venerdì 30 novembre 2012

L'ALBANIA E L'EUROPA: INTERVISTA ALL'AMBASCIATORE ETTORE SEQUI

Intervista di Artur Nura per Radio Radicale al rappresentante dell'Unione Europea a Tirana

L'ambasciatore dell'UE a Tirana, Ettore Sequi
Mercoledì 28 l'Albania ha festeggiato il centenario della sua indipendenza nazionale. Una ricorrenza celebrata in tutto il Paese, in Kosovo e nei territori dei Balcani dove sono presenti comunità albanesi, in Macedonia, Montenegro e nel sud della Serbia. Una festa segnata però da luci e ombre, da contestazioni, come in Kosovo, polemiche politiche, come nella stessa Albania dove l'opposizione ha disertato le cerimonie ufficiali, e qualche tensione etnica come im Macedonia. Una ricorrenza che, come ho scritto nel post pubblicato per l'occasione, ha anche mostrato i problemi di un Paese che si è lasciato alle spalle l'epoca della dittatura comunista e ha cercato di consolidare le sue istituzioni democratiche, ma in cui la transizione non sembra ancora del tutto conclusa. Un Paese travagliato da tre anni dalla dura contrapposizione tra la maggioranza di centro-destra che sostiene il governo guidato dal leader del Partito democratico, Sali Berisha, e l'opposizione  di centro-sinistra con in testa l'ex sindaco di Tirana, Edi Rama, leader del Partito socialista. Uno scontro che impedisce l'approvazione di alcune riforme richieste dall'Unione Europea bloccando così il processo di integrazione. Ed è in questo clima che si va verso le elezioni parlamentari fissate per il giugno del 2013.

In occasione del centenario dell'indipendenza, Artur Nura ha realizzato per Radio Radicale una lunga intervista con il rappresentante dell'Unione Europea a Tirana, l'ambasciatore Ettore Sequi, diplomatico italiano di lungo corso. Nella conversazione l'ambasciatore dell'UE parla della situazione nel Paese e dei rapporti con la politica locale e dunque delle difficoltà ma anche dell'importanza del processo di integrazione europea dell'Albania. In questa prospettiva è assai importante il dialogo  che proprio la rappresentanza europea a Tirana ha promosso con intellettuali, giornalisti e analisti politici albanesi sul futuro del Paese e la sua integrazione nell'UE. Una serie di incontri e di scambi di idee inaugurati da un faccia a faccia con il grande scrittore Ismail Kadare. Nell'intervista l'ambasciatore Sequi parla anche della sua personale esperienza diplomatica, in particolare in Afghanistan, e dei contatti che nel corso degli anni  ha avuto modo di avere con il Partito Radicale Transnazionale e, in particolare, con Emma Bonino.

L'intervista è ascoltabile direttamente qui




GRECIA: L'ACCORDO ALL'EUROGRUPPO E' UNA BOCCATA D'ARIA MA I PROBLEMI RESTANO TANTI

Martedì scorso, dopo una lunga trattativa e una maratona negoziale durata 13 ore, i ministri delle Finanze dell'Eurogruppo, alla loro terza riunione in un mese, hanno trovato l'accordo per il salvataggio della Grecia che si vedrà ridurre il proprio debito e riceverà un nuovo prestito di quasi 44 miliardi di euro. Come ho scritto in un post precedente, non è però tutto oro quello che luccica. Occorrerà del tempo per vedere se le cose miglioreranno, mentre la crisi resta molto grave, il panorama politico piuttosto complicato e le tensioni sociali sono pronte a riesplodere in ogni momento in una situazione in cui la povertà colpisce vasti strati della popolazione. Preoccupa anche il consenso cresciuto attorno ad "Alba dorata", il partito dell'ultradestra razzista e xenofoba che guadagna consensi, grazie anche a iniziative di assistenza rivolte ai cittadini più disagiati, e nei sondaggi è attualmente dato al terzo posto nelle preferenze degli elettori dopo Syriza (Sinistra radicale) e Nea Demokratia, il partito del premier Antonis Samaras. Il quale, dopo il raggiungimento dell'accordo a Bruxelles, ha detto però che "comincia un giorno nuovo per tutti i greci". L'impressione è però che, anche se la Grecia può prendere una boccata d'aria, ancora per diverso tempo i suoi cittadini dovranno strungere la cinghia e che le lacrime e sangue da versare non sono ancora finite. Ma intanto come si sono svegliati i greci, il giorno dopo? L'ho chiesto a Elisabetta Casalotti nell'intervista per Radio Radicale andata in onda ieri nella puntata di Passaggio a Sud Est e che potete ascoltare direttamente qui




giovedì 29 novembre 2012

I MEDIA IN SERBIA SULL'ASSOLUZIONE DI ANTE GOTOVINA E MLADEN MARKAC


La sentenza di assoluzione definitiva emessa dal Tribunale internazionale per l'ex Jugoslavia nei confronti degli ex generali croati Ante Gotovina e Mladen Markac, accusati dei crimini di guerra e contro l'umanità compiuti durante l'Operazione Tempesta che portò alla riconquista della Kraijna, condannati in primo grado a pesanti pene detentive, ha suscitato dure reazioni in Serbia che però non sono andate al di là delle prevedibili dichiarazioni delle maggiori autorità di Belgrado. La gran parte dell'opinione pubblica serba, pur non condividendo, con tutta probabilità, la decisione dei giudici dell'Aja, non si è fatta coinvolgere dalle proteste dei gruppi ultranazionalisti. Qui di seguito un breve resoconto di Riccardo De Mutiis su come soprattutto i media serbi hanno commentato la notizia.

La Corte d’appello del Tribunale penale per l’ex Yugoslavia, come è noto, ha assolto i generali croati Gotovina e Markac dai crimini loro ascritti contro la popolazione serba della Kraijna, con un verdetto di stretta misura (3 voti a 2): il confronto in camera di consiglio deve essere stato duro e serrato se uno dei giudici, Fausto Pocar, di gran lunga il più autorevole del collegio giudicante, ha espresso pubblicamente il suo dissenso dalla decisione, affermando che la stessa contraddice ogni principio di giustizia. Ci si potrebbe addentrare su questioni giuridiche, quali quella delle lacune procedurali dei giudizi che si svolgono all’Aja o quella della insufficienza, a livello internazionale, delle norme incriminatrici poche e generiche. Ci si potrebbe soffermare sulle modalità di composizione delle giurie, le quali, in nome del principio della rappresentanza di tutte le nazioni nei vari organismi, prevedono in molti casi la partecipazione di magistrati che, a causa della loro provenienza e quindi della natura dei procedimenti che trattano nel loro Paese, non hanno alcuna familiarità con i casi giudicati all’Aja: è paradigmatico, in questo senso l’inserimento nel collegio che ha giudicato gli appelli proposti da Gotovina e Markac, di un magistrato giamaicano, Patrick Robinson. E’ tuttavia impossibile, allo stato attuale, procedere ad una corretta ed approfondita esegesi della sentenza d’appello e ciò in quanto la stessa richiederebbe la conoscenza di tutti gli atti processuali. Si preferisce quindi esaminare la questione sotto una diversa angolazione e cioè si intende concentrare l’attenzione sul modo in cui in Serbia è stata vissuta e commentata la sentenza della Corte d’appello dell’Aja.

La reazione serba alla sentenza è stata naturalmente di segno negativo, ma a Belgrado ha dato particolarmente fastidio anche l’enfasi con cui la vicenda è stata vissuta in Croazia. Il collegamento televisivo in diretta con L’Aja per la lettura della sentenza, il tappeto steso ai piedi dei due generali al loro arrivo all’ aeroporto di Zagabria, il loro ricevimento ufficiale da parte del presidente Josipovic e la messa di ringraziamento celebrata nella cattedrale gotica della capitale hanno, in un certo senso, acuito la frustrazione dei serbi per una sentenza che essi sentono come profondamente ingiusta. Allo stesso modo, le immagini trasmesse dalla televisione pubblica croata, in particolare il ringraziamento pubblico tributato a Gotovina e Markac in Trg Jelacic, con i reduci della guerra di liberazione in tuta mimetica, non hanno aiutato ad abbassare il livello di tensione. I politici serbi, con il Presidente Nikolic in testa, parlano di una sentenza politica e sottolineano come essa renda più problematici i rapporti con la Comunità Internazionale ed il cammino della Serbia verso l’integrazione europea. Merita tuttavia di essere evidenziata la presa di posizione del primo ministro Dacic, il quale, dando ancora una volta prova di quel pragmatismo che gli ha consentito di essere nominato a capo dell'esecutivo nonostante il suo partito non raggiunga nemmeno il 16% dei voti, ha affermato, dopo avere anch’egli criticato la sentenza, che la stessa va accettata, è un fatto compiuto su cui la Serbia non può incidere e bisogna quindi guardare avanti. La reazione popolare nei confronti della sentenza non è andata al di là di un generale dissenso e della solita bandiera croata data alle fiamme e non deve ingannare l'imponente spiegamento di forze dell’ordine disposto dalle autorità a Belgrado per la giornata di sabato 17 novembre: più che per controllare le manifestazioni di protesta contro la sentenza, i militari erano presenti per gestire l’ordine pubblico in occasione del derby calcistico tra Partizan e Crvena Zvezda (Stella Rossa).

