giovedì 30 giugno 2011

SLOVENIA: RISCHI DI CRISI POLITICA?

Di Marina Szikora [*] Insieme alla Croazia, i vent'anni dell'indipendenza con la stessa data ha festeggiato anche la vicina Slovenia, l'unico paese dell'ex Jugoslavia riuscito ad aderire all'Ue con l'ultima grande ondata di adesione. Anche Ljubljana, esattmente 20 anni fa decise di abbandonare l'ex Jugoslavia e di proclamare la propria indipendenza. Da allora molte cose sono cambiate in Slovenia. Come analizzano i media croati in questi giorni, la storia dell'indipendenza e dello sviluppo sloveno e' stata una storia di successo. Dalla Jugoslavia la Slovenia e' uscita con soltanto minori ferite. A ricordare che il conflitto armato, molto minore rispetto alle altre repubbliche ex jugoslave duro' soltanto una settimana. E poi vi fu l'ingresso nell'Ue e nella Nato, nonche' quello nella zona euro, tutto relativamente facile e veloce. Attualmente pero' molti sloveni vivono sotto la soglia della poverta', cresce la disoccupazione nonche' una maggiore differenza tra quelli che stanno al potere e il popolo ma sempre piu' evidenti sono anche gli scandali. Tuttavia nessun pessimismo tra la popolazione ma piuttosto realismo e speranza che le giovani generazioni avranno la forza di mandare avanti le necessarie riforme e assicurare una vita migliore.

Molto fragile e' la posizione dell'attuale governo di Borut Pahor. Il presidente del partito Zares che lunedi' si e' ritirato ufficialmente dalla coalizione governativa ha accusato il premier Pahor di "arroganza" e puntato sul suo comportamento che, secondo, Zares, apre le porte alla vittoria della destra dell'ex premier sloveno Janez Janša alle prossime elezioni. Gregor Golobič, presidente di Zares e fino a poco fa ministro delle scienze e dell'educazione in una lettera inviata a Pahor e alla presidente del Partito dei liberali democratici, Katarina Kresal ha spiegato i motivi del suo ritiro dal governo valutando, tra l'altro, completamente sbagliato il rifiuto da parte del premier di una sostanziale ricostruzione del governo con un nuovo premier, cosi' come voluto e proposto da Zares. Il partito di Golobič e' convinto che l'attuale scenario in cui Pahor ha un sostegno molto debole in parlamento e dell'opinione pubblica lascia molto spazio alla destra e Zares in questo non vuole piu' partecipare. Boris Pahor da parte sua aveva respinto la proposta di questo partito di nominare un nuovo premier del governo tecnico di sinistra qualificandola come un inganno nei confronti degli elettori e ritenendo che le dimissioni dell'attuale governo provocherebbero una crisi politica in Slovenia.

A differenza del partito Zares, i Liberali democratici sloveni (LDS) con a capo Katarina Kresal, ministro degli interni, restano nel governo di Borut Pahor e affermano che la loro decisione mira ad un "processo di controllo" per arrivare alle elezioni anticipate. Lo ha dichiarato Katarina Kresal dopo la riunione con il premier Pahor che e' anche presidente dei Socialdemocratici. "Abbiamo parlato del destino di questa coalizione. Sia LDS che SD restano nel governo affinche' nei prossimi mesi ci dedicassimo ai compiti che sono importanti per il Paese" ha detto Kresal. Ha aggiunto che con Pahor si e' accordata che il governo di minoranza il quale dopo l'uscita del partito di Zares dalla coalizione conta soltanto 33 deputati in parlamento su un totale di 90 parlamentari, avra' nei prossimi mesi come priorita' l'introduzione di nuove leggi e regole relative alla lotta contro la criminalita' economica e alla consolidazione fiscale dello stato. Secondo Katarina Kresal questo dovrebbe essere effettuato nella seconda meta' dell'anno dopodiche' il passo logico sarebbe l'avvio delle procedure verso le elezioni anticipate.

Con l'uscita del Zares dal governo della coalizione tripartita, lunedi' al premier Pahor hanno presentato le loro dimissioni tre ministri: il ministro dell'economia Darja Radič, il ministro per la cultura Majda Širca e il ministro della pubblica amministrazione Irma Pavlinič-Krebs. Il presidente di Zares, Gregor Golobič si e' dimesso dall'incarico di ministro della tecnologia ed educazione ancora lo scorso venerdi' riattivando il suo mandato parlamentare. Secondo le informazioni mediatiche, il voto di friducia al governo di Borut Pahor composto attualmente da una coalizione di due partiti e con un po' di piu' di un terzo di parlamentari si sposta verso l'autunno. Nel frattempo il governo dovrebbe proporre al Parlamento la nuova legge sul governo con un numero minore di dicasteri.

[*] Corrispondente di Radio Radicale. Il testo è tratto dalla trascrizione della corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi

GRECIA: OGGI SECONDO VOTO SUL PIANO DI AUSTERITA'

Il governo ordina un'inchiesta sul comportamento della polizia negli scontri di Atene

Attenzione internazionale puntata anche oggi sul Parlamento greco, chiamato a varare la legge di attuazione del piano di austerità approvato ieri. I deputati saranno chiamati a esprimersi nel primo pomeriggio di oggi nel dettaglio delle misure decise dal governo: aumenti fiscali, tagli della spesa e nel settore pubblico per oltre 28 miliardi in quattro anni e 50 miliardi di privatizzazioni. L'approvazione delle norme di attuazione consentirà l'erogazione della quinta tranche del prestito di 110 miliardi di euro garantito lo scorso anno da Unione europea e Fondo monetario internazionale. Per domenica prossima è già fissata una riunione dei ministri delle Finanze della zona euro per dare il via libera al prestito e mettere in cantiere il nuovo piano di aiuti da 90-120 miliardi.

Aggiornamento delle ore 20
Il Parlamento di Atene ha approvato definitivamente la manovra. L'Ue e' ora pronta a dare via alla nuova tranche di aiuti da 12 miliardi di euro. Le banche tedesche hanno raggiunto un accordo per partecipare con 3,2 miliardi al nuovo piano di salvataggio che dovra' essere definito nei prossimi giorni. I mercati hanno salutato con sedute positive le buone notizie giunte dal fronte greco. Le borse europee hanno tutte chiuso con il segno piu', l'euro e' tornato sui massimo contro il dollaro e ha messo a segno un buon recupero anche rispetto al franco svizzero.

La tensione in Grecia rimane alta. Il voto incassato ieri dal governo e quello positivo che con tutta probabilità seguirà oggi non è basato su una maggioranza solidissima e voci di elezioni anticipate ad ottobre continuano a circolare. E anche se la maggioranza dei greci si rende conto che senza lacrime e sangue non si esce dalla crisi, il fatto che a pagare alla fine saranno sempre i soliti – lavoratori, dipendenti pubblici, piccoli commercianti e pensionati – alimenta il malcontento popolare. Non a caso Nea Demokratia, il maggior partito di centro-destra, nei sondaggi è tornata davanti al Pasok, seppure di poco. La protesta, inoltre, carica di rabbia le frange sociali più estreme, come si è visto in questo ultimo periodo e anche ieri.

A questo proposito il governo greco ha ordinato l'avvio di un'inchiesta sugli scontri tra forze dell'ordine e manifestanti nel centro di Atene durante le manifestazioni contro il piano di austerità del governo che ieri sono andati avanti fino alla tarda serata davanti al Parlamento e che hanno causato oltre 100 feriti. L'inchiesta è stata ordinata dal ministro per la Protezione del cittadino, Christos Papoutsis, dopo che la tv privata Alter ha mandato in onda delle riprese che mostrano agenti di polizia in tenuta anti-sommossa collaborare con uomini in borghese, usciti dalle file dei dimostranti violenti, per disperdere altri manifestanti. Papoutsis, si legge in un comunicato ministeriale, ha ordinato “un'indagine meticolosa per chiarire la vicenda”. [RS]

CROAZIA: IL REGALO DI BRUXELLES PER IL VENTENNALE DELL'INDIPENDENZA


Di Marina Szikora
Il testo è tratto dalla corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi a Radio Radicale

La Croazia ce l'ha fatta finalmente. Dopo quasi sei lunghi anni di negoziati, venerdi' scorso, 24 giugno da Bruxelles e' arrivato il migliore augurio per il ventennale dell'indipendenza croata che si e' celebrato il 25 giugno. Dopo il vertice dell'Ue svoltosi lo scorso giovedi' e venerdi' a Bruxelles, l'Ue ha dato il segnale verde per la conclusione dei negoziati di adesione della Croazia garantendo che gli ultimi quattro capitoli negoziali verranno chiusi entro la fine di questo mese. Alla conferenza stampa alla quale hanno partecipato il presidente del Consiglio europeo Herman van Rompuy, il presidente della Commissione europea Jose Manuel Barroso, il premier ungherese Viktor Orban, il cui apese presiede attulamente all'Ue e la premier croata Jadranka Kosor, e' stato confermato che la Croazia dovrebbe diventare il 28-esimo stato membro dell'Ue il 1 luglio 2013 mentre a fine di quest' anno dovrebbe essere firmato il trattato di adesione.

