domenica 31 marzo 2013

RACCONTA L'EUROPA ALL'EUROPA: ALBANIA, IL "PAESE DELLE AQUILE" TRA PASSATO E FUTURO

Nona puntata del ciclo di Speciali di Passaggio a Sud Est che fanno parte del progetto europeo promosso da Osservatorio Balcani e Caucaso



Il "Paese delle aquile"è il protagonista del nono Speciale di Passaggio a Sud Est "Racconta l'Europa all'Europa", un ciclo di trasmissioni che fa parte del progetto europeo promosso da Osservatorio Balcani e Caucaso per raccontare la realtà dei Paesi dell'Europa orientale sulla strada dell'integrazione europea. Questa puntata affronta la situazione politica dell'Albania in vista delle elezioni del prossimo giugno e nell'ottica del processo di adesione all'Unione Europea, ma anche la situzione dell'informazione e dei media e la realtà dell'immigrazione albanese in Italia a più di 20 anni dalla vicenda della nave Vlora.

Partecipano alla trasmissione: 

Fatos Lubonja, giornalista e scrittore, uno dei più importanti intellettuali albanesi
Darien Levani, giornalista e scrittore, vice-direttore di Albania News
Artur Nura, corrispondente da Tirana di Radio Radicale
Marjola Rukaj, corrispondente di Osservatorio Balcani e Caucaso

Ascolta lo Speciale




venerdì 29 marzo 2013

CIPRO NORD OFFRE RIFUGIO AI CAPITALI IN FUGA DA CIPRO

Cipro "non ha intenzione di lasciare l'euro". Lo ha dichiarato oggi il presidente Nicos Anastasiades, aggiungendo di "non voler fare in alcun modo degli esperimenti con il futuro del nostro Paese". "Non lasceremo la moneta unica, non ci metteremo in una situazione rischiosa che potrebbe mettere a rischio il futuro del Paese", ha spiegato Anastasiades nel corso di una conferenza a Nicosia durante la quale il presidente del parlamento, il socialista Yannakis Omirou, ha però criticato l'accordo negoziato con la "troika", definendo le condizioni imposte a Cipro "umilianti e distruttive per l'economia". Del resto, lo stesso Anastasiades, dopo aver sottolineato che la situazione finanziaria è stata "contenuta" grazie all'operazione di salvataggio da 10 miliardi di euro, partecipando ad un incontro con funzionari dell'amministrazione pubblica, ha accusato altri Paesi dell'eurozona di avere fatto "richieste senza precedenti, costringendo Cipro a diventare un esperimento" finanziario.

Nella crisi di Cipro si inserisce a questo punto la repubblica di Cipro Nord, cioè l'entità costituita nella parte settentrionale dell'isola occupata dalla Turchia nel 1974 e che al momento è riconosciuta internazionalmente solo da Ankara. Il ministro delle Finanze turco-cipriota, Ersin Tatar, ha infatti invitato i russi e gli inglesi che avevano scelto Cipro per i loro investimenti a trovare rifugio fiscale nella parte turca dell'isola. "Cipro greca potrebbe andare in bancarotta”, ha detto Tatar, secondo quanto riporta il quotidiano turco Hurriyet, sostenendo che invece “grazie al supporto della madre patria turca, la Repubblica turca di Cipro Nord è diventata un'oasi di stabilità nel Mediterraneo". L'invito a spostare i conti correnti e i depositi bancari e a fare investimenti immobiliari nell'altra parte dell'isola è naturalmente rivolto a tutto campo, ma indirizzato in particolare ai cittadini russi e a quelli britannici che attualmente si trovano nella repubblica greco-cipriota.

In effetti, prima che la crisi rendesse necessario il salvataggio internazionale, la parte greca poteva offrire una tassazione vantaggiosa a chi prendeva la residenza, apriva attività, comprava casa e depositava nella banche i propri averi. Anche se certe agevolazioni per ora restano e i conti sotto i 100mila euro non verranno colpiti dal prelievo forzoso, tutto il resto del sistema è in discussione. In questa situazione ecco che Cipro Nord si fa avanti offrendo un sistema fiscale competitivo che consente alle società che vi operano a versare in tasse solo il 23,5% delle loro entrate. Certo, la Repubblica di Cipro è territorio dell'Unione europea, mentre Cipro Nord di fatto non esiste. E proprio a causa del mancato riconoscimento internazionale, i collegamenti aerei e marittimi devono per forza passare dalla Turchia. Nonostante ciò, molti stranieri, soprattutto sudditi di Sua Maestà britannica hanno investito nelle lottizzazioni che stanno spuntando sulle bellissime coste del nord dell'isola.


