscenza di tutto. Martedi' 18 luglio, l'ex uomo forte della Croazia e' stato estradato percorrendo la stessa via che aveva intrapreso lo scorso 9 dicembre quando era riuscito a passare il confine croato-sloveno mentre il Parlamento croato stava appena votando per togliergli il mandato parlamentare.

Accompagnato dalla polizia, con forti misure di sicurezza, Ivo Sanader e' giunto alle ore 21.50 al carcere di Remetinec di Zagabria dopo aver passato sette mese nel carcere di Salisburgo. Sono stati ormai diversi giorni, vale a dire dal momento in cui e' stata annunciata la sua veloce estradizione, da quando i giornalisti e fotorepoerter aspettavano il piu' atteso ritorno dell'ex piu' potente politico croato. Si e' potuto assistere alla diretta tv del passaggio del corteo di diverse macchine tra le quali anche quella in cui si trovava Sanader, da un confine all'altro nonche' il suo arrivo davanti alle porte del carcere di Zagabria, ma nessuna occassione per vederlo di persona. Il primo interrogatorio e' prevvisto per la giornata odierna.
Ricordiamolo, Ivo Sanader dal 10 dicembre 2010 si e' trovato incarcerato in Austria, a Salisburgo, dopo la fuga dalla Croazia e sotto accusa di atti di corruzione in particolare quello collegato con lo scandalo della Hypo banca.

Quanto alle prime reazioni, il presidente croato Ivo Josipović ha commentato l'estradizione di Sanader dicendo che lo stato di diritto deve funzionare e svolgere il suo lavoro e ha aggiunto di aspettarsi che il processo contro Sanader sara' veloce, legittimo e giusto. Il ministro degli esteri e delle integrazioni europee, Gordan Jandroković alla domanda dei giornalisti ha detto che il governo e il Partito della comunita' croata, l'HDZ di cui Sanader e' stato altrettanto presidente, non temono quello che Sanader dira' durante il processo, ha detto che e' logico che Sanader e' tornato in Croazia e che finora tutto si svolge secondo le aspettative. Pochissimo commento da parte della premier Jadranka Kosor la quale ha affermato che in quanto presidente del governo e del partito governativo non vuole fare commenti, che ha piena fiducia nelle istituzioni croate e stara' a loro svolgere il lavoro in modo professionale ed indipendente.
In cinque casi separati, la Procura statale croata – Uskok, accusa l'ex premier croato di corruzione al piu' alto livello statale con la quale aveva assicurato a se stesso ed ad altre persone illegalmente alcuni milioni di euro. I danni collaterali al bilancio statale con questi atti potrebbe alla fine raggiungere anche una cifra di diverse centinaia di milioni di euro.

Il tutto e' iniziato nel dicembre dell'anno scorso quando contro Sanader la procura statale aveva aperto due inchieste e l'ex premier, alla saputa che il parlamento gli avrebbe tolto l'imunita' parlamentare, si e' deciso alla fuga. Il primo scandalo e' quello di Fimi media in cui Sanader viene accusato di aver fatto pressione su tutta una serie di aziende pubbliche ma anche sui singoli ministeri di prestare servizio ad una, all'epoca, del tutto sconosciuta ditta di marcheting affidata alla compagna dell'ex tesoriere dell'HDZ, Mladen Barišić. Il loro arresto e le inchieste sono state le prove cruciali contro Sanader e secondo le loro dichiarazioni, l'ex premier avrebbe intascato da questa ditta circa 4 milioni di euro.

