mercoledì 31 ottobre 2012

TURCHIA: CENTINAIA DI DETENUTI CURDI IN SCIOPERO DELLA FAME NEL SILENZIO DEI MEDIA

Nel quasi totale disinteresse della grande stampa internazionale centinaia di detenuti curdi stanno conducendo uno sciopero della fame, alcuni sin dal 12 settembre, in decine di carceri della Turchia Chiedono al governo di avviare trattative con il Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), di potersi difendere nella propria lingua madre, il diritto all’istruzione in lingua curda e che il loro leader Abdullah Ocalan (che dal 1999 è detenuto sull'isola di Imrali, in mezzo al Mar di Marmara) posssa finalmente incontrare i suoi avvocati mettendo così fine all'isolamento che dura ormai da più di 14 mesi. Fra i detenuti in sciopero ci sono anche alcuni dirigenti del Bdp, il Partito curdo per la democrazia e la pace e che in questo momento conta dietro le sbarre 30 sindaci, 6 deputati e 56 membri del consiglio direttivo, accusati di essere fiancheggiatori dei guerriglieri del Pkk.

Amnesty International è intervenuta dopo che nei giorni scorsi erano circolate notizie secondo le quali i detenuti in sciopero della fame nelle carceri di Silivri e Sakran erano stati posti in isolamento e che in quella di Tekirdag le guardie carcerarie avrebbero sottoposto a maltrattamenti quelli che stanno prendendo parte alla protesta. Secondo le denunce, le autorità penitenziarie avrebbero inoltre, in alcuni casi, limitato l'accesso all'acqua, allo zucchero e alle vitamine con cui i prigionieri si garantiscono la sopravvivenza. Lo sciopero della fame, ha ricordato Amnesty, è una protesta pacifica e le autorità turche devono rispettare il diritto alla libertà d'espressione dei prigionieri, compreso quelli di avvalersi di questa forma di lotta. Per questo chiede che non vengano prese sanzioni nei confronti dei detenuti in sciopero della fame e che sia rispettato il divieto assoluto di tortura e di altri maltrattamenti. Amnesty chiede inoltre che i detenuti abbiano accesso a cure mediche qualificate e che siano avviate indagini approfondite ed imparziali su punizioni e maltrattamenti che sarebbero stati inflitti ai detenuti in sciopero della fame.

Il governo turco, da parte sua, ha chiesti ai detenuti curdi di interrompere la loro protesta, senza però indicare l'intenzione di discutere le loro richieste. Il ministro della Giustizia, Sadullah Ergin, si è recato in visita al carcere di Sincan, alla periferia di Ankara, incontrando i detenuti in sciopero della fame. Il ministro ha poi dichiarato che il governo è al lavoro per "fare in modo che questo genere di azioni non siano più necessarie in Turchia", ma senza spiegare se intende rispondere alle rivendicazioni. Intanto, sabato scorso si sono aggravate le condizioni di quattro detenute in sciopero della fame da oltre un mese e mezzo: il loro corpo comincia a rifiutare ora anche i liquidi. Nonostante ciò hanno dichiarato di voler continuare la protesta, una scelta che potrebbe diventare senza ritorno. Per questo intellettuali, scrittori e attori come Sezen Aksu, Yasar Kemal, Rakel Dink e Ipek Çalisar chiedono alle autorità di rispondere prima che sia troppo tardi.


martedì 30 ottobre 2012

TOUR BALCANICO PER CATHERINE ASHTON E HILLARY CLINTON

Hillary Clinton e Catherine Ashton

Tour balcanico per il segretario di stato Usa, Hillary Clinton, e per l'Alto rappresentante della politica estera dell'Ue, Catherine Ashton, arrivate oggi a Sarajevo per la prima tappa di una missione congiunta che prevede tappe anche in Serbia e Kosovo con l'obiettivo di rilanciare il processo di integrazione europea della regione. Nella capitale bosniaca, dove hanno incontrato i tre membri della presidenza collegiale, nonché i rappresentanti della Comunità internazionale, Ashton e Clinton hanno sottolineato “l'urgente necessità che i partiti politici servano l'interesse della popolazione e concordino le necessarie riforme”, come aveva anticipato un portavoce del segretario di Stato Usa alla vigilia della partenza. La Bosnia è bloccata delle contrapposizioni etniche, divisa in due entità contrapposte - Repubblika Srpska e Federazione di Bosnia Erzegovina, croato-bosgnacca - collegate da deboli istituzioni centrali, il rafforzamento delle quali è, invece, cruciale per l'adesione all'Unione europea e alla Nato. L'attuale amministrazione Usa non fa mistero della sua avversione per ogni ipotesi di separazione delle due entità nate in seguito agli accordi di pace di Dayton del 1995: mettere in discussione la sovranità della Bosnia Erzegovina “è completamente inaccettabile”, ha detto infatti Hillary Clinton a Sarajevo. “Pensiamo che l'integrazione nell'Unione europea e nella Nato offrano a questo paese la via migliore verso la stabilità e la prosperità”, ha detto Clinton in una conferenza stampa dopo l'incontro con i tre membri croato, bosgnacco e serbo della presidenza collegiale.

In Serbia, e in Kosovo, invece, Ashton e Clinton vanno per ribadire che secondo Bruxelles e Washington la soluzione per i due Paesi va costruita sugli accordi già raggiunti e sull'avanzamento del dialogo ripreso nel 2011 con il patrocinio dell'Ue. A Belgrado il segretario di Stato americano e l'Alto rappresentante europeo incontrano il presidente Tomislav Nikolic ed il premier Ivica Dacic per esprimere loro il pieno sostegno al processo di normalizzazione delle relazioni tra Kosovo e Serbia. Una visita, quella nella capitale serba, che si sbolge tra imponenti misure di sicurezza dopo l'annuncio delle manifestazioni di protesta dei gruppi della destra e degli ultranazionalisti del Partito radicale serbo. Lo scorso marzo la Serbia ha ottenuto lo status di Paese ufficialmente candidato all'adesione all'Unione europea e attende ora che Bruxelles fissi una data di inizio dei negoziati. L'obiettivo, inizialmente atteso per la fine dell'anno, è stato rinviato ottobre a causa della mancata ripresa dei colloqui con Pristina dopo l'interruzione dovuta alle elezioni serbe dello scorso maggio che hanno segnato l'affermazione dei nazionalisti. Il recente incontro tra il premier serbo Dacic e il suo omologo kosovaro, Hashim Thaci, a Bruxelles alla presenza del capo della diplomazia Ue, Catherine Ashton, ha sbloccato la situazione, ma se restano molte questioni in sospeso, sia sull'agenda, sia sulla modalità dei negoziati.

Se da una parte Belgrado è abbastanza tranquilla che il processo di integrazione europea non sarà condizionata dalla richiesta di riconoscere l'indipendenza del Kosovo (anche perché l'Ue non ha una posizione ufficiale, visto che 5 dei Paesi membri non la riconoscono), dall'altra parte Ashton e Clinton potrebbero avanzare la richiesta di atti concreti di distensione come, per esempio, lo smantellamento delle “strutture parallele” messe in piedi dai serbi del Kosovo che non intendono riconoscere l'autorità di Pristina. I Balcani occidentali sembrano dunque tornare al centro dell’attenzione sia dell'Unione europea che degli Stati Uniti, ma quanto questo interesse sia di nuovo prioritario per l'agenda di politica estera di Bruxelles e di Washington è difficile dirlo: da una parte, infatti, l'Ue è ancora ben lontana dall'uscire da una crisi che sta mettendo a rischio il progetto stesso di unione politica dell'Europa, dall'altra l'attuale Amministrazione Usa potrebbe non essere più al suo posto da martedì prossimo e in ogni caso, anche se Obama verrà rieletto per un secondo mandato, difficilmente Hillary Clinton resterà alla segreteria di Stato. Nonostante tutto ciò, il tour balcanico di questi giorni (Clinton si recherà anche in Albania e Croazia) è sicuramente un fatto rilevante.

Bruxelles non aveva nascosto il disappunto per la vittoria delle forze conservatrici e nazionaliste nelle elezioni parlamentari e presidenziali dello scorso maggio così come non aveva fatto mancare il proprio sostegno all'ex presidente Boris Tadic. Con il nuovo presidente Nikolic ed il nuovo governo di coalizione fra conservatori nazionalisti e socialisti la Serbia sembra avere assai smorzato l'indirizzo europeista che la passata leadership riformista aveva posto come prima priorità del Paese. Più volte sia Nikolic che il premier Dacic hanno dichiarato di essere disposti a rinunciare all'Ue se la contropartita dovesse essere la rinuncia al Kosovo. La crisi economica, che i serbi stanno subendo assai pesantemente, ha deteriorato notevolmente la situazione. Il richiamo identitario può essere sempre utile per far dimenticare altri e più pressanti problemi. Tuttavia in Serbia aumentano le voci di coloro che chiedono realismo e lungimiranza sulla questione del Kosovo e dell'integrazione europea: non solo i liberaldemocratici di Cedomir Jovanovic, da sempre favorevoli a rinunciare alla sovranità sull'ex provincia, non solo l'ex presidente Boris Tadic, contrario a riconoscere l'indipendenza del Kosovo, ma convinto della necessità dell'adesione all'Ue, ora anche il leader del Movimento per il rinnovamento serbo, l'ex ministro degli Esteri Vuk Draskovic, afferma che “la Serbia deve iniziare a normalizzare le relazioni con il Kosovo e stabilire stretti rapporti sia culturali, oltre che economici”. Secondo Draskovic, per il grande valore storico e culturale che ha per la Serbia il Kosovo “è un buon vicino di casa” e c'è dunque la necessità di stabilire le migliori relazioni possibili. “Noi non controlliamo il territorio da oltre 12 anni, ma c'è il modo di proteggere sia il popolo serbo, sia il suo patrimonio storico e culturale”, ha affermato Draskovic ai media serbi. Per questo, secondo l'ex ministro degli Esteri, è interesse della Serbia accettare le richieste del Consiglio europeo per normalizzare le relazioni con Pristina. “La Serbia è in recessione economica, mentre il popolo è ingannato con le favole per la sovranità e l'integrità territoriale”, ha affermato ancora Draskovic.