Ovviamente i media, è il loro mestiere, si sono gettati sulla notizia. L’organo di stampa che ha seguito con maggiore attenzione l’evento è stata Prva srpska televiziia, l’emittente privata che, con Al Jazeera Balkans, rappresenta sicuramente la novità più interessante del panorama televisivo dei Paesi dell’ex Yugoslavia. Prva televiziia, infatti, per diversi giorni ha effettuato un collegamento permanente con il suo corrispondente all’Aja, alternando, in un cocktail ben riuscito, le impressioni di coloro che si trovavano nella città olandese, testimoni e giornalisti, con gli interventi degli ospiti dello studio belgradese. Di particolare effetto, poi, è stato il titolo che l’emittente ha dato alla trasmissione, Oluja Harska (La tempesta dell’Aja), espressione particolarmente indovinata perché da un lato evidenzia l’effetto, tempestoso, che è seguito in Serbia alla sentenza e dall’altro richiama il nome in codice dell’operazione militare croata, appunto Oluja, a cui presero parte Gotovina e Markac. E’ poi da sottolineare che i media serbi hanno dato particolarmente rilievo alle dichiarazioni di una loro nemica storica, Carla Del Ponte, la quale aveva sostenuto vittoriosamente, in qualità di procuratrice, l’accusa nel giudizio di primo grado e si è detta particolarmente sorpresa dell'esito del giudizio d’appello. Per finire, può essere interessante sottolineare l’esagerazione con cui alcuni quotidiani hanno cavalcato l'evento, facendo presagire conseguenze del tutto irreali. E’ il caso del montenegrino Blic, secondo cui la sentenza avrebbe potuto generare disordini anche nell’ambito sportivo e preannunciava probabili scontri tra la tifoseria del Cibona di Zagabria e quella della Crvena Zvezda di Belgrado nel match in programma a Zagabria il 25 novembre per la Alba liga di basket (il campionato che riunisce le migliori formazioni dei Paesi della ex Jugoslavia). Il giornale parlava infatti di partita ad alto rischio (“visok rizik”) e di una tifoseria serba che si stava preparando a rispondere alle provocazioni croate basate sull’assoluzione dei due generali (“za zvezda sprema odgovoris na provokacija generalima”). Inutile dire che l’incontro di basket si è svolto in modo del tutto normale e non si sono verificati i disordini profetizzati da Blic.

Riccardo De Mutiis, esperto di relazioni internazionali, conoscitore della realtà balcanica anche per aver partecipato a diverse missioni patrocinate da istituzioni internazionali. Passaggio a Sud Est ha già pubblicato diversi suoi pezzi: per ritrovarli utilizzare il motore di ricerca interno del blog (vedi nella colonna a destra) usando come chiave di ricerca il nome dell'autore.  


DOPO L'ASSOLUZIONE DI GOTOVINA E MARKAČ CONTINUANO LE POLEMICHE E LE DICHIARAZIONI PREOCCUPANTI

Belgrado: protesta contro il Tpi (Foto Ap/Darko Vojinovic)

Di Marina Szikora, corrispondente di Radio Radicale
Dopo la sentenza del Tribunale internazionale per l'ex Jugoslavia dell'Aja che ha assolto i generali croati, Ante Gotovina e Mladen Markač da ogni responsabilita' per i crimini di guerra commessi durante l'operazione Tempesta, non cessano le analisi i commenti e le reazioni relativi alla questione. In questi giorni si sono potute leggere anche le dichiarazioni di Nataša Kandić, direttrice del Humanitarian Law Center di Belgrado, importante organizzazione non governativa, e prestigiosa esponente della lotta per i diritti umani in Serbia. A proposito della sentenza ai generali croati che in Serbia ha provocato reazioni politico-emotive, Nataša Kandić ha ricordato che il Tribunale dell'Aja ha pronunciato molte sentenze che in Serbia, tranne che nei circoli estremisti, non hanno causato particolari reazioni. Si e' aspettata, dice Kandić, reazioni anche piu' forti a Belgrado, da manifestazioni fino alla rottura delle relazioni con la Croazia. Ma secondo Kandić, le reazioni politiche sono state comunque controllate e secondo lei questo ha a che fare con il fatto di chi si trova al potere, vale a dire quelli che sono responsabili per l'inizio della guerra e di quello che nel corso di questa guerra e' accaduto. Sono responsabili, ha detto Kandić, di 12.000 vittime in Croazia, 10.500 in Kosovo e 95.000 in Bosnia Erzegovina e ha aggiunto che nella Republika Srpska le formazioni militari non avrebbero potuto commettere cosi' tanti crimini se non ci fosse stata la partecipazione della Serbia. Oggi al potere in Serbia ci sono i responsabili della difficile eredita' del passato e per questo la loro reazione e' piu' modesta di quella che poteva portare la Serbia nel caos e limitare notevolmente le relazioni regionali, ha dichiarato la direttrice del HLC. Nataša Kandić ha menzionato anche i nuovi atti di accusa per crimini di guerra in Croazia che il procuratore serbo per i crimini di guerra, Vladimir Vukčević ha annunciato subito dopo le sentenze dell'Aja. Secondo Kandić si tratta di incriminazioni assolutamente politiche.

Al contrario di quanto dichiarato da Nataša Kandić, le rezioni piu' dure da Belgrado si sono potute sentire proprio in questi giorni quando uno forse si aspettava piu' calma a mente fredda. Prima le dichiarazioni domenica scorsa pronunciate durante la liturgia ortodossa a Belgrado da parte del capo della chiesa ortodossa serba, il patriarca Irinej. "Con la senteza di assoluzione ai generali croati il Tribunale dell'Aja ha tolto la maschera e mostrato finalemtne che si tratta di un tribunale politico, a cui mancano le principali norme giuridiche ed etiche, il cui obiettivo e' quello di proclamare innocenti i colpevoli mentre le vittime innocenti diventano colpevoli" ha detto Irinej celebrando la liturgia nella principale chiesa ortodossa di Belgrado dedicata alle vittime serbe degli anni novanta. Il patriarca serbo ritiene che le sentenze hanno compromesso la giustizia e la legge e che si tratta di interessi dei potenti di questo mondo e di questo tempo. Secondo le sue parole, per la logica del Tribunale dell'Aja nessuno deve rispondere di 200.000 persone cacciate via dalle loro case e di migliaia di persone uccise. Ad ascoltarlo in chiesa anche il premier serbo Ivica Dačić, il suo vice, Aleksandar Vučić, il presidente del Parlamento serbo Nebojša Stefanović, ministri, deputati e altri rappresentanti delle istituzioni statali. Come riportato dai media serbi, il patriarca Irinej ha detto anche che la Serbia rispetta l'Europa e vuole esserne parte, ma non a prezzo di rinunciare alla sua terra santa, il Kosovo. Il capo della chiesa ortodossa serba ha raccomandato quindi ai vertici serbi di realizzare relazioni piu' strette possibili con la Russia, con il "grande popolo fratello slavo, con il quale esiste un legame di sangue e di fede". "Loro sono il nostro sostegno e speranza e sono stati con noi ogni qualvolta ne abbiamo avuto bisogno, oggi abbiamo bisogno di loro piu' che mai" ha rilevato Irinej.

In risposta a quanto afferamto dal patriarca Irinej, il premier serbo Ivica Dačić ha detto invece che oggi e' sicuro che l'attuale potere non consegnera' il Kosovo, ne' tradira' il paese, ma la Serbia adesso non e' nella situazione di tenersi il Kosovo poiche' il Kosovo e' gia' stato rapito. Commentando inoltre le raccomandazioni del patriarca serbo di rifiutare l'ingresso nell'Ue se cio' comporta il rinunciamento al Kosovo, Dačić ha rilevato che la Serbia puo' dire di non voler aderire all'Ue ma nemmeno allora il Kosovo non le verra' restituito. "Noi siamo riusciti a tornare al tavolo dei negoziati e sarebbe completamente sbagliato abbandonarlo adesso" ha detto il premier serbo. "La Serbia va verso l'Ue, questa e' la nostra scelta perche' e' buono per i cittadini della Serbia" ha ribadito Dačić. Il premier serbo ha aggiunto che le buone relazioni con la Russia sono la priiorita' ma esse si devono appena rafforzare e costruire a fin di utilizzare l'autorita' della Federazione Russa. Per quanto riguarda l'azione militare croata Tempesta, in sintonia con il patriarca ortodosso serbo, Dačić e' dell'opinione che si tratti "di uno dei piu' grandi crimini dopo la Seconda guerra mondiale" in cui sono state cacciate via dalle loro case 200.000 persone e oltre migliaia di uccisi ma ha indicato che la collaborazione con il Tribunale dell'Aja sara' continuata. La sentenza di assoluzione a Gotovina e Markač, ha detto Dačić, e' "uno schiaffo e suicidio" e ha rilevato che i procuratori dell'Aja, Serge Brammertz e l'ex procuratore capo Carla del Ponte hanno parlato di questa sentenza "con una dosi di inaccettabilita'". Dačić ha aggiunto che la Serbia appoggera' tutte le attivita' per trovare il modo legale che possa condananre i crimini contro i serbi ed ha sottolineato che sarebbe meglio se i generali croati fossero stati condannati almeno ad un giorno di carcere piuttosto che essere assolti.

Il culmine delle accuse serbe è arrivato con le dichirazioni del presidente della Serbia Tomislav Nikolić. In una intervista per il giornale 'Kurir' rilasciata lunedi' Nikolić afferma che le relazioni con la Croazia "paese che festeggia il suo crimine" non vanno bene e il recente appello del generale Ante Gotovina ai serbi profughi di ritornare in Croazia ha qualificato come cinici. Nikolić ha precisato di aver avuto grandi progetti per stabilire con la Croazia e la BiH buone relazioni ma adesso la situazione con la Croazia non va bene. Ha accusato il presidente croato Josipvić di "aver aspettato questa sentenza e adesso vuole il dialogo: io in quanto presidente del popolo che aveva commesso crimini e lui come presidente del popolo che non e' condannato di nulla". Evidentemente, ha aggiunto Nikolić, con un paese che glorifica i suoi crimini non potete collaborare sinceramente, apertamente e cordialmente. Per quanto riguarda l'invito di Gotovina ai serbi profughi di tornare in Croazia, il capo dello stato serbo oltre a giudicarlo cinico si e' chiesto se Gotovina forse vuole radunare i serbi per poterli nuovamente cacciare via e uccidere? "Oso dire – e' questo il modo di comprendere la verita', Dio e giustizia dei due popoli – quello serbo e quello croato?" ha detto Nikolić paragonando la posizione serba e croata verso i crimini. "Il popolo croato e' sulla via sbagliata, un popolo che forse oggi fucilerebbe i suoi individui che direbbero – fermatevi, si e' trattato di crimine" ha proseguito Nikolić rilevando che non va bene che l'Ue non ha voluto appesantire la Croazia con la sentenza contro i generali nel momento del vicino ingresso del Paese nell'Ue. Infine, il presidente serbo ha osservato che e' "maleducato tenere la Serbia da parte e accogliere invece la Croazia nell'Ue".

