venerdì 31 gennaio 2014

ECFR: ITALIA PROTAGONISTA IN POLITICA ESTERA EUROPEA

La politica estera torna nell'agenda europea e dopo anni da comprimaria, l'Italia riprende un ruolo di primo piano nell'ambito dell'Unione Europea. E' quanto emerge dall'edizione 2014 dello European Foreign Policy Scorecard, realizzata dallo European Council of Foreign Relations (Ecfr) con il sostegno di Compagnia di San Paolo. Secondo il rapporto, che passa in rassegna i successi e i fallimenti della politica estera europea, il 2013 è stato in generale un buon anno per l'Europa, soprattutto se paragonato agli anni precedenti. E a dimostrazione che l'Europa può raggiungere importanti obiettivi quando gli Stati membri e le istituzioni europee riescono a lavorare insieme, l'Ecfr indica, in particolare, il Kosovo e l' Iran. Il miglioramento appare anche nella gestione dei rapporti con la Cina, con l'Europa Allargata e con il Medio oriente e il Nord Africa (Mena). Meno positiva, anzi peggiorata, appare invece la gestione delle relazioni con la Russia e quella di questioni multilaterali e crisi.

Il documento segnala il particolare dinamismo della Francia e del Regno Unito, mentre la Svezia e la Polonia confermano una posizione leader nella politica estera europea. Ma tra i Paesi più attivi l'Ecfr segnala anche l'Italia, che dopo anni caratterizzati da uno scarso protagonismo internazionale, è tornata a giocare un ruolo rilevante. Se nel 2012, infatti, il nostro Paese guidava l'Europa in 3 componenti, lo scorso anno si è distinto in 9 aree d'azione, cioè quelle relative alla Siria, all'Iran, alla sicurezza nel Nord Africa, alla diversificazione energetica, al sostegno alla Somalia, alla Serbia e alla visione strategica sulla Turchia. L'Italia, inoltre, risulta sempre cooperativa, grazie alla strategia più propositiva, strutturata e orientata al raggiungimento di obiettivi nel lungo periodo assunta dal governo Letta, soprattutto nel Mediterraneo e nei Balcani occidentali. Naturalmente è solo un caso che l'attuale governo abbia un ministro degli Esteri che si chiama Emma Bonino. Quella che qualcuno vorrebbe si dimettesse imputandole il pasticcio dei marò – che altri hanno combinato – magari dopo aver misurato la lunghezza del velo che portava nella sua missione a Teheran.


NORD KOSOVO: L'ARRESTO DI OLIVER IVANOVIC

Oliver Ivanovic
E' di questi giorni la clamorosa notizia dell'arresto di Oliver Ivanovic, uno dei principali dirigenti politici dei serbi del nord Kosovo. Secondo quanto riferito da fonti ufficiali, Ivanovic, che oggi ha 60 anni, è sospettato di aver commesso crimini di guerra durante il conflitto del 1998-99: la vicenda riguarda due crimini "che sono stati prodotti nel 1999 e nel 2000, le cui vittime erano albanesi", come ha spiegato il suo avvocato Nebojsa Vlajic. Dopo un interrogatorio durato diverse ore nel commissariato di Kosovska Mitrovica, un giudice internazionale ha accolto la richiesta del procuratore della missione di giustizia dell'Unione europea in Kosovo (Eulex), e Ivanovic è stato posto in stato di arresto preventivo per un periodo di un mese ed è stato trasferito nella prigione di Pristina.

Ex capo dei “guardiani del ponte”, la difesa locale serba, Ivanovic è entrato in politica nel 1999. Nel 2001 fu stato eletto parlamentare nel Kosovo in una lista serba. Dopo essere stato segretario di Stato serbo per il Kosovo e Metohija, dal 2008 al 2012, è stato eletto consigliere comunale a Mitrovica, dove i serbi sono maggioranza, in una lista indipendente durante le elezioni locali tenutesi alla fine 2013. Leader del SDP e tra i personaggi politici più in vista tra i serbi del Kosovo, è considerato un moderato. Nella serata di lunedì scorso i sindaci delle municipalità del nord del Kosovo, i membri dei consigli comunali e i militanti dell'SDP si sono riuniti davanti al Palazzo di giustizia, alla sede della polizia e di Eulex a Mitrovica nord per chiedere spiegazioni sull'accaduto.

Per il suo avvocato, quelle mosse contro Ivanovic sono accuse “inconsistenti e ridicole”. “Si tratta sicuramente del tentativo di creare un'atmosfera di paura e instabilità in seno alla comunità serba del Kosovo”, afferma una dichiarazione ufficiale del SDP. “Abbiamo ragione di pensare che l'arresto di Ivanovic e le accuse di cui è fatto oggetto siano una pressione politica”, ha aggiunto Ksenija Bozovic, esponente dell'entourage del politico serbo. Di certo la vicenda non aiuta a far calare la tensione nel nord del Kosovo, in una situazione che ha segnato un peggioramento nel corso del 2013 e in un'atmosfera resa tesissima dal recente omicidio del consigliere comunale del SLS, Dimitrije Janicijevic, ucciso lo scorso 16 gennaio a colpi di arma da fuoco da uno sconosciuto davanti alla sua abitazione.

ARIA DI ELEZIONI ANTICIPATE IN MACEDONIA

Skopje (Foto Marco Fieber/Ostblog.org - Flickr)
Ad aprile la Macedonia andrà alle urne per eleggere il nuovo presidente. Negli ultimi tempi appare sempre più probabile che i cittadini macedoni saranno chiamati nella stessa occasione a eleggere anche il nuovo parlamento. Nessuno le ha chieste formalmente, almeno per ora, ma è assai evidente che un po' tutti i partiti sarebbero d'accordo, a partire dal VMRO (Organizzazione rivoluzionaria interna macedone) del premier Nikola Gruevski che però preferirebbe che fosse l'opposizione a chiederle esplicitamente. L'SDSM (Unione socialdemocratica di Macedonia), che pure in passato ha fatto ricorso allo stesso espediente, questa volta si mostra riluttante.
Finora il partito a cui converrebbe di più andare alle urne, sia per le presidenziali che per le politiche anticipate, è l'Unione Democratica per l'Integrazione (DUI) di Ali Ahmeti, principale forza politica della minoranza albanese e alleato di coalizione della VMRO. Pur vivendo da separati in casa, DUI e VMRO hanno gestito con successo la coalizione fino dal 2008. Dopo un incontro tra Ahmeti e Gruevski, la DUI sembra aver ammorbidito la sua posizione contraria alle elezioni anticipate e questo è stato interpretato dai media come segno di un possibile via libera all'accordo per andare al voto.
Gli osservatori concordano che sono in corso trattative DUI e VMRO per gestire sia le elezioni politiche, sia quelle presidenziali. Da molti segnali sembra, in effetti che la campagna elettorale sia già cominciata: il resto può aspettare.



giovedì 30 gennaio 2014

E' UFFICIALE: SERBIA ALLE URNE IL 16 MARZO PER LE ELEZIONI ANTICIPATE

Propaganda elettorale per le presidenziali del 2012
Mercoledì 29 gennaio il presidente serbo Tomislav Nikolic ha annunciato ufficialmente le elezioni politiche anticipate per il prossimo 16 marzo. Il presidente ha accolto la richiesta dei vertici del suo partito, il Partito serbo del progresso, il cui leader, l'attuale potente vicepremier Aleksandar Vucic, secondo molti analisti punta a capitalizzare il consenso venuto dall'avvio dei negoziati per l'adesione all'Unione Europea. Favorevole alle elezioni anche il Partito socialista dell premier Ivica Dacic, che da mesi conduce una dura lotta contro Vucic e le sue iniziative contro la corruzione. D'accordo anche il liberaldemocratico Cedomir Jovanovic, da sempre europeista e favorevole all'indipendenza del Kosovo.


Di Marina Sikora
Da lungo si ipotizzava, poi ultimamente sempre piu’ forti gli annunci, ormai e’ definitivo, la Serbia avra’ le elezioni anticipate. Ultime tappe che hanno condotto a questa decisione sono state le dimissioni del ministro dell’economia Saša Radulović a causa, come comunicato dal suo ministero, della mancanza di volonta’ politica a condurre le riforme economiche. Ma i media serbi scrivevano da tempo di un conflitto tra il vicepremier Aleksandar Vučić e il ministro Radulović. Poi, sabato scorso, all’assemblea straordinaria del Partito Serbo del Progresso, il vicepremier Aleksandar Vučić e’ stato riconfermato presidente del partito e in questa occasione ha proposto subito le elezioni anticipate, ovvero come ha detto di “verificare la volonta’ del popolo”. La proposta di Vučić e’ stata accolta il giorno dopo all’unanimita’ alla riunione della presidenza del suo partito. Le elezioni anticipate si svolgeranno il prossimo 16 marzo e Vučić ha espresso speranza che i cittadini della Serbia affideranno il pieno mandato al Partito Serbo del Progresso. “La nostra volonta’ (per le elezioni anticipate) e’ sollecitata dal fatto che noi crediamo che la Serbia puo’ andare piu’ veloce e meglio e che i cambiamenti non possono aspettare. Non abbiamo nemmeno un secondo da perdere perche’ la gente vive male, i giovani non hanno lavoro” ha affermato Vučić valutando pero’ che il governo della Serbia ha fatto molte cose buone, quali la lotta alla criminalita’ organizzata e corruzione ed i negoziati di adesione all’Ue.