lunedì 29 ottobre 2012

TURCHIA: TENSIONE ALLA FESTA DELLA REPUBBLICA

La Turchia celebra oggi l'89mo anniversario della fondazione della repubblica proclamata il 29 ottobre 1923 da Mustafa Kemal Ataturk sulle rovine dell'impero ottomano. La ricorrenza si svolge però all'insegna della tensione tra il governo islamico moderato di Recep Tayyip Erdogan e l'opposizione che accusa il premier di rimettere in discussione le fondamenta laiche e secolari della Turchia moderna e di coltivare un "progetto segreto" re-islamizzare il paese.
A rasserenare il clima non ha aiutato certo la decisione del governo di non autorizzare per "ragioni di sicurezza" la marcia in difesa "della Patria e della Repubblica" convocata per oggi da decine di organizzazioni della società civile con il sostegno del Chp, il Partito repubblicano del popolo, principale partito dell'opposizione ed erede diretto del kemalismo. Gli organizzatori hanno confermato ugualmente la manifestazione, malgrado i divieti, al palazzo di Ulus, sede del primo parlamwnto, dove la Repubblica fu proclamata.
Secondo le notizie di agenzia le forze dell'ordine hanno caricato i manifestanti con gas lacrimogeni e idranti, e fra i coinvolti, secondo l'emittente Ntv, ci sarebbe anche il leader del Chp, Kemal Kilicdaroglu. Secondo quanti scrive il sito del quotidiano Hurriyet, quando Kilicdaroglu ha cercato di superare lo sbarramento della polizia in piazza Ulus sarebbe stato colpito con spray urticante e sarebbero scoppiati tafferugli tra le guardie del corpo del lader del Chp e alcuni agenti.


giovedì 25 ottobre 2012

IL MONTENEGRO DOPO LE ELEZIONI

Intervista a Francesco Martino di Osservatorio Balcani e Caucaso 

(Foto Stevo Vasiljevic / Reuters)
Il 14 ottobre scorso, con qualche mese di anticipo, si è votato in Montenegro per il rinnovo del Parlamento. Come anticipato dai sondaggi della vigilia, le urne hanno assegnato l'ennesima vittoria a Milo Djukanovic, padre e padrone (per qualcuno anche "padrino") della patria fin dai tempi della dissoluzione della Jugoslavia, che ha sempre mantenuto il suo potere anche quando non ha ricoperto incarichi istituzionali. La novità è che però Djukanovic quasta volta non ha ottenuto la maggioranza assoluta, nonostante il 45% dei voti e un aumento dei consensi rispetto all'ultima consultazione, compensata però dall'aumento del numero dei votanti. Il buon successo di "Montenegro positivo" e del Fronte democratico di Miograd Lekic, ex ambsciatore jugoslavo in Italia ed ex ministro degli Esteri, l'opposizione cerca ora di affermare una nuova presenza sulla scena politica. Intanto resta cruciale il ruolo dei partiti delle minoranze etniche per la formazione del nuovo governo che dovrà condurre i negoziati per l'adesione all'Ue la cui apertura è prevista nei prossimi mesi. La prospettiva dell'integrazione europea gode per altrodi largo consenso sia tra i partiti, sia tra l'opinione pubblica: più complicata, invece, la questione dell'adesione alla Nato che non gode di analogo consenso e sulla quale le forze politiche hanno posizioni più diversificate. Un'altra questione cruciale è quella dei traffici illeciti che vedono il Montenegro rappresentare, non da oggi, un vero e proprio "hub" sulle rotte balcaniche della criminalità organizzata.Una questione che ha investito lo stesso Milo Djukanovic, oggetto qualche anno fa di inchieste delle procure di Napoli e Bari per il contrabbando di sigarette. Inchieste poi cadute anche a causa del suo ruolo istituzionale ma che non hanno diradato le ombre su Djukanovic, tanto che proprio per questo, nonostante la vittoria elettorale, potrebbe rinunciare al premierato per non procurare imbarazzi al negoziato con Bruxelles che si preannuncia comunque non facile. Intanto il Paese fa i conti con la crisi economica globale che fa sentire i suoi effetti dopo il boom degli anni immediatamente seguiti alla fine della federazione con la Serbia nel 2006.

Ascolta qui l'intervista per Radio Radicale




A JOSIPOVIĆ E TADIĆ IL PREMIO EUROPEO PER LA TOLLERANZA E LA RICONCILIAZIONE

Il Consiglio europeo per la tolleranza e la riconciliazione (Ectr), presieduto dall'ex presidente polacco Aleksander Kwasniewski, ha conferito il prestigioso riconoscimento all'attuale presidente croato e all'ex presidente serbo per “aver contribuito alla verità, alla tolleranza e alla riconciliazione”, nonché per “aver riconosciuto pubblicamente ed espresso scuse per le sofferenze provocate dai cittadini dei loro Stati”. La motivazione del premio sottolinea anche che le storiche visite e le parole pronunciate dei due presidenti in quelle occasioni hanno “rafforzato la base per lo sviluppo di una cultura della memoria e della tolleranza nell'Europa sudorientale e le fondamenta per la futura democratizzazione e riconciliazione”.Il riconoscimento è stato consegnato al presidente croato e all'ex presidente serbo lo scorso 16 ottobre in una cerimonia al Parlamento Europeo a Bruxelles. Nella puntata di Passaggio a Sud Est della scorsa settimana, per motivi di tempo e spazio, non abbiamo potuto parlare di questo evento che ha una sua indubbia importanza per l'Europa sudorientale e per la regione balcanica. A Bruxelles si sono sentite in effetti molte belle parole sui due leader per come hanno promosso il processo di riconciliazione delineando un nuovo cammino nelle relazioni tra Croazia e Serbia. Gli indirizzi che sembra voler prendere la nuova leadership di Belgrado sembrano però mettere a rischio questa linea.

Josipovic e Tadic ricevono il premio al Parlamento Europeo (Foto Afp/Pixsell)

Di Marina Szikora [*]
Dopo otto anni di incarico presidenziale in Serbia, come sappiamo, Boris Tadić ha perso sia le elezioni presidenziali che quelle parlamentarei. Ora si e' in attesa delle prossime elezioni nel suo partito, il Partito Democratico che per lui potrebbero essere un'altra sconfitta. Va precisato che Tadić si trova alla guida del Pd da quando e' stato ucciso il suo predecessore, l'ex premier Zoran Đinđić. Tempi quindi non facili per il leader serbo che in tutti questi anni e' stato visto dall'Occidente come la maggiore voce proeuropea in Serbia. Alla fine della cerimonia al Parlamento Europeo, Tadić ha rilasciato una lungaintervista al quotidiano croato 'Večernji list'.

Secondo l'ex presidente della Serbia, molte parole pronunciate ultimamente dall'attuale leadership serba non sono per niente incoraggianti. Tadić spera pero' che si tratti di un iniziale posizionamento della nuova leadership politica in Serbia e una ricerca di identita' specifica dopo aver assunto i nuovi incarichi. Ha giudicato particolarmente pericolose le parole dell'attuale premier Ivica Dačić, alcune delle quali mettono in questione il futuro europeo della Serbia. La Serbia, afferma Tadić, potrebbe trovare una nuova destinazione politica ed e' questo che lo impaurisce maggiormente. Se i suoi avversari politici continueranno la via europea della Serbia, allora anche la politica da lui iniziata avra' successo, in caso contrario, il patrimonio lasciato sara' negativo, precisa l'ex presidente serbo. "Il mio impegno dipende dai miei avversari. Molto strana e' la natura della politica", dice Tadić.

Alla cerimonia di consegna di questo riconoscimento europeo a Ivo Josipović e Boris Tadić, il presidente del Parlamento Europeo, Martin Schulz, ha detto che grazie all'ex presidente la Serbia ha ottenuto lo status di candidato. Adesso, nel nuovo rapporto della Commissione europea sull'avanzamento della Serbia, Belgrado non ha ottenuto la data dell'inizio dei negoziati di adesione. "Večernji list" ne ha chiesto il perche' a Tadić il quale indica che negli ultimi dodici anni la Serbia ha avuto delle accelerazioni e dei rallentamenti sul cammino europeo. E' un paese diverso dai suoi vicini perche', secondo Tadić, ha avuto due grandi pesi. All'inizio, come la Croazia, lo era la collaborazione con il Tribunale dell'Aja, ma anche il problema del Kosovo che e' internazionalizzato. Nessun paese nella regione, afferma Tadić, ha avuto un tale problema. E se si aggiunge la dissoluzione della federazione tra Serbia e Montenegro, i rallentamenti, e' l'opinione dell'ex presidente serbo, sono stati naturali.

"Una specie di rilassamento, l'inespressa responsabilita' per non aver ottenuto una data rapita per i negoziati, e' qualcosa che mi preoccupa molto", afferma Tadić e aggiunge che non lo dice soltanto per la Serbia ed i suoi cittadini ma per tutta la regione balcanica. Per quanto riguarda le ultime affermazioni del presidente Nikolić che l'Ue non sara' piu' l'obiettivo per la Serbia se la condizione sara' il riconoscimento del Kosovo, l'ex capo dello stato serbo osserva che nemmeno lui, quando e' stato presidente, era pronto a riconoscere l'indipendenza di Priština ma bisogna far di tutto affinche' la Serbia con riforme profonde e qualitative dimostri perfino a quei paesi che insistono sul riconoscimento del Kosovo, che la Serbia e' necessaria all'Ue come fattore di stabilita' e di sviluppo della regione molto di piu' rispetto ad un formale atto di riconoscimento di uno stato nuovo che non ha i presupposti fondamentali per la stabilita'. Quindi, e' l'opinione di Tadić, le dichiarazioni di Nikolić sono inutili alla Serbia e perfino pericolose per il popolo serbo. Dall'altra parte vanno a favore proprio di quelli che si oppongono all'allargamento perche' cosi' hanno una ottima spiegazione del perche' la Serbia non dovrebbe ottenere la data dell'apertura dei negoziati.