BOSNIA: IL "MOSTRO DI GRBAVICA" CONDANNATO A 45 ANNI DAL TRIBUNALE DI SARAJEVO

E' stato condannato a 45 anni di carcere Veselin Vlahovic, ex paramilitare serbo-bosniacodetto "il mostro di Grbavica" per le atrocità commesse a Sarajevo durante l'assedio del 1992-95. Vlahovic è stato giudicato colpevole dei crimini di guerra commessi tra maggio e luglio 1992 nei quartieri all'epoca controllati dalle forze serbe: Grbavica, Kovacici e Vraca. Tra i 60 capi di imputazione, tutti accolti dalla corte, ci sono "esecuzioni sommarie, costrizione a schiavitù, torture psicologiche e fisiche" ai danni di civili bosgnacchi e croati e innumerevoli saccheggi.
Il verdetto contro Vlahovic è il più duro tra quelle emesse dal tribunale bosniaco per i crimini di guerra: "Durante la repressione sistematica contro la popolazione non serba partecipò a espulsioni, commise omicidi, torturò e violentò e imprigionò le sue vittime", ha detto il giudice Zoran Bozic, leggendo la sentenza.
Il verdetto è stato accolto dagli applausi degli attivisti delle associazioni delle vittime, presenti nell'affollatissima aula del tribunale. Vlahovic, che è di origini montenegrine, ha 43 anni e che all'inizio del dibattimento, nell'aprile 2011, si era dichiarato non colpevole, era presente oggi in aula ma non ha reagito in alcun modo alla lettura della sentenza.


giovedì 28 marzo 2013

KOSOVO: RESTANO IRRISOLTE LE QUESTIONI ESSENZIALI TRA BELGRADO E PRIŠTINA

Da sin.: Hashim Thaci, Catherine Ashton, Ivica Dacic
Di Marina Szikora [*]
Anche il settimo giro di colloqui tra Belgrado e Priština a Bruxelles, di cui i protagonisti sono stati un'altra volta i due premier, Ivica Dačić e Hashim Thaci, non ha dato un accordo concreto. Tuttavia, concordano i due premier, e' stato raggiunto un avanzamento e i negoziati proseguiranno il 2 aprile. Per la prima volta, alla conferenza stampa, i premier serbo e kosovaro sono intervenuti insieme. Per il premier serbo e' stata "una giornata difficile" in cui, come ha detto, si e' parlato della questione che appesantisce la Serbia per decenni. "La Serbia e' orientata e dedicata al dialogo, non lo stiamo facendo per la data, ma perche' vogliamo risolvere questo problema" ha ribadito e ripetuto la posizione serba Ivica Dačić e ha aggiunto che "bisogna investire molto impegno e rispettare gli interessi sia dell'una che dell'altra parte".

Il premier serbo ha ripetuto che la comunita' dei comuni serbi, cosi' come proposto dalla Serbia, secondo la sua opinione, e' la soluzione migliore. Dačić ha precisato di non poter dire ne' di essere vicini ne' lontani dall'accordo poiche' le vedute cambiano di momento in momento. Continuano ad esserci delle divergenze, per quanto riguarda le competenze. Ma il premier serbo ha aggiunto che dopo sette incontri e' stato costruito un rapporto in cui si stanno trovando soluzioni e risolvendo quelle questioni difficili che nessuno prima aveva risolto. Dačić ha detto che questo e' la prima volta che l'Ue non pone degli ultimatum e delle carte ma sta costringendo le due parti a trovare autonomamente la soluzione: "se vogliamo la soluzione, dobbiamo arrivare al compromesso" ha valutato il premier serbo.