"Non posso assolutamente credere che tali dichiarazioni arrivano dal politico a capo di un paese che vuole essere europeo" ha replicato subito il presidente croato Ivo Josipović. "La Croazia si impegna per la riconciliazione e costantemente abbassa la palla per terra, ma Nikolić evidentemente vede diversamente la situazione. Queste prese di posizione non contribuiscono a buone relazioni e alla riconciliazione. La Croazia non cedera' ad un tale isterismo" ha detto fermamente Ivo Josipović in replica al presidente della Serbia. A causa di tali dichiarazioni di Nikolić, Josipović valuta che c'e' poco spazio per ritirare le accuse per genocidio presentate davanti alla Corte di giustizia. Per quanto riguarda l'osservazione di Nikolić che sarebbe maleducato accogliere la Croazia nell'Ue, Josipović ha replicato che "per fortuna su questo non decide Nikolić bensi' l'Ue e la decisione sara' positiva". Nel caso di Gotovina e Markač il Tribunale dell'Aja ha constatato che queste due persone non sono responsabili per crimini di guerra commessi durante la guerra in Croazia e che nell'operazione Tempesta non si e' trattato di una impresa criminale congiunta. Sia il presidente croato che il comunicato del Ministero degli esteri e affari europei croato, rilasciato a proposito delle dichiarazioni del presidente Nikolić, ribadiscono che cio' non significa negare i crimini che gli individui hanno commesso sul territorio croato, sia dalla parte croata che quella serba. Gli alti esponenti croati avevano sottolineato che né i crimini, ne' i responsabili hanno nazionalita', anzi e' vero il contrario: ogni autore di crimini, nonostante la nazionalita', verra' punito per cio' che ha commesso.  

[*] Il testo è tratto dalla corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sud est andata in onda oggi a Radio Radicale


ASSOLTO HARADINAJ: LA SENTENZA PESERA' SUI NEGOZIATI TRA BELGRADO E PRIŠTINA?


Questa mattina il Tribunale internazionale per l'ex Jugoslavia ha assolto l'ex primo ministro kosovaro Ramush Haradinaj giudicandolo non colpevole dei crimini contro l'umanità e crimini di guerra che avrebbe commesso durante il conflitto in Kosovo quando era uno dei comandanti dell'Uck. La procura del Tpi accusava Haradinaj, insieme ad altri due imputati, di decine di omicidi, deportazioni e altre azioni inumane compiute contro serbi, albanesi “collaborazionisti” e rom: 37 capi d'accusa per un totale di 108 singoli reati. L'assoluzione di Haradinaj, a pochi giorni dall'analoga sentenza che ha riguardato gli ex generali croati Ante Gotovina e Mladen Markac, è destinata a infiammare nuovamente le polemiche a Belgrado e pone un'ipoteca sul prossimo incontro a Bruxelles tra il premier serbo Ivica Dacic e quello kosovaro Hashim Thaci. Il testo che segue è tratto dalla corrispondenza di Marina Szikora per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda questa mattina a Radio Radicale prima che fosse pronunciata la sentenza all'Aja.

Foto Afp
L'incontro tra il premier serbo Ivica Dačić e quello kosovaro Hashim Thaci indetto per il prossimo 4 dicembre a Bruxelles potrebbe venire in questione se l'ex comandante dell'UCK, Ramush Haradinaj venisse assolto dall'Aja, ritengono gli analisti serbi Borislav Stefanović, Dušan Janjić e Laslo Varga, intervistati dal quotidiano serbo 'Danas'. Secondo la loro opinione, se il Tribunale dell'Aja non condannera' Haradinaj, si sentiranno le conseguenze negative anche per quanto riguarda le relazioni nella regione che gia' sono compromessi dopo la sentenza di assoluzione pronunciata ai generali croati Ante Gotovina e Mladen Markač. Anche l'umore pubblico in Serbia peggiorerebbe ulteriormente ritengono gli analisti. Borislav Stafanović, ex capo del team negoziatorio serbo nel dialogo con Priština per 'Danas' valuta che la liberazione di Haradinaj sarebbe 'scandalosa' ma non esclude una tale decisione e avverte che questo potrebbe rendere piu' difficile la posizione di Thaci perche' Haradinaj diventerebbe cosi' candidato ai piu' alti incarichi. Secondo Dušan Janjić, analista politico, in caso di assoluzione di Haradinaj, il dialogo tra Belgrado e Priština scenderebbe dal livello politico ad un livello piu' basso. Laslo Varga, vicepresidente della Commisione parlamentare per le integrazioni europee e' del parere che l'atmosfera in Serbia peggiorerebbe ulteriormente e sicuramente non contribuirebbe alla riconciliazione nella regione.  


PASSAGGIO IN ONDA

E' on-line la puntata di Passaggio a Sud Est trasmessa da Radio Radicale oggi 29 novembre. La trasmissione è ascoltabile nella sezione "In Onda" del blog oppure, insieme a quelle precedenti, sul sito di Radio Radicale.



mercoledì 28 novembre 2012

AUGURI ALBANIA

Il "Paese delle aquile" festeggia oggi il centenario dell'indipendenza, ma tanti problemi restano ancora aperti in una transizione che non sembra del tutto conclusa


Oggi l'Albania celebra il primo centenario della sua indipendenza nazionale. Era infatti il 28 novembre del 1912 quando a Valona, Ismail Qemali, leader del movimento che si opponeva alla spartizione del Paese in seguito alla dissoluzione dell'Impero Ottomano, dichiarò l'indipendenza. In quell'occasione fu esposta per la prima volta la bandiera nazionale, con l'aquila bicipite nera in campo rosso. Qemali assunse la guida di un governo provvisorio che tuttavia in un primo tempo esercitò la sua autorità in una parte limitata di territorio. Il 29 luglio del 1913, tuttavia, l'autoproclamazione fu riconosciuta dalla Conferenza di Londra e il 21 febbraio 1914 fu stabilito il Principato di Albania sul cui trono le grandi potenze europee posero il principe Guglielmo di Wied, nipote della Regina Elisabetta di Romania. Poco meno di sei mesi dopo, però, il sovrano fu costretto ad abbandonare il Paese a seguito di una rivolta pan-islamica guidata da Essad Pasha, generale ottomano che al momento della proclamazione di Ismail Qemali, aveva formato un "Senato centrale albanese" a Durazzo. Al posto di Guglielmo, il Senato di Durazzo elesse principe d'Albania Mehmed Burhaneddin Efendi, figlio dell'ex sultano ottomano Abdul-Hamid II, che rimarrà in carica fino al 1919. In seguito diversi governi si succedettero tentando di sviluppare uno stato laico, indipendente e democratico.

La delimitazione dei confini lasciò alcune comunità albanesi fuori dal territorio del nuovo Stato, in Montenegro e in Serbia (che all'epoca comprendeva anche parte dell'attuale Macedonia (Fyrom). Inoltre, una rivolta dei greci nel sud del paese portò alla formazione della "Repubblica Autonoma dell'Epiro del Nord" che rimase sotto il controllo di Atene fino al 1916. Durante la prima guerra mondiale parte del territorio fu occupato da un corpo di spedizione italiano che lascerà il Paese solo nell'agosto 1920, soprattutto a causa della rivolta dei bersaglieri scoppiata il 26 giugno di quell'anno ad Ancona in seguito al rifiuto di un reggimento di soldati di partire per l'Albania. Il processo di riforma democratica e laica fu poi interrotto dal colpo di stato politico-militare guidato da Ahmet Zogu, che nel 1924 diede vita al Regno albanese autonominandosi re col nome di Zog I. Il regime monarchico durò fino al 1939 quando, nonostante gli intensi rapporti bilaterali sviluppati con l'Italia, l'Albania fu occupata dall'esercito di Mussolini, che cercava di controbilanciare l'espansionismo della Germania nazista. Zog I fu deposto, l'Albania venne annessa al Regno d'Italia e Vittorio Emanuele III assunse anche il titolo di re d'Albania.

Nel novembre del 1940, dopo il disastroso attacco italiano alla Grecia, un terzo del territorio albanese fu occupato dalle truppe di Atene. In seguito all'intervento della Germania, che nel 1941 intervenne in aiuto dell'Italia, Jugoslavia e Grecia passarono sotto il controllo delle forze italo-tedesche, mentre il Kosovo e l'Epiro del nord furono annessi all'Albania. La situazione cambiò nuovamente dopo il settembre del 1943 quando, in seguito alla firma dell'armistizio con gli angloamericani da parte del governo Badoglio, i tedeschi invasero il “Paese delle aquile”. Si formò così un movimento di resistenza promosso principalmente dal partito nazional-comunista guidato da Enver Hoxha, che riuscì a prendere il controllo del paese nel 1944. E' importante ricordare che l'Albania è stato l'unico Paese europeo dove tutti gli ebrei furono salvati dalle persecuzioni naziste e, anzi, nel corso del conflitto, il numero degli ebrei aumentò dato che molti vi emigrarono per salvarsi dalle persecuzioni razziali in corso negli altri Paesi europei. Le autorità albanesi rifiutarono di consegnare le lista degli ebrei che furono nascosti dagli abitanti e dai patrioti albanesi.

Dopo la fine del conflitto, nel 1945, le elezioni diedero la maggioranza al Fronte Democratico di ispirazione comunista. Eliminati gli avversari politici, Enver Hoxha instaurò in seguito un regime a partito unico di tipo stalinista stringendo i rapporti con l'Unione sovietica, dalla quale dipese anche economicamente fino alla all'ascesa al potere a Mosca di Nikita Kruscev. In seguito alla denuncia del regime staliniano, Hoxha si staccò dall'orbita sovietica e nel 1968 uscì anche dal Patto di Varsavia, avvicinandosi alla Cina maoista. Di breve durata furono le relazioni con la Jugoslavia di Tito con la quale Hoxha ruppe tutte le relazioni politiche a partire dal 1948. Dopo la rottura anche con Pechino, il dittatore impose una politica sempre più isolazionista che separò di fatto l'Albania dal resto dell'Europa e del mondo per molto tempo. La morte di Hoxha nel 1985 innescò la caduta del regime divenuta inevitabile, complice anche la grave situazione economica, dopo il crollo del muro di Berlino e il conseguente tramonto dei regimi comunisti dell'Europa centro e sud orientale. Le prime elezioni libere, nel 1991 sancirono formalmente la fine della dittatura comunista.