Tadić ha rilevato anche che se un popolo viene definito con una politica nazista, allora cio' significa dire che tutti i cittadini di questo popolo sono nazisti. Un popolo, ha sottolineato Tadić, non puo' essere criminale, ma lo sono sempre gli individi. L'allusione, nuovamente, è alle dichiarazioni della attuale leadership serba che accusa gli sconfitti della Seconda guerra mondiale e autori dei crimini di guerra nazisti, i tedeschi, di essere oggi i principali a condizionare ed ostacolare l'ingresso della Serbia nell'Ue. "Se voi oggi definite un popolo con la politica nazista della Seconda guerra mondiale, allora dite che tutti gli appartenenti a questo popolo, il popolo stesso, sono nazisti. Primo, sappiamo che un popolo non puo' essere criminale, ma lo sono sempre gli individui. Dall'altra parte, con questo, in effetti, trasportate il peso delle accuse anche sul popolo serbo, per i crimini commessi a Srebrenica, Vukovar ed altrove. E non solo sul popolo serbo, ma anche su quello croato e bosgnacco per i crimini che avevano commesso i rappresentanti di questo popolo. Queste dichiarazioni.... hanno un effetto distruttivo... Ivica Dačić nemmeno per sogno poteva immaginarsi di fare simili dichiarazioni quando faceva parte della precedente coalizione, mentre adesso evidentemente ha trovato lo spazio di manovra in cui pensa di poter dire quello che gli pare", critica fermamente l'ex presidente della Serbia.

Tornando al premio ricevuto dal Consiglio europeo per la tolleranza e la riconciliazione, Tadić ha ricordato il momento in cui, con il suo collega croato Ivo Josipović, si e' recato a Vukovar per esprimere scuse e parole di cordoglio per i crimini che sono stati commessi: "I nostri rapporti sono intrecciati, anche se molti credono che si tratti di una circostanza sbagliata. Ma e' cosi', anche se abbiamo il diritto ad identita' diverse ed esistenza indipendente, il che e' buono ed utile in questo momento. Ma la cosa piu' insensata che ci può accadere e' di compiere crimini gli uni contro gli altri. Questo e' qualcosa di cui mi vergogno personalmente anche se non ho contribuito nemmeno per un istante a questi crimini". Tadić racconta che a Vukovar pero' non ha vissuto quello che ha dovuto subire a Srebrenica. Alcune delle madri di Srebrenica, nel loro dolore, gli andavano incontro accusandolo di essere un assassino. "A Srebrenica ci sono state parole pesanti. Non accuso nessuno perche' so che la mia missione in quanto presidente della Serbia era quella. L'ho fatto perche' lo ritenevo mio dovere. E tutti lo hanno se qualcuno, a nome del suo popolo, ha commesso dei crimini. Nemmeno oggi in Serbia mi capiscono", spiega Tadić ricordando il momento in cui da presidente della Serbia si e' recato a Srebrenica.

Secondo l'ex presidente serbo l'Ue sta affrontando difficolta' sul piano interno, di natura economica, soprattutto collegate con la politica macroeconomica e il consolidamento del deficit di bilancio in quasi ogni singolo paese europeo. Questo produce tensioni interne. I cittadini in questi paesi, prosegue Tadić, non guardano con entusiasmo al processo di allargamento il che non succedeva negli anni novanta, soprattutto dopo il 2000 quando molti paesi hanno aderito all'Ue senza che i criteri di adesione fossero completamente adempiuti. Da qui l'inasprimento dei criteri per i paesi che hanno aspirazioni all'adesione. La Serbia e' tra questi paesi. Dall'altra parte, osserva Tadić, in Serbia vi e' stata tutta una serie di dichiarazioni completamente irresponsabili da parte dei funzionari dello Stato. Sono stati compromessi i criteri per trattare i criminali di guerra, poi il cammino della Serbia verso l'Ue con posizioni che la Serbia non si apprestera' verso l'adesione e questo e' contro gli interessi dei cittadini della Serbia. Per quanto riguarda la coalizione nell'ex governo con i socialisti, Tadić spiega che se non ci fosse stata la riconciliazione con i socialisti, non ci sarebbe stato il Governo del 2008 e la Serbia sarebbe precipitata in una forma politica piu' che aggressiva e che sicuramente non avrebbe portato alla riconciliazione nella regione bensi' a nuove tensioni. Non ci sarebbe stato nemmeno lo status di candidato all'adesione. Infine, sulla necessita' di relazioni di buon vicinato con il Kosovo e la richiesta di rispetto dell'integrita' territoriale del Kosovo, Tadić e' dell'opinione che le posizioni politiche si dovevano esprimere diversamente e non parlare di divisione del Kosovo.

Alla domanda sul proprio partito, il Partito Democratico e sul suo futuro, Tadić ritiene che esso sia l'unica forza politica in grado di cambiare la societa' serba nonostante gli errori commessi. Il Partito Democratico deve avere un orientamento ideologico chiaro e un obiettivo chiaro. "Non insisto su me stesso come presidente del PD bensi' sulla missione del partito che non deve essere cambiata ma esiste il pericolo che cio' accada", conclude Tadić l'intervista al quotidiano croato 'Večernji list".

[*] Corrispondente di Radio Radicale. Il testo è la trascrizione di parte della corrispondenza andata in onda nella puntata odierna di Passaggio a Sud Est


DACIC E THACI SI INCONTRANO A BRUXELLES

di Marina Szikora, corrispondente di Radio Radicale - Il testo è tratto dalla puntata di Passaggio a SudEst andata in onda oggi

L'incontro di Bruxelles tra Catherine Ashton, Ivica Dacic e Hashim Thaci
E' arrivato il tempo per un accordo storico con Priština e per la conclusione degli accordi, ha affermato il premier serbo Ivica Dačić in occasione dell'incontro con il suo omonimo kosovaro Hashim Thaci in presenza dell'Alto rappresentante per gli Affari esteri e di difesa dell'Unione Europea, Catherine Ashton. Lo ha dichiarato all'emittente indipendente di Belgrado B92. Dačić ha sottolineato pero' che accettare di "dialogare con il premier del Kosovo Hashim Thaci non significa che la Serbia abbia riconosciuto il Kosovo". "Sia Thaci che io abbiamo il nostro incarico. Il mio punto di partenza e' diverso dal suo. Accettare l'indipendenza del Kosovo e' fuori questione. Tuttavia, ritengo che bisogna che ci sia un avanzamento visibile nelle nostre relazioni", ha detto il premier serbo.

Ospite di una trasmissione di B92, Dačić ha ripetuto che l'obiettivo della Serbia e' quello di raggiungere una soluzione permanente e sostenibile, nonche' avere relazioni distese con Priština. Il premier serbo ha ricordato inoltre che la Ashton ha confermato la neutralita' dello status nei colloqui tra le due parti. Per quanto riguarda l'attesa stretta di mano, Dačić ha precisato che l'accordo e' stato quello di evitare manifestazioni rituali affinche' non ci fossero speculazioni mediatiche: "Il nostro obiettivo e' quello di trovare il modo per risolvere il problema", ha rilevato il premier serbo affermando che gia' dal giorno dopo il suo Governo iniziera' a lavorare sulla piattaforma per i negoziati con Priština. Secondo le sue parole, nella parte finale del documento di questa piattaforma, oltre al presidente ed al premier parteciperanno anche il Parlamento, rappresentanti dell'opposizione e tutti quelli che potranno aiutare.

Alla domanda se Belgrado accettera' su pressione di Priština di smontare le strutture serbe al nord del Kosovo, Dačić ha risposto che e' importante sapere che questo e' uno dei rari incontri, forse il primo, in cui l'Ue ha partecipato in funzione di mediatore. Catherine Ashton ha detto che non ci saranno pressioni sulla Serbia per farle fare quello che essa non vuole. "Esiste il tema di cui non vogliamo parlare", ha precisato il premier serbo, "il problema e' piu' profondo di quanto l'avessimo pensato. I serbi al nord non accettano Priština". Dačić ha spiegato che Thaci e' interessato soltanto al nord del Kosovo, la Serbia invece alla protezione del patrimonio religioso e culturale, patrimonio serbo, della Chiesa e dei cittadini del Kosovo. Il premier serbo ha indicato di aver avvertito Thaci che lui stesso e' stato comandante di strutture paralele, formazioni paramilitari. "Stiamo riflettendo sulla soluzione definitiva ed e' tempo per un accordo storico, l'interesse della Serbia e' di dialogare senza pressioni esterne perche' se avessimo parlato prima, forse avremmo gia' risolto alcuni dei problemi", ha concluso Dačić.

"Il Kosovo riguarda anche me, il mio ed il suo popolo", ha detto Dačić aggiungendo che anche lui e' del Kosovo (nativo di Prizren) e che il Kosovo e' suo cosi' come di Thaci. Per quanto riguarda la delicatissima questione dei crimini di guerra, il premier serbo ha precisato di aver raccomandato al premier kosovaro che bisogna indagare fino alla fine sul traffico di organi dei prigionieri serbi e di altri in Kosovo, che Belgrado insistera' sulla questione e che per Thaci sarebbe meglio che questo caso fosse portato a termine. Anche Thaci, secono il racconto di Dačić, ha concordato su questo. Dačić ha valutato che il maggior risultato di questo incontro e' che e' stato concordato di evitare qualsiasi mossa unilaterale. "Partecipando a questo incontro, la Serbia ha dimostrato di non essere il problema. E' arrivato il tempo per un accordo storico dei serbi e degli albanesi. Noi siamo pronti a proseguire il dialogo con Priština ma cio' non cambia la nostra posizione di non riconoscere mai l'indipendenza del Kosovo. Siamo pronti anche per i colloqui sulla soluzione definitiva dello status del Kosovo", ha sottolineato Dačić.