Parlando dell’attuale partner di coalizione, Vučić ha detto che non potrebbe mai dire che Ivica Dačić non sia stato un buon premier ma ci sono stati certi limiti e l’umore nella societa’ ha ostacolato di andare avanti e piu’ velocemente nelle riforme. Vučić ha confermato quanto riportato dai media, che Dačić gli avrebbe offerto di essere premier senza andare al voto ma Vučić afferma di averlo rifiutato preferirendo di ottenere la fiducia dei cittadini alle prossime elezioni. Non ha voluto esprimersi sulle possibili coalizioni ma ha osservato che nel caso di ottenere l’incarico a premier e’ sua intenzione “unire piu’ gente possibile” a fin di risolvere i problemi che si sono accumulati in Serbia. Rispetta la posizione del SNS e senza esitazioni ritiene che la soluzione migliore sono le elezioni parlamentari anticipate per dare una nuova legittimita’ al governo di guidare il Paese, questa la risposta ufficiale del premier uscente e presidente del Partito Socialista della Serbia, Ivica Dačić il quale aggiunge che bisogna fare il massimo affinche’ le elezioni anticipate non mettano a repentaglio le riforme in Serbia, i negoziati di adesione all’Ue e il dialogo con il Kosovo. Secondo le sue valutazioni, nei 18 mesi del suo mandato il governo ha lavorato bene. Dačić ha aggiunto che nemmeno per il Partito Socialista non ci sono timori perche’ “e’ un buon momento” per recarsi alle urne.

Nessun dubbio che colui che spesso viene nominato l’uomo piu’ forte in Serbia, Aleksandar Vučić, vicepremier uscente, punta sulla vittoria e sull’incarico a premier. Come riportato dal quotidiano di Belgrado ‘Blic’, a proposito delle prossime elezioni anticipate, l’agenzia di stampa tedesca, DPA, rileva che Vučić, nella sua ricca carriera politica ha avuto cambiamenti incredibili. Questo politico quarantenne, ricorda DPA, ha iniziato come giornalista del lider serbo bosniaco Radovan Karadžić, accusato dal Tribunale dell’Aja che giudica i crimini commessi in ex Jugoslavia. Poi e’ stato segretario generale degli ultranazionalisti radicali serbi di Vojislav Šešelj, altrettanto sotto processo all’Aja. E’ stato nominato ministro di informazione da parte di Slobodan Milošević mentre negli ultimi tre anni, questo giurista si e’ distanziato dagli estremisti e oggi in quanto presidente del Partito Serbo del Progresso si impegnna per i valori europei grazie ai quali e’ stato raggiunto l’accordo tra Belgrado e Priština. Si dice essere altrettanto impegnato nella lotta contro la corruzione e criminalita’ organizzata. Ma come osserva l’agenzia di stampa tedesca i suoi critici non gli credono e affermano che Vučić e’ intenzionato soltanto a rafforzare il proprio potere.

Anche il Partito Liberaldemocratico guidato da Čedomir Jovanović si dice pronto per le annunciate elezioni anticipate. LDP afferma che e’ arrivato il momento per cambiamenti concreti che adesso sono soffocati a causa di una politica di stato sbagliata. In un comunicato rilasciato in occasione della proposta del lider del Partito Serbo del Progresso, Aleksandar Vučić a favore delle elezioni anticipate, LDP rileva che l’attuale governo merita un riconoscimento per l’Accordo di Bruxelles raggiunto con Priština ma adesso e’ arrivato il momento per un esecutivo diverso, capace di guidare anche gli altri e per delle riforme molto piu’ approfondite. LDP si dice convinto del proprio successo alle prossime elezioni e con questo affermano si concludera’ una coalizione governativa senza successo in cui Ivica Dačić non e’ stato premier e tutto il potere scorreva o veniva consegnato a Vučić, portando il Paese in una posizione insostenibile. I liberaldemocratici serbi sostengono che la Serbia ha bisogno di istituzioni piu’ forti che non dipenderanno da un solo partito e di riforme che non avranno dei ritardi a causa delle debolezze dell’esecutivo.

Il testo è tratto dalla trascrizione della corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda il 30 gennaio a Radio Radicale.

CROAZIA: JOSIP PERKOVIĆ E' STATO ESTRADATO IN GERMANIA

Josip Perkovic
Con l'inizio del nuovo anno e' entrata in vigore in Croazia il tanto discusso provvedimento che ha esteso l'applicazione del mandato di arresto europeo anche ai reati commessi prima dell'agosto 2002. E il primo gennaio, applicando la nuova norma, la polizia ha arrestato l'ex capo dei servizi segreti jugoslavi e croati, Josip Perković, contro il quale la giustizia tedesca aveva emesso un mandato di cattura europeo per il suo presunto coinvolgimento nell'omicidio del dissidente croato Stjepan Đureković avvenuto nel 1983 vicino a Monaco di Baviera. Il mandato avrebbe dovuto entrare in vigore lo scorso primo luglio, cioè al momento dell'ingresso della Croazia nell'UE. Tre giorni prima di quella scadenza, però, la maggioranza parlamentare aveva votato una deroga alla legge sulla collaborazione giudiziaria con gli stati membri dell'Unione secondo la quale il mandato di arresto europeo non sarebbe stato applicato ai reati commessi prima del 2002. La modifica, che secondo alcuni fa pensata proprio per evitare l'estradizione di Perković. suscitò reazioni molto dure da parte della Commissione europea che ha insistito sugli obblighi assunti da Zagabria durante i negoziati di adesione, minacciando anche il ricorso alle sanzioni previste in questi casi. Alla fine il governo croato fu costretto a cedere e la norma in questione fu ritirata. Questa modifica è entrata in vigore il primo gennaio 2014: Perkovic è stato dunque arrestato e, nei giorni scorsi estradato in Germania.

Di Marina Szikora
Con l'estradizione di Josip Perković, venerdi' scorso in Germania „si conclude il triller politico-giuridico che ha messo l'ombra sull'ingresso della Croazia nell'Ue“- con queste parole i media stranieri hanno informato sull'estradizione di uno degli ex capi dei servizi segreti jugoslavi e croati, Josip Perković il quale accompagnato dalla polizia tedesca e' partito venerdi' scorso con un volo della Lufthansa da Zagabria per Monaco di Baviera. Con questo atto, la Croazia ha adempiuto l'obbligo del mandato di cattura europeo nei confronti di Perković perche’ sospettato di aver ordinato l'uccisione, in territorio tedesco, del dissidente croato Stjepan Đurekovic. Va detto che il testimone chiave Vinko Sindičić, considerato l'esecutore materiale dell'uccisione, ha ritirato adesso le accuse nei confronti dei suoi ex capi Josip Perković,  Krunoslav Prates e Zdravko Mustać, con una dichiarazione scritta rilasciata a un notaio italiano, secondo quanto ha scritto il quotidiano di Zagabria "Jutarnji list". La dichiarazione e’ stata in seguito consegnata all'avvocato di Perković, Anto Nobilo. Ma il tribunale di Zagabria aveva gia’ deciso la scorsa settimana di accogliere la richiesta di estradizione arrivata dalla procura tedesca. La dichiarazione di Sindičić, datata 31 dicembre del 2013, precisa che le accuse contro i tre ex capi dei servizi segreti jugoslavi sono state estorte dalle autorita’ tedesche dietro minaccia. La Corte costituzionale croata ha respinto la richiesta dell'avvocato di Perkovic, Anto Nobilo, di sospendere temporaneamente il processo di estradizione secondo il quale, nel caso del suo mandante, si tratterebbe di una violazione di diritti umani e di liberta’ fondamentali garanititi dalla Costituzione.

Come abbiamo gia’ informato nelle nostre precedenti trasmissioni, il caso Perković ha scatenato una polemica tra Zagabria e Berlino dopo che a soli tre giorni prima dell’adesione della Croazia all’Ue, il parlamento croato aveva modificato la legge sul mandato d’arresto europeo introducendo la prescrizione, secondo le critiche tedesce, da impedire cosi’ proprio l’estradizione di Perković. Il mandato di cattura nei confronti dell’ex capo dei servizi segreti jugoslavo e croato e’ stato emesso da Berlino nel 2009 per presunto coinvolgimento di Perković nell’uccisione del dissidente croato Stjepan Đureković. Come detto, il caso e la modifica della legge da parte del Parlamento croato hanno suscitato una forte pressione da parte delle autorita’ tedesche e poi anche da parte del commissario Ue per la Giustizia, Viviane Reding conclusesi con il ritiro della decisione croata, vale a dire con un’altra modifica della legge sul madato d’arresto europeo.

Perković e’ sospettato quindi di essere implicato come mandante politico nell’assasinio di Đureković, emigrato in Germania e entrato poi nelle fila dell’emigrazione anticomunista. Perković a quell’epoca era tra i dirigenti dei servizi segreti jugoslavi. Dopo la prolamazione dell’indipendenza della Croazia e’ diventato uno dei capi dei nuovi servizi croati e stretto collaboratore del primo presidente croato Franjo Tuđman. Secondo le speculazioni mediatiche, le autorita’ croate avrebbero voluto evitare questa estradizione perche’ Perković sarebbe in possesso di informazioni che potrebbero compromettere diverse personalita’ politche della Croazia.

Dedicando ampio spazio alla vicenda, i media tedeschi sull’estradizione di Perković parlano tra l’altro della fine di uno scandalo al quale hanno contribuito anche il premier Milanović e il suo governo. Cosi’ l’emittente pubblico della Baviera, Bayerische Rundfunk afferma che il pocesso contro Perković potrebbe essere molto interessante sia per la Croazia che per la Germania poiche’ “l’ex capo dei servizi segreti ha minacciato che in caso di estradizione parlera’ anche di altri casi contestati della sua lunga carriera nei servizi segreti. I servizi segreti comunisti jugoslavi dagli anni sessanta hanno liquidato decine di loro oppositori in tutta l’Europa Occidentale” scrive BR. Per il quotidiano di Vienna, ‘Der Standard’ si tratta dell’ estradizione di un ex intoccabile e secondo questo giornale la Croazia “deve riaffrontare uno dei capitoli oscuri del suo passato”. Il quotidiano viennese aggiunge persino che cio’ potrebbe ridefinire l’immagine storica dell’ex Jugoslavia perche’ mette in questione le interpretazioni consuete di uno stato relativamente aperto e meno repressivo rispetto agli altri paesi dell’Europa dell’Est.