Seguirono anni difficili e turbolenti nei quali il Paese soffrì i molti problemi legati al limitatissimo sviluppo socio-economico e all'isolamento culturale dei decenni precedenti. Furono decine di migliaia gli albanesi che in quegli anni decisero di emigrare soprattutto verso l'Italia, raggiungendo via mare le coste della Puglia. Emblematica, di quel periodo, la vicenda della nave Vlora che nell'estate del 1991, giunse nel porto di Bari con a bordo ventimila persone. Da ricordare anche le vicende legate al crack delle cosiddette “piramidi finanziarie” che ridusse sul lastrico migliaia di persone e provoco una tempesta politica e sociale che condusse il Paese ad un passo dalla guerra civile in un periodo in cui i Balcani erano dilaniati dai conflitti che accompagnarono la dissoluzione della Jugoslavia. Superati i momenti più difficili della sua storia più recente, nonostante i tanti problemi che restano aperti e una transizione politica che a tratti appare non ancora conclusa, l'Albania è riuscita comunque in qualche modo a stabilizzare le sue nuove istituzioni e ad intraprendere il percorso di integrazione euro-atlantica.

Un primo, importante traguardo, è stato tagliato il 4 aprile 2009 con l'adesione alla NATO. Più complicato, invece, il processo di integrazione nell'Unione Europea, una prospettiva condivisa da tutte le forze politiche e sostenuta dall'ampia maggioranza dell'opinione pubblica. Dopo avere superato il primo step del processo di integrazione, l'Accordo di stabilizzazione e associazione, l'Albania non riesce ad ottenere ufficialmente la candidatura all'adesione, senza la quale non è possibile aprir i negoziati formali con Bruxelles. Anzi, dopo il fallimento dell'accordo tra maggioranza e opposizione sul varo, entro il 20 novembre scorso, delle tre leggi di riforma sollecitate dall'UE, che richiedevano la maggioranza qualificata dei 3/5 in Parlamento, la possibilità di acquisire lo status di Paese candidato si allontana ulteriormente. Il premier di centro-destra Sali Berisha e il leader socialista Edi Rama si accusano a vicenda di bloccare il cammino di integrazione europea per calcoli di politica interna. Nonostante le sollecitazioni internazionali (anche di Washington oltre che di Bruxelles), non sembra, dunque, superato il braccio di ferro che dalle elezioni politiche di tre anni fa oppone maggioranza e opposizione condannando il Paese allo stallo politico proprio quando avrebbe più bisogno di concordia sugli obiettivi di interesse nazionale. Una situazione che non rappresenta la migliore premessa per le elezioni parlamentari del 2013.

Anche per questo, tanti auguri Albania.



martedì 27 novembre 2012

L'EUROGRUPPO TROVA L'ACCORDO SUGLI AIUTI ALLA GRECIA

Soddisfazione e fiducia rimbalzano da Bruxelles ad Atene, ma non è tutto oro quello che luccica

Alla fine ce l'hanno fatta, anche se forse non avrebbero potuto fare altro: i ministri delle Finanze della zona euro, alla terza riunione in tre settimane e dopo 13 ore di trattativa, hanno trovato l'accordo sulla Grecia che potrà ricevere così 43,7 miliardi di euro di aiuti divisi in tre tranche: 34,4 verranno pagati a dicembre, mentre il resto sarà versato nel primo trimestre del 2013, tenendo conto dell'attuazione degli impegni che la Grecia ha concordato con la troika, tra cui la riforma fiscale che dovrà partire a gennaio. L'accordo è stato preceduto, poco prima di mezzanotte, dall'intesa tra Eurogruppo ed Fmi sulla riduzione del debito pubblico greco, che al momento è al 170% del Pil, che dovrà scendere al 124% entro il 2020 e sotto al 110% nel 2022. Il via libera formale all'intesa di questa notte verrà comunque il prossimo 13 dicembre, dopo il voto di alcuni Parlamenti nazionali e dopo la valutazione dell' “esito della possibile operazione di buy-back da parte della Grecia”.

“L'accordo è stato molto difficile” anche operché “non era solo una questione di soldi”, ha commentato il presidente dell'Eurogruppo, Jean-Claude Juncker, mentre per il commissario europeo agli Affari economici e monetari, Olli Rehn, si è trattato di un test “che semplicemente non potevamo permetterci di fallire”. Soddisfatta la direttrice dell'Fmi, Christine Lagarde, mentre il presidente della Bce, Mario Draghi, assicura che l'accordo “sicuramente ridurrà l'incertezza e rafforzerà la fiducia in Grecia ed in Europa”. “E' andato tutto bene, tutti greci hanno lottato e domani comincia un giorno nuovo per ognuno di loro”, è stato il primo commento del premier greco Antonis Samaras. Anche il leader del Pasok, Evanghelos Venizelos, ha accolto con favore l'accordo che costituisce “il nuovo punto di partenza che serviva alla Grecia dopo nove mesi di attesa”. Al di là dei dettagli ciò che conta, secondo il leader socialista, è l'immagine positiva grazie ai pesanti sacrifici sopportati dai cittadini.

Ma non è tutto oro quello che luccica, è il caso di dire: l'Ocse ha elaborato, infatti, una dinamica esplosiva del debito pubblico greco che prevede un costante aumento nel prossimo biennio. Sul 2012 è atteso un rapporto debito-Pil al 181,3 per cento, che nel 2013 salirebbe al 193,2 fino a sfiorare il 200 per cento nel 2014. Certo, la previsione è stata fatta prima che si definisse il nuovo quadro in seguito all'accordo raggiunto dai ministri delle Finanze dall'Eurogruppo a Bruxelles la scorsa notte. Tuttavia, la situazione rende quanto mai centrate le parole del segretario socialista Venizelos: “Ora tocca a noi greci valorizzare questo quadro e creare i presupposti per la ripresa nazionale”. L'impressione è che di lacrime e di sangue ce ne saranno ancora molte da versare.


domenica 25 novembre 2012

IL MONTENEGRO E LE SUE DIVISIONI REGIONALI

Come lettura domenicale Passaggio a Sud Est propone oggi questa interessante analisi della situazione del Montenegro dal punto di vista della sua composizione etnica e culturale e delle influenze che questa ha sulla vita politica del Paese.

 di Riccardo de Mutiis [*]
Il regionalismo, concetto che è stato oggetto di diverse definizioni ed interpretazioni, può essere inteso anche come rivendicazione della specificità di una determinata area geografica e degli interessi della comunità che vi è insediata. Diversi regionalismi convivono, e fatalmente confliggono, all’interno di quasi tutti gli Stati del mondo: in altre parole la contrapposizione tra nord e sud non è una esclusiva italiana. Gli elementi che caratterizzano ogni regione sono sicuramente la natura geografica, le vicende storiche ed il contesto socio-economico. E si può senz’altro affermare che tra i primi due e l’ultimo esiste un rapporto di causa ed effetto, nel senso che è proprio la natura fisica del territorio, in uno con le vicende storiche che lo hanno interessato, a determinare i caratteri socio economici della comunità che vi vive.

A questa regola non sfugge nemmeno il più giovane Stato europeo, il Montenegro, sorto nel 2006 dalle ceneri dell’ex Jugoslavia. Anche nel Montenegro, infatti, vi è una evidente contrapposizione tra due regioni, quella interna e quella costiera. La zona interna, quella che i montenegrini definiscono il “nord” e costituiva il nucleo fondamentale sia dello stato montenegrino seicentesco dei principi vescovi che di quello dei Petrovic del XIX secolo, è caratterizzata geograficamente dalla presenza di una serie di alte ed impervie montagne che lo hanno isolato e quindi protetto dalle contaminazioni esterne: non a caso l’unica significativa dominazione subita da questo territorio, quella ottomana, è stata più breve e meno intensa che nel resto dei Balcani. E proprio la carenza di contatti con altri popoli , unita al fatto che il regime di occupazione di Bisanzio consentiva alle genti sottomesse di conservare le proprie abitudini , ha fatto sì che nel Montenegro interno le tradizioni delle origini, inclusa la sentita appartenenza alla chiesa ortodossa, si siano conservate fino ai giorni nostri.

Ben diversa la situazione sulla costa, non dotata di una protezione naturale come l’interno e quindi esposta ai contatti con quei popoli le cui flotte nel corso dei secoli hanno solcato il mare Adriatico ed il cui insediamento, soprattutto a Budva e Kotor, ha lasciato tracce evidenti nel tessuto socio culturale. L’appartenenza del Montenegro costiero alle province illiriche dell’impero romano a distanza di millenni non è stata dimenticata se è vero che Ivo Andric, nell’opera che gli è valsa il Nobel per la letteratura - Il ponte sulla Drina - definisce “maestri romani” gli scalpellini assunti per la costruzione del ponte, provenienti appunto dalla costa adriatica e guidate dal mastro Antonije di Dulcigno (l’odierna montenegrina Ulcinji). Ed il permanere di una certa relazione tra la civiltà romana e gli abitanti delle zone costiere è avvertito anche dai montenegrini dell‘interno, i quali, ancora oggi, definiscono i primi “lacmani”, parola intraducibile in italiano ma che richiama appunto il legame con la cultura latina.

La dominazione veneziana, poi, protrattasi per circa quattro secoli, è evidente soprattutto sotto il profilo architettonico: lo stile della Serenissima marca in modo inconfondibile gli stupendi centri storici di Budva e Kotor, i cui palazzi e le cui arcate sono spesso dominate dal leone di San Marco. La lunga presenza sulla costa occidentale dei veneziani, e quella successiva degli austro-ungarici, ha influito anche sulla situazione religiosa, lasciando in eredità una numerosa comunità cattolica, soprattutto a Kotor, in cui è particolarmente sentito il culto di San Trifone (Sveti Trifon), a cui è intitolata la più importante chiesa della città. Ed è interessante rilevare come la comunità cattolica della costa del Montenegro contigua al confine croato sia l’unica presente a sud est della Bosnia e sostanzialmente la sola in un’area caratterizzata dalla prevalenza ortodossa (Serbia, Bulgaria, Romania, Macedonia, Grecia) con isole musulmane (Kosovo ed Albania).