Nella sua abitazione e nella sede del partito dell'HDZ, secondo le affermazioni dell'ex tesoriere, sono state consegnate persino borse di soldi. Quindi, oltre nelle tasche di Sanader, molti soldi finirono, secondo le informazioni raccolte, nei cosidetti fondi neri del partito governativo e le indagini a tal proposito sono ancora in corso. Parallelamente con lo scandalo di Fimi media, la Procura statale accusa Sanader di aver sollecitato l'ex direttore dell'azienda elettroenergetica nazionale croata (HEP) di aver procurato l'elettricita' al proprietario dell'azienda di plastica Dioki al di sotto il prezzo ufficiale e di aver approvato mutui danneggando HEP di 21 milioni di kune. Mentre Sanader stava nel carcere di Salisburgo, la Procura statale croata ha avviato ancora tre inchieste contro l'ex premier. Tra queste, Sanader e' accusato di aver chiesto alla banca austriaca Hypo provigioni di circa mezzo milione di euro, ai tempi dell'ex presidente Franjo Tuđman, in quanto vice dell'allora ministro degli esteri Mate Granić. Tutto cio' affinche' il Ministero degli esteri croato ottenesse mutui per aquisti di diverse sedi di ambasciate croate. Quando gia' si era in attesa dell'estradizione di Sanader in Croazia, e' arrivata la piu' grave tra le accuse: quella secondo la quale Sanader avrebbe ottenuto tangenti di 10 milioni di euro affinche' la compagnia petrolifera ungherese Mol si potesse impossessare di fatto dei diritti di gestione dell'azienda petrolifera croata Ina. A causa delle indagini sul caso Fimi media, la Procura statale aveva subito bloccato il patrimonio dell'ex premier e dei suoi famigliari e secondo le informazioni mediatiche, e' uscito fuori che l'ex premier avrebbe un patrimonio immenso: diversi immobili, collezzioni di quadri artistici preziosi e diversi conti segreti all'estero.

[*] Corrispondente di Radio Radicale. Il testo è tratto dalla corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda il 21 luglio a Radio Radicale

lunedì 25 luglio 2011

L'ULTIMO RICERCATO

Goran Hadzic, l'ultimo super-ricercato dal Tribunale internazionale per l'ex Jugoslavia, arrestato il 20 luglio scorso nel nord della Serbia dopo anni di latitanza, da venerdì è detenuto nel carcere Onu di Scheveningen. Contrariamente a Radovan Karadzic e a Ratko Mladic, Hadzic ha rinunciato a presentare appello contro la decisione dei giudici serbi di estradarlo. Appena il tempo di rivedere la moglie, la sorella ed il figlio, ma anche l'amante e la figlia nata dalla loro relazione.
Con la consegna dell'ultimo dei 46 sospetti criminali di guerra richiesti a Belgrado, "la Serbia ha pienamente assolto tutti i suoi obblighi di cooperazione con il Tribunale penale internazionale dell'Aia", ha dichiarato il ministro della Giustizia, Snezana Malovic, dopo aver firmato l'ordine di estradizione. E soprattutto supera uno degli ostacoli più ardui lungo il suo cammino verso l'adesione all'Unione Europea. Belgrado si attende ora in cambio che la Commissione europea, nel suo rapporto di ottobre prossimo, le conceda lo status ufficiale di Paese candidato all'adesione e fissi la data di inizio dei negoziati di adesione, magari già a partire dal 2012.
Il capitolo criminali di guerra è dunque chiuso: tutti i 161 imputati per i crimini commessi durante le guerre degli anni novanta sono finiti alla sbarra davanti ai giudici del Tribunale istituito dalle Nazioni Unite. Una buona notizia, con cui riaprire il blog dopo le ferie.

L'estradizione di Goran Hadzic
Hadzic dovrà ora rispondere di accuse pesantissime per il ruolo che svolse nella guerra, in qualità di presidente della Repubblica serba di Krajina, autoproclamata dai serbi che si opponevano all'indipendenza dalla Jugoslavia dichiarata della Croazia nel 1991. Vukovar, cittadina sul Danubio al confine tra Croazia e Serbia, è il simbolo di quel conflitto: le truppe serbe la tennero sotto assedio per tre lunghi mesi fino alla sua resa, il 18 novembre 1991. Circa 1100 furono le vittime civili dell'assedio, 5000 furono le persone rinchiuse in campi di concentramento e 22000 quelle costrette ad andarsene dalla pulizia etnica. Tra i morti anche i 264 croati e non-serbi che vennero prelevati dall'ospedale, dove si erano rifugiati nella speranza di essere evacuati, e trucidati con un colpo di pistola in una fattoria di Ovcara, a poca distanza da Vukovar. Un crimine per cui lo scorso anno il presidente serbo Boris Tadic ha chiesto scusa, rendendo omaggio alle vittime.