Nonostante l’estradizione compiuta, gli spiriti sulla scena politica in Croazia non si placano e le dissonanze e le divergenze tra l’opposizione ed i governativi sono sempre piu’ profonde. A maggior ragione perche’ siamo nell’anno di due appuntamenti elettorali: quello per il rinnovo del PE e quello presidenziale, a fine anno. Il capo del maggiore partito dell’opposizione, HDZ, Tomislav Karamarko ha persino qualificato il partito governativo – il Partito Socialdemocratico del premier Milanović come organizzazione criminale e afferma che molti che avevano guidato l’allora Partito Comunista croato e alcuni di loro anche il Partito Socialdemocratico potrebbero sapere molto sulla uccisione di emigrati croati. Karamarko pone la domanda anche sul patrimonio che il Partito Socialdemocratico ha ereditato dal Partito Comunista. A replicargli per primo e’ stato pero’ il capo dello stato Ivo Josipović il quale afferma che l’HDZ conduce una campagna sporca nell’anno elettorale. Josipović ha invitato l’HDZ di nominare al piu’ pesto il proprio candidato alle elezioni presidenziali rilevando che lo accettera’ con rispetto quale che esso sia. Sulle accuse nei confronti del Partito Socialdemocratico, il capo dello stato croato ha detto che anche oggi, a diversi livelli, e anche all’interno dell’HDZ ci sono molte persone oneste che all’epoca furono membri del Partito Comunista e che hanno lavorato bene e continuano a farlo anche oggi attraverso diversi partiti.

Il testo è tratto dalla trascrizione della corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi a Radio Radicale.

"QUI TIRANA": LA CORRISPONDENZA DI ARTUR NURA

Gli argomenti della corrispondenza di Artur Nura per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi a Radio Radicale.

Albania/1: ancora polemiche, discussioni e iniziative parlamentari (interpellanza al ministro Bushati) sulla presunta intenzione della Macedonia di costruire una centrale idroelettrica sul corso del fiume Radika, affluente del Drini i Zi N (Drini nero), una delle principali fonti idriche per le centrali elettriche nel nord dell'Albania.

Albania/2: le polemiche e le critiche dell'opposizione alla decisione del governo di affidarsi alla società britannica Crown Agents per migliorare i conti pubblici e incrementare gli introiti in misura pari all’uno per cento del Pil (circa 100 milioni di euro).

Albania/3: la visita a Tirana di Hannes Swoboda, presidente del gruppo dell'Alleanza progressista dei socialisti e dei democratici al Parlamento europeo.

Kosovo/1: nulla di fatto martedì 27 gennaio a Bruxelles nel ventunesimo round del dialogo mediato dall’Unione Europea fra i primi ministri di Serbia e Kosovo, Ivica Dacic e Hashim Thaci. I colloqui comunque proseguono: il prossimo incontro è previsto per 12 febbraio.

Kosovo/2: il 2013 è stato un anno di progressi nel rafforzamento della sicurezza, grazie ai passi in avanti fatti nella normalizzazione dei rapporti con la Serbia dopo l'accordo di aprile con la mediazione dell’Unione Europea. Si fa sempre più difficile, invece, la situazione nel nord, come dimostra anche la vicenda dell'arresto di Olivier Ivanovic, già rappresentante a Belgrado e leader del Sdp. Intanto la NATO discute sul proseguimento della sua missione.

PARLAMENTARI EUROPEI CHIEDONO DI FARE LUCE SULL’ASSASSINIO DI ZORAN ĐINĐIĆ

Zoran Djindjic
Di Marina Szikora
ll chiarimento del retroscena politico dell’uccisione dell’ex premier democratico della Serbia, Zoran Đinđić [vittima di un attentato a Belgrado il 12 marzo 2003, n.d.r.] dovrebbe essere inserito come condizione nel capitolo giustizia e diritti fondamentali del negoziato di adesione della Serbia all’Unione Europea. Lo pensano alcuni deputati europei con a capo l’eurodeputato sloveno e relatore per la Serbia Jelko Kacin. Infatti e’ questa la richiesta di quattro deputati dei principali gruppi politici del Parlamento europeo i quali hanno inviato una lettera alla Commissione europea in cui sottolineano che lo stato di diritto in Serbia non potra’ essere rafforzato senza far luce sui crimini del regime di Slobodan Milošević e una completa indagine sull’assassinio di Đinđić “i cui esecutori sono dietro le sbarre ma i cui mandanti ancora in libertà”.
Secondo questi deputati europei le recenti indiscrezioni secondo le quali l’ex capo dei servizi segreti di Milošević potrebbe essere rilasciato dal carcere se collaborasse con la procura che indaga sull'assassinio di Đinđić, sono una ragione in piu’ per preoccuparsi che gli interessi particolari del regime Milošević potrebbero fermare o rallentare le riforme dell’attuale governo in Serbia. Gli eurodeputati ritengono che queste misure avrebbero delle conseguenze importanti per tentare di eliminare i difetti pericolosi del sistema dei servizi segreti in Serbia che ancora persistono, come i collegamenti e le collusioni con la criminalita’ organizzata. Infine, sarebbero un test definitivo per valutare l’indipendenza e l'efficacenza della giustizia serba.

Il testo è tratto dalla trascrizione della corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda il 30 gennaio a Radio Radicale.

PASSAGGIO IN ONDA

E' on-line la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda il 30 gennaio 2014.
La trasmissione e' ascoltabile direttamente qui oppure sul sito di Radio Radicale.



Sommario della trasmissione


Albania: continua a far discutere il progetto di una centrale idroelettrica in Macedonia che danneggerebbe analoghi impianti albanesi; polemiche per la decisione del governo di Edi Rama di affidarsi a consulenti privati internazionali per aumentare gli introiti delle casse statali; la visita del presidente del gruppo socialista al Parlamento europeo Hannes Swoboda.

Serbia: il presidente Tomislav Nikolic ha sciolto il parlamento e ha convocato le elezioni anticipate per il 16 marzo; alcuni parlamentari europei chiedono che i negoziati di adesione all'UE chiariscano i retroscena dell'omicidio del premier democratico Zoran Djindjic avvenuto indici anni fa.

Kosovo: nulla di fatto sulla giustizia nel nuovo colloquio tra il premier serbo Ivica Dacic e quello kosovaro Hashim Thaci; migliorara la situazione della sicurezza nel 2013 dopo l'accordo con la Serbia, ma non nel nord; fa discutere il clamoroso arresto di Oliver Ivanovic, già rappresentante a Belgrado per il Kosovo, e leader del SDP.

Croazia: dopo l'entrata in vigore della nuova legge sul mandato di cattura europeo è stato arrestato ed estradato in Germania l'ex capo dei servizi segreti Josip Perkovic.

Turchia: le visite del presidente turco Abdullah Gul in Italia e del presidente francese François Hollande in Turchia.

La trasmissione, con le corrispondenze di Marina Szikora e Artur Nura, è ascoltabile direttamente qui

mercoledì 29 gennaio 2014

NAZIF MUJIC, L'"ORSO D'ARGENTO" CHE LA GERMANIA NON VUOLE PIU'

Nazif Mujic ai bei tempi del Festival di Berlino
Essere stato premiato al festival di Berlino non è sufficiente per ottenere asilo ed evitare l'espulsione dalla Germania. Questo, almeno, è quanto sta accadendo a Nazif Mujic che l'anno scorso aveva conquistato il Festival del cinema vincendo l'Orso d'argento per la sua partecipazione al film del regista Danis Tanovic “An Episode in the Life of an Iron Picker”. Nonostante quel successo, Mujic oggi vive con la sua famiglia, la moglie e i tre figli, in un un centro per richiedenti asilo a Berlino.
Un anno fa Mujic era stato celebrato come una star al ritorno al suo villaggio, ma le luci della ribalta si sono spente e con esse anche la speranza di diventare un attore professionista. Nessuno gli ha più offerto ruoli e, ironia della sorte, è stato costretto per sopravvivere a ripiegare su lavori umili come quelli raccontati nel film nel quale interpreta sé stesso e le vicende della sua famiglia. Mujic si è detto disposto anche a restituire il premio, pur di potere restare in Germania: “Sono venuto a Berlino per vivere una vita normale. In Bosnia Erzegovina sono stato tradito, poiché si credeva che avessi parecchi soldi”.
Le autorità tedesche hanno fino ad ora rifiutato la sua domanda e così, se non ci saranno ripensamenti, tra meno di un mese, Nazif Mujic sarà costretto a tornarsene in Bosnia Erzegovina con il suo Orso che non vale più niente.

lunedì 27 gennaio 2014

27 GENNAIO: LA MEMORIA COME GARANZIA DI LIBERTA'

"Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario"
Primo Levi



Oggi si celebra il Giorno della Memoria. La data è quella in cui, nel 1945, le avanguardie dell'Armata Rossa entrarono ad Auschwitz. Oggi si ricorda lo sterminio di milioni di ebrei nei campi di sterminio nazisti. E insieme a loro gli slavi, i rom e sinti, i prigionieri di guerra, i dissidenti politici, i portatori di handicap, gli omosessuali e tutti quelli che furono giudicati non meritevoli di vivere perché ritenuti "subumani", "inferiori" o comunque “indesiderabili”. La Shoah è una pagina abominevole della storia dell'umanità. Non l'unica, purtroppo, ma unica nel modo con cui l'annientamento fu teorizzato, pianificato, organizzato e realizzato dal Nazismo e dai suoi alleati: il culmine di una storia secolare di persecuzioni, pregiudizi e discrimazioni.