"Voglio congratularmi con Lei con tutto il cuore per questo raggiungimento che rende possibile alla Croazia di aderire pienamente alla famiglia europea. Cio' non sarebbe stato possibile senza il difficile lavoro del governo croato, del popole e senza la Sua personale guida" ha detto a Bruxelles il presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy rivolgendosi alla premier Kosor. Ringraziando i vertici europei, la premier croata ha voluto sottolienare che non ci sono vie di ritorno per quanto riguarda i processi di lotta contro la corruzione, criminalita', riforma della giustizia e che cio' e' per il bene di tutti che vivono in Croazia. "Un momento storico importante per la Croazia" ma che manda anche il messaggio ai vicini: quando la Croazia diventera' membro dell'Ue continuera' ad aiutarli e sostenerli "perche' questa e' l'unica via per la pace permanente, stabilta' e prosperita' in Europa sudorientale" ha detto la presidente del governo croato.

Sabato quindi una giornata particolare culminata nella festa del ventennale di indipendenza. Ricordiamolo, il 25 giugno 1991 viene considerata una delle date piu' importanti della storia croata. Quel giorno, il Parlamento croato ha preso la decisione costituzionale con la quale la Repubblica di Croazia e' stata proclamata stato sovrano ed indipendente e con questa decisione e' stato avviato il processo di separazione dalle altre repubbliche jugoslave e fu avviato anche il processo del riconoscimento internazionale. Sappiamo tutti che questo processo e' stato poi ostacolato da Belgrado con una guerra di aggressione contro la Croazia. Per la presidente del governo croato Jadranka Kosor "i due decenni della Croazia moderna si festeggiano rafforzati con il comune successo nella realizzazione dell'obiettivo strategico – il ritorno della Croazia a casa, laddove ci appartiene – in Europa".

La premier ha espresso il suo particolare ringraziamento ai difensori senza i quali non ci sarebbe una Croazia moderna nonche' al primo presidente croato Franjo Tuđman che "aveva guidato il popolo croato per realizzare il sogno millenare croato" ha sottolineato Kosor. Ha aggiunto che la libera espressione della volonta' dei cittadini croati al referendum sull'adesione nell'Ue e' la priorita' che richiede l'insieme di tutti i fattori politici e sociali rilevanti e di tutte le forze in Croazia. Jadranka Kosor ha sottolineato che negli ultimi due anni il suo governo ha effettuato praticamente la parte piu' grande e piu' difficile dei negoziati, ha dimostrato di poter realizzare anche gli obiettivi piu' ambiziosi tra cui la lotta senza compromessi contro la corruzione e la criminalita', il rafforzamento dello stato di diritto in cui non c'e' e non ci potra' essere posto per politici e funzionari pubblici corrotti.

"La Croazia entra in una fase nuova nella quale l'amore per la patria si dovra' dimostrare creando le condizioni per la ripresa economica" ha avvertito pero' nel suo intervento alla riunione solenne del Governo croato in occasione della festa di indipendenza il capo dello stato Ivo Josipović. Il Presidente ha sottolineato che "la Croazia e' entrata nella fase in cui la democrazia non e' piu' un obiettivo che ci soddisfa bensi' il mezzo per raggiungere il progresso e il benessere dei cittadini"."Questa e' l'occasione per noi tutti in Croazia di ringraziare a quelli che hanno difeso in modo responsabile e corraggioso la nostra liberta'" ha detto Josipović ma ha rilevato anche che "La loro prontezza al sacrificio della propria vita per il nostro diritto di vivere in liberta' e con giustizia, purtroppo, mostra anche chiaramente tutta la schifezza traditoria della corruzione e della non legalita', la faccia criminale di quelli che hanno usato la guerra per saccheggiare illegalmente il patrimonio del popolo e che con il profitto della guerra hanno sputato sulla santita' del sacrificio. Noi dobbiamo insegnare ai nostri figli i valori di questi sacrifici – affinche' accolgano la responsabilita' e costruiscano la Croazia come una casa del lavoro, onesta' e giustizia" ha detto Ivo Josipović.

Ricordando, proprio in ocassione dei ventanni della Croazia indipendente, le varie vicende della recente e piu' lontana realta' politica croata, va detto anche che esattamente due anni fa l'allora premier croato Ivo Sanader, a sorpresa di molti nell'Ue ma nientemeno a sorpresa dell'opinione pubblica croata, ha presentato le dimissioni lasciando una situazione del tutto imprevedibile. I negoziati di adesione croati in quel momento erano sotto il peso del blocco sloveno a causa dell'irrisolta disputa sul confine. Va detto anche che fino a quel momento, Sanader e' stato il politico croato prediletto a Bruxelles. Lo stesso Barroso aveva dichiarato dopo le dimissioni di Sanader che il suo ruolo e' stato storico e lo ha ringrtaziato per la collaborazione. Poi, sulla scena politica e' arrivata Jadranka Kosor, nominata all'incarico di premier dal suo predecessore e stretto collaboratore Sanader.

Oggi l'Europa riconosce alla presidente del governo croato la sua fermezza e il corraggio nella ricerca di soluzione degli ostacoli che la Croazia affrontava nel processo negoziale. La lunga disputa con la Slovenia, grazie all'accordo Kosor-Pahor verra' risolta per mezzo di un arbitrato internazionale. Le istituzioni statali, sotto la guida di Jadranka Kosor hanno iniziato a processare i piu' importanti casi di corruzione ad altissimo livello. E' stata rafforzata la collaborazione con il Tribunale dell'Aja e Zagabria si e' assunta l'obbligo di processare i crimini di guerra davanti alle corti nazionali, soprattutto per quanto riguarda i casi di crimini di guerra commessi da parte dei croati. Per tutte queste ragioni, scrive in un commento Augustin Palokaj del quotidiano croato 'Jutarnji list' Kosor e' diventata la preferita tra i leader dell'Ue. Tuttavia, almeno cosi' si dichiara, quando avra' inizio la campagna elettorale in Croazia, i leader delle istituzioni europee si terranno da parte. E quando arrivera' il momento del voto e del pronuciamento dei cittadini della Croazia, staremo a vedere se vi sara' l'apprezzamento degli elettori verso il successo europeo oppure sara' decisiva tanta delusione e amarezza per l'attuale situazione in Paese.

TADIC: LA SERBIA ATTENDE LO STATUS DI CANDIDATO ALL'UE, MA NON RICONOSCERA' IL KOSOVO


di Marina Szikora [*]
Il presidente della Serbia Boris Tadić, in visita lunedi' a Berlino ha affermato che la Serbia si aspetta lo status di candidato di adesione all'Ue e successivamente l'inizio dei negoziati di adesione ma non cambiera' la sua posizione relativa al non riconoscimento dell'autoproclamata indipendenza del Kosovo. Intervenendo sul tema "Serbia come statista della riconciliazione regionale e fattore di stabilita' nei Balcani" presso la Fondazione "Fridrich Ebert" Tadić ha sottolineato che in Serbia esiste gia' adesso il consenso che la membership nell'Ue e' un obiettivo strategico e che la riconciliazione regionale e la stabilita' sono le precondizioni indispensabili per l'inclusione nel corso europeo.
"La Serbia e' stata per lungo tempo ai margini delle integrazioni europee, adesso e' arrivato il momento di essere al suo centro. Una Serbia moderna, democratica – dieci anni dopo la caduta di Milošević – e' pronta ad iniziare i colloqui di adesione con l'Ue" ha detto il presidente serbo e ha aggiunto che la Serbia oggi "guarda negli occhi all'Europa e dice che ha fatto quello che aveva promesso", ma si chiede anche se l'Europa fara' lo stesso. Tadić ha rilevato che la Serbia prima di aderire all'Ue vuole risolvere la questione del Kosovo pero' la soluzione definitiva subito adesso non accoglierebbe ugualmente gli interessi sia degli uni che degli altri.
"Quello che sapete e quello che non e' discutibile e' che la Serbia non riconoscera' e non puo' riconoscere l'autoproclamata indipendenza del Kosovo" ha concluso Tadić. Va detto che la Fondazione "Friedrich Ebert" e' presente in Serbia da 15 anni ed e' stata uno dei promotori dei processi democratici e sociali in Serbia e mediatore nel dialogo tra Serbia e Germania.

[*] Corrispondente di Radio Radicale. Trascrizione della corrispondenza per la puntata di oggi di Passaggio A Sud Est

PASSAGGIO IN ONDA

La puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda il 30 giugno a Radio Radicale

Anche questa settimana la prima parte del programma è dedicata alla Grecia ed al piano per uscire dalla gravissima crisi economica: il parlamento greco ha approvato il piano di austerità voluto dal governo necessario per ottenere gli aiuti economici internazionali senza i quali per il paese sarebbe il fallimento. Il piano provoca grandi reazioni popolari: la gente è scesa nuovamente in piazza durante lo sciopero generale di 48 e, soprattutto ad ad Atene, le manifestazioni sono state teatro di scontri con la polizia e violenze ad opera delle frange più estreme della protesta.

Intervista a Elisabetta Casalotti, giornalista del quotidiano Eleftherotipya, uno dei più autorevoli giornali greci, di orientamento progressista.



Gli altri argomenti della puntata

La Croazia ha celebrato il ventennale dell'indipendenza con la chiusura dei negoziati di adesione e la fissazione al 1° luglio 2013, salvo complicazioni, per l'ingresso ufficiale nell'Ue. L'analoga ricorrenza celebrata negli stessi giorni in Slovenia ha visto invece profilarsi all'orizzonte la possibilità di una crisi di governo.