Secondo l'accusa, Hadzic “fece parte di una organizzazione criminale”, che agì con l'obiettivo di “cacciare per sempre la maggioranza dei croati e degli altri non serbi”, in linea col disegno politico della “Grande Serbia” con cui Slobodan Milosevic puntava all'annessione di tutti i territori abitati da serbi nei Balcani.
I capi di accusa di cui Hadzic dovrà rispondere alla giustizia internazionale sono 14:
- sei crimini contro l'umanità ( stabiliti dell'art. 5 dello statuto del Tpi): persecuzione su base politica, razziale o religiosa; sterminio; omicidio; tortura, atti disumani; deportazione e trasferimento forzato;
- otto crimini di guerra (art. 3 statuto Tpi): omicidio; tortura; trattamento crudele; distruzione indiscriminata di villaggi e devastazione non giustificata da necessità militari; distruzione e danneggiamento intenzionale di istituzioni educative e religiose; saccheggio di proprietà pubbliche e private.
Alla giustizia ordinaria serba resteranno invece da accertare le responsabilità legate alla latitanza di Hadzic, che si sarebbe svolta principalmente in Russia e in Bielorussia. [RS]

Vukovar 1991

venerdì 8 luglio 2011

OSCE: LA COMMISSIONE DIRITTI UMANI APPROVA IL RAPPORTO MECACCI

Maggiore trasparenza dell’OSCE e iniziative nel campo dei diritti umani senza il principio del consenso assoluto

La Commissione per i Diritti umani dell’Assemblea parlamentare dell’OSCE (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) ha votato oggi in favore di un rafforzamento del ruolo della società civile e per una maggiore trasparenza all’interno dell’organizzazione, spesso considerata il principale garante dei diritti umani in Europa. La risoluzione, promossa dal deputato italiano Matteo Mecacci (radicale eletto nel Pd), relatore su democrazia, diritti umani e questioni umanitarie, chiede all’OSCE di sospendere il suo processo decisionale basato sul consenso e di usare la procedura del cosiddetto “consenso meno uno” per i casi di “violazione palese e scorretta degli impegni assunti dall’OSCE”.
“Sulla scia di violazioni così palesi come quelle a cui continuiamo ad assistere in Bielorussia, dove centinaia di manifestanti sono stati arrestati solo per aver applaudito, dobbiamo chiederci: se non usiamo ora gli strumenti a nostra disposizione,quando lo faremo?”, ha affermato Mecacci.

Un’OSCE più efficiente attraverso la trasparenza
La risoluzione, che dovrebbe essere approvata domenica nel corso della seduta plenaria, chiede al principale forum diplomatico dell’OSCE, il Consiglio permanente, di tenere sedute bisettimanali per esaminare le questioni relative ai diritti umani. Le sedute dovrebbero includere rappresentanti della società civile ed essere aperte al pubblico e alla stampa. Il Consiglio permanente, formato dagli ambasciatori dei 56 Stati partecipanti, si riunisce settimanalmente per valutare il lavoro dell’OSCE, di norma a porte chiuse e senza consentire l’accesso alla stampa. “Da decenni noi dell’OSCE portiamo la fiaccola delle libertà fondamentali, ma ora dobbiamo fare un ulteriore passo avanti per garantire che il nostro organo direttivo ascolti più spesso i rappresentanti della società civile, che sono le voci troppo spesso messe a tacere in molti dei nostri paesi”, ha affermato Mecacci.

La Commissione Diritti umani dell'Osce approva la relazione
presentata dal deputato italiano Matteo Mecacci

Per ulteriori informazioni e per la diretta video della Sessione annuale, visitare il sito http://www.oscepa.org/

Qui l'intervista del 6 luglio a Matteo Mecacci per Radio Radicale



L’Assemblea parlamentare dell’OSCE è formata da 320 parlamentari provenienti da 55 Paesi, che vanno dall’Euorpa all’Asia centrale all’America del nord. L’Assemblea rappresenta un foro per la diplomazia parlamentare, monitora le elezioni e rafforza la cooperazione internazionale a sostegno degli impegni assunti in materia di politica, sicurezza, economia, ambiente e diritti umani.