L'incontro tra Ivica Dačić e Hashim Thaci a Bruxelles e' stato giudicato comunque come un passo avanti positivo, sia da parte serba che da parte internazionale, anche se si e' avuta l'impressione che i dettagli dell'incontro abbiano attirato maggiore attenzione, scrive il quotidiano di Belgrado 'Blic': se ci sarebbe stata la stretta di mano oppure no, chi portava sul risvolto della giacca la bandierina nazionale piu' grande, chi dei due ha pensato che cosa e come si e' sentito durante l'incontro.

Sulle reazioni in Kosovo all'incontro di Bruxelles tra il premier serbo Ivica Dacic e quello kosovaro Hashim Thaci, tra la quali la dura opposizione dei nazionalisti di Vetevendosje che ha portato anche ad alcuni incidenti durante manifestazioni a Pristina, segnalo la corrispondenza di Artur Nura nella puntata odierna di Passaggio a Sud Est a Radio Radicale


PASSAGGIO IN ONDA

E' on-line la puntata di Passaggio a Sud Est trasmessa da Radio Radicale oggi 25 ottobre. La trasmissione è ascoltabile nella sezione "In Onda" del blog oppure, insieme a quelle precedenti, sul sito di Radio Radicale.

Attenzione: per un problema tecnico la trasmissione di oggi è andata in onda in anticipo rispetto all'orario consueto. Ci scusiamo per il disguido.


venerdì 19 ottobre 2012

LA GRECIA NON USCIRA' DALL'EURO

La prima giornata del Consiglio europeo di Bruxelles, conclusasi alle 3 del mattino, ha prodotto anche una dichiarazione specifica sulla Grecia nella quale i capi di Stato e di governo dell'Eurozona si rallegrano “dei progressi compiuti dalla Grecia e dalla troika in vista del raggiungimento di un accordo sulle politiche a sostegno del programma di aggiustamento”. Le decisioni sulle nuove misure del governo greco e sull'eventuale concessione di due anni in più di tempo per il consolidamento di bilancio, a cui comunque non si fa cenno nel documento, saranno prese alla luce della relazione della troika Ue-Bce- Fmi.

“Accogliamo con favore la determinazione del governo greco a rispettare i suoi impegni e plaudiamo ai notevoli sforzi profusi dal popolo greco”, dicono i leader dell'Eurozona. Tuttavia, l'austerità non è finita: “Ci attendiamo che la Grecia prosegua le riforme di bilancio e strutturali, e incoraggiamo i suoi sforzi volti ad assicurare la rapida attuazione del programma [...] al fine di accrescere la competitività del settore privato, gli investimenti privati e l'efficacia del settore pubblico. Tali condizioni - conclude il documento - consentiranno alla Grecia di realizzare una crescita rinnovata e ne assicureranno il futuro nella zona euro”.

Per il presidente dell'Eurogruppo, Jean-Claude Juncker, con questa dichiarazione “si e' stabilito in modo definitivo che nessuno pensa ne' chiede di escludere la Grecia dall'eurozona ne' di metterla in una posizione in cui si autoescluderebbe” dalla moneta unica. A questo punto, secondo Juncker, “tutte queste discussioni sulla 'Grexit', che sono un insulto ai greci, non sono piu' sul tavolo”. Anche per il presidente francese Francois Hollande “la questione della permanenza della Grecia nell'euro non si dovra' piu' porre”. Hollande riconosce che in Grecia “ci sono stati dei progressi” ed anche se c'e' “qualcosa ancora da chiarire” il processo sta andando nella giusta direzione. Da qui il segnale di fiducia che la Francia, ma anche l'Eurozona con la nota diffusa questa notte, hanno voluto lanciare nei confronti di Atene a fronte “degli sforzi e delle sofferenze” che il popolo greco sta subendo: “Il mio obiettivo e' che, dopo il rapporto della troika, si arrivi a sbloccare i fondi per la Grecia gia' nelle prossime settimane”, ha detto ancora il presidente francese.

Il capo del governo italiano, Mario Monti, ha sottolineato da parte sua proprio la novità dell'apprezzamento espresso dai leader per gli sforzi fatti dalla Grecia e la convinzione con cui è stato riaffermato che Atene non lascerà l'euro: “Non è la prima volta che il Consiglio si occupa della Grecia ma questa volta c'è un bilancio positivo che è stato sottolineato nelle conclusioni del vertice” che riconosce “lo sforzo fatto dal popolo greco su impulso del Governo”. Ma ancor più che nelle conclusioni, secondo Monti è significativo quello che ha detto Junker, secondo cui “al Consiglio europeo si è stabilito in modo definitivo che nessuno pensa né chiede di escludere la Grecia dall'eurozona, né di metterla in una posizione in cui si autoescluda”.

Anche la cancelliera tedesca Angela Merkel ha voluto dare il suo contributo a questa atmosfera di letizia e si è detta “molto contenta del fatto che la Grecia sia sul binario giusto”. “C'e' un buon coordinamento tra me e il primo ministro”, ha dichiarato la cancelliera riferendo di essere stata informata dal premier greco Antonis Samaras circa i progressi fatti dal governo di Atene per la “messa in atto di misure necessarie”. E se queste misure saranno ben attuate, ha aggiunto Merkel, la Grecia ha “buone probabilita'” di prosperare nell'eurozona.

Peccato che a questo clima di rinnovata fiducia per la Grecia e al nuovo orizzonte di speranza che, si spera, si aprirà per i suoi cittadini, non potrà partecipare l'uomo di 66 anni morto di infarto ieri ad Atene durante i violenti scontri che hanno accompagnato la manifestazione di piazza nella giornata di sciopero generale contro i nuovi tagli annunciato dal governo per poter ottenere la nuova tranche di aiuti internazionali.


MONTENEGRO: IL "RITORNO" DI DJUKANOVIC

Sulle elezioni del 14 ottobre in Montenegro e sulla vittoria del padre e "padrino" della patria Milo Djukanovic, segnalo l'analisi di Alfredo Sasso, pubblicata su Eastjournal.net qualche giorno fa.
In gergo sportivo si potrebbe dire che Djukanovic ha vinto ma non ha convinto: “Montenegro Europeo”, la coalizione di cui è leader, ha preso il 45% dei voti, ma per la prima volta dal 2001 non ha la maggioranza assoluta del parlamento di Podgorica e perde circa 9 punti rispetto alle elezioni del 2009. All'opposizione, il risultato del “Fronte Democratico”, che proponeva come candidato Miodrag Lekić, ex- ambasciatore jugoslavo ed ex-docente universitario alla Luiss di Roma, ha avuto un successo superiore alle aspettative. 
I partiti delle minoranze nazionali diventano decisivi per determinare la maggioranza di governo che guiderà il Montenegro nei prossimi quattro anni nei quali si svolgeranno i negoziati per l'adesione all'Unione Europea. Nella precedente legislatura queste formazioni avevano dato l’appoggio esterno al governo ed è probabile che sarà così anche ora con la differenza che il solo Partito Bosgnacco, con i suoi 3 seggi, garantirebbe la maggioranza alla coalizione di Djukanovic e potrebbe diventare l’ago della bilancia.
"Nella mancata conferma della maggioranza assoluta socio-demo-liberale, ma soprattutto nel buon risultato del Fronte Democratico e di altre forze d’opposizione", scrive Sasso, "si può leggere un segnale di avvertimento (ancorché timido) verso il dominio incontrastato di Milo Djukanović", anche se bisogna riconoscere che, nell’Europa della crisi, quella di Djukanovic "è una delle pochissime coalizioni di governo uscenti capaci di riconfermarsi alla guida di un paese".
Dunque, Djukanović è ancora in sella ma dovrà riconquistare la fiducia dei cittadini che "non appare piu’ incondizionata. dopo le proteste degli ultimi mesi e il responso delle urne". 

giovedì 18 ottobre 2012

CROAZIA: NESSUN RINVIO DELL'ADESIONE ALL'UE, MA I COMPITI NON SONO FINITI

Di Marina Szikora [*] 
Anche se all'inizio Zagabria ha reagito molto positivamente al rapporto della Commissione europea relativo all'avanzamento della Croazia nel processo di integrazione nell'Ue, risulta adesso che la Commissione nel suo documento ha identificato alcuni settori in cui la Croazia dovra' raggiungere dei progressi. Cio' non vuol dire che Zagabria non sia o non sara' pronta per l'adesione il primo luglio 2013, ha detto lunedi' a Bruxelles il portavoce della Commissione Peter Stano. I punti identificati nel rapporto annuale rappresentano un documento di lavoro, ha spiegato Stano, una agenda di lavoro per la Croazia nei prossimi mesi quando dovranno essere fatti maggiori sforzi per concludere con successo tutti i preparativi per l'adesione. Cosi' il portavoce del commissario all'Allargamento in risposta ai giornalisti per commentare alcune reazioni in Germania secondo le quali la Croazia non sarebbe pronta per l'adesione. Le dichiarazioni tedesche in questi giorni hanno suscitato commenti allarmanti da parte dei media croati, ma Peter Stano ha indicato che adesso oltre la meta' dei Paesi membri hanno ratificato l'accordo di adesione e che la Croazia dovrebbe diventare membro a pieno titolo come previsto il primo luglio 2013.