Il premier del Kosovo Hashim Thaci ha valutato altrettanto che e' stato raggiunto progresso e ha qualificato questo settimo round di colloqui come "costruttivo". "Ci aspettiamo che nei prossimi giorni si arrivi alla soluzione relativa alla normalizzazione delle relazioni tra Serbia e Kosovo, soprattutto a Mitrovica settentrionale. Anche noi vogliamo la libera circolazione, stato di diritto e sviluppo della societa' democratica" ha detto Thaci aggiungendo che la Serbia e il Kosovo sono sulla buona via per realizzare relazioni di buon vicinato. "I nostri popoli hanno perduto molto tempo...durante questi sei mesi abbiamo raggiunto un successo significativo che solo un anno fa era inimmaginabile" ha valutato Thaci. L'accordo tra il Kosovo e la Serbia significa anche stabilita' nella regione, ha aggiunto il premier kosovaro e ha rilevato che Priština sara' dedicata a questo dialogo, alla stabilita' e pace nonche' al suo cammino verso l'Ue. La conferenza stampa e' terminata con la stretta di mano dei due premier.

Soltanto due giorni dopo pero', toni abbastanza diversi si sono potuti sentire alla riunione del Consiglio di Sicurezza dell'Onu dedicata al Kosovo alla quale hanno partecipato altrettanto Ivica Dačić e Hashim Thaci. In questa occasione il premier della Serbia ha rilevato che e' indispensabile la permanenza dell'Unmik in Kosovo e ha ribadito che i negoziati con Priština non conducono verso il riconoscimento del Kosovo. "La riconciliazione tra serbi e albanesi comporta prendere decisioni difficili. Gli incontri a Bruxelles sono la conferma della prontezza della Serbia di continuare la collaborazione sulle questioni aperte con intenzioni sincere, avendo come obiettivo il raggiungimento dell'accordo" ha precisato Dačić. La Serbia e' pronta affinche' il dialoga possa avere successo ma non e' pronta alle umiliazioni e doppi standard, ha avvertito il premier serbo. Ha aggiunto che Belgrado e' contraria a ogni tipo di mossa unilaterale quale ad esempio la richiesta del Kosovo di ottenere un prefisso internazionale attraverso l'Albania anche se i negoziati a tal proposito sono ancora in corso.

Dačić ha rilevato che senza la protezione dei non albanesi "l'obiettivo progettato di una societa' multinazionale" non sara' possibile. Dačić ha spiegato che "i dati concreti" riflettono la posizione vulnerabile dei serbi in Kosovo e sfide significative. "Dieci anni dal massacro di marzo in cui sono stati distrutti oltre 150 edifici della Chiesa ortodossa serba di cui 34 sono del medioevo e alcuni sotto protezione dell'UNESCO, nessuno e' stato punito", ha sottolineato Dačić e ha detto che la Serbia chiede nuove indagini che porterebbero ai perpetratori ma anche agli ispiratori di questi crimini. Ha precisato che e' stato praticamente fermato il ritorno dei profughi in Kosovo e che nei mesi precedenti e' aumentato il numero degli incidenti multietnici.

Quanto al rapporto trimestrale sul Kosovo del segretario generale dell'Onu Ban Ki Moon, e' stato rilevato il raggiungimento di un passo significativo con l'aver alzato il dialogo tra Belgrado e Priština ad un livello politico piu' alto ma vi e' anche l'appello alle autorita' del Kosovo di reagire fermamente alle manifestazioni di odio nei confronti dei serbi, quali gli incidenti durante la festa del Natale ortodosso. Il premier kosovaro Hashim Thaci da parte sua ha invitato Belgrado a "smantellare le strutture parallele" al nord del Kosovo sottolineando che "il Kosovo e' uno stato sovrano" e che questo processo "non e' convertibile". Rivolgendosi al Consiglio di Sicurezza, Thaci ha rilevato che il Kosovo "non sara' luogo di divisioni e barricate" e della formazione "di una nuova Republika Srpska". Ha informato che Priština chiedera' a Belgrado "il compenso per i danni di guerra". Secondo le parole del premier del Kosovo "il ruolo della Serbia e' distruttivo" e appesantisce la sicurezza. Thaci ha rilevato che attualmente il Kosovo e' riconosciuto da parte di oltre la meta' degli stati membri dell'ONU. E' un processo irriducibile e molti altri stati sono nella fase di riconoscimento dell'indipendenza del Kosovo, ha detto il premier kosovaro e ha aggiunto che questa e' la decisione piu' giusta per il Kosovo ed i suoi cittadini.