I caratteri geografici, poi, hanno influenzato anche l’ economia delle due diverse aree. La costa, soprattutto a partire dall'indipendenza, ha incentivato la sua vocazione turistica, presente anche ai tempi della Jugoslavia, ma allora non di fondamentale importanza, vista l’assenza all’epoca di un significativo flusso di turisti stranieri. Grazie ai massicci investimenti nel settore immobiliare, soprattutto di provenienza russa, la costa sta assurgendo a nuova meta del turismo internazionale. Infatti Budva ha ospitato, vincendo la concorrenza di più famose città europee, le tappe continentali dei tour musicali di cantanti come Madonna, Rolling Stones e Lenny Kravitz, Kotor, patrimonio mondiale Unesco, rappresenta lo scalo più importante dopo Venezia delle crociere nell’Adriatico, mentre Tivat si è dotata di un porto turistico all’avanguardia. Invece all’interno il carattere accidentato del territorio rende ancora oggi difficile l'esercizio di attività agricole e la programmazione economica dell’ex Jugoslavia aveva escluso iniziative di tipo industriale nell‘area: di conseguenza la popolazione maschile trovava il suo sbocco lavorativo soprattutto nella carriera militare e non a caso i vertici dell’Armata federale jugoslava ai tempi delle guerre di secessione croata e bosniaca erano prevalentemente montenegrini.

In sintesi, al Montenegro montuoso, tradizionale, chiuso alle influenze esterne, di rigida osservanza ortodossa e privo di strutture produttive di una certa importanza, si contrappone un Montenegro costiero, aperto alle contaminazioni esterne, con una significativa presenza cattolica, la cui industria turistica è in continua espansione. E proprio lo sviluppo turistico della costa, per il fatto di richiedere una forza lavoro che arriva in massima parte proprio dall’interno, appare un fenomeno in grado di facilitare l’integrazione tra le due comunità, le quali, a causa della difficoltà delle comunicazioni interne, della diversità del contesto socio-economico culturale e della diversità delle rispettive vicende storico politiche, ancora oggi non si comprendono del tutto l’un l’altra e forse nutrono delle diffidenze reciproche.

[*] Riccardo De Mutiis, esperto di relazioni internazionali, conoscitore della realtà balcanica anche per aver partecipato a diverse missioni patrocinate da istituzioni internazionali. Passaggio a Sud Est ha già pubblicato diversi suoi pezzi: per ritrovarli utilizzare il motore di ricerca interno del blog (vedi nella colonna a destra) usando come chiave di ricerca il nome dell'autore.


venerdì 23 novembre 2012

TURCHIA: LA POLITICA "NEO OTTOMANA" ALLA PROVA DELLA REALTA'

Uno Speciale di Passaggio a Sud Est andato in onda oggi a Radio Radicale per fare il punto sulla situazione della Turchia: sulla politica interna, ma soprattutto sull'evoluzione della sua politica internazionale di fronte agli avvenimenti degli ultimi due anni. La dottrina della "profondità strategica", elaborata dall'attuale ministro degli Esteri, Ahmet Davutoglu, che ha ispirato la diplomazia di Ankara, rassunta con lo slogan "zero problemi con i nostri vicini", sono messe alla prova dalle primavere arabe, dalla crisi dei rapporti con Israele e soprattutto dalla crisi siriana che rilancia anche la questione curda e ha rimesso al centro la definizione delle relazioni con gli alleati occidentali della Turchia, Usa prima di tutto, e il ruolo della Nato. Solo sullo sfondo, al momento, vista l'attuale crisi economico-politica che agita l'Europa, ma pur sempre aspetto da considerare, la questione del negoziato per l'adesione all'UE in grave crisi e praticamente fermo. 

La trasmissione cerca quindi di offrire alcuni spunti, considerazioni e analisi per orientarsi in una situazione complessa e costentemente in evoluzione con le interviste a Marta Ottaviani, corrispondente dell'agenzia TMNews e collaboratrice dei quotidiani La Stampa e Avvenire, Alberto Tetta, giornalista freelance e corrispondente di Osservatorio Balcani e Caucaso, e Nathalie Tocci, vicedirettore dell'Istituo Affari Internazionali. Nel programma, inoltre, la testimonianza del deputato radicale Matteo Mecacci, tratta dall'intervista di Ada Pagliarulo, sulla visita al campi profughi siriani di Akcakale di una missione dell'Osce. Conclude Emma Bonino, componente dell'Independent Commission on Turkey, con una carrellata delle principali questioni internazionali che coinvolgono la Turchia, a partire dal processo di adesione all'Unione Europea, ma anche le preoccupazioni sollevate da problemi interni, come le incarcerazioni di giornalisti, e alcune possibili iniziative del governo Erdogan come la reintroiduzione della pena di morte.

Ascolta direttamente qui lo Speciale di Passaggio a Sud Est





SIRIA, MECACCI: SUPERARE I VETI DI CINA E RUSSIA ALL'ONU

Per sostenere i profughi siriani la Turchia compie un grande sforzo con pochissimi aiuti internazionali

Bambini siriani rifugiati in Turchia (Mustafa Ozer/Afp)
“La Turchia sta compiendo un grande sforzo, con pochissimi aiuti internazionali, per sostenere i profughi della guerra siriana, ma questo purtroppo non basta per superare lo sconforto di chi è esule dal proprio Paese ed è costretto a vivere da mesi in una tenda. Ritengo positivo che il nostro Governo abbia dato un segno tangibile di solidarietà ai rifugiati siriani stanziando 20 milioni di euro".
E' l'opinione di Matteo Mecacci, deputato radicale eletto nel Pd, presidente del Comitato democrazia e diritti umani dell'Osce, che in questi giorni è stato in Turchia con una missione assieme Riccardo Migliori, presidente dell’Assemblea parlamentare dell'Organizzazione. Mecacci ha incontrato lunedì scorso ad Ankara il ministro degli Esteri turco, Ahmet Davutoglu, e si è poi recato nella zona di confine tra Siria e Turchia dove ha visitato il campo di Akcakale che ospita i rifugiati siriani.
“La nostra presenza come Osce vuole sottolineare una solidarietà politica che non può non estendersi a paesi come la Giordania e il Libano, che stanno fronteggiando anch’essi questa crisi umanitaria”, ha detto Mecacci, secondo il quale sul conflitto siriano “è ormai chiaro che il veto che Cina e Russia pongono alle risoluzioni ONU, che mirano a proteggere concretamente i civili siriani, va denunciato da tutti i Paesi democratici, per essere superato, con la massima forza politica”. Non farlo, secondo Mecacci, “significherebbe essere corresponsabili di un conflitto che miete migliaia di vittime da oltre un anno, e che continuerà a farlo”.

Intervista di Ada Pagliarulo a Matteo Mecacci per Radio Radicale sulla missione Osce in Turchia e l'incontro con il ministro degli esteri Ahmet Davutoglu



giovedì 22 novembre 2012

CRIMINI DI GUERRA: L'ASSOLUZIONE DEFINITIVA DEGLI EX GENERALI CROATI ANTE GOTOVINA E MLADEN MARKAČ

Di Marina Szikora, corrispondente di Radio Radicale
Venerdi' 16 novembre 2012 sara' segnato come una giornata in cui la Croazia e' nuovamente rinata dopo la guerra, finalmente liberata dopo un passato di sanguinosa guerra di occupazione in cui la distruzione e le vittime si sentono anche nei giorni odierni. Ante Gotovina e Mladen Markač, i generali ed eroi croati, da venerdi' sono uomini liberi, assolti dal Tribunaledell'Aja che giudica i crimini di guerra in ex Jugoslavia, assolti dagli atti di imputazione che li avevano condannati in primo grado, Gotovina a 24 e Markač a 18 anni di carcere. Dal momento dell'arresto, la vita dei due generali si e' trasformata in sette lunghi anni di detenzione nella prigione internazionale di Scheveningen. Venerdi' pero', è arrivata la sentenza definitiva con la quale sono state rigettate le accuse secondo le quali i due generali croati avrebbero partecipato nell'impresa criminale congiunta nonche' nel bombardamento eccessivo di Knin, Gračac, Obrovac e Benkovac.

"Ha vinto la giustizia. Oggi la sentenza ha confermato che la Croazia ha condotto una guerra di difesa, di liberazione dei nostri territori. Oggi abbiamo visto quanto la nostra gente ama la loro patria. Siamo qui per ringraziarvi, siete stati combattenti nella guerra ma anche vittime nella pace. Avete portato il peso di errori altrui" ha detto il presidente della Croazia Ivo Josipović venerdi' scorso salutando nel suo Ufficio Gotovina e Markač al loro rientro in Croazia. "Per me questa e' una giornata felice, dopo cosi' tanti anni, dopo una maratona incerta e molti ostacoli di cui io non ho capito il perche'...la Guerra per la patria e' finita nel 1995 ma la sua vera fine e' soltanto oggi. " ha detto Ante Gotovina e ha aggiunto che "questo e' il punto sulla 'i', la guerra appartiene alla storia, voltiamoci verso il futuro. Il futuro e' nelle nostre mani". "All'inizio della guerra sapevo poco di guerra ma quando siamo finiti all'Aja il mio orgoglio e' crollato con l'atto di accusa di essere membro di una impresa criminale. Pensavo di morire in caso di una tale sentenza" ha detto Mladen Markač.

La lettura della sentenza alla Corte d'Appello del Tribunale internazionale



La sentenza di liberazione dei tre generali croati, prima Čermak, poi Gotovina e Markač, scrive il quotidiano di Zagabria 'Jutarnji list' e' il piu' grande colpo al Tribunale dell'Aja dopo la morte di Slobodan Milošević. Milošević ha passato cinque anni in carcere ed e' morto senza sentenza, proprio a causa della megalomania di Carla Del Ponte la quale non si era accontentata di un solo atto di accusa ma ha voluto che il leader serbo sia processato per tutti i crimini, dal 1991 in Croazia, attraverso la Bosnia fino al Kosovo. Piuttosto che concentrarsi su crimini concreti e giustizia per le vittime, prosegue 'Jutarnji list', nel caso dei generali croati, per la Procura dell'Aja era piu' importante cucire l'atto di accusa che includerebbe praticamente tutti gli allora vertici politici e militari della Croazia degli anni novanta. L'esito era che nel nuovo atto di accusa contro Gotovina del 2004 Del Ponte ha introdotto il termine 'dell'impresa criminale congiunta'. 