I media croati pero', in riferimento alle dichiarazioni giunte dalla Germania, scrivono che in Europa ci sono nuovamente gli scettici che ritengono che la Croazia non abbia soddisfatto le condizioni per l'ingresso e questi scettici si trovano laddove meno ci si aspettava, ovvero in Germania. Finora sono stati solo avvertimenti dei media tedeschi, ma adesso la stesse posizioni arrivano anche da circoli politici prestigiosi, scrive la stampa croata. Cosi' il presidente del Bundestag, Norbert Lammert, ritiene che bisogna seriamente comprendere il recentissimo rapporto della Commissione europea sull'avanzamento della Croazia che, come ha detto, evidentemente non e' pronta per l'adesione. Dall'altra parte pero', il governo tedesco sulla sua pagina Internet scrive di credere che la Croazia puo' in un tempo determinato adempiere le condizioni necessarie. Cosi' la Germania sembra avere due posizioni diverse. "Siamo in contatto con i rappresentanti del governo tedesco e con i deputati del Parlamento tedesco. Ogni avvertimento lo prendiamo seriamente. Riteniamo che la Croazia sia in grado ad adempiere le condizioni ed i compiti ricevuti in questo rapporto. Credo che queste posizioni in un certo senso rispecchino anche lo scetticismo che generalmente esiste in Europa per quanto riguarda l'allargamento. I compiti sono grandi ed importanti, ma noi siamo in grado di realizzarli", ha detto il ministro croato degli Esteri e degli Affari europei, Vesna Pusić, prima di partire per Lussemburgo per prendere parte alla riunione dei capi delle diplomazie dei 27.

Gli avvertimenti tedeschi però sono seri. Il Bundestag afferma che le buone intenzioni e le promesse di Zagabria non bastano. I cambiamenti in Croazia devono essere concreti e visibili. Una posizione inaspettata, proprio dal paese che finora ha dimostrato sempre molto appoggio, commenta la stampa croata. La Germania vuole la Croazia come membro nell'Ue, ma e' necessario soddisfare i criteri. Per la Croazia non ci saranno ulteriori difficolta', ma nemmeno concessioni, ha dichiarato a Lussemburgo il ministro degli esteri tedesco, Guido Westerwelle. Da parte sua, la ministro croata Vesna Pusić ha riconfermato che la Croazia e' in grado di adempiere le condizioni e in questo senso non si aspetta concessioni, ma un trattamento giusto. Sia il ministro Westerwelle che il ministro tedesco per gli affari europei, Michael Link, hanno confermato che la Germania intende mantenere relazioni corrette verso la Croazia. Il presidente croato, Ivo Josipović da parte sua ha valutato che queste dichiarazioni dei politici tedeschi non sono una manifestazione di sfiducia nei confronti della Croazia, bensi' dichiarazioni per una ulteriore motivazione e "soprattutto segni di avvertimento di fare quello che noi stessi sappiamo di dover fare".

Da segnalare, inefine, anche le valutazioni della stampa slovena. Il quotidiano 'Delo' di Ljubljana scrive che la Commissione europea e' preoccupata che la questione della Ljubljanska Banka possa essere un ostacolo all'ingresso della Croazia nell'Ue, ma la posizione della Germania, prosegue 'Delo', rafforza la posizione di Ljubljana. Il giornale fa anche riferimento agli sforzi del ministro degli esteri Karl Erjavec che nel contenzioso con la Croazia si inserisca la Commissione e di questo Erjavec ha parlato con il commissario Stefan Feule. Secondo la stampa slovena, però, Bruxelles sollecita Slovenia e Croazia a trovare una soluzione accettabile per entrambi le parti, ma senza andare oltre questo invito.

[*] Corrispondente di Radio Radicale. Il testo è tratto dalla puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi.
 

TRA LA SERBIA E L'UNIONE EUROPEA C'E' SEMPRE DI MEZZO IL KOSOVO

Di Marina Szikora [*]
All'indomani della pubblicazione del rapporto della Commissione europea sull'avanzamento della Serbia o meglio della Strategia sull'allargamento dell'Ue, di cui abbiamo parlato nella nostra scorsa trasmissione, il presidente della Serbia, Tomislav Nikolić, ricevendo il commissario europeo all'Allargamento, Stefan Feule, a Belgrado, ha dichiarato che l'Europa, se vuole sinceramente l'adesione della Serbia, dovrebbe cambiare la parte del rapporto in cui si menziona l'integrita' del Kosovo. Feule, da parte sua, ha precisato che la formulazione riguardante l'integrita' territoriale del Kosovo e' stata interpretata dalla Serbia in maniera sbagliata. Il commissario europeo ha detto che l'espressione “integrita' territoriale” non pregiudica lo status e ha sottolineato che si tratta del fatto che l'Europa sin dal 2005 si oppone alla divisione del Kosovo. Nikolić e Feule hanno concordato che la situazione in Kosovo e' estremamente delicata e che ogni tipo di formulazione in questo senso deve essere chiaramente precisata. Il presidente Nikolić ha rilevato che la Serbia fa di tutto affinche' le condizioni poste dall'Ue siano adempiute e lo ha dimostrato con risultati concreti nel campo della riforma della giustizia, della lotta contro la criminalita' e la corruzione e soprattutto con la disponibilità a normalizzare le relazioni tra Belgrado e Priština e a risolvere tutti i problemi attraverso i negoziati diretti al massimo livello. Per il commissario Feule, la formulazione "integrita' territoriale del Kosovo", inclusa nel rapporto della Commissione europea, resta comunque immutata.

Feule, intervenendo alla riunione della Commissione delle integrazioni europee del Parlamento serbo, ha aggiunto che l'inizio dei negoziati di adesione della Serbia e' teoricamente possibile anche nel 2013, confermando che non ci sono nuove condizioni per l'adesione della Serbia all'Ue. "Se la Serbia utilizzera' l'occasione presentata nel rapporto della Commissione europea di quest'anno, credo sinceramente che allora la possibilita' dell'inizio dei negoziati si possa trasformare in realta', potrebbe essere una realta' l'anno prossimo". Il commissario all'allargamento ha sottolineato che la Serbia e' un paese importante in questa regione e che non c'e' dubbio che l'Ue sia seriamente impegnata ad aiutare il Paese nel suo cammino verso l'Ue. Feule ha indicato i molti passi positivi che il Paese ha compiuto negli ultimi mesi per quanto riguarda la lotta alla corruzione e ha espresso la speranza che gli sforzi continueranno in questa direzione. Ha valutato pero' che in Serbia con il processo elettorale e' stato perso tanto tempo e ha aggiunto di aspettarsi che continueranno gli sforzi per adempiere i criteri indispensabili per l'adesione all'Ue.

Il relatore speciale del PE per i Balcani occidentali, Hannes Svoboda ha dichiarato invece che la Serbia dovra' riconoscere l'indipendenza del Kosovo prima di diventare membro dell'Ue. Il riconoscimento del Kosovo alla fine dovra' avvenire, anche se questa non e' una condizione nel processo di adesione all'Ue. In questo momento e' importante continuare il dialogo tra Belgrado e Priština, ma per la Serbia sarebbe bene se accettasse i fatti, ha detto Svoboda in una intervista al giornale 'Dnevnik' di Novi Sad. Secondo Svoboda la Serbia potrebbe ottenere la data dell'inizio dei negoziati la prossima primavera, ma ha rilevato che prima deve "placare le correnti radicali". La recente decisione di vietare il Gay Pride, ha detto il parlamentare europeo, testimonia che il nuovo governo della Serbia non condivide i valori europei, aggiungendo che quello che finora e' venuto dal nuovo governo serbo sull'Ue non e' per niente incoraggiante. Il continuo flirt con la Russia, ha precisato Svoboda, come segno che l'Ue non sia l'unico partner per la Serbia, non e' di grande aiuto.

A proposito del processo di integrazione europea della Serbia, in tutt'altra direzione vanno le parole del premier serbo, Ivica Dačić. Domenica scorsa, parlando nel villaggio di Draginci in occasione della commemorazione dell'eccidio del 1941, quando furono fucilate circa tremila persone, Dačić ha detto che la Serbia, con la sua lotta contro il fascismo e con le sue vittime, merita di essere oggi nell'Ue ricordando che proprio quelli che avevano commesso questi crimini contro i serbi hanno iniziato a costruire la nuova Europa dopo la Seconda guerra mondiale ma oggi non permettono l'ingresso della Serbia nell'Ue. Secondo Dacic, le vittime serbe vengono dimenticate e la storia e' stata distorta cosicche' le nazioni sconfitte adesso sono piu' importanti nei Balcani rispetto alla Serbia e al popolo serbo. "Quelli che qui avevano perso le loro vite sono stati vittime innocenti, hanno inciso le loro vite nella nuova Europa, nell'Ue e adesso vengono poste condizioni al nostro ingresso nell'Ue chiedendoci di permettere che sia compiuto quello che fu fatto nella prima e nella seconda guerra mondiale, vale a dire che la Serbia diventi sempre piu' piccola", ha detto Dačić.

[*] Corrispondente di Radio Radicale. Il testo è tratto dalla puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda il 18 ottobre.

ELEZIONI IN MONTENEGRO: RIVINCE ĐUKANOVIĆ MA SENZA PIU' MAGGIORANZA ASSOLUTA

Di Marina Szikora [*]
Nonostante le previsioni un po' incerte, alle elezioni anticipate in Montenegro il veterano politico, il premier Milo Đukanović, ha riconfermato la vittoria, questa volta pero' con una maggioranza relativa. Dovra' entrare in coalizione con il Partito bosgnacco e con altri partiti delle minoranze. Da osservare che le due coalizioni che rappresentavano i serbi in Montenegro, non sono entrate in parlamento. Entrambi le coalizioni nella campagna elettorale hanno messo l'accento sulla "tutela degli interessi nazionali" in Montenegro. Il presidente del partito governativo, del Partito Democratico Socialista e leader della coalizione di questo partito con il Partito socialdemocratico e il Partito liberale, il premier uscente, Milo Đukanović ha dichiarato che la vittoria della coalizione ha reso possibile che si inizi subito a formare il nuovo governo. Rivolgendosi nella notte elettorale a tanti dei suoi sostenitori, Đukanović ha valutato che il potere in Montenegro "e' l'unico in Europa che nelle condizioni della crisi e' riuscito a mantenere la fiducia".