"La shoah - scrive Riccardo Di Segni, rabbino capo Comunità ebraica di Roma, sul Tempo di oggi - è stata l’epilogo violento di una storia di millenni di ostilità, nella quale sono confluite contro il popolo ebraico motivazioni religiose, psicologiche, economiche, nazionalistiche, razziali. Siamo tutti testimoni del fatto che l’ostilità antiebraica non si è esaurita certo con la shoà. Continua in questo Paese oggi e si esprime in tante forme". Per questo, continua Di Segni, "è necessario che la società vigili e ricordi, che denunci, che non ceda, che non minimizzi, che non assolva e che non si autoassolva. Ma non c'è bisogno di essere ebreo per essere oggetto di ostilità e di odio. Basta essere in qualche modo solo un po’ diverso [...] La società più civile può scoprirsi all’improvviso crudele, inospitale, aggressiva, può avere leggi democraticissime e protettive ma allo stesso tempo negare i benefici a chi è considerato diverso. Sono perfettamente convinto della unicità della shoà, ma l’insegnamento che ne deriva non riguarda gli ebrei come vittime e una società scomparsa 70 anni fa, è un discorso attuale in una società che cambia e che si fa fatica e seguire nelle sue evoluzioni tumultuose e nei germi anche micidiali che può covare al suo interno".

Per celebrare il "Giorno della Memoria" riporto qui di seguito alcuni passi dell'intervento pronunciato da Claudio Magris al Quirinale in occasione della celebrazione del 27 gennaio 2009.  
“Siamo qui, oggi, per ricordare la Shoah tramite uno dei più grandi valori trasmessi dalla civiltà ebraica, la Memoria. Essa non è il passato, bensì l'eterno presente di tutto ciò che ha senso e valore: l'amore, la preghiera, l'amicizia, la sofferenza, la felicità. Tutto ciò che ha senso «fa parte della storia del cosmo», per citare un passo di Singer; ciò che è soltanto funzionale sparisce nell'oblio, appena esaurita la sua funzione, ma tutte le cose essenziali sono nell'eternità del loro presente. Shakespeare è, non era, un poeta.

Memoria significa pure rapporto con la propria identità e consapevolezza - ma non stolta e feroce idolatria - di quest'ultima. La memoria è anche una garanzia di libertà; non a caso le dittature cercano di cancellare la memoria storica, di alterarla o distruggerla del tutto. Le tirannidi la deformano, i nazionalismi la falsificano e la violentano, il totalitarismo soft di tanti mezzi di comunicazione la cancella, con una insidiosa violenza che scava paurosi abissi fra le generazioni.


La memoria ebraica può parlare a nome di tutte le vittime del mondo e della storia. La memoria guarda avanti; si porta con sé il passato, ma per salvarlo, come si raccolgono i feriti e i caduti rimasti indietro, per portarlo in quella patria, in quella casa natale che ognuno, dice Bloch, il filosofo dell'utopia e della speranza che nutrì il suo pensiero sociale e rivoluzionario con lo spirito dei Profeti biblici, crede nella sua nostalgia di vedere nell'infanzia e che si trova invece in un futuro liberato, alla fine del viaggio".

venerdì 24 gennaio 2014

RIUSCIRA' LA SERBIA A ENTRARE NELL'UE NEL 2020?

Martedì 21 gennaio, con la conferenza intergovernativa a Bruxelles, sono iniziati ufficialmente i negoziati per l'adesione della Serbia all'Unione Europea. Si tratta indubbiamente di un risultato estremamente importante per un Paese che 14 anni fa, di questi tempi, fa era alla vigilia dell'enesimo conflitto (quello per il Kosovo) in cui lo aveva trascinato lungo tutti gli anni Novanta il regime nazionalista e autoritario di Slobodan Milosevic. Ed è singolare e significativo che a conquistare questo traguardo siano stati proprio dei personaggi politici che si sono compromessi con quel regime, come l'attuale presidente Tomislav Nikolic e l'attuale premier Ivica Dacic. 
Dacic, nelle sue dichiarazioni, ha detto che la Serbia punta a diventare il 29 Paese membro dell'UE: l'obiettivo è quello di chiudere i negoziati entro il 2018 per poi perfezionare l'ingresso formale nel 2020. Obiettivo ambizioso che si scontra con la realtà di un processo che si preannuncia assai complicato e quindi presumibilmente più lungo di quanto indicato dal premier serbo. I problemi sul tappeto sono tanti e di non poco conto a cominciare da quello dello status del Kosovo. 
A questo proposito ecco qui l'interessante post di Davide Denti pubblicato su Eastjournal.net, che abbiamo citato nella puntata di Passaggio a Sud Est di ieri. 
Tanti auguri alla Serbia e buona lettura.
 
Serbia: iniziano i negoziati adesione. Nell'UE entro il 2020?
di Davide Denti - da Eastjournal.net
“Oggi è l’inizio di capitolo interamente nuovo nelle relazioni UE-Serbia, ed un successo significativo, – ha commentato il presidente della Commissione europea José Manuel Barroso. – Elogio la Serbia per le sue riforme, sforzi e progressi compiuti negli scorsi anni. I cittadini serbi hanno forti aspirazioni europee, e noi continueremo a sostenere la Serbia affinché continui a fare progressi, passo a passo, nel suo cammino europeo.”
“E’ un giorno storico per la Serbia”, ha dichiarato il primo ministro Ivica Dačić. “Probabilmente è il più importante dalla seconda guerra mondiale”, ha aggiunto il vicepremier Aleksandar Vučić. Dopo anni di ritardo, dovuto alle reticenze della leadership di Belgrado a collaborare con il tribunale dell’Aja e a normalizzare i propri rapporti con il Kosovo, la Serbia si avvia quindi nell’ultima fase del suo cammino di integrazione europea. La fase forse più complessa, e che prenderà ancora diversi anni, durante la quale Belgrado dovrà introdurre sostanziali riforme per portare la propria legislazione in linea con gli standard europei (l’acquis comunitario). Ma Belgrado punta in alto.

Nell’UE entro il 2020? La scommessa di Dačić

“Sono sicuro che la Serbia sarà il prossimo Stato membro”: entrare nell’UE entro il 2020 è l’obiettivo dichiarato del primo ministro serbo Ivica Dačić.  Il governo di Belgrado vorrebbe concludere i negoziati entro il 2018, così da incassare le ratifiche dei 28 stati membri in un paio d’anni e sedere da pari ai tavoli di Bruxelles entro il 2020.
Una previsione che appare azzardata: ci sono voluti otto anni alla Croazia per “entrare in Europa”, dal 2005 al 2013, difficile che Belgrado (che si trova davanti anche lo scoglio del Kosovo) possa mettercene la metà. Di certo la Serbia punta a diventare il nuovo pupillo di Bruxelles nei Balcani e riconquistare un ruolo di leader regionale anche per quanto riguarda il processo d’integrazione europea. Non dovrebbe esserle difficile, viste le secche in cui si trovano oggi la Macedonia, il Montenegro, o l’Albania, per non parlare della Bosnia.
Inoltre i partiti di governo a Belgrado, progressisti (SNS) e socialisti (SPS), ci hanno messo la faccia nel puntare verso Bruxelles, ed è probabile che vogliano far valere i risultati ottenuti “in Europa” nella campagna elettorale che si aprirà a breve in Serbia in vista delle elezioni anticipate, non ancora confermate ma da molti previste per il 16 marzo. Per non perdere una preziosa occasione di visibilità il presidente della repubblica serba e capo del partito progressista Tomislav Nikolić, che non era presente a Bruxelles con Dačić e Vučić, ha fatto diffondere un video con lo slogan “Un presidente responsabile, cittadini soddisfatti, Serbia di successo”, in cui si rimarca il suo contributo alla lotta a crimine e corruzione, all’accordo fra Belgrado e Pristina e all’affermazione della pace e della stabilità nella regione. Il video si chiude con il messaggio “Insieme fino alla piena adesione all’Ue – il presidente serbo Tomislav Nikolić.”
Infine,  la data non sembra scelta a caso: nel 2020 si conclude il ciclo budgetario settennale UE appena iniziato, se la Serbia per allora fosse stato membro potrebbe sedere al tavolo della negoziazione budgetaria e garantirsi in anticipo la sua fetta di fondi strutturali. Ma sarà ben difficile che l’orizzonte UE 2020 si concretizzi per Belgrado: una data più realistica potrebbe essere il 2022-2025, con otto anni di negoziati e due-tre di ratifiche, dando per scontata la non ovvia risoluzione della questione dello status del Kosovo.

Quando il gioco si fa duro…

Dopo lo storico accordo Dačić-Thaçi sulla normalizzazione delle relazioni con il Kosovo, e dopo i tentennamenti del Consiglio UE di giugno 2013, oltre che dopo la telenovela dell’accordo di associazione Serbia-UE (entrato in vigore a settembre, a cinque anni dalla firma, per via di una birreria contesa con la Lituania) la Serbia si avvia così nell’ultima parte del suo percorso di avvicinamento all’Unione Europea. L’apertura dei negoziati conferma la prospettiva europea della Serbia e l’accelerazione impressa dall’amministrazione conservatrice Nikolić-Dačić alle relazioni con Bruxelles.
I negoziati si apriranno con alcuni dei capitoli più controversi, come il capitolo 23 su Magistratura e diritti fondamentali e il 24 su Giustizia, libertà e sicurezza: quei capitoli che, come appreso dalla Commissione nell’esperienza della Croazia, sono particolarmente di rilievo per i paesi dei Balcani occidentali. Meglio iniziare a lavorarci il prima possibile quindi, sapendo che servirà prendersi tutto il tempo necessario per verificare l’introduzione e la messa in atto di profonde riforme: è il nuovo approccio di Bruxelles, che precedentemente preferiva carburare con i capitoli meno problematici (nel caso del Montenegro, che ha anch’esso appena aperto i negoziati sui capitoli 23 e 24, la Commissione aveva iniziato un anno fa con i capitoli su scienza, ricerca, educazione e cultura). “Sarà un esercizio impegnativo ma equo e obiettivo”, ha assicurato il Commissario UE all’allargamento Štefan Füle, “che non si limiterà a ‘barrare le caselle’ ma andrà a verificare l’effettiva messa in pratica delle riforme”.
I capitoli su giustizia e diritti, assieme a quelli su ambiente, agricoltura e controlli finanziari, erano già stati individuati dalla Commissione europea nel suo screening iniziale come i più impegnativi per la Serbia, che dovrà allinearli all’acquis legislativo europeo. Belgrado dovrà introdurre riforme profonde del suo sistema giudiziario, inclusa la lotta alla corruzione e al crimine organizzato, e la protezione dei diritti umani (i casi contro la Serbia presso la Corte europea dei diritti umani danno una casistica delle questioni aperte), inclusa una significativa protezione della libertà d’espressione delle minoranze (è il caso del Gay Pride di Belgrado, che da anni non può tenersi per le minacce e violenze degli ultranazionalisti). Dovranno anche terminare i casi di intimidazione dei giornalisti, serbi e stranieri, di cui ha recentemente fatto esperienza Lily Lynch del portale Balkanist. 