Questa forma di responsabilita' ha aiutato la Procura di accusare anche le persone che non avevano partecipato direttamente nei crimini come nemmeno i loro sottoposti. Tuttavia, non ci sono state le prove per confermare che in vista dell'operazione Tempesta si pianificavano uccisioni, saccheggi, incendi ed altri crimini. Gotovina, Čermak e Markač sono stati accusati quindi come partecipanti nell'impresa criminale il cui obiettivo e' stato quello di cacciare via la popolazione serba dalla Croazia. Infine, la Procura e' tornata pero' sulla tesi iniziale: la popolazione civile della Krajina ha abbandonato per sempre ed in massa le loro case per paura di bombardamenti.

Per l'ex procuratore capo dell'Aja Carla Del Ponte la sentenza che ha assolto i generali croati e' stata una grande sorpresa. "Intendo leggere la sentenza per vedere che cosa e' andato di storto tra la sentenza di primo grado e l'appello" e' stata la prima dichiarazione della Del Ponte. In base a quanto detto, 'Jutarnji list' afferma che non si tratta quindi di un errore della Procura come nemmeno della sentenza di primo grado di Alphonse Orie che aveva accettato praticamente tutte le tesi della Procura bensi' di "qualcosa" andato storto il che non significa altro che allusione da parte dell'ex capo della Procura ad una possibile pressione politica internazionale sul Tribunale.

Ante Gotovina, all'eta' di 17 anni decise di far parte della Legione Straniera e combatte' in Africa. Successivamente diventa agente di informazione francese, poi nel momento della guerra in Croazia e' generale croato, dopo pero' imputato, fuggitivo, prigioniero ed infine uomo libero. Nessun dubbio che oggi il generale Ante Gotovina e' un vero eroe della Guerra per l'indipendenza, una leggenda viva tra i veterani croati e di tutta la popolazione croata il quale, come afferma, in nessun momento non aveva dubbi sulla propria innocenza. Venerdi' scorso ha potuto finalmente, da uomo libero, riabbracciare la propria famiglia, sua moglie Dunja, la diciassettenne figlia Anna e il quindicenne figlio Ante.

La festa in piazza a Zagabria alla notizia dell'assoluzione



Mentre la Croazia e' praticamente esplosa in festa, la sentenza ha provocato stupore e tantissima delusione in Serbia. L'ex presidente serbo Boris Tadić ha valutato venerdi' che con la sua decisione il Tribunale dell'Aja produce gravi conseguenze nei Balcani occidentali ed ha invitato i politici ed i cittadini croati ad astenersi dal trionfalismo. Ha aggiunto che si fanno molte domande sull'oggettivita' del Tribunale e si producono interpretazioni pericolose relative al ruolo delle istituzioni internazionali. Secondo Tadić si pone anche la domanda in quale misura le istituzioni internazionali sono sotto pressione della politica. Il premier serbo Ivica Dačić ha valutato che la sentanza di liberazione per Ante Gotovina e Mladen Markač avra' gravi conseguenze nel processo della riconciliazione nella regione e che la sentenza conferma i doppi standard del Tribunale e della comunita' internazionale per quanto riguarda i crimini in ex Jugoslavia. "Come e' possibile richiedere da noi di condannare tutti i crimini mentre altri possono non condannare i crimini contro il popolo serbo?" ha chiesto Dačić affermando che "evidentemente questa sentenza ha un segnale politico. Il suo obiettivo e' quello di liberare la Croazia dalla responsabilita' per i crimini contro i serbi. La realta' e' del tutto diversa – oltre 200.000 serbi sono stati cacciati via dalla Croazia, diverse migliaie sono stati uccisi".

"Questo non e' collegato con la Croazia ed il popolo croato. Noi dobbiamo costruire insieme relazioni corrette ma cio' significa che bisogna andare avanti sinceramente rispetto a quello che vi e' stato. L'accaduto fara' si' che per diversi anni queste relazioni saranno compromesse e cio' non va bene per la regione" ha detto il premier serbo. Aleksandar Vučić, primo vicepresidente del governo serbo e ministro della difesa ha dichiarato che la Serbia rispetta e rispettera' i suoi obblighi internazionali ma che i cittadini della Serbia sono costernati dalle sentenze dell'Aja ai generali croati. Sempre venerdi', ad una manifestazione di protesta degli ultranazionalisti radicali serbi di Šešelj svoltasi nel centro di Belgrado, davanti all'Ufficio del presidente della Serbia, i manifestanti hanno bruciato la bandiera croata. Centinaia di manifestanti insultando i croati portavano manifesti con scritte "Aja=Ue=Vaticano", "Ci vediamo l'anno prossimo a Knin", "Stop ai tiranni dell'Aja" e "Liberta' per Šešelj".

Il Dipartimento di Stato americano dopo la sentenza di liberazione dei generali croati ha rilasciato la dichiarazione che gli Stati Uniti ne prendono atto e accettano la sentenza dell'ICTY ma non hanno svolto nessun ruolo nei casi Gotovina e Markač. "Quando abbiamo creato l'ICTY in quanto comunita' internazionale e come comunita' transatlantica, tutti lo abbiamo sostenuto. Sta a tutti noi appoggiare questo processo e sostenerne i risultati" ha detto la portavoce dello State Department americano. La decisione del Tribunale dell'Aja e' la piu' grande svolta nei 19 anni della storia del Tribunale dell'Aja, ha scritto il quotidiano britannico 'The Guardian' sottolineando che una tale decisione e' stata salutata in Croazia come conferma della giustificazione della sua guerra per l'indipendenza. Il quotidiano tedesco 'Frankfurter Allgemeine Zeitung' citando i media croati ha scritto che la Croazia e' innocente. Ha raccontato di diverse migliaia di cittadini croati in piazza centrale di Zagabria che con esaltazione hanno salutato la decisione dell'Aja mentre al tempo stesso la Serbia e' rimasta scioccata.

La guerra e' una questione del passato, bisogna girarsi verso il futuro e i serbi profughi devono tornare alle loro case perche' la Croazia e anche terra loro, ha detto Ante Gotovina in una intervista esclusiva al giornale di Belgrado 'Kurir'. Nell'intervista pubblicata lunedi' ha rilevato che il ritorno dei serbi deve essere una realta', quelli che voglioni tornare, che hanno qui le loro case, devono venire e non c'e' bisogno di inviti. Alla domanda se si impegnera' affinche' i crimini commessi dopo l'operazione 'Tempesta', per i quali lui stesso e' stato assolto all'Aja, verranno processati in Croazia, Gotovina ha risposto che la guerra appartiene al passato mentre ci sono le istituzioni che se ne occupano. 

[*] Il testo è tratto dalla corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi a Radio radicale


CROAZIA: L'EX PREMIER IVO SANADER CONDANNATO A DIECI ANNI PER CORRUZIONE

Ivo Sanader durante il processo
Di Marina Szikora, corrispondente di Radio Radicale
Martedì il tribunale di Zagabria ha condannato l'ex premier croato Ivo Sanader in primo grado a 10 anni di carcere per abuso d'ufficio, profitto di guerra e per aver ricevuto tangenti in due scandali di corruzione, l'affare Hypo Alpe Adria e quello Ina-Mol. Si tratta del politico di piu' alto rango mai condannato in Croazia. Il Tribunale di Zagabria ha quindi confermato le tesi dell'accusa, secondo la quale nel 2008 l'ex primo ministro ottenne 5 milioni di euro dal gigante petrolifero ungherese MOL per favorire la sua acquisizione del pacchetto di controllo del gruppo petrolifero croato INA, all'epoca in maggioranza di proprieta' pubblica. L'Ufficio anticorruzione croato (USKOK) in effetti lo accusava di tangenti nel valore di 10 milioni di euro.

Sanader e' stato inoltre riconosciuto colpevole di aver preso nel 1994, quando era sottosegretario agli Esteri, una tangente pari a circa 500 mila euro per favorire l'ingresso sul mercato croato della banca austriaca Hypo Alpe Adria. Poiche' all'epoca la Croazia era in guerra, Sanader e' stato condannato come profittatore di guerra, la prima condanna di questo tipo mai pronunciata in Croazia. Su ordine del giudice, Sanader e' stato immediatamente trasferito in carcere dove molto probabilmente aspettera' il processo d'appello. Secondo la decisione del Tribunale, Sanader deve restituire allo Stato i soldi che in base alla sentenza ha illegalmente ottenuto. Va aggiunto anche che contro Ivo Sanader, premier croato dal 2004 al 2009 e politico piu' potente in quel periodo, e' in corso un altro processo per fondi neri a favore del suo ex partito, l'Unione democratica croata (HDZ) e per altre due incriminazioni, sempre su accusa di corruzione i cui processi non sono ancora iniziati.

Guarda la lettura della sentenza



Il giudice Turudić ha rilevato che nel caso del gigante petrolifero ungherese MOL, Sanader aveva agito contro gli interessi della Croazia. A causa di questo atto penale, vi e' la situazione che MOL amministra completamente il gigante petrolifero croato INA. Con il suo comportamento - ha aggiunto il giudice rivolgendosi all'imputato - Sanader ha contribuito alla delusione della gente nelle istituzioni dello stato e alla creazione di una generale apatia e totale perdita di speranza nella societa': “Avete creato l'illusione che il lavoro non ha senso e che l'obiettivo si puo' raggiungere violando le leggi e il morale dell'intera societa'”, ha detto Turidic.
[*] Il testo è tratto dalla corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi a Radio Radicale


Il nome dell'ex premier Sanader è emerso nelle inchieste sulla rete che lega banche, criminalità organizzata e politici corrotti, che affonda le sue radici nei conflitti degli anni '90 e attraversa la vecchia e la nuova Europa, ruotando in particolare attorno alla Croazia e a parte della sua classe politica, coinvolgendo la Carinzia di Jorg Haider e l'uomo forte della Baviera, il democristiano Edmund Stoiber. Una trama intricata, che diversi giornalisti, in particolare Demagoj Margertic, sfidando censure, minacce e in alcuni casi pagando con la vita (come nel caso di Ivo Pukanic e Niko Franjic) hanno cercato in questi anni di mettere insieme, rivelando intrecci e coperture. In Italia questocomplesso affaire è stato raccontato da Matteo Zola e GaetanoVeninata in un'inchiesta pubblicata da Narcomafie e di cui ho parlato con gli autori nell'ottobre 2011 nell'intervista che potete riascoltare qui




PASSAGGIO IN ONDA

E' on-line la puntata di Passaggio a Sud Est trasmessa da Radio Radicale oggi 22 novembre. La trasmissione è ascoltabile nella sezione "In Onda" del blog oppure, insieme a quelle precedenti, sul sito di Radio Radicale.



mercoledì 21 novembre 2012

GRECIA: NULLA DI FATTO ALL'EUROGRUPPO, TUTTO RIMANDATO A LUNEDI PROSSIMO

I ministri delle Finanze dell'Eurozona, riuniti la notte scorsa a Bruxelles, non sono riusciti a raggiungere un accordo sulle misure da prendere per sbloccare gli aiuti finanziari alla Grecia, nonostante un negoziato durato quasi 12 ore e terminato alle 4.30 del mattino. L'Eurogruppo è stato dunque riconvocato lunedì prossimo per riprendere il negoziato dal punto in cui è stato lasciato. Questa volta, va detto, il mancato accordo dipende interamente dai dissidi interni fra i diversi paesi membri dell'Eurozona e dalle divergenze fra l'Eurogruppo e l'Fmi e non dal mancato adempimento degli impegni presi da parte della Grecia. Il comunicato finale della riunione di Bruxelles sottolinea, infatti, la soddisfazione dell'Eurogruppo per il fatto che "tutte le azioni prioritarie (le riforme strutturali e i tagli di bilancio richiesti dalla Troika Ue-Bce-Fmi, ndr) sono state attuate in maniera soddisfacente", e "loda lo sforzo considerevole compiuto dalle autorità greche e dai cittadini per giungere e questo punto".