Domenica scorsa, le elezioni anticipate in Montenegro sono state le none elezioni per il rinnovo del parlamento dalla fine del partito unico e le terze da quando Podgorica nel 2006 ha proclamato l'indipendenza dalla Serbia. Alle elezioni hanno preso parte sette coalizioni, cinque partiti e un gruppo di cittadini. I 514.000 cittadini aventi diritto di voto hanno eletto il nuovo Parlamento composto da 81 deputati. Come spiegato nella decisione del capo dello stato, Filip Vujanović, i montenegrini si sono recati alle urne prima del termine previsto, vale a dire prima della prossima primavera affinche' il governo possa avere la piena legittimita' a portare il paese al suo obiettivo finale, cioè l'adesione all'Ue. Va detto che durante la campagna elettorale si sono individuati due grandi blocchi politici: la coalizione 'Per il Montengro europeo' di Milo Đukanović e il Fronte Democratico. La coalizione 'Per il Montenegro europeo' e' composta dal Partito Democratico Socialista di Milo Đukanović, dal Partito Socialdemocratico di Ranko Krivokapić, il presidente del Parlamento uscente e per la prima volta, con loro vi e' il Partito Liberale di Andija Popović. Dall'altra parte c'era il Fronte Democratico guidato da Miodrag Lekić, ex diplomatico dai tempi dell'ex stato comune Serbia e Montenegro. Di questa coalizione fanno parte tre partiti. Al tempo stesso, domenica si sono svolte anche le elezioni locali a Kotor, Budva e Nikšić. Da aggiungere che il voto e' stato seguito da 1200 osservatori locali e circa cento rappresentanti dell'OSCE.

La situazione economica e sociale in Montenegro e' sempre piu' difficile, sempre piu' numerosi sono gli scandali di corruzione ed intorno all'uomo forte del Montenegro, il premier Milo Đukanović, si sta sempre piu' stringendo il cerchio fatto dall'amicizia con gli oligarchi dubbiosi e persone contro le quali pendono i mandati di cattura dell'Interpol, compromettendo cosi' il suo carisma, scrive un commento del quotidiano croato 'Jutarnji list'. Tra gli scandali che premono si trova quello provocato dalle tangenti nella vendita del Telecom montenegrino, in piu' gli affari della sorella di Đukanović. Tutto questo ha provocato critiche che Đukanović ha trasformato il Montenegro in "una proprieta' privata". Dall'altra parte, quello che sicuramente e' stato il cavallo vincente di Đukanović e' l'inizio dei negoziati di adesione con l'Ue poiche' il 56 percento dei cittadini appoggia l'ingresso del Paese nell'Ue. C'e' da aggiungere che lo stato e' anche compromesso dai partiti filo serbi, tutt'ora contrari all'indipendenza del Montenegro.

I partiti di opposizione montenegrini hanno reagito diversamente ai risultati delle elezioni, ma tutti come qualitativo hanno sottolineato il fatto che la coalizione governativa di Milo Đukanović non ha ottenuto la maggioranza assoluta e quindi per la formazione del governo saranno necessari i partiti delle minoranze. Il lieder del Frone Democratico, Miodrag Lekić, ha invitato tutti i partiti delle minoranze di essere "all'altezza del compito" e ha annunciato che il Fronte il quale dopo le elezioni e' diventato la maggior forza di opposizione in Parlamento, discutera' con tutte le "forze democratiche" del Paese sulla formazione del cosiddetto "governo di unita'". Questo e' l'inizio della fine del potere del DPS, ha detto Lekić. Il Fronte ha vinto sette seggi in piu' rispetto alle precedenti elezioni e con altri due partiti di opposizione che in tutto hanno vinto 36 seggi, vale a dire tre meno della coalizione governativa, potrebbero in effetti formare la maggioranza con i partiti delle minoranze. Gli analisti valutano pero' che e' piu' probabile l'alleanza post-elettorale della coalizione di Đukanović con i partiti delle minoranze.

[*] Corrispondente di Radio Radicale. Il testo è la trascrizione della corrispondenza per la puntata diPassaggio a Sud Est andata in onda oggi.


PASSAGGIO IN ONDA

E' on-line la puntata di Passaggio a Sud Est trasmessa da Radio Radicale oggi 18 ottobre. La trasmissione è ascoltabile nella sezione "In Onda" del blog oppure, insieme a quelle precedenti, sul sito di Radio Radicale.

domenica 14 ottobre 2012

ELEZIONI IN MONTENEGRO: SARA' MIODRAG LEKIC L'ANTI-DJUKANOVIC?

Miodrag Lekic (Foto Mara Babovic)
Il Montenegro va alle urne oggi per le elezioni anticipate di sei mesi rispetto alla scadenza naturale della legislatura. Circa mezzo milione di montenegrini sono chiamati a scegliere i propri rappresentanti tra cinque partiti, sette coalizioni e un movimento civico, per eleggere un parlamento con un "mandato pieno" nei prossimi quattro anni in cui il Paese sarà impegnato nei negoziati di adesione con l'Unione europea aperti ufficialmente lo scorso giugno. E' la nona elezione parlamentare dalla fine del regime jugoslavo a partito unico, la terza dalla dichiarazione di indipendenza dalla Serbia nel 2006.

La consultazione si svolge a pochi giorni dalla pubblicazione del rapporto annuale della Commissione europea sul processo di integrazione dei Paesi che sono in lista di attesa per l'adesione all'Ue. Nella sua “pagella” Bruxelles ha esortato il Montenegro a compiere progressi soprattutto in materia di lotta alla corruzione e al crimine organizzato, il solito punto dolente di un Paese crocevia di tanti traffici illegali internazionali che si muovono sulla cosiddetta “rotta balcanica”. Un Paese che fa anche i conti con la crisi economica seguita alla crescita sostenuta registrata nel triennio 2006-2009, immediatamente dopo l'indipendenza da Belgrado. I contraccolpi della crisi internazionale hanno sgonfiato la bolla immobiliare, trainata dal turismo, e fatto crollare gli investimenti esteri, con un debito pubblico cresciuto fino all'attuale quota del 58% del Pil e un tasso di disoccupazione che sfiora il 20%. Lo scorso anno si è registrata una crescita del Pil  del 2,7%, ma le previsioni per il 2012 non vanno oltre lo 0,5%, nonostante il buon andamento della recente stagione turistica.

In una realtà in cui la classe politica, come fanno notare diversi analisti, si mostra incapace di proporre qualcosa di nuovo, le elezioni di oggi non dovrebbero portare particolari novità. Secondo la previsioni, infatti, la vittoria andrà, come al solito, al Partito democratico dei socialisti (Dps), a cui i sondaggi attribuiscono il 47% dei voti, guidato da Milo Djukanovic, “padre della patria” ma anche politico dalle discutibili frequentazioni e dai traffici poco chiari. Lo stesso nei confronti del quale la magistratura di Bari sollevò pesanti accuse di associazione mafiosa e contrabbando internazionale, a cui scampò solo grazie all'immunità diplomatica. Djukanovic è anche l'unico leader balcanico rimasto ininterrottamente al potere dopo il crollo della Jugoslavia. Anche dopo le dimissioni “a sorpresa” a fine 2010 (era al suo quinto mandato da premier): “Sono stato al potere per 20 anni, sono state create le condizioni per un mio passo indietro”, disse dopo che il Montenegro ottenne la candidatura ufficiale all'adesione Ue, ma la sua leadership è rimasta intatta.

La pessima reputazione internazionale del Montenegro in materia di legalità è il principale argomento con cui l'opposizione ha tentato di erodere il consenso di cui continua a godere Djukanovic, ma i partiti dell'opposizione di centro-destra, riuniti in una coalizione denominata “Fronte democratico”, sono dati dai sondaggi al 40%. La loro speranza è che il partito di Djukanovic non vada oltre la maggioranza relativa di 81 seggi nel parlamento di Podgorica. A meno che il leader del “Fronte”, Miodrag Lekic, non riesca a compiere il miracolo. E qualche possibilità potrebbe averla se Djukanovic ha cercato di liquidare l'avversario accusandolo di essere una proiezione serba in terra montenegrina. In realtà le cose non stanno così, come spiega Matteo Tacconi in un ritratto pubblicato su Osservatorio Balcani e Caucaso. Lekić, ex ministro degli Esteri ed ex ambasciatore jugoslavo in Italia durante la guerra del Kosovo e nel primo periodo del dopo Milosevic, docente alla Sapienza e alla Luiss di Roma, semplicemente pensa che il Montenegro non possa non dialogare, commerciare e fare accordi con la Serbia, così come ritiene che il rapporto speciale tra Podgorica e Belgrado debba allargarsi a tutta l’area balcanica. Lekić, scrive Tacconi, a suo tempo jugoslavista convinto, continua a pensare che l’esperienza jugoslava abbia lasciato un'eredità che le leadership della regione debbano cogliere e valorizzare dopo la lunga parentesi segnata dalle piccole autarchie balcaniche. Sarà lui l'anti-Djukanovic?


Alcune mie interviste a Miodrag Lekic per Radio Radicale realizzate qualche anno fa a proposito della questione del Kosovo


sabato 13 ottobre 2012

LA SCOMPARSA DI GIANFRANCO MARTINI

Nello stesso giorno in cui l'Unione Europea ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace è arrivata una notizia triste: la scomparsa di Gianfranco Martini, un grande europeo e un grande europeista, presidente onorario dell'ALDA, l'Associazione delle Agenzie della Democrazia Locale. Sulla figura di Gianfranco Martini riporto qui di seguito la lettera di Antonella Valmorbida, attuale direttrice di ALDA.

Carissimi amici dell'ALDA, è con grande tristezza che vi annuncio che il nostro caro Presidente Onorario, Gianfranco Martini, ci ha lasciati la notte scorsa.

Gianfranco era nostro amico e mentore. L'ALDA e le Agenzie della Democrazia Locale gli devono molto. E' stato lui ispiratore del programma e ci ha supportati dal più profondo del suo cuore e con tutte le sue forze. E' sempre stato totalmente dedicato al progetto Europeo come strumento di pace, convivenza e crescita comune. Fino a poco fa, abbiamo discusso e condiviso con lungimiranza idee e riflessioni sul futuro, che gli sembrava scuro per aver perso il senso del vivere comune. Egli è sempre stato per noi un esempio di impegno personale alla causa e non ha mai usato l'arte della predica ma piuttosto dell'azione condivisa, prima stessa da lui, per raggiungere l'obiettivo. Era profondamente Europeo - come io lo sono - ma anche vicino alla sua terra del Veneto e del Polesine, condividendo con me tante immagini, storie, dialetto e anche luoghi...