giovedì 7 luglio 2011

LA BOSNIA SENZA UN GOVERNO SI ALLONTANA DALL'EUROPA

 Dal 1 luglio la Polonia ha assunto la presidenza di turno dell'Unione Europea. Uno dei principali compiti della presidenza polacca sarà il proseguimento dell'integrazione dei Balcani occidentali, compreso l'inizio dei negoziati di adesione con la Serbia. Seconda priorità, come affermato dal ministro degli Esteri Radoslav Sikorski, sarà la firma del trattato di adesione della Croazia che il 30 giugno, come annunciato, ha ufficialmente chiuso i negoziati e quindi posto fine all'impegnativo processo durato quasi sei anni. Inoltra, Varsavia annuncia la conclusione dell'accordo sul libero commercio con l'Ucraina. “Vogliamo aprire l'Europa e continuare l'allargamento verso i Balcani occidentali”, ha detto Sikorski, aggiungendo che la Polonia tiene molto ad entrambi i vicinati, quello ed est e quello ad ovest. In questo quadro, la Bosnia Erzegovina rischia di perdere il treno europeo e rimanere per un tempo indefinito tagliata fuori da ogni prospettiva di adesione. Diventando così un vero e proprio “buco nero” circondato da Paesi che, pur in tempi diversi e non tutti ravvicinati, vedono comunque all'orizzonte il traguardo possibile dell'ingresso nell'Unione.

Di Marina Szikora [*]
Quando la BiH sara' circondata dalla Croazia che entro quest'anno firmera' il trattato di adesione all'Ue e concludera' il referendum di adesione, se il Montenegro ricevera' la data dell'inizio dei negoziati con l'Ue il che e' molto probabile, infine se la Serbia avra' lo status di candidato di adesione entro la fine di quest'anno, ogni politico in BiH deve iniziare a sognare sogni terribili sul proprio futuro, ha dichiarato per il quotidiano di Sarajevo 'Dnevni avaz' il parlamentare europeo sloveno Jelko Kacin. Bisiogna aspettare che il Montenegro ottenga la data dell'inizio dei negoziati e la Serbia lo status di candidato. "Solo allora alcuni in BiH diventeranno intelligenti, si sveglieranno e si chiederanno perche' non ci sono anche loro" ha detto Kacin il quale pensa che questo appunto potrebbe essere il momento del risveglio della BiH.

Il parlamentare europeo sloveno, relatore per la Serbia, avverte che non e' importante quale sara' l'influenza della presidenza dell'Unione europea polacca sulla BiH, bensi' il contrario. Perche' finche' la BiH non si svegliera' e non formera' le sue istituzioni, e' difficile chiedersi che cosa' fara' la Polonia per la BiH. Secondo Kacin, a causa del comportamento dei politici della BiH e' molto probabile che questo paese resti il buco nero nei Balcani. Tutto dipende dalla BiH che deve decidere da sola se vuole essere il buco nero o no. Allo stato attule, alcuni politici fanno di tutto perche' la BiH lo sia, ha detto l'eruoparlamentare sloveno avvertendo che finche' la BiH non avra' un governo e soprattutto il ministero di agricoltura, che attualmente non esiste, e' chiaro che si tratta di una elite politica irresponsabile.

In un commento del quotidiano di Zagabria 'Vjesnik' si legge che Valentin Inzko, l'alto rappresentante internazionale per la BiH non si e' inserito finora direttamente nel processo della formazione del potere ma che non sara' una sorpresa se nel momento decisivo Inzko "tirera' uno dei suoi assi di Bonn dalla manica". Sono passati otto mesi dalle elezioni politiche e la BiH non ha ancora un governo a livello statale. Il consiglio dei ministri che ha la funzione del governo, come stanno attualemente le cose, non ha nemmeno le possibilita' teoriche che questo lavoro sia fatto nei prossimi mesi. La coalizione dei quattro partiti riuniti nella cosidetta Piattaforma del Partito socialdemocratico della BiH aveva proposto come mandatario per la composizione del governo Slavo Kukić. Ma il mandatario non ha ottenuto la maggioranza necessaria nella Camera di deputati del Parlamento della BiH. Kukić pero' non rinuncia dalla sua intenzione di diventare il neo premier della BiH e la prossima votazione alla Camera dovrebbe svolgersi tra 35 giorni.