La Serbia attende che Bruxelles entro fine anno conceda lo status di paese candidato all'adesione all'Ue, ma il presidente Boris Tadic da Berlino ha ribadito di non voler riconoscere il Kosovo indipendente. Intanto, i colloqui tra Belgrado e Pristina sulle questioni "tecniche" che riguardano i rapporti bilaterali sembrano procedere positivamente: evidentemente la scelta di accantonare la questione dello "status" del Kosovo ha permesso di affrontare pragmaticamente questioni che riguardano la vita dei cittadini.

In Albania, a quasi due mesi dal voto, prosegue la storia infinita dell'elezione del sindaco di Tirana e una soluzione non sembra vicina. Intanto, Israele, che non ha ancora riconosciuto il Kosovo, chiede l'appoggio di Tirana contro la creazione di uno stato palestinese. Si moltiplicano, infine, le inziative contro il prossimo censimento, il primo della storia albanese, che secondo alcuni potrebbe portare a una schedatura della popolazione su basi entico-religiose.

In Macedonia procedono le trattative per la formazione del nuovo governo: si va verso una riedizione della precedente coalizione tra il partito del premier riconfermato, Nikola Gruevski, e il principale partito della minoranza albanese guidato da Ali Ahmeti. Nessuna schiarita, invece, sulla questione del nome dell'ex repubblica jugoslava: il semestre di presidenza ungherese dell'Ue non ha portato passi avanti nella controversia ventennale con la Grecia.

Turchia: tra polemiche e boicottaggi è stata inugurata la nuova legislatura dopo le elezioni del 12 giugno. Tensioni anche sul piano internazionale al confine con la Siria, mentre nella vicenda nel Nagorno-Karabakh, il disgelo tra Armenia e Azerbaigian potrebbe in prospettiva migliorare anche le relazioni tra Armenia e Turchia.

La trasmissione è stata realizzata con la collaborazione dei corrispondenti Marina Szikora e Artur Nura ed è riascoltabile direttamente qui



oppure scaricabile in podcast sul sito di Radio Radicale nella sezione delle Rubriche.

mercoledì 29 giugno 2011

LACRIME E SANGUE: IL PARLAMENTO GRECO APPROVA IL PIANO ANTICRISI


Intervista a Elisabetta Casalotti, giornalista del quotidiano Eleftherotipya
Il parlamento greco ha approvato il piano di austerità necessario per continuare a ricevere i prestiti internazionali indispensabili per evitare il fallimento del paese. Una vittoria di misura che non allontana la prospettiva di elezioni anticipate in autunno. Il premier Papandreou rioete che non c'è alternativa, non ci sono "piani B". L'opnione pubblica lo sa, ma non accetta che a pagare siano sempre gli stessi - lavoratori dipendenti, impiegati pubblici, piccoli commercianti, pensionati - e spera nel miracolo. Ue e Fmi però sono stati chiari: niente sacrifici, niente ulteriori prestiti. E niente prestiti significa fallimento sicuro, con conseguenze pericolosissime per tutta l'area dell'euro. Il voto parlamentare è stato accompagnato da 48 ore di sciopero generale. La manifestazioni di protesta contro le misure economiche sono state segnate, in particolare ad Atene, dagli scontri tra i manifestanti più violenti e le forze dell'ordine con decine di feriti e danni ingenti. Il ministro per la Protezione del cittadino ha ordinato un'inchiesta sul comportamento della polizia.

Qui la registrazione dell'intervista



GRECIA: IL PARLAMENTO APPROVA IL PIANO DI AUSTERITA'

I manifestanti cingono d'assedio il parlamento greco durante
il voto sul piano di austerità (dal sito dell'agenzia TMNews)
Il parlamento greco ha approvato il piano di austerità indispensabile per continuare a ricevere gli aiuti economici dell'Ue e del Fmi indispensabili per far fronte al pagamento dei titoli pubblici ed evitare un default che metterebbe a rischio la stabilità monetaria dell'intera zona euro. Il piano è passato con 155 voti a favore su 300. Hanno votato sì 154 parlamentari socialisti del Pasok su 155 più una deputata di centrodestra. Contrari tutti i rappresentanti dell'opposizione di destra e sinistra, più un deputato socialista dissidente. Prima del voto il premier Papandreou aveva detto chiaramente che "non ci sono piani B" e che soltanto l'adozione del piano può salvare la Grecia dal tracollo.

Parole che non hanno convinto le migliaia di manifestanti scesi in piazza nel secondo giorni di sciopero generale e che hanno assediato anche oggi il palazzo del parlamento presidiando piazza Syntagma. Prima e durante la seduta parlamentare, davanti al parlamento ci sono stati violenti scontri: la polizia ha fatto uso di lacrimogeni per disperdere la folla mentre alcuni manifestanti hanno alzato barricate e lanciato pietre contro gli agenti. Già ieri nelle violente proteste di piazza contro il piano erano rimaste ferite almeno una trentina di persone, con veicoli dati alle fiamme e vetrine distrutte.

L'approvazione del piano di austerità ha avuto un effetto positivo sulle borse europee che sono rimaste forti pur senza toccare i massimi registrati nel primissimo pomeriggio, prima del voto. Tira un sospiro di sollievo il governo tedesco: "E' veramente una buona notizia", ha commentato la cancelliera Angela Merkel, mentre a Bruxelles il presidente del Parlamento europeo, Jerzy Buzek, ha dichiarato che ''ora e' responsabilita' della Ue mostrare piena responsabilita' con il popolo greco'' e che aiutando la Grecia, oltre a dare assistenza a questo paese si migliora la stabilita' del nostro intero settore finanziario. ''Negli anni futuri, afferma Buzek, questo voto potra' essere visto come un momento di svolta per la Grecia e l'Eurozona''.

martedì 28 giugno 2011

TURCHIA: TENSIONI E BOICOTTAGGI INAUGURANO IL NUOVO PARLAMENTO

I deputati ascoltano l'inno nazionale all'inaugurazione del
nuovo parlamento turco (Foto da http://www.todayszaman.com/)
Inizio difficile e teso per la nuova legislatura turca, come previsto, dopo le elezioni del 12 giugno. I deputati del Partito Repubblicano del Popolo (Chp) e quelli curdi del Partito per la Pace e la Democrazia (Bdp), non hanno prestato il giuramento. Ma mentre i primi hanno comunque partecipato alla prima seduta del nuovo parlamento, i curdi si sono polemicamente riuniti a Diyarbakir, la città del sud est dove la minoranza è numericamente più forte, per protestare contro il permanere della detenzione per 5 loro colleghi, nonostante l'elezione. Una vicenda che è diventata subito motivo di contro con il governo. Il tribunale penale di Diyarbakir non concede infatti il loro rilascio accusandoli di legami con il Pkk (Partito dei lavoratori del Kurdistan), l'organizzazione indipendentista armata che fa capo ad Abdullah Ocalan, attualmente detenuto nel carcere di massima sicurezza sull'isola di Imrali. Il Chp e il Mhp al momento hanno in carcere rispettivamente due e un deputato, accusati di fare parte dell'organizzazione segreta Ergenekon, ritenuta responsabile di un progetto di colpo di Stato che coinvolgerebbe anche alti gradi militari. A giurare, questa mattina, si sono trovati così solo in 380: i 327 deputati dell'Akp, il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo del premier Erdogan, e i 53 deputati nazionalisti di destra del Mhp.

I legali degli 8 eletti sono naturalmente ricorsi in appello, ma i giudici potrebbero impiegare anche diverse settimane per arrivare ad una decisione. Il Bdp, da parte sua, ha dichiarato che fino a quando i suoi deputati non saranno scarcerati riunirà il gruppo parlamentare a Diyarbakir dicendosi pronto a boicottare i lavori parlamentari. L'Alta commissione elettorale ha tra l'altro dichiarato l'ineleggibilità di Hatip Dicle, eletto mentre si trovava in carcere a Diyarbakir, e ha assegnato il suo seggio a Oya Eronat, deputata dell'Akp. Dicle è stato dichiarato non idoneo all'attività parlamentare perché a pochi giorni dal voto la sua condanna per affiliazione al Pkk (considerata un'organizzazione terroristica) è stata confermata. I suoi avvocati ieri si sono rivolti alla Corte Costituzionale che oggi ha comunicato di avere avviato un procedimento sul caso. "Il popolo vuole soluzioni, non boicottaggi", ha reagito il premier Erdogan. "Se i nostri deputati fossero stati messi nelle condizioni di giurare avremmo giurato anche noi, ma non lo faremo finché non giureranno anche loro", gli ha replicato il leader del Chp, Kemal Kilicdaroglu, accusando Erdogan di voler imporre una "dittatura civile". La situazione appare dunque assai complicata e rischia di bloccare i lavori del nuovo parlamento per diverse settimane.

domenica 26 giugno 2011

NERVI TESI TRA TURCHIA E SIRIA

Immagine tratta da scoopat.net
Turchia a Siria sono legate da un destino comune e nonostante le tensioni di questo ultimo periodo i contatti tra le due capitali continuano. Lo ha detto due giorni fa il ministro degli Esteri turco, Ahmet Davutoglu, dopo che truppe e mezzi blindati siriani, giovedì scorso si sono spinti fino a poche centinaia di metri dal confine con la provincia turca di Hatay (quella con capoluogo Antiochia) dove hanno esploso colpi di arma da fuoco spingendo centinaia di profughi accampati in territorio siriano ad entrare in Turchia per dirigersi vero i campi allestiti dalla Mezzaluna Rossa. L'incursione ha provocato grande irritazione ad Ankara. Davutoglu ha dapprima chiamato il suo omologo siriano Walid Al Muallim per esprimergli le preoccupazioni e i punti di vista turchi e poi ha fatto convocare il rappresentante di Damasco ad Ankara, Abdullah Dardari. Davutoglu ha spiegato che i profughi siriani “non vengono considerati come un gruppo di rifugiati” ma come “ospiti”.