Gianfranco ha subito le difficoltà della Seconda Guerra mondiale. Vissuto a lungo nella provincia di Rovigo, ha dovuto superare gli anni difficili del dopo guerra e mi raccontava a volte di quei giorni quando il Po aveva rotto gli argini, che aveva vissuto come sindaco di Lendinara. Lo è stato per molti mandati. E' stato un attivista europeo della prima ora e per sempre. Ha contribuito al lavoro del Congresso (allora Conferenza Permanente) del Consiglio d'Europa. Con quattro bambini piccoli, - lasciando una buona posizione di avvocato in Veneto - ha preso la sua famiglia e si è recato a Roma per impegnarsi tutta la vita all'AICCRE. Negli anni '90, ha sostenuto e lanciato il programma delle ADL ed è stato nostro Presidente sino al 2008.

Come molti di noi, Gianfranco ha passato tutta la sua vita viaggiando in Europa e nel mondo per la causa della pace, della democrazia locale e dei diritti umani. Ha conosciuto ed è stato amico di tanti grandi ma anche di persone più semplici e umili. Ogni persona che l'avesse incontrato, se lo ricorda chiaramente. Era capace di ascolto e di attenzione per ognuno di noi. La conversazione con lui era sempre fonte di ispirazione. Tante immagini restano nella mia e nelle nostre memorie. Lo ricordiamo come un vero gentiluomo, elegante e infinitamente colto.

Gianfranco ha fatto la differenza per tutti noi e per una grande parte dell'Europa.
Siamo grati per aver avuto la fortuna di conoscerlo ed essere stati tra i suoi amici e aver condiviso la sua conoscenza e esperienza. Ci mancherà, tanto.

Dall'archivio di Radio Radicale segnalo alcuni interventi di Gianfranco Martini in occasione di alcuni eventi pubblici sulla situazione dell'area balcanica e sul futuro dell'Europa 



venerdì 12 ottobre 2012

ELEZIONI AMMINISTRATIVE IN BOSNIA: L’ENNESIMO FALLIMENTO DI UN PAESE IN FALLIMENTO


di Luca Leone, giornalista e scrittore
Le elezioni amministrative bosniache hanno confermato in sella chi già amministrava prima. Nulla di fatto, dunque, e un’altra occasione sprecata per mandare a casa ladri, corrotti e incapaci di tutti e tre i partiti nazionalisti. A candidarsi per questa tornata erano stati oltre tremila aspiranti amministratori, appartenenti a un’ottantina di partiti. Un’aberrazione per un Paese in cui sono state chiamate alle urne solo 3,2 milioni di persone. La maggioranza delle quali non è andata a votare, poiché il 44 per cento degli aventi diritto ha deciso di restare a casa domenica 7 ottobre, lanciando un messaggio chiarissimo alla politica. Messaggio che, come in tutti i Paesi del mondo, non sarà naturalmente colto, poiché l’obiettivo dei nazionalisti bosniaci delle tre parti non è quello di riavvicinare il Paese alla politica ma quello di papparsi il Paese tenendo più lontani possibile i cittadini dalla politica. Anzi, la stampa internazionale ha fatto la fila per “bersi” e diffondere la velina del potere bosniaco per la quale l’affluenza alle urne sarebbe addirittura superiore a quella della tornata amministrativa precedente, essendo passata dal 55 al 56 per cento. Davvero un dato significativo su una popolazione di dimensioni così limitate… senza contare che una parte dei voti sono stati espressi per corrispondenza dall’estero, e quindi sono difficilmente controllabili in sede di spoglio.

È vero che il tasso di astensionismo è alto ormai in tutte le democrazie cosiddette occidentali, ma la Bosnia non è certamente classificabile come tale, al livello magari degli Stati Uniti. La Bosnia è anzi una “democrazia giovane”, in cui normalmente il tasso di partecipazione al voto dovrebbe essere molto alto. Invece… Il tasso di astensionismo è un sintomo chiarissimo di disaffezione e di sfiducia e la percentuale sarebbe stata molto più alta se in alcune città, come Visoko (dove tanto – e inutilmente – si è parlato della neoeletta sindaco musulmana Amra Babic, la prima donna sindaco con la hijab, o velo, della Bosnia) e Srebrenica, la chiamata alle urne non avesse assunto i toni di una specie di assurda crociata per tutte le parti coinvolte.

Nessuno dei partiti nazionalisti ha ricevuto 1.400.000 voti puliti, pari al numero di bosniaci che non è andato a votare a queste amministrative. Questo è il dato più significativo di questa tornata elettorale, che allontana sempre di più i bosniaci dalla politica e la Bosnia dall’Europa. I posti che dovevano essere assegnati ai raccomandati sono stati assegnati, ancora una volta la missione è stata condotta a termine e i soldi dei cittadini per i prossimi cinque anni potranno essere dragati nelle tasche di quelli che, in nome del partito, una poltrona la devono avere per forza. Facile ora dare la colpa alla legge elettorale e alla frammentazione, entrambe figlie della volontà dei partiti nazionalisti, che potrebbero in qualsiasi momento, numeri alla mano e magari con l’aiuto dei deludenti socialdemocratici, mettere mano alla legge elettorale e approvarne una nuova di pacca, più funzionale, meno dispendiosa e capace di cambiare finalmente il volto del Paese in bene. Ma perché i nazionalisti dovrebbero suicidarsi?

Il secondo dato significativo di questa tornata elettorale amministrativa è stato la lentezza, a tratti sospetta, degli spogli. Troppo tempo, davvero, per conteggiare così pochi voti. Troppo tempo per una democrazia presunta o di facciata. Il che equivale a troppi sospetti.

Il terzo e ultimo dato è che non è cambiato niente. E questo è l’aspetto più preoccupante, poiché l’immobilismo politico di un Paese terribilmente corrotto e litigioso – e in bancarotta – rischia di precipitare definitivamente la Bosnia nel baratro della crisi economica. Quest’ultima non è detto che non faccia comodo a chi, come i nazionalisti serbo-bosniaci e quelli croato-bosniaci, da anni sostiene che il Paese non abbia futuro, motivando così la loro volontà di prendere altre strade. È evidente che non è la Bosnia a non avere chance per andare avanti ma sono i politicanti nazionalisti bosniaci ad adoperarsi da anni affinché il Paese non possa camminare con le sue gambe. Non è esattamente la stessa cosa, anzi è molto diverso, decisamente diverso.

Un ultimo dato va sottolineato, in chiusura, ma in realtà si tratta del dato più rilevante: le elezioni amministrative bosniache del 2012 sono coincise con la chiusura di tutta una serie di musei e centri culturali che non hanno più ricevuto finanziamenti per il veto incrociato dei partiti nazionalisti in parlamento. I sacrifici, pagati in guerra col sangue e nel dopoguerra con ritardi mostruosi nel pagamento degli stipendi, di tanti uomini e donne per salvare il patrimonio culturale nazionale sono definitivamente naufragati e simbolo ne è la chiusura con due assi incrociate e inchiodate di molte porte di quelli che una volta erano musei. Per i nazionalisti – figli e figliocci di quelli che hanno bruciato i libri durante la guerra – questa è senz’altro una nuova vigliacca medaglia da appuntarsi al bavero della giacca, perché la cultura è uno degli elementi unitari e identitari basilari per permettere ai bosniaci di dichiararsi tali; per i cittadini normali si tratta di un’onta durissima da lavare, di una vergogna nazionale, di un calcio in faccia alla speranza di un futuro migliore per la quale in tanti hanno lottato e in molti sono anche morti.

Questa è forse la vergogna più grande dei nazionalisti bosniaci, a parte il fatto che stanno devastando economicamente il Paese: stanno prosciugando le energie di tutti con vigliaccate d’ogni genere per perseguire i loro obiettivi di appropriazione, divisione e potere. E chi non se ne accorge e non lo denuncia, fa semplicemente il loro gioco. Ma in tutto questo, non dimentichiamo che siamo terribilmente vicini, e che italiani e bosniaci non sono poi così differenti. La domanda finale allora è: in questo sfacelo bosniaco che sa di sfacelo italiano, e viceversa, quanto veramente è lontana l’Italia dell’ultimo ventennio da un nero futuro come quello che i nazionalisti stanno costruendo, tassello su tassello, per la Bosnia?

Per informazioni: Infinito Edizioni


giovedì 11 ottobre 2012

ALBANIA: LA PROTESTA DEGLI EX DETENUTI POLITICI RISCHIA LA TRAGEDIA


La protesta degli ex detenuti politici albanesi del tempo della dittatura comunista, che da oltre due settimane conducono uno sciopero della fame per ottenere i sussidi di cui dicono di avere diritto e che invece gli sarebbero negati, ha rischiato pochi giorni fa di trasformarsi in una tragedia. Lunedì scorso, infatti, uno dei leader della protesta, Gjergj Ndreca, si è cosparso di benzina dandosi fuoco. L'intervento dei suoi compagni e degli agenti di polizia presenti sul luogo non ha fatto in modo che Ndreca fosse trasportato d'urgenza in ospedale, ma non gli ha impedito di riportare ustioni di terzo grado in tutto il corpo. Altri ex detenuti in sciopero della fame hanno accusato gravi problemi di salute e sono stati anch'essi trasportati in ospedale.
Due giorni dopo il gesto estremo di Gjergj Ndreca, un altro ex- prigioniero politico, Lirak Bejko, ha tentato di darsi fuoco mercoledì mattina. L'intervento dei suoi compagni ha impedito che il gesto avesse conseguenze irreparabili ma Bejko ha dovuto essere portato al reparto grandi ustionati dell'ospedale. Bejko si trovava nella tenda allestita a Tirana con gli altri protagonisti della protesta che aspettano una decisione del governo sul loro risarcimento.
La protesta degli ex detenuti politici del periodo della dittatura di Enver Hoxha sta causando notevoli tensioni nel panorama politico albanese già travagliato da tre anni da una crisi politica che sta rallentando il processo di riforme. Agli ex detenuti che lamentano il disinteresse del governo e ricordano il passato comunista dell'attuale premier, Berisha risponde che la protesta viene strumentalizzata dalle opposizioni. Dal governo si fa inoltre sapere che la prima tranche di indennizzi agli ex detenuti politici è già stata versata agli aventi diritto, che la seconda lo sarà regolarmente e che comunque le cifre previste dal governo albanese sono le maggiori tra quelle corrisposte nei Paesi dell'Europa centro-orientale alle vittime dei passati regimi comunisti.