La riunione dell'Eurogruppo era stato preceduto lunedì a Parigi da un incontro informale tra i rappresentanti dei ministeri delle Finanze dei quattro paesi maggiori della zona euro, vale a dire Germania, Francia, Italia e Spagna, che apparentemente avevano già trovato una sorta di pre-accordo su alcune misure da prendere per ridurre l'enorme debito greco. Un debito che viaggia verso il 189% rispetto al Pil nel 2013, invece del 149% previsto solo pochi mesi fa, e rischia di essere ancora molto lontano dall'obiettivo del 120% nel 2020. Evidentemente, il pre-accordo di Parigi non è poi piaciuto a tutti i partecipanti alla riunione di Bruxelles. Una delle misure più innovative prospettate durante la riunione di Parigi e poi discusse dall'Eurogruppo e che potrebbe tornare in discussione lunedì prossimo insieme ad altre, era la sospensione per 10 anni del pagamento degli interessi che Atene deve ai paesi dell'Eurozona per il primo prestito bilaterale alla Grecia (53 miliardi di euro) deciso nel maggio 2010.

Il mancato accordo a Bruxelles non è stato preso bene dal premier greco, Antonis Samaras, che ha
ammonito partner e creditori sul rischio di una destabilizzazione dell'eurozona. "La Grecia ha fatto ciò per cui si era impegnata, ora anche i nostri partner, insieme con il Fondo Monetario Internazionale, devono fare quello che devono fare”, ha detto Samars in una dichiarazione ufficiale aggiungendo che “ogni difficoltà tecnica per giungere ad una soluzione non giustifica alcuna negligenza o ritardo”. Il fatto è che questa volta i ministri non devono solo trovare un'intesa tra loro ma convincere anche il Fondo monetario internazionale, che punta i piedi sulla sostenibilita' dei conti greci e non intende spostare quei paletti sul rientro dal debito che invece l'eurogruppo e' disposto a rivedere. Anzi, un accordo tra paesi europei e Fondo monetario internazionale "non è propriamente vicino", almeno secondo fonti "prossime alla questione" citate dall'agenzia France Presse. 


lunedì 19 novembre 2012

TURCHIA: L'ITALIA PONGA ALL'UE LA QUESTIONE DI CIPRO

Dichiarazione del Senatore Marco Perduca, co-vicepresidente del senato del Partito Radicale
"Come più volte affermato in Parlamento e pubblicamente, l'Italia resta uno dei paesi dell'UE più vicino alla Turchia e convinto sostenitore del suo ingresso nell'Unione; a oggi, purtroppo, non si è riusciti a creare quel consenso necessario per facilitare tale prospettiva perpetrando, in questo modo e tra le altre cose, la totale cancellazione delle promesse fatte alla comunità turco-cipriota ostaggio di questi tentennamenti europei.
Occorre quindi che l'Italia ponga con forza al Turkey Focus Group, composto da Svezia, Regno Unito, Finlandia, Germania, Portogallo ed Ungheria, la questione di Cipro, anche perché, per ironia della sorte Nicosia presiede l'UE nell'anno in cui l'Unione è stata insignita del Premio Nobel per la Pace.
Possibile onorare l'Unione europea con quel prestigioso riconoscimento quando sul suolo di chi potrebbe ritirare il premio a nome dell'UE permane la più longeva missione di pace, l'UNFICYP? Possibile infine che si possa premiare qualcuno che, come fa Nicosia da 30 anni, blocca qualsiasi riconoscimento dei diritti della comunità turco-cipriota, concorre a mantere l'isolamento economico della parte nord dell'isola e tiene la Turchia fuori dall'Unione?

TURCHIA: I DETENUTI CURDI SOSPENDONO LA PROTESTA DOPO OLTRE DUE MESI

Appello del leader del Pkk: "Gli scioperi della fame hanno raggiunto il loro obiettivo".

Dopo oltre due mesi, ieri è finito lo sciopero della fame ai 1700 detenuti curdi nelle carceri turche. Come riferiscono le agenzie, è stato lo stesso leader del Pkk, Abdullah Ocalan, in isolamento nell'isola di Imrali a far giungere ai detenuti un appello perché non mettessero a rischio la loro vita dopo che sabato scorso, per la prima volta da mesi, suo fratello è riuscito a visitarlo Ocalan in carcere. “Il leader ritiene che gli scioperi della fame abbiano raggiunto il loro obiettivo”, ha detto Mehmet Ocalan al termine della visita. I prigionieri, ma anche molte altre persone, come alcuni deputati del Bdp, il partito filocurdo presente nel parlamento di Ankara, avevano iniziato lo sciopero il 12 settembre per chiedere, tra l'altro, la possibilità di utilizzare la lingua curda per difendersi nei tribunali turchi e la fine dell'isolamento in carcere per il leader storico del Pkk.

Secondo il quotidiano Radikal, l'appello di Ocalan è nato in seguito ad una serie di incontri con i funzionari dei servizi segreti. Il giornale spiega che “una delegazione è andata a Imrali in tre occasioni” e che “un alto dirigente ha partecipato a una delle tre visite in cui è stato richiesto l'intervento di Ocalan”. Nelle carceri dove si trovano i detenuti che hanno attuato lo sciopero sono intervenute inoltre equipe di sanitari per assistere i detenuti più gravi (quasi 150 secondo quanto reso noto del ministero della Giustizia). Inoltre il governo turco ha accettato di presentare un provvedimento di legge ad hoc che consentirebbe ai detenuti di utilizzare la loro lingua madre nei processi dove sono imputati.

La conclusione, almeno per il momento, dello sciopero della fame, che stava rischiando di trasformarsi in una tragedia, ha fatto tirare il fiato al governo Erdogan: “Ringrazio i detenuti che hanno preso questa decisione, hanno fatto la cosa giusta, non hanno turbato il popolo turco, perché nessuno voleva che questi scioperi avessero come esito delle morti”, ha dichiarato il vicepremier, Bulent Arinc, secondo il quale la fine dello sciopero “ha evitato grandi dolori e sofferenze alla nazione turca”.



venerdì 16 novembre 2012

CRIMINI DI GUERRA: IL TRIBUNALE INTERNAZIONALE HA ASSOLTO GOTOVINA E MARKAC

Ribaltato la sentenza di primo grado che li aveva condannati a 24 e 18 anni. Esultanza in Croazia che festeggia la liberazione dei suoi eroi. Delusione e amarezza in Serbia: "Decisione politica e scandalosa. Il Tpi ha perso tutta la sua credibilità".


La Corte di appello del Tribunale internazionale per l'ex Jugoslavia, presieduta dal giudice Theodor Meron, ha assolto questa mattina i due ex generali croati, Ante Gotovina e Mladen Markac, condannati in primo grado rispettivamente a 24 e 18 anni per crimini di guerra commessi durante la guerra del 1991-95. Non essendo previsto un ulteriore grado di giudizio Gotovina e Markac sono stati immediatamente liberati. Gotovina, che oggi ha 57 anni, era stato arrestato in vacanza alle Canarie nel 2005, dopo quattro anni di latitanza. Marcac, suo coetaneo, si era invece consegnato spontaneamente al Tpi nel 2004, insieme all'altro ex generale, Ivan Cermak, di 62 anni, coimputato nel processo in primo grado nel quale fu però assolto, e che non fu poi chiamato a comparire in appello perché l'accusa non fece ricorso.

“Mi è caduto un macigno dal cuore dopo 17 anni”, ha dichiarato il premier croato Zoran Milanovic in una conferenza stampa convocata subito dopo la notizia: l'assoluzione “è importante per tutta la Croazia”, ha detto Milanovic. “Questo non significa che nella guerra non siano stati commessi errori, ma di questi non sono colpevoli né Gotvina e Markac, né lo stato croato e ciò non deve essere dimenticato”, ha detto ancora il premier che ha ringraziato i due ex generali “per quanto hanno sopportato in nome della Croazia”. “Ora abbiamo la conferma, che ci siamo comportati in modo onorevole”, ha dichiarato il ministro della Difesa, Ante Kotromanovic, prima di volare all'Aia per riportare in patria i due ex generali. “Mi tremano le gambe, non posso descrivere la felicità: finalmente la giustizia ha vinto”, ha dichiarato commossa la moglie di Markac, Marjana, alla tv nazionale che ha seguito in diretta la lettura della sentenza. Il presidente della Repubblica, Ivo Josipovic, ha definito la sentenza “legale e giusta”.

La notizia è stata accolta con esultanza in Croazia dove Gotovina e Markac sono considerati due eroi dell'indipendenza nazionale per aver guidato l'“Operazione Tempesta” che nel 1995 riconquistò i territori della Krajna dove i serbi avevano autoproclamato la secessione subito dopo l'indipendenza dichiarata da Zagabria nel 1991. Migliaia di persone si sono riunite in varie città per assistere in diretta alla pronuncia della sentenza dai maxi schermi allestiti nelle piazze. La notizia dell'assoluzione, riferiscono le agenzie di stampa, è stata accolta da un tifo da stadio e sui social network è esplosa l'esultanza. Polizia, militari e corpi speciali hanno annunciato che l'intenzione di riunirsi nella capitale per accogliere degnamente i generali al loro arrivo dall'Aja.