Ankara sembra non voler comunque alimentare gratuitamente una tensione che potrebbe esplodere con conseguenze incontrollabili e pericolose per tutta la regione. Dopo che recentemente il premier Erdogan aveva più volte esortato Assad a fermare la repressione della protesta popolare e avviare le riforme, il ministero degli Esteri Davutoglu ha affermato che “la Turchia farà del suo meglio per assistere la Siria” nell'attuazione di riforme che la rinnovino nella stabilità per renderla più forte. E nonostante il presidente turco Abdullah Gul l'avesse definito insufficiente, Davutoglu ha voluto cogliere nel recente discorso del presidente siriano “elementi” che “rappresentano segnali di riforma”, anche se “è importante la loro attuazione attraverso passi concreti”. Rispondendo ad una domanda dell'agenzia Anadolu sulle tensioni tra i due paesi, il ministro si è limitato a notare che “le relazioni fra Turchia e Siria sono molto migliorate negli ultimi dieci anni”.

Che la situazione tra i due paesi non sia tranquilla lo dimostra il fatto che gli Stati Uniti sono “molto preoccupati” per i movimenti di truppe siriane lungo la frontiera con la Turchia. Il segretario di Stato, Hillary Clinton, ha detto chiaramente che “se le forze siriane non cessano immediatamente i loro attacchi e le loro provocazioni, che non solo colpiscono i loro connazionali ma mettono a rischio di potenziali scontri di confine, vi sarà una escalation del conflitto nella regione”. Una valutazione condivisa dal governo turco, almeno stando a quanto scrive il quotidiano israeliano Haaretz che cita una fonte turca “di alto livello” secondo la quale il primo ministro Erdogan starebbe esaminando lo scenario di possibili operazioni militari siriane in territorio turco con i capi dell'esercito, i servizi segreti e il ministero degli Esteri.

La preoccupazione di Ankara è che i siriani possano cercare di colpire i campi profughi allestiti in territorio turco dove continuano ad affluire civili siriani si in fuga dalla repressione scatenata dal regime di Damasco nel nord del paese. E che i nervi siano piuttosto tesi lo dimostrano anche fatti marginali come la scaramuccia simbolica tra i due eserciti: una bandiera turca, che era stata issata dai profughi su un edificio in territorio siriano per manifestare gratitudine alla Turchia che ha già accolto oltre 12 mila rifugiati, è stata rimpiazzata con un vessillo siriano. Una postazione militare turca ha reagito allora facendo sventolare una gigantesca bandiera nazionale dalla sommità di una collina per ribadire, qualora non fosse chiaro abbastanza chiaro, che le forze armate turche non tollereranno alcun sconfinamento.

sabato 25 giugno 2011

LA CROAZIA INDIPENDENTE A UN PASSO DALL'EUROPA

Di Marina Szikora [*] 
Finalmente e' fatta: una giornata storica quella di ieri per la Croazia, a solo un giorno dalla grande festa del ventennale della sua indipendenza. Venerdi', 24 giugno, Bruxelles ha dato finalmente il segnale verde per la conclusione dei negoziati di adesione di Zagabria con l'Ue durati quasi sei anni. Oggi e' veramente festa in Croazia, si festeggiano i venti anni dell'indipendenza e il migliore augurio dal cuore dell'Europa e' stata proprio la garanzia da parte delle sue istituzioni che Zagabria entro giugno chiudera' i negoziati di adesione all'Ue.
Dopo l'annuncio ufficiale venerdi', ad una conferenza stampa alla quale hanno partecipato il presidente del Consiglio europeo Herman van Rompuy, il presidente della Commissione europea Jose Manuel Barroso, il premier dell'Ungheria Viktor Orban, attuale presidenza dell'Ue e la premier croata Jadranka Kosor, la Croazia dovrebbe diventare il 28-esimo stato membro dell'Ue il 1 luglio 2013 mentre a fine anno dovrebbe essere firmato il trattato di adesione. "Voglio congratularmi con Lei con tutto il cuore per questo raggiungimento che rende possibile alla Croazia di aderire pienamente alla famiglia europea. Cio' non sarebbe stato possibile senza il difficile lavoro del governo croato, del popolo e senza la Sua personale guida" ha detto il presidente del Consiglio dell'Ue Herman Van Rompuy rivolgendosi alla premier Kosor. Ringraziando ai vertici europei, la premier croata ha sottolineato che "in questo momento, in modo particolare il ringraziamento va ai difensori croati, a quelle persone in Croazia di cui e' il maggiore merito per aver creato una Croazia libera, indipendente, democratica ed europea". Jadranka Kosor ha rilevato anche che non ci sono vie di ritorno per quanto riguarda i processi di lotta contro la corruzione, criminalita', riforma della giustizia e che cio' e' per il bene di tutti che vivono in Croazia. "Un momento storico importante per la Croazia" ma che manda anche il messaggio ai vicini: quando la Croazia diventera' membro dell'Ue continuera' ad aiutarli e sostenerli "perche' questa e' l'unica via per la pace permanente, stabilta' e prosperita' in Europa sudorientale" ha detto la presidente del governo croato.
La giornata odierna, in segno del ventesimo anniversario dell'indipendenza croata e' iniziata a Zagabria con la depositazione delle corone dei massimi vertici dello stato alle tombe dei difensori croati e del primo presidente croato Franjo Tuđman. E' seguita poi la Santa messa per la patria e la riunione solenne del Governo alla quale hanno partecipato e sono intervenuti anche il presidente del Parlamento croato Luka Bebić e il capo dello Stato Ivo Josipović. Il 25 giugno 1991 e' una delle date piu' importanti della storia croata. Quel giorno, il Parlamento croato ha preso la decisione costituzionale con la quale la Repubblica di Croazia e' stata proclamata stato sovrano ed indipendente e con questa decisione e' stato avviato il processo di divisione dalle altre repubbliche jugoslave e fu avviato anche il processo del riconoscimento internazionale. Sappiamo tutti che questo processo e' stato poi ostacolato da Belgrado con una guerra di agressione contro la Croazia. "Questa e' l'occasione per noi tutti in Croazia di ringraziare a quelli che hanno difeso in modo responsabile e corraggioso la nostra liberta'" ha detto il presidente Josipović nel suo intervento ma ha rilevato anche che "La loro prontezza al sacrificio della propria vita per il nostro diritto di vivere in liberta' e giustizia, purtroppo, mostra anche chiaramente tutta la schifezza traditoria della corruzione e della non legalita', la faccia criminale di quelli che hanno usato la guerra per saccheggiare illegalmente il patrimonio del popolo e che con il profitto della guerra hanno sputato sulla santita' del sacrificio. Noi dobbiamo insegnare ai nostri figli i valori di questi sacrifici – affinche' accolgano la responsabilita' e costruiscano la Croazia come una casa del lavoro, onesta' e giustizia" ha detto fermamente il presidente croato.
Ieri sera, nel suo augurio televisivo ai cittadini della Croazia, Josipović ha sottolineato che "gli stati che con la giustizia rendono possibile la liberta' dei loro cittadini, sono stati di cittadini felici. La democrazia e i diritti umani sono la cornice e la culla della liberta', quindi anche quella nostra. Per questo, lottiamo per la nostra liberta' e per la liberta' degli altri, sempre e instancabilmente anche oggi quando abbiamo il nostro stato". Ha ribadito che "nonostante lo scorrere del tempo, nonostante la speranza di alcuni di poter dimenticare, la giustizia non permettera' mai che quelli che avevano commesso crimini di guerra, quelli che hanno approfittato della guerra utilizzando le sciagure del proprio popolo, quelli che lo avevano saccheggiato nella transizione e privatizzazione, possano dormire tranquillamente". Il Presidente ha indicato che e' necessaria anche una riforma del sistema politico nella direzione che possa far si' che i nostri politici siano piu' direttamente e maggiormente responsabili verso i cittadini.... la responsabilita' deve avere il suo volto, nome e cognome". E come non dire infine che la Croazia deve aprirsi con maggiore corraggio ai vicini, proprio cosi' come l'Europa si apre verso la Croazia. In questo senso, il capo dello stato croato ha ribadito che domani, come stato membro dell'Ue, la Croazia  sara' anch'essa sostenitore dell'allargamento verso i vicini: "la riconciliazione basata sul perdono, comprensione e collaborazione ma anche sulla coscienza del male commesso e della responsabilita' per averlo commesso, sono l'unica via giusta verso la pace e verso le relazioni di buon vicinato" ha detto Josipović. La festa nel pomeriggio si e' trasferita a Vukovar dove le massime cariche dello stato si sono recate a rendere omaggio alle vittime di guerra posando corone e candele sul luogo delle fosse comuni di Ovčara e al cimitero memoriale delle vittime della guerra per la Patria. Una memoria incancellabile nei luoghi dove sono stati commessi i piu' atroci crimini di guerra e contro l'umanita durante la guerra di agressione contro la Croazia. Un ricordo anche delle moltissime persone scomparse che i loro cari non hanno avuto nemmeno la possibilita' di sepellire con dignitosita' e piangere il loro dolore.
In questa giornata di festa arriva anche l'augurio dal capo dello Stato italiano."In occasione della  festa nazionale e nell'importante ricorrenza del ventennale dell'indipendenza, desidero farle pervenire, a nome del popolo italiano e mio personale, i migliori auguri di prosperità per il popolo croato", e' il messaggio inviato dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, al presidente della Repubblica di Croazia, Ivo Josipovic.
"A seguito del Consiglio Europeo di ieri, che ha rilevato come i negoziati di adesione all'Unione Europea abbiano raggiunto la loro fase finale e possano essere conclusi nel corso del mese di giugno - afferma Napolitano - la Croazia si appresta a firmare il trattato di adesione entro la fine dell'anno e a divenire presto il ventottesimo stato membro dell'UE. L'Italia ha sempre convintamente sostenuto il percorso del suo paese verso il pieno inserimento nell'Alleanza Atlantica e nella famiglia delle democrazie europee, riconoscendo gli sforzi compiuti dalle istituzioni e dall'intera popolazione croata. Sono certo che tali sviluppi rafforzeranno i nostri rapporti, già particolarmente intensi e dinamici in tutti i settori, anche grazie all'apporto delle rispettive minoranze che arricchiscono il dialogo bilaterale. Nel ricordo del nostro incontro alle celebrazioni per il 150° anniversario dell'Unità italiana e in attesa di recarmi in visita di stato nella Repubblica di Croazia, formulo fervidi voti di benessere per la sua persona e per il suo popolo" conclude la sua lettera il Presidente italiano.
[*] Corrispondente di Radio Radicale. l testo è la trascrizione della corrispondenza per il notiziario di Radio Radicale