Sulla vicenda degli ex detenuti politici sui suoi riflessi nella situazione politica albanese ascolta la corrispondenza di Artur Nura per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi a Radio Radicale

Il video del tentativo di suicidio di Gjergj Ndreca pubblicato su Albania News
Attenzione: le immagini potrebbero urtare la sensibilità di chi guarda



NIKOLIĆ CI RIPROVA: A SREBRENICA NON E' STATO COMMESSO NESSUN GENOCIDIO


La visita ufficiale a Roma, alla vigilia del rapporto annuale della Commissione Europea che ha rinviato al fissazione della data di apertura dei negoziati per l'adesione, è stata l'occasione per il presidente serbo Tomislav Nikolic per nuove dichiarazioni “revisioniste” sul genocidio di Srebrenica e sui due principali imputati del Tribunale internazionale per l'ex Jugoslavia. Parole che certo non aiutano l'immagine internazionale della Serbia e che sollevano pià di un interrogativo sugli orientamenti della nuova leadership di Belgrado. A questo proposito Nikolic ha parlato anche del Kosovo confermando che la Serbia non rinuncerà alla sua (ex)provincia per l'Europa. L'Italia, da parte sua, appoggerà comunque l'integrazione della Serbia, perché, ha ricordato Napolitano, i 27 non hanno una posizione comune sul Kosovo.
Qui di seguito il testo della corrispondenza di Marina Szikora per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi 11 ottobre a Radio Radicale.


Il presidente della Serbia, Tomislav Nikolić, ha lanciato un'altra dichiarazione scandalosa in cui ha affermato che a Srebrenica non vi e' stato il genocidio e ha perfino aggiunto che Radovan Karadžić e Ratko Mladić, che attualmente si trovano sotto processo per crimini di guerra e contro l'umanita' all'Aja, sono innocenti e cosi' devono essere considerati finche' non sara' dimostrata la loro colpevolezza. Secondo il presidente della Serbia si tratta di una colpa individuale dei rappresentanti del popolo serbo. Nikolić ha detto che il Parlamento serbo ha condannato questo crimine, ma non lo ha indicato come genocidio. "Nessun serbo ammette il genocidio di Srebrenica e nemmeno io", ha detto il capo dello stato serbo che martedi' si e' trovato in visita ufficiale in Italia.
Quanto all'adesione all'Unione Europea, il Corriere della sera ha sottolineato che secondo Nikolić l'Ue non dovrebbe porre nuove condizioni alla Serbia quali il riconoscimento dell'indipendenza del Kosovo perche', se e' indispensabile rinunciare al Kosovo, allora e' piu' accettabile dimenticare l'Europa. Parlando del proseguimento dei negoziati con il Kosovo, Nikolić ha precisato che non evitera' l'incontro con il premier del Kosovo Hashim Thaci, ma ha rilevato che prima bisogna deve essere concluso il procedimento penale contro Thaci per il presunto di traffico di organi di prigionieri serbi durante la guerra in Kosovo.
I media serbi, a proposito della prima visita ufficiale in un paese membro dell'Ue del presidente Nikolić, hanno sottolineato che il presidente italiano Giorgio Napolitano ha precisato che la richiesta alla Serbia di riconoscere l'indipendenza del Kosovo come condizione per l'inizio dei negoziati di adesione non e' una posizione comune dell'Unione. Il capo dello stato italiano ha aggiunto che per la Serbia si apre una nuova fase di negoziati di integrazione europea estremamente complessi, ma ha sottolineato che la Serbia ha il pieno appoggio dell'Italia su questa via.
"Appoggeremo tutti gli sforzi della Serbia nella fase di negoziati sull'adesione all'Ue. Noi non siamo tra quei paesi o governi dell'Unione che creano ostacoli, vale a dire richiedono la connessione del riconoscimento dell'indipendenza del Kosovo", ha precisato il presidente Napolitano aggiungendo che ci sono "differenze nelle posizioni", ma nonostante questo, e nonostante le posizioni individuali dei governi, l'intera Ue dovrebbe investire seri sforzi affinche' i negoziati con la Serbia abbiano un esito positivo. Nikolić da parte sua ha detto che e' inaccetabile che nel periodo tra l'ottenimento dello status di candidato e l'apertura dei negoziati di adesione vengano poste nuove condizioni e ha rilevato che la Serbia considererà come nuove condizioni tutto cio' che non e' scritto nell'ultimo rapporto della Commissione europea sull'avanzamento del processo di integrazione.  


BOSNIA, ELEZIONI COMUNALI: SECONDO I PRIMI DATI PERDONO DODIK E LAGUMDŽIJA


Di Marina Szikora [*]
Domenica 7 ottobre in Bosnia Erzegovina si sono svolte le elezioni amministrative. Secondo i risultati ancora preliminari, con una partecipazione al voto del 56,36 percento, i maggiori vincitori sarebbero il principale partito bosgnacco, il Partito dell'azione democratica e la Comunita' democratica croata, il piu' importante partito croato del Paese. Senza dubbio, i maggiori sconfitti sono i socialdemocratici di Zlatko Lagumdžija e il partito serbo di Milorad Dodik, presidente della Republika Srpska, contro il quale ha avuto successo il partito serbo di opposizione. Per quanto rigurada SNDS di Dodik, che 4 anni fa aveva 41 presidenti di comuni adesso si deve accontentare di soli 15. "Ho capito il messaggio del popolo. E' chiaro che SNDS dovra' cambiare" ha detto Dodik a seguito dei primi risultati deludenti. Ma il lider dalla RS continua a sostenere che il suo partito non ha ancora perso la sua forza cruciale. Dodik ha spiegato che sono stati persi alcuni posti di presidenti comunali ma nessun altro partito e' riuscito ad ottenere il primato sulla scena politica della RS. Ha sottolineato che le elezioni sono trascorse in una atmosfera corretta e di fair play. Queste anche le valutazioni della Commissione elettorale centrale.

Contenti sono i leader dei partiti croati. Le due HDZ in Bosnia Erzegovina hanno vinto in 18 comuni assicurando cosi' l'appoggio dei croati di Bosnia. C'è da dire pero' che secondo le prime reazioni dei leader dei maggiori partiti politici e' difficile concludere chi sarebbe il vero vincitore di queste elezioni locali e chi invece l'evidente perdente. Secondo il presidente della HDZ-BiH (Comunita' democratica croata della Bosnia Erzegovina), Dragan Čović, il suo partito sarebbe "il vincitore assoluto" tra i croati. Dopo queste elezioni il Partito dell'azione democratica e' nuovamente il maggiore partito politico del Paese, ha commentato il leader di questo partito bosgnacco, Sulejman Tihić. Anche se considerato perdente, il presidente del Partito socialdemocratico della Bosnia Erzegovina, Zlatko Lagumdžija, come dichiarato da lui stesso, rispetto alle scorse elezioni locali il suo partito avrebbe ottenuto un maggior numero di presidenti dei comuni e consiglieri. Secondo gli analisti, l'opposizione nella Republika Srpska ha ottenuto relativamente buoni risultati. Il Partito del progresso democratico e il Partito democratico serbo avrebbero ottenuto maggiore successo rispetto alla perdita dell'Alleanza dei socialdemocratici indipendenti di Milorad Dodik.

I risultati delle elezioni in BiH hanno confermato la crescita di popolarita' dei partiti popolari, SDA, SDS e HDZ. Questi tre partiti sono i vincitori relativi delle elezioni alle quali si decideva del potere nelle citta' e nei comuni ma indirettamente si e' valutato anche il comportamento dei partiti a livello statale ed entitetico, scrive il quotidiano croato 'Večernji list' nella sua edizione di martedi'. Il giornale precisa che in BiH da mesi dura una crisi di potere che ha bloccato praticamente il funzionamento dello stato e dell'entita' a maggioranza musulmano croata, la Federazione BiH. A causa del conflitto tra i maggiori partiti bosgnacchi, SDA e SDP, lo stato e' precipitato in una fase politica incerta e si aspettava che proprio i risultati delle elezioni locali dimostreranno quale politica globale secondo i cittadini e' in effetti quella giusta. Secondo i risultati preliminarii, il Partito dell'azione democratica guidata da Sulejman Tihić ha sconfitto il Partito socialdemocratico in tutti i comuni a maggioranza bosgnacca tranne a Tuzla. Sulla scena politica croata, precisa 'Večernji list' si e' confermata, come previsto, la dominazione dell'HDZ BiH e la felicita' di questo partito e' stata solo offuscata dai risultati nella Bosnia centrale dove i croati hanno perso alcune posizioni di presidenti dei comuni. La maggiore sorpresa secondo 'Večernji list' e' indubbiamente la sconfitta del partito di Milorad Dodik. La particolarita' di queste elezioni e' anche il fatto che esse non sono state organizzate nella citta' di Mostar. A causa della inconstituzionalita' delle regole, le elezioni saranno organizzate dopo che sara' raggiunto l'accordo politico sulle nuove regole.

[*] Corrispondente di Radio Radicale. Il testo è tratto dalla puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi 11 ottobre a Radio Radicale