Il nodo Kosovo

L’avvio dei negoziati d’adesione è la ricompensa attesa e meritata che Belgrado incassa per il suo impegno nel dialogo bilaterale con il Kosovo e per aver adempiuto a tutte le altre condizioni, inclusa la piena cooperazione con il tribunale penale internazionale dell’Aja per i crimini commessi nell’ex Jugoslavia. Se Bruxelles avesse mancato di ricompensare la Serbia, dopo già sei mesi di ritardo rispetto alla prima occasione disponibile per farlo, avrebbe inviato a Belgrado il messaggio che gli stati membri UE non sono seri nel loro approccio e coerenti con le proprie promesse, mandando all’aria il funzionamento della strategia di condizionalità applicata dall’Ue.
I negoziati d’adesione della Serbia e la normalizzazione delle relazioni tra Serbia e Kosovo procederanno in parallelo  rinforzandosi a vicenda. Da parte sua, il Kosovo sta negoziando con l’Ue un accordo d’associazione e stabilizzazione che possa portare anche alla liberalizzazione del regime dei visti. La Commissione europea continuerà a verificare la messa in atto degli accordi dell’aprile 2013 sulla normalizzazione delle relazioni durante il processo negoziale, così come la messa in atto dell’accordo d’associazione Ue-Serbia e l’impegno di Belgrado nella cooperazione regionale. D’altronde le sfide non mancano, come hanno dimostrato le dimissioni prima ancora di assumere l’incarico del tanto anelato sindaco serbo di Mitrovica Nord, Krstimir Pantić, definite irrilevanti dal ministro serbo per Kosovo e Metohija, Aleksandar Vulin, ma che costringeranno ad un nuovo turno elettorale a Mitrovica e che ritarderanno la costituzione della Comunità dei comuni serbi del Kosovo prevista dall’accordo. E presto si porrà anche la questione della partecipazione al voto dei serbi del Kosovo  alle legislative serbe.

giovedì 23 gennaio 2014

L'UNIONE EUROPEA HA APERTO UFFICIALMENTE I NEGOZIATI DI ADESIONE DELLA SERBIA

Bruxelles, 21 gennaio 2014: il premier serbo Ivica Dacic
e il presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy
Di Marina Szikora
Martedi' alla coferenza intergovernativa, una cerimonia solenne svoltasi presso il Consiglio europeo a Bruxelles, per la Serbia si sono aperti formalmente i negoziati di adesione all'Ue. In questa occasione l'Ue e' stata rappresentata dal ministro degli esteri greco Evangelos Venizelos, a nome dell'attuale presidenza greca e dal commissario all'allargamento Ue, Stefan Fuele, mentre a nome della Serbia vi hanno partecipato il presidente del governo serbo, Ivica Dačić e il suo vice, Aleksandar Vučić. Secondo i media serbi, la presenza dei ministri di altri paesi dell'Ue non e' stata una usanza consueta. Vi hanno partecipato anche i capi di diplomazia dell'Austria Sebastian Kurz, della Croazia Vesna Pusić, della Romania, Titus Korleatean. In piu' il segretario di stato per le questioni europeee ungherese Eniko Gyuri, il ministro tedesco Michael Rod e il ministro francese per le questioni europee Tieri Repanten.

Secondo la ministra croata Vesna Pusić la Serbia e la Croazia hanno molti temi del passato che devono essere risolti ma questo e' un segnale sicuro che ci sono temi anche per il futuro. Cio' non significa che i temi del passato spariranno – al contrario, c'e' molto lavoro da fare e ci sono molte questioni difficili, ma dall'altra parte vi e' anche un impegno chiaro per il futuro, ha detto Vesna Pusić. Ha aggiunto che ogni processo e' specifico e ogni adesione e' individuale, ma e' importante che il processo e' iniziato. Cio' e' importante per la Serbia ma anche per l'intera regione. Pusić ha rilevato che davanti alla Serbia vi e' un periodo difficile ma anche molto importante e dall'esperienza croata e' chiaro che il processo di adesione e' ugualmente importante cosi' come la stessa membership. Il processo di adesione significa costruire lo stato secondo criteri molto specifici, attraverso le riforme, il paese si stabilizza e normalizza, ha concluso la ministro degli esteri croata Vesna Pusić.

Secondo il protocollo, alla conferenza che si e' svolta ai margini della riunione del Consiglio degli affari esteri dell'Ue, e' stata presentata la cornice dei negoziati dell'Ue e subito dopo la piattaforma negoziale della Serbia. La cornice dei negoziati ha tre parti: i principi base del processo negoziale, i contenuti dei negoziati e la procedura negoziale. 35 i capitoli di negoziati di cui maggiore attenzione ha destato l’ultimo capitolo cioe’ quello relativo alla normalizzazione delle relazioni tra Belgrado e Priština. E’ previsto anche che prima dell’ingresso della Serbia nell’Ue, Belgrado e Priština firmino un accordo giuridicamente vincolante il che secondo le interpretazioni dei diplomatici europei, scrive il quotidiano serbo ‘Blic’, non significa una richiesta di riconoscere formalmente l’indipendenza del Kosovo bensi’ una garanzia che il processo di normalizzazione avra’ un carattere permanente. Secondo le regole stabilite precedentemente, tra i primi saranno aperti i capitoli relativi alla giustizia, polizia e salvaguardia dei diritti fondamentali mentre nel caso  concreto della Serbia lo stesso trattamento avra’ il capitolo 35, quello sulle relazioni con il Kosovo.

Tutto sommato, i documenti dell’Ue consegnati alla Serbia rilevano che l’obiettivo dei negoziati di adesione e’ l’ingresso della Serbia nell’Ue ma questo obiettivo dipendera’ soltanto dai risultati che la Serbia riuscira’ a raggiungere nell’adattamento agli standard europei e in base alla normalizzazione delle relazioni con il Kosovo. La Serbia dovra’ dedicare particolare attenzione allo stato di diritto, vale a dire alla riforma della giustizia e lotta contro la corruzione e criminalita’ organizzat noche’ alla riforma dell’amministrazione statale, liberta’ dei media e diritti di minoranze. Tra le priorita’ ci sono anche il rafforzamento dell’economia e il miglioramento del clima imprenditoriale.

E’ chiaro che in questi giorni i media in Serbia trattano il processo di adesione all’Ue con particolare attenzione. Il quotidiano ‘Blic’ ha fatto una specie di analisi del processo negoziale di una volta e quello odierno. Rileva che i negoziati di adesione sono un processo che dura diversi anni e che con il tempo e’ diventato sempre piu’ complesso: una volta non consisteva di misure e i paesi candidati conducevano i negoziati come gruppo, quale i paesi dell’Est che hanno aderito nel 2004. La Slovacchia ad esempio, nel primo anno di negoziati, precisa ‘Blic’ ha aperto la meta’ dei capitoli, quelli piu’ facili, mentre la Serbia dovra’ iniziare con i capitoli piu’ difficili, come quelli relativi alla giustizia, riforme giudiziarie, stato di diritto e sicurezza. Dopo l’esperienza con la Bulgaria e Romania che non hanno adempiuto pienamente gli standard, l’Ue nel 2011 ha stabilito un nuovo approccio dell’adesione che richiede l’apertura di questi capitoli all’inizio dei negoziati e la loro chiusura soltanto alla fine dell’intero processo.

Questo approccio e’ stato adoperato per la prima volta nel caso del Montenegro. I negoziati, prosegue il quotidiano serbo, sono adesso un processo lungo che richiede consistenti riforme e investimenti che dipendono dalla prontezza e dall’adattamento del paese con l’Ue ed il suo acquis communitaires. In questo processo, non raramente, ci sono ostacoli di contenziosi bilaterali del paese candidato con qualcuno degli Stati membri. Nel caso della Croazia, ricorda ‘Blic’ i negoziati sono durati sei anni e in una fase l’apertura dei negoziati e’ stata bloccata dalla Slovenia a causa del contenzioso sul confine.

Il testo è tratto dalla trascrizione della corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi a Radio Radicale

SERBIA: NESSUN CAMBIAMENTO NEL PARTITO DEMOCRATICO, ĐILAS RESTA PRESIDENTE

L'ex presidente Boris Tadic
Di Marina Szikora
La tanto attesa riunione del consiglio generale del maggiore partito di opposizione in Serbia, il Partito Democratico, ex partito di govero, ha approvato a maggioranza il rapporto del suo attuale presidente Dragan Đilas. Nessun cambiamento, quindi, almeno allo stato attuale per quanto riguarda la leadership di questo partito che secondo speculazioni mediatiche e diverse analisi politiche, sta vivendo una lotta politica interna, tra lo stesso Đilas e l'ex presidente della repubblica Boris Tadić, attualmente presidente onorario del Partito Democratico. Al termine del consiglio generale, nel suo intervento, Tadić si e' detto dispiaciuto perche' non sono stati votati cambiamenti politici e ha sottolineato che senza dubbio una grande percentuale dei membri e simpatizzanti di questo partito vogliono i cambiamenti. Il Partito Democratico ha dimostrato di poter reggere anche una cosi' difficile discussione, ha detto Tadić ai giornalisti, aggiungendo che ogni altro partito, a seguito di tali discussioni sarebbe caduto in ginocchio. Secondo le sue parole, il maggiore problema per la Serbia e' che il Partito Democratico non fa parte del governo e per Tadić cio' signiffica “che lo stato non e' in mani sicure”. L'ex capo dello Stato ha detto di accettare le critiche che nel passato sono stati commessi degli errori, ma non accetta l'accusa che non e' stato fatto nulla. Ha rilevato che i governi del Partito Democratico hanno portato la pace nel Paese, stabilito la democrazia e il consenso nazionale sull'integrazione europea. Alla domanda cosa fara' nel futuro, Tadić ha risposto che continuera' a lavorare con la gente con la quale ha partecipato alla riunione del consiglio generale. Ha assicurato che non rinuncera' a queste persone e che appoggera' tutti quelli che hanno votato per i cambiamenti da lui proposti: “Rimango fedele al Partito Democratico e aiutero' i suoi membri in qualsiasi occasione”, ha concluso Boris Tadić.