[*] Il testo è tratto dalla trascrizione della corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda il 28 marzo a Radio Radicale


CIPRO: LA SITUAZIONE VISTA DALLA CROAZIA E I TIMORI PER LA SLOVENIA

Proteste a Cipro contro il piano di salvataggio (Foto AP)
Di Marina Szikora [*]
La situazione di Cipro e' seguita ovviamente in tutta Europa e ben oltre. Anche in Croazia le notizie ed i commenti non mancano. Cosi' il quotidiano di Fiume Novi list scrive in un commento in vista della decisione dei ministri finanziari europei che gli osservatori sono divisi sulla domanda se la crisi cipriota puo' dilagare nel resto dell'Europa. Cio' non crede la maggior parte dei funzionari europei che al governo di Cipro hanno posto l'ultimatum di trovare entro lunedi' 5,8 miliardi di euro. Molti pero' temono "il virus cipriota" poiche' la crisi nella zona euro non e' per niente risolta bensi' soltanto temporaneamente curata. Il crollo delle banche cipriote colpirebbe maggiormente la Grecia, ma si sentirebbe anche in altri posti deboli della zona euro, quali almeno la Spagna e l'Italia, scrive Novi list e aggiunge che la crisi in Cipro non e' insensata: potrebbe nuocere alla ripresa economica dell'Europa. La fiducia negli affari in Germania, ad esempio, e' nuovamente calata nel mese di marzo proprio a causa della crisi cipriota. Quale che sara' l'esito, il maggior peso della crisi alla fine lo porteranno gli stessi cittadini del Cipro, vale a dire della parte meridionale dell'isola che nel 2004 e' entrata nell'Ue e ha preso l'euro come valuta nazionale, prosegue il giornale croato.

Il troppo gonfiato sistema bancario di Cipro e' come nei casi islandese o irlandese i quali sono crollati ancora alcuni anni fa. Ma la zona euro si e' mossa a risolvere il problema di Cipro in modo diverso. Nel caso dell'Irlanda, spiega Novi list, l'eurozona ha deciso di sanare le perdite delle banche per mezzo dello Stato e di tutti i cittadini, attraverso il debito pubblico, mentre nel caso del Cipro la soluzione si pone soprattutto ai risparmiatori di queste banche. La Germania ha chiesto la tassazione in particolare dei grandi risparmiatori. I tedeschi risulta che non vogliono in modo solidale coprire i debiti dei ricchi russi che tengono nelle loro mani la maggioranza dei depositi nelle banche cipriote, dietro i quali, molto probabilmente, ci sono operazioni di riciclaggio di denaro sporco. Il parlamento cipriota si e' rifiutato ad imporre le tasse non volendo provocare la rabbia del proprio popolo come nemmeno dei russi. Ma i danni pero' sono gia' stati fatti, spiega Novi list. I vertici bancari non si assumeranno la responsabilita' per gli errori fatti. Cadra' ancora una volta sulle spalle dei cittadini. Se finalmente Cipro avra' l'aiuto europeo – e' l'opinione di Novi list - il governo cipriota dovra' in compenso effettuare le piu' severe misure di risparmio che colpiranno sempre i cittadini. In conclusione, scrive il quotidiano croato, termina cosi' il lungo miracolo bancario cipriota. E' stato stabilito dai vertici bancari con la collaborazione dei governi ciprioti che avevano creato un paradiso fiscale e credevano che questa isola avrebbe tratto profitto dal settore finanziario perfino attraverso dubbi affari: adesso pero' le banche di Cipro sono sull'orlo dell'abisso.