Di segno nettamente opposto, ovviamente, le reazioni in Serbia dove Gotovina è considerato un criminale di guerra. Con l'assoluzione di oggi il Tribunale ha pronunciato “una decisione politica” e “scandalosa”, ha detto il presidente della Repubblica serbo, Tomislav NIkolic, in un comunicato ufficiale: “E' chiaro che il Tribunale ha pronunciato una decisione politica e non giuridica”, ha affermato Nikolic, secondo il quale la sentenza “non contribuirà a stabilizzare la situazione nella regione e aprirà vecchie ferite”. Nikolic si è detto anche preoccupato per “il piccolo numero di serbi rimasti a vivere in Croazia”. Nell'operazione “oltre 20 mila serbi vennero espulsi e migliaia di uomini donne e bambini uccisi? Chi è colpevole di ciò?”, si chiede Nikolic. “Se fino ad oggi abbiamo avuto delle ragioni di credere a coloro che affermano che il Tribunale è imparziale e qualche cosa di più di un tribunale contro la Serbia e serbi, l'ultima decisione le smentisce”, afferma ancora la nota presidenziale. Duro anche il commento di Rasim Ljajic, ministro serbo incaricato del collegamento con il Tpi, secondo il quale “la decisione di oggi è una prova di giustizia selettiva che è peggio dell'ingiustizia”: il Tribunale internazionale “ha perso tutta la sua credibilità”, ha detto ancora Ljajic.

Cautela da parte di Bruxelles che non può ovviamente schierarsi con un Paese, la Croazia, in procinto di entrare nell'Ue, contro un altro, la Serbia, candidato all'adesione su cui pesa la questione del Kosovo, rischiando di delegittimare in qualche modo l'operato del Tpi. La Commissione europea, dunque, “ha preso nota della decisione del Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia e sostiene il suo lavoro”. “Confidiamo che la Croazia continuerà a guardare al futuro con lo spirito di tolleranza e riconciliazione che ha portato il paese vicino all'appartenenza all'Ue”, ha detto un portavoce dell'esecutivo Ue, Peter Stano, a nome del commissario all'Allargamento Stefan Fuele, dopo aver espresso “vicinanza alle vittime” e “comprensione che ci vorrà del tempo per risanare le ferite della guerra”. E queste ultime parole sono senz'altro vere.

Aggiornamento delle ore 18,45
In seguito all'assoluzione di Gotovina e Markac, il governo serbo ha annunciato la "riduzione a livello tecnico" della sua cooperazione con il Tribunale internazionale per l'ex "eliminando dall'agenda qualsiasi invio di documentazione richiesta dal tribunale". Lo ha annunciato il ministro Rasim Ljajic.


giovedì 15 novembre 2012

KOSOVO: CONTINUA IL DIALOGO A BRUXELLES TRA BELGRADO E PRSITINA

“La guerra è finita”: atmosfera distesa nel secondo incontro tra Dacic e Thaci. La Serbia spera nell'apertura dei negoziati di adesione all'Ue.

Di Marina Szikora, corrispondente di Radio Radicale [*]
La settimana scorsa, come annunciato, una cena di lavoro su invito dell'alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell'Ue Catherine Ashton, con il premier serbo Ivica Dačić e quello kosovaro Hashim Thaci. Secondo il giornale di Priština 'Koha Ditore', l'atmosfera e' stata molto piu' rilassante che durante il loro primo incontro. I partecipanti alla cena hanno dichiarato che e' stato realizzato un evidente avanzamento verso la normalizzazione delle relazioni, soprattutto per quanto riguarda l'attuazione degli accordi raggiunti durante il dialogo tecnico, afferma il giornale kosovaro. Dačić e Tachi avrebbero detto che "la guerra e' finita" e che bisogna girarsi verso il futuro. Il premier kosovaro ha precisato che e' stato concordato che la Serbia deve essere trasparente per quanto riguarda il finanziamento delle strutture parallele del potere serbo al nord del Kosovo mentre Dačić ha valutato che questo non e' un problema poiche' "non c'e' nulla da nascondere" e ha constatato che il finanziamento continuera'. "Thaci ed io siamo forse gli uomini giusti per prendere decisioni difficili" ha valutato il premier serbo, scrive Koha Ditore.

L'alto rappresentante dell'Ue Cathrine Ashton ha espresso soddisfazione per i colloqi che ha qualificato come sinceri ed aperti. Ricordando che l'incontro precedente a Bruxelles e' stato un proseguimento del dialogo iniziato lo scorso 19 ottobre, dopo quest'ultimo incontro , Ashton ha detto che con Dačić e Thaci si e' parlato di diversi aspetti della normalizzazione delle relazioni tra Belgrado e Priština. Entrambi i premier si sono detti pronti a continuare il dialogo. "Abbiamo concordato di continuare il lavoro relativo alla piena implementazione di tutti gli accordi e abbiamo salutato i risultati raggiunti da parte del gruppo di lavoro comune che si e' riunito il 5 e 6 novembre sul tema dell'amministrazione integrata dei confini", si legge nel comunicato dell'Ufficio di Cathrine Ashton. Il comunicato aggiunge che negli ultimi colloqui si e' parlato della trasparenza "dei mezzi che la Serbia garantisce alla comunita' serba in Kosovo". Inoltre, Ashton indica che si e' parlato dei metodi di rafforzamento "della protezione del patrimonio culturale e religioso serbo in Kosovo". Le due parti hanno concordato di istituire un gruppo di lovoro tecnico congiunto il quale preparera' uno studio di fattibilita' dell'autostrada Niš-Priština.

La decisione sulla data dell'inizio dei negoziati di adesione della Serbia all'Ue dipende soprattutto da come verra' valutato l'avanzamento nella normalizzazione delle relazioni tra Belgrado e Priština. Questa valutazione si aspetta nella prima meta' di dicembre, informa l'agenzia di stampa serba Tanjug citando fonti diplomatiche bruxellesi. Infatti, come anche dichiarato in questi giorni dal premier serbo Ivica Dačić, ai primi di dicembre dovrebbe svolgersi un altro incontro tra Dačić e Thaci dopodiche' il Consiglio europeo decidera' sulla data dei negoziati di adesione della Serbia. Una valutazione dei risultati raggiunti nel dialogo si prospetta tra il 10 e 14 dicembre, informa Tanjug. Entro il 10 dicembre, si precisa, in base al recente accordo, dovrebbe iniziare l'attuazione di prova dell'accordo relativo ai confini sulla linea amministrativa, su due di un totale di sei posti di confine. Si tratta di una delle condizioni chiave affinche' la Serbia possa ottenere la data dell'inizio dei negoziati di adesione e su questo il Consiglio europeo si esprimera' al vertice che e' in agenda per il prossimo 13 e 14 dicembre. Pero', prima della decisione formale dei capi di stato e governo dei 27, come consueto, si riuniranno i ministri degli esteri degli stati membri dell'Ue e questo accadra' l'11 e 12 dicembre. I ministri dell'Ue, informano i media serbi, ascolteranno il rapporto di Cathrine Ashton sull'avanzamento raggiunto dalla Serbia, in particolare quello relativo alla normalizzazione delle relazioni coni il Kosovo dopodiche' formuleranno la raccomandazione che i loro capi adotteranno formalmente al summit.

Nel corso di un mese, la Serbia dovra' quindi compiere atti molto concreti che potrebbero convincere l'Ue che Belgrado ha percepito seriamente gli obblighi intrapresi. Se verra' valutato che le condizioni sono state adempiute, la Serbia, con un meccanizmo di controllo adeguato, potrebbe contare con la possibilita' di iniziare l'anno prossimo i negoziati di adesione all'Ue, precisa Tanjug citando sempre fonti diplomatiche anonime di Bruxelles.

Il presidente serbo Tomislav Nikolić in visita in Grecia parla del Kosovo 
Il presidente della Serbia, Tomislav Nikolić, in visita ufficiale settimana scorsa ad Atene, in una intervista per la TV Antena ha dichiarato che "gli albanesi dicono di avere il loro stato indipendente, ma i serbi rispondono che non riconosceranno mai questa indipendenza". Cio' non vuol dire pero', precisa Nikolić, che non possiamo mettere in ordine la vita in Kosovo in modo tale che si sappia quali sono le competenze delle isitizioni temporanee di Priština, quali sono i diritti dei cittadini in Kosovo, soprattutto dei serbi che vivono nelle enclavi al nord del Kosovo dove essi sono in maggioranza e quali funzioni restano in competenza alla Serbia. "Non sono preoccupato per la situazione in Kosovo. Nell'ambito del diritto internazionale, della Carte delle Nazioni Unite, la Serbia e' uno stato di cui il Kosovo ne e' parte. In Kosovo si trovano le forze dispiegate secondo l'accordo della Serbia con il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Qui non ci puo' essere nessuna crisi, nessun confilitto, nessuna azione unilaterale" ha detto Nikolić nell'intervista.

Per quanto riguarda la situazione in Serbia, il capo dello stato serbo ha precisato di continuare quello che e' stato fatto nel periodo del suo predecessore, l'ex presidente Boris Tadić, ma in un modo diverso e con maggiore considerazione degli interessi della Serbia. Nikolić aggiunge che se ha assunto la presidenza della Serbia allora cio' comporta farsi carico degli obblighi, vale a dire dell'implementazione di tutti gli accordi raggiunti finora e poi passare veramente a nuovi negoziati in cui la Serbia deve chiede qualcosa e non soltanto riufiutare di accordarsi. "Noi abbiamo delle condizioni che riteniamo siano normali, quali l'ordinamento dello stato, giustizia, fermare l'enorme criminalita', corruzione, esaminare in quali condizioni sono state fatte molte privatizzazioni che sono state un vero saccheggio" spiega il capo dello stato serbo ma aggiunge anche: "noi abbiamo la condizione di dialogare con Priština affinche' la vita della gente in Kosovo sia migliore, anche quella dei serbi, naturalmente. Adempieremo anche questa condizione. Il premier ha parlato gia' due volte con il presidente del governo temporaneo del Kosovo" ha detto Nikolić.

[*] Il testo è tratto dalla corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi a Radio Radicale