Delle vicende del Partito Democratico in Serbia hanno riferito anche i media in Croazia. Cosi' la radio televisione statale croata informa che a Novi Sad, capoluogo della Voivodina, regione multinazionale della Serbia dove si e' svolta la riunione del DS, il presidente onorario Boris Tadić ha chiesto ai membri del consiglio generale del partito di respingere il rapporto dell'attuale presidente Dragan Đilas. Tadić che si e' detto pronto a riprendere la guida del DS ha avvertito che se Đilas rimarra' a capo del partito tra tre o sei mesi cadra' anche il governo di Vojvodina. Va precisato che il Partito Democratico e' attualmente al governo della Vojvodina, guidato dal vicepresidente del DS Bojan Pajtić. Il Partito Democratico ha iniziato a perdere le sue posizioni nel parlamento nazionale e nei parlamenti delle singole citta', ricordano i media croati, con la sconfitta di Boris Tadić alle elezioni presidenziali nel 2012, quando la guida del paese e' passata al Partito Serbo del Progresso di Tomislav Nikolić, attuale capo dello Stato, e di Aleksandar Vučić, attuale vicepremier e ministro degli Esteri. Dopo la sonfitta, Tadić ha lasciato l'incarico di presidente del DS ed e' stato sostituito da Dragan Đilas, allora sindaco di Belgrado. Tutto questo ha avuto come conseguenza il crollo della popolarita' del DS, mentre recentemente Đilas ha perso il suo incarico di sindaco della capitale, una ragione questa che ha condotto una parte dei membri del Partito Democratico a chiedere le sue dimissioni e il ritorno di Boris Tadić alla guida del partito.

Il testo è tratto dalla trascrizione della corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi a Radio Radicale

"QUI TIRANA": LA CORRISPONDENZA DI ARTUR NURA

Gli argomenti della corrispondenza di Artur Nura per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi a Radio Radicale.

La polemica tra Albania e Macedonia a proposito della possibile costruzione di un impianto idroelettrico che  intercetterebbe l'acqua di fiumi che alimentano alcune centrali albanesi. Le autorità di Skopje però smentiscono e parlano di una semplice proposta frutto della campagna elettorale per le presidenziali di marzo.

Il governo di centro-sinistra del premier socialista Edi Rama ha commemorato i morti del 21 gennaio 2011 durante le manifestazioni di piazza a Tirana contro l'allora governo di centro-destra di Sali Berisha.

In Kosovo le forze politiche si confrontano sull'ipotesi di elezioni politiche anticipate.

Si tiene oggi a Tirana un convegno sulla letteratura migrante albanese in lingua italiana.

PASSAGGIO IN ONDA

E' on-line la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda il 23 gennaio 2014.
La trasmissione e' ascoltabile direttamente qui oppure sul sito di Radio Radicale.



Sommario della trasmissione


Serbia: aperti ufficialmente a Bruxelles i negoziati di adesione all'UE; il premier Dacic punta all'ingresso nel 2020 ma i problemi da risolvere non sono pochi né semplici a cominciare dallo status del Kosovo.
Albania: le polemiche sul presunto progetto della Macedonia di una centrale idroelettrica che metterebbe in crisi i fiumi che alimentano le centrali albanesi; l'attuale governo di centro-sinistra ha commemorato i morti negli scontri di piazza del 21 gennaio 2011 durante le proteste contro l'allora governo di centro-destra; la visita del premier della Croazia Zoran Milanovic; a Tirana un convegno sulla letteratura migrante in lingua italiana.
Montenegro: il Regno Unito sostiene il processo di integrazione europea che procede dopo l'apertura di cinque nuovi dossier; intanto si susseguono minacce e violenze contro i giornalisti scomodi per il potere.
Kosovo: le forze politiche si confrontano attorno alla possibilità di elezioni anticipate.
Turchia: nella sua prima visita a Bruxelles dopo 5 anni, il premier Recep Tayyip Erdogan non attenua del tutto le preoccupazioni dell'UE per il progetto del governo di mettere sotto controllo la magistratura.

La puntata, realizzata con la collaborazione di Marina Szikora e Artur Nura, è ascoltabile direttamente qui



giovedì 16 gennaio 2014

SERBIA: LA SITUAZIONE POLITICA INTERNA SECONDO L'ECONOMIST

di Marina Szikora
L'autorevole settimanale bitannico The Economist si è occupato in questi giorni della situazione politica interna in Serbia. Secondo questo giornale i politici serbi lottano uno contro l’altro invece di celebrare l’inizio dei negoziati di adesione all’Ue. L’Economist afferma che perfino Shakespeare, se fosse vivo, potrebbe trarre ispirazione per le sue opere poiche’ i vecchi nemici si stringono la mano, gli ex amici puntano il coltello nelle spalle l’uno all’altro, creano partenariati politici innaturali e le carceri aspettano coloro che finora godevano massimo profitto. Il giornale britannico aggiunge che i due maggiori partiti si trovano di fronte ad importanti riunioni che decideranno il corso politico di quest’anno e porteranno a termine le speculazioni sulle possibili elezioni anticipate. “Al massimo livello politico e’ in corso una guerra virtuale” afferma l'Economist e rileva che nelle notizie quotidiane domina la questione delle elezioni anticipate.

Il giornale britannico precisa che alle precedenti elezioni politiche del 2012 ha vinto il Partito serbo del progresso guidato da Tomislav Nikolić, attuale capo dello Stato, il quale nonostante lo abbia smentito, e’ coinvolto nel conflitto con il primo vicepresidente del governo e nuovo leader di questo partito, Aleksandar Vučić. Vučić vuole riforme veloci ed e’ intenzionato alla prossima conferenza del partito indetta per il 25 gennaio “ripulire” il Partito serbo del progresso dai sostenitori di Nikolić sperando allora di poter vincere alle prossime elezioni parlamentari e inserire i suoi fedeli agli incarichi governativi, scrive l’Economist e aggiunge che uno degli obbiettivi di Vučić e’ quello di occuparsi delle compagnie sovvenzionate dallo stato che sono appesantite dai debiti e perdite e in molti casi servono in quanto sostituti per la tutela sociale di oltre 60.000 lavoratori.

Il problema e’ che a causa dello stallo economico sono venuti a mancare i soldi per finanziare queste compagnie stagnanti. Molte di queste non sono guidate dai membri del Partito serbo del progresso bensi’ dai membri del Partito democratico, al governo fino al 2012, oppure dai membri del Partito socialista dell’attuale premier Ivica Dačić che nel governo precedente era in coalizione con il Partito democratico ed è poi passato nella coalizione con il Partito serbo del progresso il che ha reso possibile a Dačić di diventare premier.

Secondo l’Economist, Dačić sarebbe contro le elezioni parlamentari anticipate poiche’ quasi sicuramente l’incarico di premier lo dovrebbe cedere ad Aleksandar Vučić. Quanto al Partito Democratico, che terra’ il suo congresso il prossimo 18 gennaio, si afferma che anch’esso vuolo evitare elezioni anticipate dopo essere stato fortemente sconfitto alle elezioni locali in tre comuni svoltesi lo scorso dicembre. Per l’attuale lider del Partito Democratico, Dragan Đilas si dice che sta lottando contro i tentativi dell’ex presidente Boris Tadić di tornare a guidare il partito. Si aggiunge anche che 57 membri di questo ex partito governativo sono stati arrestati perche’ sospettati di corruzione mentre il partito era a guida dell’esecutivo.

Aumenta l’euroscetticismo in Serbia?
Intanto, secondo il recentissimo sondaggio dell’Eurobarometro, la Serbia rispetto agli inizi del 2013 sarebbe meno incline verso l’Unione Europea. Seppure il 36 per cento dei cittadini serbi ritengano ancora che l’adesione del loro paese all’UE sarebbe una buona cosa, il 25 per cento e’ contrario mentre tutto il resto degli intervistati e’ indeciso oppure non ha voluto rispondere alla domanda.
Con questi risultati, scrive il quotidiano di Belgrado ‘Blic’, la Serbia e’ tra i paesi candidati uno dei maggiormente scettici. L’unico paese candidato ancora piu’ scettico risulta essere l’Islanda che l’anno scorso ha sospeso i negoziati di adesione. Sempre secondo il sondaggio dell’Eurobarometro, i cittadini della Serbia, rispetto a quelli dell’UE, credono meno alla stampa ed ai media elettronici, al potere locale e al Parlamento, ma di piu’al governo e ad Internet. Quando si tratta dei media, il maggior numero dei cittadini della Serbia, il 46 per cento, ha fiducia nella televisione, il 30 nel governo, il 21 nel Parlamento, il 18 nelle istituzioni locali e solo l’11 per cento si fida ancora dei partiti politici.

Il testo è tratto dalla trascrizione della corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda il 16 gennaio a Radio Radicale

LA CROAZIA ALLA RICERCA DI PARTNERSHIP ECONOMICHE DALLA GERMANIA ALL'EUROPA

Di Marina Szikora
Martedi’ a Berlino si e’ svolto il primo Forum croato-tedesco organizzato dai ministeri degli Esteri tedesco e croato, nel corso del quale i rappresentanti economici e politici hanno esaminato la possibilita’ di ulteriore collaborazione tra la Germania e la Croazia ma anche all’interno dell’Europa. In questa occasione, i capi delle due diplomazie, Vesna Pusić e Frank-Walter Steinmeier, hanno salutato l’istituzione di questo forum e dopo la prima visita ufficiale a Berlino della ministro croata hanno concluso che le relazioni tra i due paesi sono buone rilevando inoltre che i processi giuridici relativi al caso Josip Perković non metteranno a repentaglio le buone relazioni bilaterali.

