mercoledì 24 marzo 2010

BALCANI, EUROPA: DA BRDO UN BICCHIERE PIENO A META'

La conferenza di sabato scorso a Brdo, in Slovenia, ha ribadito l'impegno dei Balcani occidentali a proseguire nel processo di riforme sulla strada verso l'integrazione nell'Unione europea. I sette capi di governo presenti - Borut Pahor (Slovenia), Jadranka Kosor (Croazia), Nikola Spiric (Bosnia-Erzegovina), Milo Djukanovic (Montenegro), Nikola Gruevski (Macedonia), Hashim Thaci (Kosovo) e Sali Berisha (Albania) - hanno firmato una dichiarazione comune nella quale si chiede all'Unione europea di mantenere vivo il processo di allargamento e di continuare nella liberalizzazione dei visti per tutti i paesi dei Balcani occidentali (di cui hanno beneficiato solo Serbia, Macedonia e Montenegro). I firmatari si sono impegnati al tempo stesso a continuare nelle riforme per soddisfare i criteri e gli standard richiesti dalla Ue e hanno ribadito la volontà di favorire relazioni di buon vicinato.

Le immagini che mostrano capi di governo di Paesi che non molti anni fa si combattevano con ferocia insanguinando le terre dell'ex Jugoslavia che sorridenti si stringono la mano sono certo confortanti e fanno sperare che quella stagione di dolori e tragedie sia definitivamente alle spalle. In realtà i problemi non sono pochi, e i rapporti fra i paesi della regione sono tutt'altro che idilliaci. In primo luogo, lo scontro politico-diplomatico fra Serbia e Kosovo sul nodo dell'indipendenza che condiziona anche i rapporti fra Belgrado e i paesi vicini che hanno riconosciuto l'indipendenza di Pristina. Poi la precaria situazione della Bosnia-Erzegovina dove i fragili equilibri istituzionali e le tensioni interetniche frenano le riforme rischieste dal processo di integrazione europea. Serbia e Croazia inoltre sono ancora divise da uno scontro davanti alla giustizia internazionale con accuse reciproche di genocidio per le atrocità compiute nelle guerre degli anni Novanta.

Immagine concreta di questa situazione era l'assenza della Serbia, il maggiore paese della regione senza il quale qualunque ipotesi di riconciliazione e stabilizzazione non ha possibilità di successo. Belgrado non intende riconoscere l'indipendenza del Kosovo ed il presidente Boris Tadic, come aveva annunciato, ha rifiutato di partecipare ad una riunione dove il Kosovo era presente come paese sovrano e indipendente. La Serbia esige infatti che alle riunioni internazionali Pristina partecipi con la dicitura Kosovo-Unmik, vale a dire come protettorato dell'Onu, in conformità alla risoluzione 1244 delle Nazioni Unite. Un'ipotesi, questa, di cui le autorità di Pristina non vogliono nemmeno sentir parlare.

Slovenia e Croazia, organizzatori della riunione con la benedizione di Bruxelles (anche se per l'Ue era presente il solo commissario all'Allargamento, Stefan Fuele), la prima che intendeva riunire tutti i paesi della regione dopo l'indipendenza proclamata dal Kosovo nel febbraio 2008, hanno sottolineato l'importanza del dialogo che, per esempio, ha consentito a Lubiana e Zagabria nei mesi scorsi di trovare finalmente un accordo sull'annosa disputa dei confini marini in Adriatico. ''Ognuno deve riconoscere l'altro, e' questo il problema centrale che frena il processo di integrazione europea'', ha detto il premier sloveno Pahor con allusione alla questione del Kosovo.

Ma il principale problema della regione, come notava sabato scorso il giornale sloveno Dnevnik nell'edizione on-line citando appunto il premier Pahor, resta appunto il mancato riconoscimento reciproco di Serbia e Kosovo. Mercoledì 17 il quotidiano serbo Danas, però, sosteneva che Belgrado sta cercando di stabilire una qualche forma di relazioni con Pristina.Secondo gli osservatori sentiti dal giornale, non esiste un modello che potrebbe essere applicato ai futuri rapporti tra Serbia e Kosovo, tuttavia le esperienze delle relazioni tra due Germanie, tra Cina e Taiwan, Turchia e Cipro e anche tra Israele e Anp, con i loro pregi ed i loro limiti, possono avere un grande valore nel fornire indicazioni per una soluzione di compromesso per una collaborazione che non contempli il riconoscimento dell'indipendenza kosovara.

La conferenza di Brdo era considerata una sorta di prologo alla conferenza internazionale che, grazie all'iniziativa di Spagna e Italia, nella seconda metà di giugno dovrebbe riunire a Sarajevo tutti i Paesi della regione insieme a Unione Europea, Russia e Usa. Lunedì 15 marzo sempre Danas scriveva che la conferenza sarà sicuramente un'opportunità per ribadire il sostegno all'integrazione europea dei Balcani occidentali ma non ci sarà da attendersi risultati concreti.

Prima della conferenza i ministri degli Esteri dell'Ue dovrebbero discutere dell'implementazione dell'Accordo di stabilizzazione e associazione della Serbia, mentre qualche giorno prima il procuratore capo del Tribunale internazionale per la ex Jugoslavia, Serge Brammertz, farà il punto sullo stato della cooperazione di Belgrado con la giustizia internazionale. Sarajevo sarà l'occasione per riunire allo stesso tavolo i rappresentanti di Serbia e Kosovo se nel frattempo sarà stato trovato un modo accettabile da entrambi per sedersi allo stesso tavolo.

Sullo sfondo resta la questione dell'integrazione europea dei Balcani occidentali. Alla fine di dicembre la Serbia, il Paese chiave della regione, ha depositato a Bruxelles la richiesta ufficiale per ottenere lo status di candidato. Come ha scritto Deborah Grbac sul Courrier des Balkans, è stato un passo importante che ha segnato un decennio di transizione democratica della Serbia dopo la caduta del regime di Milosevic. Tuttavia, l'ingresso nell'Ue è un obiettivo di medio termine nella migliore delle ipotesi. La situazione di Belgrado rappresenta quella della regione. Bruxelles conferma la prospettiva di adesione per tutti i Balcani occidentali, ma si mantiene prudente e propone ai vari Paesi avanzamenti sempre limitati.

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