Il candidato non solo doveva ottenere la maggioranza dei voti dei deputati presenti in aula ma anche almeno un terzo di voti dei deputati di ciascuna entita'. Kukić non ha ottenuto il voto di nessuno dei parlamentari dell'entita' a maggioranza serba, la Republika Srpska. Per capire meglio tutta la confusione relativa alla formazione del governo in BiH va spiegato qual'e' il motivo di una crisi politica che dura ormai da otto mesi in BiH e perche' la presidenza tripartita di questo paese aveva scelto uno tra i tre candidati proposti, piuttosto che confermare il candidato scelto dalla maggioranza parlamentare. Si tratta del fatto che i due maggiori partiti bosgnacchi, SD BiH e SDA che dopo le elezioni hanno formato una grande coalizione bosgnacca, fanno di tutto per formare un governo senza i partiti che in effetti avevano ottenuto la stragrande maggioranza dei voti croati. Con questo si e' elimiata la possibilita' di raggiungere un accordo anche con i maggiori partiti serbi che insistono sul rispetto della rappresentanza nazionale, spiega il commento del quotidiano di Zagabria 'Vjesnik'.

[*] Corrispondente di Radio Radicale. Il teso è tratto dalla corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi

PASSAGGIO IN ONDA

La puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda il 7 luglio a Radio Radicale

Sommario della trasmissione

Il processo a Ratko Mladic: la trasmissione si apre con una sintesi della seconda udienza tenutasi lunedì 4 luglio nella quale l'ex generale, imputato di genocidio e crimini di guerra, ha rifiutato di dichiararsi colpevole o innocente e ha assunto un atteggiamento di aperta sfida che ad un certo punto ha costretto il presidente della corte, Alphonse Orie, a farlo allontanare dall'aula. Con stralci della registrazione dell'udienza tratta dal sito del Tribunale internazionale per l'ex Jugoslavia.

Bosnia-Erzegovina: dieci mesi dopo le elezioni non si riesce ancora a formare il governo centrale a causa delle divisioni e delle contrapposizioni interetniche; la situazione rende sempre più difficile proseguire il processo di integrazione europea. Intanto il presidente serbo Boris Tadic ha compiuto una storica visita a Sarajevo dove ha ribadito la contrarietà della Serbia ad ogni ipotesi di divisione del paese.

Kosovo: il premier Hashim Thaci in visita a Bruxelles ha incontrato i vertici dell'Ue. Intanto sono stati firmati tre accordi tecnici nell'ambito dei colloqui con la Serbia tra le proteste dei nazionalisti albanesi di Vetevendosje, mentre da Belgrado si chiarisce che gli accordi non significano il riconoscimento dell'indipendenza.

Sicurezza e cooperazione in Europa: a Belgrado si tiene la ventesima sessione dell'Assemblea parlamentare dell'Osce: il deputato radicale italiano Matteo Mecacci, presenta il suo rapporto su democrazia e diritti umani

Albania: l'Ue invita a concludere al più presto la questione dell'elezione del sindaco di Tirana e a concentrarsi sul processo di integrazione europea.

La trasmissione è stata realizzata con la collaborazione dei corrispondenti Marina Szikora e Artur Nura ed è riascoltabile direttamente qui



oppure sul sito di Radio Radicale nella sezione delle Rubriche insieme alle puntate precedenti.

martedì 5 luglio 2011

SREBRENICA: L'OLANDA E' RESPONSABILE DELLA MORTE DI TRE BOSGNACCHI

Luglio 1995: Mladic brinda con il
comandante dei caschi blu Kerremans
L'Olanda è responsabile della morte di tre bosgnacchi eliminati nel genocidio di Srebrenica. E' il verdetto con cui la corte d'appello dell'Aia ha ribaltato la sentenza di assoluzione di primo grado pronunciata nel 2008. Le madri e le mogli delle vittime chiedevano che i Paesi Bassi venissero ritenuti responsabili dell'intero massacro con l'argomento della mancanza di misure atte a sventare il massacro e quindi della violazione della Convenzione Onu sul genocidio.
La tesi della difesa, sostenuta anche negli altri casi in cui l'Olanda è stata chiamata in causa per i fatti di Srebrenica, è sempre stata quella che i suoi caschi blu furono lasciati soli dalle Nazioni Unite che non fornirono il sostegno aereo richiesto per fermare le truppe serbo-bosniache. E poiché i militari operavano sotto il comando Onu, i giudici di primo grado assolsero lo stato olandese ritenendolo non responsabile nemmeno della sorte degli impiegati civili e dei loro familiari. Tuttavia, proprio il fatto le vittime erano legate da un rapporto diretto con il reparto olandese stanziato a Srebrenica, ha convinto i giudici d'appello che lo stato olandese è responsabile della loro morte perché non avrebbe dovuto consegnarli ai serbo-bosniaci.