venerdì 24 giugno 2011

CROAZIA, ORA E' UFFICIALE: INGRESSO NELL'UE NEL 2013

Il Consiglio europeo approva la proposta della Commissione, ma mette Zagabria sotto “sorveglianza speciale”


Via libera del Consiglio europeo all'adesione della Croazia nel 2013. I 27 capi di Stato e di governo Ue riuniti oggi a Bruxelles, hanno dato luce verde alla proposta avanzata la scorsa settimana dalla Commissione europea di ammettere la Croazia come 28mo Stato membro. La decisione arriva alla vigilia delle celebrazioni per il ventesimo anniversario dell'indipendenza: la Croazia sarà il secondo Paese della ex Jugoslavia a entrare nell'Unione dopo la Slovenia, nel 2004.

Nella dichiarazione ufficiale il Consiglio chiede che siano prese "tutte le decisioni necessarie affinché i negoziati di adesione con la Croazia siano chiusi da qui alla fine di giugno" e raccomanda la firma del trattato di adesione "entro la fine dell'anno". Dopo questo passaggio, si aprirà la fase di ratifica (parlamentare o referendaria seconda delle diverse leggi dei 27), mentre Zagabria indirà un referendum popolare sull'adesione.

Il Consiglio europeo ha approvato la proposta francese, sostenuta dai Paesi membri più restii a nuovi allargamenti come Olanda e Regno unito, che pone la Croazia sotto la "sorveglianza speciale" della Commissione europea da ora e fino al momento dell'ingresso ufficiale. Durante questo periodo, nel caso Zagabria fosse giudicata inadempiente rispetto agli obblighi da rispettare per l'adesione, si potrebbe arrivare anche alla decisione di far slittare la data di ingresso che per il momento è stata fissata al primo luglio 2013. La “sorveglianza speciale” potrebbe poi essere estesa anche successivamente all'ingresso nell'Ue, come è stato fatto per Bulgaria e Romania.

Alla Croazia restano da chiudere quattro dei 35 capitoli negoziali aperti nel 2005, ognuno dei quali deve servire ad allineare l'ordinamento e le normative del Paese candidato agli standard dell'Unione su determinati settori che vanno dal sistema giudiziario a quello delle imposte, dall'istruzione alle regole della concorrenza, dalla libera circolazione di persone e cose ai diritti umani e civili, ecc. ecc. I 27 invitano Zagabria a proseguire "i suoi sforzi di riforma, in particolare per quanto concerne il settore giudiziario e dei diritti fondamentali", inclusi nel capitolo n.23, il dossier più delicato nel processo di integrazione europea della Croazia.

giovedì 23 giugno 2011

DA ATENE A PONTIDA: A RISCHIO IL FUTURO DEL PROGETTO POLITICO EUROPEO

Approvare il piano di austerità o da Europa e Fondo Monetario Internazionale non arriverà più nemmeno un centesimo. E’ l’ultimatum dell’Eurogruppo alla Grecia dopo la riunione straordinaria di lunedì scorso a Lussemburgo. In pratica, o il 28 giugno il parlamento di Atene approva il piano di risanamento dei conti e di privatizzazioni oppure la Grecia non riceverà la quinta tranche del prestito previsto dal piano di salvataggio da 110 miliardi varato lo scorso anno. Si tratta di 12 miliardi di euro (8,7 dall’UE, 3,3 dal FMI) senza i quali Atene non potrà rimborsare i titoli di stato in scadenza tra luglio e agosto. E sarà il fallimento. Alternative non ve ne sono. E nemmeno un “piano b”, come ha ribadito ieri la portavoce della Commissione Europea, Pia Ahrenkilde.

Gli occhi sono puntati, quindi, al 28 giugno, quando il parlamento greco si esprimerà sul piano di austerity. Il 3 luglio l’Eurogruppo prenderà la sua decisione, dalla quale dipende anche il varo del piano di salvataggio-bis (per altri 90-120 miliardi di euro) necessario per far fronte ai titoli pubblici in scadenza il prossimo anno. Il premier George Papandreou mostra fiducia sul sostegno del parlamento e si dice determinato a portare avanti il programma di risanamento e di riforme. Un piano che prevede oltre 28 miliardi di tagli e privatizzazioni per 50 miliardi. La stabilizzazione resta la priorità, ha detto il nuovo ministro delle Finanze, Evangelos Venizelos, che da parte sua si è impegnato ad uno sforzo supplementare, al di là delle richieste dell’UE e del FMI.

In attesa del voto del 28, martedì notte Papandeou ha intanto incassato la fiducia al proprio governo dopo il rimpasto della scorsa settimana. Il voto è arrivato dopo un difficile dibattito con i deputati socialisti del Pasok (155 su 300) a favore e l’opposizione che ha votato compatta, mentre il leader di Nea Demokratia, Antonis Samaras, è tornato a chiedere elezioni anticipate, un’ipotesi respinta invece da Papandreou che accusa il rivale di strumentalizzare la situazione. E mentre il premier si prepara alla dura battaglia parlamentare del 28 giugno, un recentissimo sondaggio indica il Pasok in leggero svantaggio rispetto a Nea Demokratia. Senza contare che il governo dovrà affrontare anche la prevedibile dura opposizione popolare, scesa nuovamente in piazza in questi giorni.

E’ evidente che un governo in carica sconta sempre il malcontento popolare in caso di crisi economica, indipendentemente dalle sue reali responsabilità. Il Pasok, dopo la larga vittoria del 2009, si è trovato in mano la patata rovente del disastro dei conti pubblici lasciatogli in eredità dal precedente governo di centro-destra. Vero è anche che la Grecia paga il tracollo di un sistema politico e di potere che non può più reggere alla realtà e gravità della crisi e che ha avuto i suoi pilastri nei due principali partiti emersi dopo la fine della dittatura dei colonnelli: il Pasok e Nea Demokratia, a loro volta cresciuti attorno alle due dinastie attorno a cui ruota la politica in Grecia da lunghissimo tempo: i Papandreou e i Karamanlis.

La crisi greca rappresenta però anche un banco di prova per il futuro stesso dell’UE. Ad Atene c’è una bomba ad orologeria innescata e i governi dei 27 dovrebbero fare il loro mestiere fino in fondo, ma ogni decisione è presa in ostaggio dalle convenienze politiche interne dei singoli paesi. E così, da Atene a Berlino, da Parigi a Roma fino a Pontida, le grandi sfide con cui si deve misurare l’Unione Europea devono fare i conti con le piccolezze nazionali che passano dal Reichstag ma anche dal “sacro prato” padano. E come Marco Pannella, Emma Bonino e i Radicali continuano a ripetere, tanto più nel caso della crisi greca, il prevalere delle “piccole patrie” sul sogno della “patria europea” rischia di far naufragare in maniera forse definitiva il progetto politico dell’Unione. [RS]

CROAZIA, UE: A FINE MESE LA CONCLUSIONE DEI NEGOZIATI DI ADESIONE

Di Marina Szikora [*]
"Non c'e' piu' nessun ostacolo per la conclusione dei negoziati di adesione della Croazia entro la fine di giugno e sono rimaste ancora soltanto alcune questioni tecniche da risolvere sulle queli si sta' lavorando. Non vedo alcun ostacolo alla conclusione dei negoziati fino al 30 giugno" ha detto mercoledi' il ministro degli esteri ungherese Janos Martonyi a Lussemburgo, a conclusione del Consiglio per gli affari generali che compongono i ministri degli esteri o degli affari europei dei 27. I capi delle diplomazie dei stati membri hanno preparato le conclusioni per la riunione dei leader europei che si svolgera' oggi giovedi' e venerdi' a Bruxelles. Secondo queste conclusioni preparatorie per il vertice, i leader dell'Ue inviteranno alla conclusione dei negoziati di adesione croati entro la fine di questo mese e alla firma del trattato di adesione entro la fine dell'anno. Il tutto in base alle posizioni comuni che recentemente sono state presentate dalla Commissione europea. Se il Consiglio europeo accogliera' le sudette conclusioni questo rappresentera' la decisione politica sulla conclusione dei negoziati dopodiche' resterebbe ancora chiudere formalmente i rimanenti capitoli entro questo mese. Una settimana dunque importantissima per la Croazia che sabato 25 giugno festeggera' allora in modo piu' idoneo il ventennale della sua indipendenza. E' stato anche annunciato che la futura presidenza polacca all'Ue preparera' il callendario per la preparazione e per la ratifica del trattato di adesione.