Lunedi', a operazione di salvataggio decisa, il portale croato www.index.hr ha messo in rilievo l'articolo del Washingotn Post il quale scriveva che vista la situazione, la crisi di Cipro e' una storia finita, mentre il nuovo paese di cui bisogna preoccuparsi e' la Slovenia. Secondo questo articolo, vi e' un nuovo pericolo economico che si trova "tra Italia, Austria, Ungheria e Croazia". Non si tratta di una crisi della grandezza di Cipro ma sicuramente fa parte della "zona pericolosa" sottolinea il giornale americano chiedendosi come mai e perche' la Slovenia e' arrivata a questa situazione preoccupante. Il quotidiano ricorda che la Slovenia nel 2004 e' entrata nell'Ue e ha molto velocemente scambiato il tallero con l'euro. Si tratta di una economia piccola che si basa sull'esportazione e all'inizio del 21esimo secolo aveva una crescita piu' grande della zona euro ma con un debito crescente. Il Washington Post ricorda inoltre che secondo il rapporto del FMI della settimana scorsa, le tre maggiori banche slovene, di proprieta' statale, non sopravviveranno senza nuove capitalizzazioni. Si tratta di almeno un miliardo di euro mentre nel settore bancario vi e' presumibilmente un vuoto di almeno sette miliardi di euro di mali crediti. 

Dopo tutto, prosegue il quotidiano americano, vi e' appena stato il cambio del governo e quindi al posto di Janez Janša che inclinava alla corruzione, e' arrivato un governo del centro sinistra. La nuova premier Alenka Bratušek ha rilevato chiaramente che vuole dedicare maggior tempo alla crescita economica piuttosto che diminuire il debito pubblico il che potrebbe avere ripercussioni sul rating del Paese. Secondo il FMI la Slovenia necessita di 3,8 miliardi di dollari di cui un terzo riguarda le banche. Se rimarrano queste le cifre sara' molto difficile. Secondo il Post cio' significhera' che il Paese dovra' chiedere aiuto al FMI, alla Banca Centrale Europea o alla Commissione Europea o anche a tutte e tre le istituzioni: "In altre parole, la Slovenia avra' bisogno di salvataggio". Marko Kranjec, membro sia della Banca Centrale Europea che di quella Slovena ritiene che alla fine il salvataggio della Slovenia non sara' necessario e che la situazione in Slovenia e' meno grave rispetto a quella di Cipro: "Se la Slovenia avesse una valuta propria tutto si potrebbe risolvere facilmente, ma siccome non ce l'ha, si e' ritrovata sull'orlodel default", conclude il Washington Post.

[*] Il testo è tratto dalla trascrizione della corrispondenza per la puntata di Passaggio a SudEst andata in onda il 28 marzo a Radio Radicale


"QUI TIRANA": LA CORRISPONDENZA DI ARTUR NURA

Gli argomenti della corrispondenza di Artur Nura per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi e che è possibile riascoltare sul sito di Radio Radicale.

Macedonia
I dati preliminari sull'esito delle elezioni locali del 24 marzo e i risultati dei partiti della minoranza albanese.

Albania
L'appello del commissario europeo all'Allargamento Stefan Fuele in vista delle elezioni parlamentari del prossimo giugno (Fuele è intervenuto alla conferenza "Just UE" svoltasi a Tirana).

Ascolta qui la puntata odierna di Passaggio a Sud Est con la corrispondenza di Artur Nura