Abbiamo sempre tutti negli occhi l'agghiacciante filmato in cui il comandante olandese brinda con Mladic poco dopo la resa dell'enclave, o quello in cui lo stesso Mladic accarezza un bambino dichiarando alle donne che lo guardavano terrorizzate che nessuno avrebbe loro torto un capello: il massacro, invece, era già cominciato.
Tutte quelle persone avevano cercato protezione nell'enclave istituita dall'Onu, avrebbero dovuto essere difese dai caschi blu olandesi. Non fu così. Srebrenica provocò la caduta del governo olandese, ma quei militari hanno poi avuto una medaglia e un monumento in patria. Oggi, il riconoscimento della loro colpevolezza, seppure limitato a soli tre casi, non può certo risarcire quell'indicibile dolore, ma almeno indica una responsabilità, seppure (molto) parziale.

lunedì 4 luglio 2011

MLADIC SFIDA IL TRIBUNALE INTERNAZIONALE (VIDEO)

Ratko Mladic all'udienza del 3 luglio
(Foto Icty - http://www.icty.org/)
Ratko Mladic si è rifiutato di dichiararsi colpevole o non colpevole davanti al Tribunale internazionale per l'ex Jugoslavia. Il Tribunale, come prevede la procedura, ha quindi stabilito a suo nome una dichiarazione di non colpevolezza. Il giudice, Alfonso Orie, è stato costretto a far allontanare dall'aula l'ex generale serbo-bosniaco, imputato per genocidio, crimini di guerra e crimini contro l'umanità, a causa del suo rifiuto di rimanere in silenzio e delle invettive che Mladic ha rivolto alla corte. “Non ascolterò tutta questa roba. Senza il mio avvocato, non ascolto più”, ha detto Mladic togliendosi le cuffiette della traduzione simultanea, prima di essere allontanato dall'aula. La seconda udienza del processo è stata così interrotta bruscamente ed è poi ripresa con la dichiarazione di non colpevolezza pronunciata d'ufficio.

Prima di questo, il giudice Orie aveva negato a Mladic di lasciare l'aula sulla base delle informazioni dello staff medico del Tpi, secondo la quali “non ci sono state ragioni mediche per rimandare questa udienza”. Parole che hanno suscitato la reazione di Mladic: “Sono malato, metà del mio corpo non funziona, non voglio parlare con lei, mi sta imponendo condizioni impossibili” ha replicato l'ex generale al giudice che lo ha ammonito più volte a “rimanere in silenzio mentre parlo e non interrompermi”. In particolare, Mladic ha rifiutato di farsi difendere dall'avvocato Aleksic, assegnatogli d'ufficio e presente in aula, e di fare dichiarazioni senza il suo avvocato. La tensione ha continuato a salire fino a quando Mladic ha iniziato ad attaccare ad alta voce la Corte ed è stato allontanato dall'aula.

Mladic aveva deciso all'ultimo momento di essere presente in aula oggi, smentendo quanto preannunciato dal suo avvocato Milos Salijc. Dopo l'arresto, il 26 maggio scorso, dopo quasi 16 anni di latitanza, e l'estradizione all'Aia, Mladic era già comparso per la prima volta davanti ai giudici del Tribunale internazionale il 4 giugno, rifiutando di dichiararsi colpevole o innocente. La nuova udienza preliminare era stata, dunque, fissata per oggi. L'avvocato Saljic ieri aveva assicurato che Mladic non si sarebbe presentato in aula, perchè non è stata ancora ultimata la composizione del collegio difensivo. Ma al di là delle questioni formali, è evidente che Mladic sta mettendo in atto la stessa tecnica adottata prima di lui da Milosevic e Karadzic: utilizzare qualunque cavillo procedurale per non riconoscere legittimità al Tribunale internazionale. Purtroppo per lui e per i pochi oltranzisti che lo difendono, però, il Tpi esiste e ha tutti i titoli per giudicarlo e (si spera) condannarlo.