Sempre a Lussemburgo, in vista della riunione dei ministri degli esteri, il capo della diplomazia lussemburghese, Jean Asselborn ha dichiarato che la membership croata non e' piu' un problema per l'Ue e che resta solo accordarsi ancora su alcuni particolari il che, appunto, dovrebbe essere risolto tra oggi e domani. Il target, ha confermato Asselborn, e' il primo luglio 2013 e si e' sulla buona via. Per quanto riguarda il ministro degli esteri olandese e' necessario pero' "un monitoring rafforazato" relativo all'adempimento degli obblighi croati, mentre il suo collega svedese, Carl Bildt ritiene invece che cio' non e' necessario. Secondo il ministro olandese Uri Rosenthal c'e' bisogno di un rafforzato monitoraggio nel periodo dalla conclusione dei negoziati fino all'ingresso della Croazia nell'Ue. "Questo monitoring deve essere esplicito in alcune componenti relative allo stato di diritto, lotta contro la corruzione ecc." ha detto Rosenthal. Il ministro finlandese Alexander Stubb ha sottolineato l'importanza del controllo dell'adempimento degli obblighi nel capitolo negoziale Giustizia e diritti fondamentali e ha aggiunto che non e' accettabile il monitoraggio dopo l'ingresso come nel caso della Bulgaria e Romania.

E' chiaro che nel susseguirsi delle notizie dai vertici dell'Ue e mentre si e' in attesa di vicende veramente storiche per il paese che per ben sei anni si trova sulla via verso l'integrazione europea, diverse sono le analisi ed i commenti sul futuro non soltanto croato ma anche, giustamente, dell'Europa nel suo insieme. Tra questi un commento del giornalista croato Denis Romac pubblicato lo scorso 18 giugno sul quotidano di Fiume 'Novi list'. In questo articolo, il giornalista croato si chiede scetticamente se dopo il fallimento della Grecia che avra' ripercussioni sulla zona euro e sull'Ue, se fallira' anche l'euro e quindi senza il piu' grande aquisimento dell'Europa unita non ci sara' piu' nemmeno l'Ue? Romac sottolinea che bisogna tener presente comunque, per quanto riguarda la Croazia, che l'opinione e le raccomandazioni della Commissione europea sono una cosa, ma la decisione finale e' nell'ingerenza degli stati membri dell'Ue che non hanno ancora preso la decisione definitva sulla conclusione dei negoziati croati. Per questo, sottolinea il giornalista di Fiume, solo quelli ingenui credono che con la data della conclusione dei negoziati di adesione e' tutto finito e che fino all'ingresso della Croazia nell'Ue tra circa due anni non sono possibili ulteriori complicazioni. Tali complicazioni sono possibili soprattutto durante il processo di ratifica del trattato di adesione croato dopo che esso verra' molto probabilmente firmato a fine anno. Ma il trattato croato dovra' poi essere ratificato in tutti i paesi membri dell'Ue nel tempo previsto affinche' la Croazia possa veramente diventare il 1 luglio 2013 il 28esimo paese membro dell'Ue.

Nonostante tutte le possibili complicazioni relative alla ratifica, prosegue il giornalista di 'Novi list', forse la piu' grande incognita collegata con l'ingresso di Zagabria nell'Ue sta' dall'altra parte, nella stessa Ue. In effetti, l'Unione in questo momento vive la piu' grande crisi dalla sua istituzione e questa crisi non e' per niente soltanto economica ne' soltanto la crisi della zona euro. Non si tratta nemmeno solo del pericolo della bancarotta della Grecia, che in un modo o nell'altro ormai e' inevitabile, e poi successivamente di alcuni altri paesi periferici, ma si tratta della bancarotta della politica europea che sta' facendo tremare le fondamenta dell'Ue. E' accaduto, scrive il giornalista croato, quello che abbiamo previsto da tanto tempo: la crisi economica nel frattempo si e' trasformata in una crisi sociale e di societa'. "Attraverso la periferia europea – Grecia, Spagna, Portogallo, Irlanda... - a causa di misure drastiche di risparmio, si difondono insoddisfazione e rivolta. Il giovane precariato e' uscito in piazza. In Spagna il tasso di disoccupazione tra i giovani e' da tempo oltre il 40 percento.... L'insoddisfazione dal sud europeo, come una fiamma infrenabile, si sta trasferendo pian piano al nord. Il definitivo crollo finanziario della Grecia e del Portogallo condurebbe infine alla creazione di una Ue a due velocita', anche se gia' adesso si puo' parlare di membri di primo e di secondo grado dell'Ue..." e' dell'opinione questo giornalista croato e aggiunge che piu' nessuno ha illusioni sull'uguaglianza all'interno dell'Ue soprattutto tra i grandi e potenti vecchi membri e quelli nuovi e minori che hanno aderito nel 2004.

In conclusione, Romac pone la domanda a quale Europa aderira' la Croazia con la sua economia crollante e con il bilancio statale che da anni spende molto di piu' rispetto a quello che guadagna? In quell'Europa dove ci sono la Germania e la Francia, oppure in quella dove ci sono il Portogallo, la Grecia e l'Irlanda? Non e' quindi la questione fondamentale se la Croazia aderira' all'Ue e nemmeno quando questo esattamente accadra'. La vera domanda e' a quale Ue si associera' la Croazia e che cosa rimarra' nell'estate 2013 dell'Ue? conclude Denis Romac di 'Novi list'.

[*] Corrispondente di Radio Radicale. Il testo è tratto dalla corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda il 23 giugno a Radio Radicale

ZAGREB PRIDE 2011: LA FACCIA BELLA DELLA CROAZIA

Una settimana fa, proprio mentre arrivavano ottime notizie sul suo ingresso nell'Unione Europea, la Croazia offriva al mondo la sua faccia peggiore. O meglio. Una certa Croazia, violenta e intollerante, decideva di mostrare la propria pessima faccia impedendo la sfilata del Pride 2011 a Spalato. Sabato scroso, una settimana dopo Spalato, la capitale Zagabria, con la propria pacifica sfilata del Pride 2011, si è incaricata di dare una risposta di democrazia e di civiltà a chi è incapace anche solo di immaginare che possa esistere un mondo diverso al di là del proprio orticello rinsecchito.
Qui di seguito la corrispondenza di Marina Szikora per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi a Radio Radicale.


A differenza della triste notizia che abbiamo riportato nella nostra scorsa trasmissione relativa alle violenze e agli incidenti che hanno interrotto bruscamente il primo Gay pride a Spalato, una settimana dopo, piu' precisamente sabato scorso, a Zagabria ha trionfato invece una Croazia democratica e tollerante. Il decimo Zagreb pride ha visto la partecipazione, secondo le stime, di 4000 persone che hanno marciato per le strade del centro della capitale culminando poi in un evento di piazza terminato nella felicita' dei colori dell'arcobaleno, musica e danza di gente soddisfatta per il sucesso che la loro citta' e il loro Paese e' riuscito questa volta a mandare un messaggio del tutto diverso rispetto a quello di Spalato. Il decimo Zagreb pride e' stato il piu' massiccio finora e gli organizzatori hanno sottolineato che "i cittadini di Zagabria hanno dimostrato un'altra volta di essere orgogliosi, tolleranti e dignitosi". Hanno partecipato cittadini da tutta la Croazia ma anche ospiti dai paesi vicini. Forse il piu' grande valore del Zagreb pride e' stato il fatto che hanno marciato insieme agli omosessuali anche genitori con figli, scrittori, politici, personalita' della vita pubblica. Tuttavia, 17 sono state le persone fermate dalla polizia per aver offeso i marciatori. Si tratta comunque di minori incidenti, quali gesti di offese contro i manifestanti, ha detto il portavoce del ministero degli interni croato.

La consigliera per gli affari sociali del presidente croato Ivo Josipović ha marciato con altre persone portando il manifesto "Split Pride" e ha sottolineato di essere venuta alla marcia dell'orgoglio in quanto rappresentante del presidente croato. "Questo e' il sostegno alla tolleranza ma anche una reazione a quello brutto accaduto a Spalato. Spero, ne sono quasi certa, ha detto, che nulla di simile accadra' a Zagabria come deve essere per una citta' che tra breve diventera' una delle capitali dell'Ue. Tra i partecipanti che hanno rappresentato l'appoggio del mondo politico anche i popolari-liberali croati, Vesna Pusić e Radimir Čačić, leader del Partito popolare croato – democratici liberali (HNS). Alla domanda dei giornalisti perche' e' venuta ad unirsi alla marcia del Gay pride, Vesna Pusić ha risposto di non sapere un posto piu' intelligente dove esserci. Sempre nella storia una minoranza ha intrapreso il compito di lottare per il diritto di tutti. Anche i partecipanti della marcia dell'orgoglio in tutti questi dieci anni dimostrarono che tutti gli uomini sono uguali e liberi, ha detto Vesna Pusić aggiungendo di credere che il gran numero delle persone al Zagreb Pride sono anche una reazione a quanto accaduto a Spalato. Molti sono venuti perche' sentono vergogna, ha detto Pusić, ma anche perche' sentono che bisogna mostrare che non e' meno importante esprimere anche in questo modo la lotta per i diritti umani.