I due ministri hanno parlato anche del processo di eurointegrazione della regione dei Balcani Occidentali. “La stabilita’ nei Balcani Occidentali e’ stata e rimarra’ la nostra priorita’. Questo e’ sostenibile e su questo io e la mia collega siamo d’accordo, soltanto se a questi paesi senza eccezione viene offerta una prospettiva europea”, ha sottolineato il ministro tedesco Steinemeier. I due capi di diplomazia hanno annunciato che della questione Bosnia ed Erzegovina, dove “le cose non si svolgono come previsto” discuteranno con i colleghi a Bruxelles. Vesna Pusić ha precisato che si e’ parlato a lungo della Bosnia Erzegovina la quale e’ importante per la stabilita’ dell’Europa sudorientale ma anche dell’Europa in generale. Per la Bosnia e l’intera regione “e’ meglio piu’ Europa che meno Europa” ha concluso Pusić.

Intanto, in Croazia è entrata in vigore la nuova legge sugli investimenti nei settori di importanza strategica. Questa settimana nella sede del governo si e’ svolta la conferenza costitutiva della commissione per la valutazione e realizzazione delle proposte di progetti strategici del Governo croato. Secondo il vicepremier croato e ministro dello Sviluppo regionale e dei Fondi europei, Branko Grčić l’applicazione della nuova legge sugli investimenti strategici ridurra’ il loro tempo di realizzazione di diversi mesi e nel caso di alcuni esempi anche di un anno. Secondo il ministro dell’Economia Ivan Vrdoljak, la nuova Legge sui progetti di investimento di importanza strategica rende possibile sanzionare i funzionari statali responsabili del blocco degli investimenti. Il ministro ha aggiunto che lo stato sara’ la vela e non un peso agli investimenti come lo e’ stato invece negli anni passati. Ha indicato che di 11 progetti presentati a diverse riunioni, sei sono in realizzazione.

Purtroppo, ha detto Vrdoljak, la preparazione dei progetti con la necessaria documentazione e l’intera cornice legislative dura piu’ a lungo di quanto lo si possa prevedere poiche’ l’attuale esecutivo ha trovato una situazione del tutto impreparata e si e’ dovuto perdere molto tempo per passare alla fase della firma di contratti e la loro realizzazione. Va precisato che lo scorso 30 ottobre in Croazia e’ stata emanata questa nuova legge sugli investimenti. In base alle disposizioni della Legge, i progetti strategici della Croazia possono essere privati, pubblici o pubblico-privati nei settori dell’economia, energia, turismo, trasporti, comunicazioni elettroniche, tutela/protezione dell’ambiente, agricoltura, silvicoltura, pesca, economia idrica, sanita’, cultura, difesa, giustizia, tecnolgie e formazione.  Quanto al rapporto dell’Ue, pubblicato il 9 gennaio, il clima economico in Croazia e’ migliorato notevolmente superando la tendenza generale di un leggero miglioramento nell’Ue e nella zona europea.

Il testo è tratto della trascrizione della corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda il 16 gennaio a Radio Radicale

PASSAGGIO IN ONDA

E' on-line la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda il 16 gennaio 2014.
La trasmissione e' ascoltabile direttamente qui oppure sul sito di Radio Radicale.



Sommario della trasmissione


Serbia: l'aumento dell'euroscetticismo nell'anno dell'apertura dei negoziati di adesione all'UE e la situazione politica interna secondo l'analisi del settimanale britannico Economist.
Kosovo: si è svolta a Prizren la prima riunione congiunta tra il premier kosovaro Hashim Thaci e quello dell'Albania Edi Rama con richiami.
Macedonia: la visita del ministro degli esteri bulgaro a Skopje e le prospettive europee della repubblica ex jugoslava su cui continua a pesare il veto greco che impedisce l'apertura dei negoziati con Bruxelles.
Croazia: è entrata in vigore la nuova legge che intende favorire gli investimenti pubblici e privati nei settori strategici per lo sviluppo; il forum croato-tedesco a Berlino.
Turchia: il premier Recep Tayyip Erdogan denuncia un "complotto" contro il suo governo e accusa il predicatore Fetullah Gulen, suo ex sostenitore, di essere il mandante delle inchieste sulla corruzione che stanno terremotando il quadro politico; le preoccupazioni dell'UE per la nuova legge che vuole mettere sotto controllo i magistrati; la possibile evoluzione politica dei prossimi mesi.
L'apertura è dedicata all'Unione Europea: il semestre di presidenza della Grecia, l'inchiesta del Parlamento europeo sulla "troika" Ue-Bce-Fmi e sul suo operato in Grecia, Irlanda, Portogallo e Cipro e l'euroscetticismo montante in vista delle elezioni di maggio per il rinnovo del Parlamento europeo.

La trasmissione è stata realizzata con la collaborazione di Marina Szikora e Artur Nura ed è ascoltabile direttamente qui


mercoledì 15 gennaio 2014

TURCHIA: ERDOGAN DENUNCIA IL TENTATIVO DI GOLPE DI GULEN

Ma lo scandalo di queste settimane potrebbe favorire Gul

Il premier turco Recep Tayyip Erdogan è tornato in questi giorni a reagire allo scandalo di corruzione, che sta terremotando il suo governo e mettendo a rischio il quadro politico, affermando che dietro le inchieste si nasconde "il più ampio, pesante e immorale tentativo di colpo di stato". Pur senza nominarlo direttamente, il premier in diverse occasioni ha puntato il dito contro il predicatore islamico Fetullah Gulen, il suo ex sostenitore che da anni vive in esilio volontario negli Usa, di aver mascherato un tentativo di golpe con il maxi-scandalo scoppiato a metà dicembre. Erdogan ha anche invitato gli ambasciatori turchi a spiegare in modo chiaro ai governi dei Paesi dove si trovano “la vera faccia”, le “ambizioni e i desideri” e le “dimensioni del pericolo” di quello che ha definito “l'impero della paura” creato da Gulen con il suo movimento Hizmet, soprattutto nel settore giudiziario e nella polizia. Per Erdogan l'obiettivo non il governo o il suo partito, ma la Turchia stessa, i suoi interessi nazionali e i suoi 76 milioni di cittadini.

Il governo ha reagito alle inchieste che hanno coinvolto personalità e imprenditori vicini al premier (tra cui, secondo alcuni organi di stampa, ci sarebbe anche il figlio Bilal Erdogan) rimuovendo dall'incarico centinaia di dirigenti e di funzionari della polizia, fra cui i responsabili delle inchieste anti-corruzione, e trasferendo due magistrati titolari di due filoni dell'inchiesta. Erdogan ha inoltre presentato un disegno di legge in parlamento per porre il Consiglio supremo dei giudici e dei procuratori (il Csm turco) sotto l'autorità del ministro della giustizia. Una mossa definita incostituzionale dall'opposizione e che è finita anche nel mirino di Bruxelles. Dopo il primo incontro a Strasburgo, fra il commissario europeo all'Allargamento, Stefan Fuele, e il nuovo ministro degli Affari europei e capo negoziatore con l'UE, Mevlut Cavusoglu, la Commissione europea ha, infatti, annunciato che esaminerà la bozza del progetto e che comunicherà la sua opinione alle autorità di Ankara prima di un qualsiasi voto parlamentare.

Fuele ha anche precisato di attendersi che la Turchia “prenda tutte le misure necessarie per assicurare che le recenti accuse di corruzione siano affrontate senza discriminazioni o preferenze, in maniera trasparente e imparziale” e che “qualsiasi cambiamento del sistema giudiziario non deve mettere in discussione l'impegno della Turchia” a rispettare ai criteri richiesti dall'UE. Per altro, il premier turco, atteso a Bruxelles martedì 21 gennaio per un incontro con il presidente della Commissione, Jose' Manuel Barroso, si è detto disponibile a “congelare” il progetto di riforma se l'opposizione approverà una modifica della Costituzione che vada nello stesso senso. Kemal Kilicdaroglu, leader del CHP, il Partito repubblicano popolare fondato dal padre della Turchia moderna, Kemal Ataturk, e principale forza dell'opposizione, ha risposto che se ne può parlare a patto che sia garantito il principio di separazione dei poteri e preannunciato un ricorso alla Corte costituzionale. Intanto lo scontro parlamentare sul provvedimento è degenerato in una rissa con insulti, schiaffi, lanci di bottigliette d'acqua e perfino di un tablet.

A favore di una modifica costituzionale, si è espresso anche il presidente della repubblica, Abdullah Gul, compagno di partito di Erdogan. Ma più che un assist, quella di Gul sembra l'ennesima, felpata presa di distanza dal premier in vista delle presidenziali di agosto, alle quali l'attuale capo dello stato potrebbe candidarsi contro Erdogan che punta da tempo alla presidenza della repubblica. Stando a quanto scritto da Zaman (quotidiano che, per inciso, fa parte della galassia riconducibile all'organizzazione di Fetullah Gulen) non è escluso che il presidente possa rifiutarsi di controfirmare la legge sui giudici se sarà approvata. In effetti, come fanno notare alcuni analisti, Gul, rispettato dall'opposizione e non ostile a Gulen, potrebbe essere proprio il principale beneficiario dello scandalo che sta facendo tremare il quadro politico turco. Prima delle presidenziali di agosto ci sarà a marzo il test cruciale delle elezioni locali. A meno che Erdogan non decida di forzare la mano e provocare elezioni parlamentari anticipate, alle quali comunque non potrebbe candidarsi per un terzo mandato da premier. Comunque vada le prossime settimane non ci lasceranno senza notizie dalla Turchia.

lunedì 13 gennaio 2014

BOSNIA: LA REPUBLIKA SRPSKA CELEBRA LA SUA FONDAZIONE TRA LE ACCUSE

Cerimonia ufficiale dell'anniversario di fondazione della RS
Cartoline con le foto dei resti di civili croati e bosgnacchi uccisi durante la guerra di Bosnia ed esumati di recente dalla grande fossa comune di Tomasica, inviata ai dirigenti serbo-bosniaci. E sulle immagini la scritta: “Se celebrate la Giornata della Republika Srpska non dimenticate che queste sono le sue fondamenta”. E' la polemica iniziativa presa dalle associazioni che rappresentano le famiglie delle vittime del conflitto in occasione della celebrazione dei 22 anni di fondazione della RS, una delle due entità che formano la Bosnia Erzegovina in base agli accordi di pace di Dayton del 1995. Una celebrazione nel segno del rafforzamento delle aspirazioni di autonomia e indipendenza, sottolineate dal leader serbo-bosniaco Milorad Dodik, nel suo intervento a Banja Luka.