Il video dell'udienza





Ratko Mladic Case: dal sito del Tribunale Internazionale

LA TURCHIA SCARICA GHEDDAFI

La Turchia ha interrotto i rapporti diplomatici con il governo di Muammar Gheddafi e ha richiamato il ambasciatore a Tripoli. La notizia è ufficiale. La decisione è arrivata dopo la visita compiuta ieri a Bengasi dal ministro degli Esteri turco, Ahmet Davutoglu, che ha promesso aiuti per 200 milioni di dollari al Consiglio nazionale di transizione. Davutoglu ha detto che è tempo che Gheddafi lasci la Libia, e ha dichiarato il Consiglio "un legittimo rappresentante del popolo libico". La Turchia ha confermato inoltre di avere adottato le sanzioni internazionali contro il regime di Gheddafi che colpiscono, tra l'altro, la Libyan Foreign Bank, che detiene il 62,37% delle azioni della banca turco-libica A&T Bank. La Turchia, che non partecipa ai raid aerei della Nato sulla Libia, ma ha fornito sei navi da guerra per le operazioni di embargo sulle armi, si aggiunge ora ai numerosi Paesi che hanno deciso di riconoscere il Cnt come unico interlocutore politico libico.

Combattenti libici insorti contro il regime di Gheddafi

domenica 3 luglio 2011

AL PASSO COI TEMPI

La notizia è di qualche giorno fa, ma visto che oggi è domenica e possiamo concederci un po' di leggerezza, ne approfitto per riportavela, qualora vi fosse sfuggita.



Nella notte tra il 17 e il 18 giugno, una mano ignota ha trasformato i coraggiosi soldati sovietici del monumento in onore all'Armata Rossa a Sofia in altrettante notissime icone dell'immaginario Usa: Superman, Babbo Natale, il clown di MCDonald, Joker, Capitan America ed altri ancora, tutti insieme stretti sotto la bandiera "stars and stripes". "Al passo coi tempi", dice lo slogan vergato con lo spray alla base del monumento. Atto vandalico, offesa provocatoria o geniale azione artistica?
L'ambasciata russa ha ovviamente deplorato l'"atto vandalico" irrispettoso nei confronti della storia, così come il comune di Sofia, ed il 21 giugno il monumento è stato ripulito. D'altra parte non sono mancate nemmeno le prese di posizione a favore dell'opera d'arte e si è riaperta la discussione sulla rimozione dei monumenti dell'era sovietica e su chi possa essere stato l'autore del'operazione.
Qualcuno ha fatto notare che l'intervento sul monumento è avvenuto proprio mentre era in corso la "Sofia Design Week", all'interno della quale si è discusso anche del ridisegno delle città e di altri temi urbani. L'operazione monumento forse faceva parte del programma "paralleo" del festival.

venerdì 1 luglio 2011

LA TURCHIA CRESCE COME LA CINA: PER QUALCUNO FORSE E' TROPPO

Un'immagine della Borsa di Istanbul
C'è un paese in Europa con una crescita economica a livello “cinese”. Anzi, che cresce più della Cina stessa. E' la Turchia che nei primi tre mesi dell'anno ha fatto registrare una crescita del Pil dell'11%: più di ogni altra economia al mondo. Come per la Cina però, questo dato, solo la metà del quale farebbe gridare al miracolo qualunque altro Paese del Vecchio Continente, invece di provocare reazioni entusiaste suscita timori e preoccupazioni.
Il disavanzo corrente è arrivato ormai all'8% del Pil, mentre i dati sul deficit commerciale di maggio confermano l'estrema dipendenza dell'economia turca dall'estero. Il deficit ha superato, infatti, i 10 miliardi di dollari, più del doppio rispetto a un anno fa, con una crescita delle importazioni del 43%, mentre le importazioni sono cresciute solo del 12%. Il fatto è che la crescita è basata sulla domanda interna finanziata da un'espansione del credito a sua volta alimentato da investimenti speculativi dall'estero.
Tusiad, la Confindustria turca, non pare più di tanto preoccupata e conferma la previsione di una crescita ridimensionata al 6,6% per l'intero 2011 e, pur senza drammatizzare, segnala qualche disagio. La scorsa settimana la banca centrale ha mantenuto i tassi fermi, ma ha chiesto al governo di Recep Tayyip Erdogan una "maggiore disciplina fiscale (...) essenziale per controllare il deficit corrente alimentato dalla disparità tra domanda interna ed estera".
Per ora non c'è motivo di allarme, spiega all'agenzia TmNews Fabio Mucci, analista di Unicredit. Taylan Biginc, editorialista di Hurriyet Daily News, fa notare, però, che ”i turchi spendono, cavalcando l'onda di una crescita finanziata a credito, e se la godono, mentre le autorità non hanno alcuna intenzione di rovinare la festa".
E' di certo prematuro affermare che l'economia turca è sfuggita al controllo del governo e della banca centrale, ma intanto, come ha scritto oggi il Financial Times, è certo che un tale surriscaldamento rappresenta per i politici "più un mal di testa che una causa di soddisfazione".