Anche il noto intelettuale croato, Predrag Matvejević ha voluto riunirsi alla marcia. Facendo riferimento alle opere di Michelangelo e Da Vinci, portatori di grandissime ispirazioni e noti come omosessuali, Matvejević ha posto la domanda se questa ispirazione e' divina, come mai i clericali non vogliono riconoscere anche i valori che loro stessi proclamavano e non negavano.

PASSAGGIO IN ONDA

La puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda il 23 giugno a Radio Radicale

La prima parte del programma è dedicata alla Grecia ed al piano per uscire dalla gravissima crisi economica: le decisioni prese nella riunione straordinaria dell'Eurogruppo di lunedì scorso, l'ultimatum di Bruxelles ad Atene (piano di austerity o niente più soldi da UE e FMI), ma anche le divisioni dell'Unione Europea le cui decisioni sono ostaggio dei problemi politici interni della Germania. Intervista di Lorenzo Rendi a Marco Zatterin, corrispondente de La Stampa da Bruxelles.

La Grecia può essere uno degli ultimi banchi di prova dell'Unione Europea? Siamo davvero di fronte ad una delle ultime occasioni per non far naufragare il progetto politico dell'Unione Europea? L'opinione di Emma Bonino raccolta da Alessio Falconio nel corso della intervista settimanale andata in onda il 20 giugno a Radio Radicale.


Gli altri argomenti della puntata

Croazia: la conclusione dei negoziati di adesione all'UE è vicinissima, possibile forse già alla fine del mese. Intanto, dopo le violenze degli estremisti che hanno impedito il Pride di Spalato, il Zagreb Pride 2011 ha invece mostrato la faccia migliore del Paese: tanta gente in piazza insieme a politici ed intellettuali, in nome della democrazia e della tolleranza.

Bosnia Erzegovina: otto mesi e mezzo dopo le elezioni il Paese è ancora senza governo centrale, mentre il processo di integrazione europea risulta di fatto bloccato.

Albania: continua la storia infinita dell'elezione del sindaco di Tirana con l'ennesimo riconteggio delle schede, mentre la situazione politica interna desta preoccupazione a Bruxelles.

Macedonia: dopo le elezioni anticipate del 5 giugno sono in corso le trattative per ricostituire la coalizione tra il partito del premier riconfermato Nikola Gruevsky e il maggior partito della minoranza albanese guidato da Ali Ahmeti per la formazione del nuovo governo che dovrà affrontare la crescente crisi economica prima che la situazione diventi ingovernabile con gravi rischi per la stabilità politica e sociale.   

La trasmissione è stata realizzata con la collaborazione dei corrispondenti Marina Szikora e Artur Nura ed è riascoltabile direttamente qui



oppure scaricabile in podcast sul sito di Radio Radicale nella sezione delle Rubriche.

lunedì 20 giugno 2011

COSA PENSA LA TURCHIA?

Capire la nuova Turchia dal di dentro: è questo l'intento di "Che cosa pensa la Turchia?", una raccolta di nove saggi scritti da esperti turchi e personalità politiche di diversa provenienza (islamici, laici, curdi e liberali) che analizzano in che modo questioni importanti come l'identità nazionale, la democratizzazione e l'evoluzione della politica estera di Ankara sono viste dall'interno della nuova Turchia.
Il volume è pubblicato dall'European Council on Foreign Relation (ECFR) ed è stato realizzato in collaborazione con il Centre for Economics and Foreign Policy Studies (EDAM) di Istanbul, il Centre for Liberal Strategies (CLS) di Sofia la Mercator Stiftung che ha fornito il supporto finanziario. I saggi sono stati raccolti nel corso di due missioni di studio a Istanbul, Ankara e Gaziantep condotte nel mese di novembre 2010 e nel febbraio-marzo 2011.

Tre sono le questioni principali che sono state poste agli autori dei testi:
1. La nuova Turchia con la sua diversità interna, è in grado di riconciliare tensioni storiche e guarire ferite profonde?
2. La Turchia si sta muovendo verso il consolidamento di conquiste democratiche o è minacciata da una tirannia populista della maggioranza o addirittura da un regime autoritario?
3. Perché la Turchia sta agendo in maniera indipendente dall'Occidente? E' un partner o una rivale per l'UE e gli Stati Uniti, in particolare nei Paesi vicini?

Molti turchi si sentono alienati dalla crescente riluttanza dell'Unione Europea ad ammettere la Turchia come Paese membro e di conseguenza l'UE è assente da molti dibattiti interni anche se in diverse questioni potrebbe avere un ruolo importante: la questione dell'identità e delle differenze interne, con particolare attenzione alla questione curda; il processo di democratizzazione e di riforma costituzionale; lo sviluppo economico e i massici legami con Europa; l'attrazione che la Turchia può esercitare sui suoi vicini del Medio Oriente grazie ai suoi stretti legami economici e politici con l'Europa. Il volume fornisce una serie di prospettive e di opinioni dirette che danno conto del ivace dibattito politico in corso in Turchia
La pubblicazione, in formato Pdf e in inglese, è scaricabile direttamente dal sito dell' European Council on Foreign Relation.

L'ECFR ha chiesto a diverse personalità europee un commento sui contenuti del volume, sulle analisi e le opinioni proposte. Qui di seguito vi riporto (in inglese) quello di Emma Bonino (ringrazio Filippo Di Robilant per la segnalazione).

What does Turkey think?
Giovedì 16 giugno, 2011

On the report: it is a collection of recent essays from leading Turkish intellectuals, political figures, journalists and diplomats that bring together a range of perspectives on Turkey's dilemmas, priorities and aspirations. The aim of the report is to offer a reference point for an international audience looking at better understanding the backdrop of Turkey's recent transformations. The report's starting point is that Turkey is no longer the country the West once knew and, in order to unravel the puzzle that Turkey is today, it is necessary to delve deeper into the ways the country sees itself and the world (in questo senso è nel solco del lavoro fatto dai due rapporti dell'Independent Commission). The report singles out three key areas of public discussion. The first is a rather familiar one: can the new Turkey deal with its internal diversity, reconcile historical tensions and heel deep wounds? (in altre parole, mettere assieme i conservatori dell'AKP, i secolaristi, i Curdi, gli alevi, le comunità non musulmane, gli intellettuali liberali, ecc...?). The answer is overall hopeful, though rethinking fundamental issues such as nationhood, citizenship and relations between state and religion is still a work in progress and the solutions are not obvious. The second key area is a fairly new one. It is a reflection of the fact that, while Turkey has replaced the tutelage of the military-bureaucratic apparatus with a more advanced democratic regime, the AKP has been in a leading position for a decade (meno di Berlusconi da noi, sic!). Is Turkey moving in the direction of consolidating democratic achievements or is it threatened by populist majoritarianism, or even authoritarian rule with a socially conservative tinge? Some fear "putinisation" at the horizon (i recenti risultati elettorali dovrebbero contenere questo processo). The third key area explores the reordering of Turkey's foreign relations. Why is Turkey acting independently from the West? Is it a partner or a rival of the US and the EU? All the authors seem to agree that change in foreign policy has to do with the redistribution of global political, economic and ideological power. So the issue of how to bring Europe back surfaces again. The EU may be increasingly absent from Turkey's public debates - and, in parallel, the Turkish public is losing faith that Turkey will ever make it in the EU - but the EU has not lost its significance altogether. For instance, it plays an important role in each of the three areas of debate explored by the report. Nobody in Turkey would challenge the fact that a revitalised membership perspective would affect positively the pace and the quality of the democratisation process; nor that the country's competitiveness in the global economy depends largely on access to the EU's massive internal market. In other words, if it's true that it's too early to write the EU off, it's equally true that in the current situation the EU is not indispensable and a prolonged status quo scenario is possible. The reason for this is that, above all, Turkey is self-confindent and optimistic (because of its economic growth, its demographic profile and its foreign policy assertiveness), which makes it non-Western at a moment when the West is pessimistic. This makes Turkey generally unaware of its structural vulnerability and pushes it to underestimate others (in particular: if it doesn't carry on with reforms it will end up caught between Europe's high-tech economies and Asia's low-wage economies; that foreign policy successes may be seriously put under stress as stakes increase and room for manoeuvre narrow; and growing polarisation of society may lead to authoritarianism). So, for the moment, the EU does not appear to be Turkey's major strategic objective, but rather its insurance policy. The status quo looks stable. While the opinion polls still register considerable levels of support for Turkish accession, support for the EU is heavily mediated by party affiliation: if AKP decided to change its position on the EU, the current figures could change dramatically. For this reason, the report concludes that, to make interdependence work, the EU needs to readily engage the new Turkey.