“E' nostra intenzione rafforzare la nostra indipendenza. Noi pensiamo che ciò sia legittimo, permesso e non contrario al diritto internazionale'', ha detto Dodik sottolineando che la RS “non vuole la destabilizzazione” della Bosnia e dell'intera regione: “Intendiamo cooperare con tutti, rispettiamo gli altri e quelli che sono diversi da noi, ma chiediamo anche noi di essere rispettati”, ha detto Dodik che ha ribadito l'interesse della Republika Srpska a integrarsi nell'Unione Europea e sembra aver accantonato l'idea di un referendum indipendentista più volte rilanciata negli scorsi anni. Assai probabile che dietro questo atteggiamento ci sia lo zampino di Belgrado, che alla vigilia dell'apertura dei negoziati di adesione all'UE non ha certo bisogno di aggiungere altri problemi a quelli già non indifferenti del Kosovo.

La Republika Srpska fu proclamata il 9 gennaio 1992 dal partito di Radovan Karadzic, il leader politico dei serbo-bosniaci sotto processo al Tribunale internazionale per l'ex Jugoslavia, dopo anni di latitanza, per genocidio, crimini di guerra e crimini contro l'umanità. L'entità fu poi riconosciuta dall'accordo di pace di Dayton che pose fine alla guerra e divise la Bosnia-Erzegovina in due entità - Republika Srpska, appunto, e Federazione croato-musulmana - e tre popoli costituenti. Ma proprio la tripartizione ad ogni livello istituzionale e amministrative, unita ai continui e ripetuti contrasti e veti incrociati fra serbi, croati e bosgnacchi hanno causato una situazione di stallo politico che da anni blocca il Paese, impedendo il varo delle riforme richieste da Bruxelles e quindi l'avanzamento del processo di integrazione europea. 

La cartolina inviata dalle associazioni delle vittime croate e bosgnacche ai dirigenti della RS

MONTENEGRO: IL RISCHIOSO LAVORO DEI GIORNALISTI SCOMODI

L'attentato alla sede del giornale Vijesti (Reuters)
Lo scorso 18 dicembre l'Unione Europea ha aperto con il Montenegro due dossier cruciali del processo di adesione, cioè quelli su giustizia e diritti fondamentali. Il commissario europeo all'Allargamento, Stefan Fuele ha parlato di "una pietra miliare" del percorso di integrazione, sottolineando che il governo di Podgorica "ha mostrato impegno e determinazione nel campo delle riforme" e ricordando che Bruxelles attende "che il piano d'azione" su giustizia e diritti fondamentali "venga attuato nei tempi previsti" e che i progressi "saranno monitorati da vicino". Lo stesso giorno sono stati aperti anche i capitoli relativi a appalti pubblici, diritto societario, politica industriale e delle imprese. Intanto però, nello stesso Montenegro che prosegue spedito il suo processo di integrazione europea, fare inchieste su corruzione, narcotraffico e riciclaggio può risultare molto pericoloso per i giornalisti che cercano di raccontare verità scomode sgradite al potere. Lo racconta Matteo Tacconi in un articolo uscito giovedì scorso 9 gennaio sul Manifesto che riporto qui sotto.

Giornalisti montenegrini sotto tiro

Anche venerdì scorso, come ogni altra sera, Lidija Nik­ce­vic ha atteso la chiu­sura del gior­nale. Poi è uscita dall’ufficio per tor­nare a casa. Pec­cato che al suo appar­ta­mento non ci sia pro­prio arri­vata. Degli uomini incap­puc­ciati le si sono fatti incon­tro e l’hanno col­pita senza sconti. Bran­di­vano mazze da base­ball. La cro­ni­sta ha rime­diato severe con­tu­sioni ed è stata rico­ve­rata all’ospedale di Nik­sic. È la seconda città del Mon­te­ne­gro. È lì che Lidija Nik­ce­vic lavora. È in forza al dorso locale di Dan, quo­ti­diano un tempo for­te­mente legato alla fazione pro-Belgrado e da sem­pre molto cri­tico verso il sistema di potere, più che ven­ten­nale, for­giato e con­trol­lato dal primo mini­stro Milo Djukanovic.

Il pestag­gio di Lidija Nik­ce­vic è già di per sé un brutto epi­so­dio, ma diventa ancor più pre­oc­cu­pante se inqua­drato in un com­plesso gene­rale di attac­chi alla stampa e alla libertà di stampa, quale quello mon­te­ne­grino. Nel pic­colo paese adria­tico fare inchie­ste e rac­con­tare verità sco­mode su cor­ru­zione, traf­fici nar­co­tici, rici­clag­gio può essere molto peri­co­loso. Lo dimo­stra un lungo back­ground di inti­mi­da­zioni che, come un otto­vo­lante, regi­stra pic­chi improvvisi.

Pro­prio recen­te­mente s’è assi­stito a un’impennata. Prima delle botte subite da Lidija Nik­ce­vic c’era stata a fine dicem­bre l’esplosione di un ordi­gno di fronte alla sede cen­trale, nella capi­tale Pod­go­rica, del quo­ti­diano Vije­sti, anch’esso non affatto tenero con­tro il potere, ma por­ta­tore di approcci diversi rispetto a Dan (nel 2006 Vije­sti sostenne l’indipendenza refe­ren­da­ria dalla Ser­bia). In ago­sto, invece, una bomba era scop­piata nella città di Berane, di fronte all’abitazione del gior­na­li­sta Tufik Sof­tic, noto per i suoi arti­coli sulla cri­mi­na­lità orga­niz­zata, col­la­bo­ra­tore di Vije­sti e del set­ti­ma­nale Moni­tor, altra testata che non lesina cri­ti­che a Djukanovic.

Sof­tic, tra l’altro, era già stato vit­tima di un’aggressione nel 2007. In quello stesso anno anche Zel­jko Iva­no­vic, all’epoca e ancora oggi diret­tore di Vije­sti, era stato pestato. Andando ancora a ritroso si arriva al 2004, l’anno dell’omicidio di Dusko Jova­no­vic. Diri­geva Dan. Fu assas­si­nato a Podgorica.

L’impressione è che ci sia una sorta di filo rosso che tiene legati tutti que­sti fatti. Il punto è che, sep­pure da posi­zioni diverse, Vije­sti, Moni­torDan si oppon­gono a Dju­ka­no­vic e nel corso degli anni hanno denun­ciato la col­lu­sione poli­tica e cri­mi­na­lità orga­niz­zata. Fac­cenda che pro­duce un’eco anche al di fuori del tra­di­zio­nale stec­cato della poli­tica mon­te­ne­grina. L’Unione euro­pea ha più volte chie­sto alle auto­rità di Pod­go­rica, che hanno aperto i nego­ziati d’accesso nel 2012, di impe­gnarsi mag­gior­mente su que­sto fronte. Lo stesso Milo Dju­ka­no­vic, seb­bene senza alcuna con­se­guenza penale, è stato a lungo chia­mato in causa dalla pro­cura ita­liana di Bari in merito al traf­fico di siga­rette nell’Adriatico che si svi­luppò – così hanno rive­lato le inchie­ste – sull’asse Puglia-Montenegro gli anni ’90.

Ora, volendo tagliare corto, ci si chiede se que­sti attac­chi a gior­nali e gior­na­li­sti non alli­neati siano ricon­du­ci­bili pro­prio a que­sti sce­nari sci­vo­losi. Secondo i diret­tori di Vije­stiDan sì. Il primo, Zel­jko Iva­no­vic, ha detto nei giorni scorsi che que­sti sono i risul­tati «di anni di cam­pa­gne del primo mini­stro, del suo governo, della sua for­ma­zione poli­tica (Par­tito demo­cra­tico dei socia­li­sti) e della mafia con­tro i media indi­pen­denti». Men­tre il secondo, Nikola Mar­ko­vic, ha spie­gato che fin­tanto che le auto­rità non tro­ve­ranno i respon­sa­bili del pestag­gio di Lidija Nik­ce­vic e di altri casi simili, la colpa rica­drà sul governo. Che da parte sua respinge però ogni accusa.

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Sul Montenegro ricordo il settimo Speciale di Passaggio a Sud Est prodotto nell'ambito del progetto europeo "Racconta l'Europa all'Europa", promosso da Osservatorio Balcani e Caucaso. 
Famoso per le sue bellezze naturali, negli ultimi anni il Paese è divenuto terra di conquista della speculazione turistico-edilizia e di lucrosi e non troppo chiari affari nel settore energetico, con l'Italia in prima fila. Un Paese governato da oltre venti anni dalla stessa persona, Milo Djukanovic, diventato ricchissimo in poco tempo (grazie, secondo i detrattori e alcune inchieste giudiziarie italiane, al contrabbando di sigarette) e che ha costruito un capillare sistema di potere politico-economico. In trasmissione erano intervenuti Nela Lazarevic, corrispondente del quotidiano Vijesti e del portale Birn, Luca Lietti, responsabile area sviluppo dell'associazione "Trentino Balcani", Vanja Calovic, direttrice dell'ong Mans, intervistata da Francesco Martino di Osservatorio Balcani e Caucaso.