BOSNIA: IL DISCONOSCIMENTO DELL'ALTRO COME PERSONA

La dichiarazione di due grandi psichiatri italiani su “Il sentiero dei tulipani”
Due grandi psichiatri italiani – il dottor Domenico Casagrande e il dottor Lorenzo Toresini – hanno studiato approfonditamente IL SENTIERO DEI TULIPANI. PSICONAZIONALISMO IN BOSNIA ERZEGOVINA del ricercatore storico e scrittore Angelo Lallo (Infinito edizioni, 2011) e hanno redatto di loro pugno una dichiarazione che sia per l’autore che per l’editore costituisce un vanto. La riportiamo a beneficio di lettori, stampa, specialisti della mente, poiché riteniamo il testo di seguito estremamente importante e splendidamente descrittivo di un libro di eccezionale qualità e assolutamente unico nel suo genere.


“La Psichiatria nata dalle radici del pensiero borghese ha nel suo codice genetico i princìpi di tolleranza nei confronti del “diverso” che non meritava la punizione della sofferenza nelle segrete. Con la psichiatria sociale – tentativo di inventare uno strumento di controllo sociale nel territorio – e l’eugenetica nasceva lo strumentario del depistaggio della devianza psicopatologica e sociale, con l’allontanamento dei diversi dal consesso dei sedicenti normali.
La storia spesso è certamente fatta di elementi imponderabili, seppur talvolta indimostrabili, ma in Bosnia e Erzegovina durante l’ultimo conflitto la logica della pulizia etnica si è coniugata efficacemente con quella della psichiatria sociale. “Il sentiero dei tulipani” di Angelo Lallo ha evidenziato che quando si utilizza l’armamentario della paura e dell’angoscia a protezione di un gruppo o di una etnia, l’effetto è la distruzione del presupposto dell’eguaglianza degli uomini. Il conflitto in Bosnia e Erzegovina rappresenta il paradigma esemplare del disconoscimento dell’altro come persona, gruppo e nazione”.

Dr. Domenico Casagrande
Psichiatra - componente del Comitato Scientifico della Fondazione San Servolo IRSESC (Istituto di Ricerche e Studi sull’Emarginazione Sociale e Culturale) di Venezia

Dr. Lorenzo Toresini
Psichiatra - Primario del Servizio di Salute Mentale di Merano (Bz)

30 giugno 2011


IL SENTIERO DEI TULIPANI
Lo stupro di cinquantamila donne, oltre centomila morti, la devastazione della Bosnia Erzegovina affondano le radici nello psiconazionalismo, cui è dedicato questo libro, assolutamente unico. Il nazionalismo balcanico si è intrecciato con teorie di studiosi appartenenti a varie discipline, animati da un’ideologia esasperata. Nei Balcani ci si è trovati di fronte a un nazionalismo che ha operato una torsione verso discipline psichiatriche, con sconfinamenti teorici tratti da psicologia, filosofia, storia e genetica. Una variante del nazionalismo, questa, che ha trovato piena sintonia con gli ambienti militari, politici, economici che ne hanno assunto le teorie, utilizzandole come base per le pulizie etniche e gli eccidi – incluso il genocidio di Srebrenica – della guerra in Bosnia e in Croazia (1991-1995) e, successivamente, come protezione per non essere condannati per i crimini commessi.
“Il sentiero dei tulipani dovrebbe essere letto e studiato in tutte le scuole bosniache. Quelle stesse scuole in cui vige un sistema non di rado di apartheid tra gli studenti delle diverse nazionalità e in cui i ragazzi studiano su libri bugiardi scritti e stampati non con la logica di insegnare la Storia ma con il fine di inculcare la propaganda”. (Luca Leone)

©Infinito edizioni 2011