Comments: the report is an excellent reference point but it is obviously politically overshadowed by the election results of last Sunday. For Erdogan they were an extraordinary achievement given that he has won three absolute majorities in a row, which makes him a towering figure at home and a confident statesman abroad. AKP won about 50% of the vote on Sunday, up from 47% in 2007 although it translated in less seats, from 331 to 326. He now faces a greater number of adversaries in Parliament, in particular the Republican People's Party (135 seats, eredi di Ataturk) whose new leader, Kemal Kilicdaroglu, has revamped what was a shrine-worshipper into a viable social democratic party, and the Kurdish movement (36 seats) that has now become part of mainstream politics. Turkish voters have clearly denied Erdogan a supermajority that would have enabled him to fashion a new Constitution moving Turkey from a parliamentary to a presidential system along French lines. AKP has amended in the past the current Constitution so that future presidents will no longer be elected by Parliament but by universal suffrage. In Turkey's already highly centralized system and already-polarized political environment, a "one-party" Constitution and a move towards a presidential system does not look like a good idea: it could lead to rivalry or paralysis between a strengthened president and a traditionally powerful Prime Minister, both backed by popular mandate; or it could further erode checks and balances and thus reinforce autocratic tendencies. Erdogan acknowledged, in his victory speech, that the new arithmetic of Parliament needs dialogue with the Opposition and cross-party consensus for constitutional changes. His words are welcomed but this cooperation will be up-hill, not least because of his increasingly imperious attitude and intolerance to criticism.

giovedì 16 giugno 2011

LA CROAZIA ORMAI IN VISTA DEL TRAGUARDO EUROPEO


Il 10 giugno la Commissione Europea ha dato il suo parere favorevole all'ingresso della Croazia nell'Unione Europea proponendo al Consiglio dei ministri Ue di chiudere gli ultimi quattro capitoli dei negoziati di adesione. Lo ha annunciato lo stesso Josè Manuel Barroso, presidente della Commissione, sottolineando che la decisione apre alla Croazia “la via per unirsi all'Ue come 28mo Stato membro a partire dal primo luglio 2013”, se questa data proposta dalla Commissione sarà approvata anche dal Consiglio Europeo. Già il prossimo 21 giugno i ministri degli Esteri dei 27 potrebbero adottare la decisione che richiede comunque l'unanimità.

Qui di seguito il testo della corrispondenza di Marina Szikora per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda il 16 giugno a Radio Radicale.

Venerdi' scorso, il commissario all'allargamento Štefan Feule ha sottolineato che la Croazia ha dovuto non soltanto includere le leggi europee nella sua legislazione bensi' anche implementarle e dimostrare di aver fatto tutto in questo campo. La Commissione europea' continuera' pero' a monitorare la Croazia.
Una giornata storica per la Croazia e per l'Ue, ha detto Jose' Manuel Barroso sottolineando che cosi' si apre la via alla Croazia di aderire all'Ue in quanto 28esimo pese dal primo luglio 2013 se il Consiglio accogliera' questa data proposta da parte della Commissione. La Commissione, sempre venerdi' scorso ha proposto al Consiglioe europeo la chiusura dei rimenenti quattro capitali negoziali. "L'importante passo della Croazia verso l'adesione e' anche un segnale al resto dell'Europa sudorientale: dimostra che l'allargamento funziona, che l'UE rispetta seriamente i suoi obblighi e che le riforme strutturali nel paese vengono appagate. Per tal motivo spero che il progresso croato sia una ispirazione ai nostri altri partner di rafforzare i loro sforzi riformisti e di raggiungere i risultati per il benessere dei loro popoli. E' anche nell'interesse dell'Ue" ha detto Barroso nel suo messaggio.
"Una ottima notizia" ha qualificato il presidente croato Ivo Josipović la notiza arrivata dalla Commissione europea. Il capo dello stato croato ha ringraziato tutti quelli di cui questo obbiettivo e' stato il merito, a partire dai veterani della guerra, ai cittadini, a quelli che avevano svolto servizi pubblici dal 2000 in poi, dal governo di Ivica Račan fino a quello di Jadranka Kosor. Josipović ha sottolienato' pero' che le riforme non sono ancora concluse, che sono necessarie anche quelle che oltrepassano le richieste dell'Ue nonche' l'addattamento agli standard europei. "Prima del festeggiamento aspettiamo la decisione degli stati membri" ha detto Josipović aggiungendo che bisogna continuare le riforme e migliorare le condizioni di vita dei cittadini.
La presidente del Consiglio nazionale che segue i negoziati di adesione, Vesna Pusić ha detto di sentire una soddisfazione personale e generazionale. Ha rilevato di essere entrata in politica con il compito di realzzare questo obiettivo per le future generazioni.

Ci sono voluti 6 anni e 9 mesi perché la Croazia imboccasse la dirittura finale verso il traguardo dell'ingresso nell'Unione Europea. Ma come si è arrivati a questa svolta che qualcuno ha già definito “storica” e che, nonostante non sia ancora ufficiale, sembra ormai acquisita?
Marina Szikora riassume le tappe di questo non facile percorso per Passaggio a Sud Est.

La Croazia ha atteso sei lunghi anni e nove mesi per il momento annunciato venerdi' scorso, vale a dire la buona notizia arrivata da Bruxelles che alcuni hanno qualificato come storica. Va ricordato che sei anni fa, iniziarono i negoziati di adesione tra la Croazia e l'Ue. L'inizio, come ricordiamo, e' stato subito rinviato a causa della latitanza del ricercato imputato dell'Aja, il generale croato Ante Gotovina, recentemente accusato con la sentenza di primo grado ad una pesante condanna di 24 anno di carcere per aver commesso crimini contro i serbi in Croazia. La sua estradizione e' stata all'epoca la condizione chiave per l'inizio dei negoziati. Dopo la cattura di Gotovina in Spagna, l'allora procuratore capo dell'Aja, Carla del Ponte aveva pronunciato la lungo attesa valutazione che "la Croazia collabora pienamente con il Tribunale". Questo e' bastato per il segnale verde di Bruxelles e dei stati membri dell'Ue per l'inizio dei negoziati. Ma il cammino e' stato sempre piu' duro e frustrante, questo non solo a causa degli obblighi da soddisfare da parte di Zagabria. C'erano di mezzo gli ostacoli esterni, quali la costituzione europea che fu bloccata ostacolando anche l'ulteriore allargamento dell'Ue.

L'approvazione del Trattato di Lisbona ha riavviato il processo. Poi pero' arrivo' lo ZERP, la zona di protezione marittima che per lungo tempo e' stata l'ostacolo al proseguimento dei negoziati croati e il nocciolo duro nella disputa sul confine marittimo tra la Slovenia e la Croazia. Seguiva in contemporanea la lotta alla criminalita' organizzata che vide alcuni pezzi molto grossi finire dietro le sbarre, scrive in un commento Ivica Koerbler del quotidiano 'Vjesnik'. La disputa tra Slovenia e Croazia diventava sempre piu' grave e minacciava di trasformarsi perfino in un conflitto aperto. La questione dei cantieri navali, un' altra condizione importantissima, una difficile sopravvivenza sotto il cappello statale che contestava ogni idea di privatizzazione. Arrivavano le riforme della giustizia e la lotta alla corruzione che si dimostreranno come parte piu' difficile dei negoziati. L'ex premier Ivo Sanader che era per diversi anni il preferito dell'Europa se ne ando' da un giorno all'altro per finire infine, mezz'anno fa' nel carcere austriaco di Salisburgo. Lo succedeva l'attuale premier e la sua mano destra, Jadranka Kosor. Il ritmo dei negoziati negli ultimi due anni diventava sempre piu' intenso con il lavoro di tutte le forze, sia quelle governative che quelle dell'opposizione.

L'apertura verso l'Europa fu resa possibile a partire dal premier dell'opposizione e leader socialdemocratico, il defunto Ivica Račan e dal presidente Stjepan Mesić che dopo due mandati presidenziali, il massimo possibile secondo la Costitzione, aveva ceduto il posto all'attuale presidente Ivo Josipović. L'uomo della giustizia e del giusto, della Croazia di riconciliazione, di pace e stabilita' nella fragilissima regione balcanica ancora frustrata e ferita dalle sanguinose ed atroci ferite delle guerre degli anni novanta. Bisognava creare l'atmosfera che poteva rendere possible l'europeizzazione della Croazia, anche come esempio ai vicini, per incamminare la via verso le integrazioni europee anche al resto dei Balcani occidentali. Un processo per nulla facile se si tiene presente che la Croazia e' il primo paese che aderira' all'Ue portando alle spalle le conseguenze della guerra e della transizione. Va sottolineato che il processo negoziale per la Croazia e' stato molto piu' difficile rispetto a quei paesi che l'avevano preceduta. Condizioni assai piu' richiedenti rispetto all'ultima grande ondata di adesione. E poi le cattive esperienze con la Bulgaria e la Romania hanno ulteriormente appesantito il cammino del prossimo aderente.

Negli ultimi due anni, Zagabria ha concluso assai piu' capitoli rispetto ai precedenti quattro anni. Nessun cedimento nemmeno in questi ultimi anni, come nemmeno negli ultimi metri fino all'ingresso. Ma il lavoro non e' ancora per niente concluso. Nonostante il pronunciamento della data magica, del prossimo primo luglio 2013, resta ancora molto lavoro da fare. Bisognera' convincere i partner europei che Zagabria sta' veramente attuando le indispensabili riforme e ci sara' bisogno di risultati concreti. L'obbiettivo della conclusione dei negoziati e' raggiunto anche se adesso la decisione della Commissione europea deve essere approvata da tutti gli Stati membri. Ma il prossimo lavoro spettera' al prossimo governo. Chi sara' quello che continuera' a guidare questo processo lo dimostreranno le prossime elezioni parlamentari. L'attuale governo afferma che sulla data delle elezioni i partner di coalizione decideranno a fine giugno e che non c'e nulla di urgente. L'opposizione chiede le elezioni al piu' presto possibile, a fine estate – inizi d'autunno, ma senz'altro prima del referendum in modo tale che il voto al referendum sull'adesione non rischi di diventare un voto pro o contro il governo di Jadranka Kosor.