JOSIPOVIĆ IN BOSNIA: LA CROAZIA APPOGGERA' L'INTEGRAZIONE ANCHE DALL'INTERNO DELL'UE

Di Marina Szikora [*]
Il presidente croato Ivo Josipović si e' recato settimana scorsa in Bosnia Erzegovina. Una visita importante in vista dell'ingresso della Croazia nell'Unione Europea. Questa vicina adesione si riflettera' positivamente anche sui paesi della regione, soprattutto sulla Bosnia. La Croazia fara' tutto il possibile affinche' i confini tra Croazia e Bosnia Erzegovina permettano il proseguimento di buone relazioni che esistono tra i due Paesi, ha promesso Ivo Josipović visitando la citta' di Mostar.
"Il confine europeo tra Croazia e Bosnia nemmeno nelle condizioni nuove non sara' una muraglia cinese, ma deve collegare la gente. Sono certo che noi, la Bosnia e l'Unione Europea troveremo le migliori modalita'", ha detto il presidente croato dopo il suo incontro con il presidente di turno della Bosnia, il rappresentante serbo Nebojša Radmanović. Josipović ha aggiunto che e' interesse strategico croato che tutti i Paesi nella regione diventino membri dell'Ue: "Per noi la Bih in molti sensi e' il partner e il vicino piu' importante. Come l'Ue e' una occasione per la Croazia, lo e' anche per la Bosnia", ha detto Josipović.
Nebojša Radmanović da parte sua ha espresso soddisfazione per il vicino ingresso della Croazia nell'Ue: "Tutti noi in BiH siamo molto soddisfatti che la Croazia in qualche mese diventera' membro permanente dell'Ue. Credo che questo sia utile anche per tutti i cittadini della Bosnia Erzegovina. Ci sono pero' dei problemi minori ai confini che sono in tutto oltre 1000 km e ci impegniamo affinche' anche noi, come presidenti dei due paesi, diamo il nostro contributo alla soluzione del problema a fin di superarlo" ha detto Radmanović.
In precedenza, il presidente croato aveva incontrato anche gli altri due membri della presidenza tripartita della Bosnia Erzegovina, il bosgnacco Bakir Izetbegović e il croato Željko Komšić. In questa occasione e' stata espressa la comune disponibilità a rafforzare la collaborazione tra i due Paesi e l'impegno a costruire queste relazioni come contributo alla stabilita' della regione.
[*] Il testo è tratto dalla trascrizione della corrispondenza per la puntata di Passaggio a SudEst andata in onda il 28 marzo a Radio Radicale


PASSAGGIO IN ONDA

E' on-line la puntata di Passaggio a Sud Est trasmessa da Radio Radicale il 28 marzo. La trasmissione è ascoltabile nella sezione "In Onda" del blog oppure, insieme a quelle precedenti, sul sito di Radio Radicale.

mercoledì 27 marzo 2013

NUOVO GOVERNO IN SLOVENIA: UNA DONNA PREMIER PER LA PRIMA VOLTA

Intervista a Stefano Lusa di Radio Capodistria

La Slovenia ha un nuovo governo: il 20 marzo il parlamento di Lubiana ha votato la fiducia all'esecutivo di centro-sinistra guidato da Alenka Bratusek, 47 anni, economista, importante esponente di "Slovenia positiva", primo premier donna nella storia del Paese. Il suo è anche il governo più giovane: l'età media dei ministri è infatti di 45 anni. E, inoltre, per la prima volta, il ministro per gli sloveni all'estero è una rappresentante della minoranza italiana, Tina Komel, che ha fatto della sua appartenenza un punto di forza, sostenendo che proprio questo le consentirà di meglio comprendere i problemi di tutti gli sloveni, là dove sono minoranza.
La nuova maggioranza, formata da Slovenia Positiva, Lista Civica, socialdemocratici e Partito dei pensionati, comprende alcune formazioni che sostenevano il precedente esecutivo di centro-destra presieduto da Janez Jansa, costretto alla dimissioni nel mese di febbraio.
Bratusek si è data un anno di tempo prima di tornare a verificare la fiducia in Parlamento. Si tratta di vedere se in questo periodo riuscirà ad affrontare la grave crisi economica, facendo ripartire l'economia, garantendo la stabilità del sistema finanziario e scongiurando il rischio di una richiesta di aiuti internazionali, anche rivedendo la politiche di austerità già adottate da Jansa. 
Di questo ho parlato con Stefano Lusa, caporedattore del programma informativo di Radio Capodistria nell'intervista per Radio Radicale che potete asoltare direttamente qui





domenica 24 marzo 2013

VIAGGIO NELLA "CITTA' BIANCA" - 5a e ultima puntata

Finisce il viaggio di Riccardo De Mutiis nella storia recente di Belgrado, dall’epoca della Jugoslavia del Maresciallo Tito ai giorni nostri: un viaggio alla scoperta della “città bianca” nelle cui strade vibra il “srpsko srce”, il cuore serbo. In questa quinta puntata il racconto termina nella capitale serba di oggi con il cambiamento subito da alcuni caratteri tipici della città dovuto alle conseguenze e alle trasformazioni lasciate delle guerre degli anni '90 e dal regime di Milosevic. Soprattutto la scomparsa, forse definitiva, di quell’atmosfera particolare, tipicamente serba, che si viveva nelle strade e che affascinava tanto i visitatori stranieri.

La bandiera della città di Belgrado (Foto Xevi V/Flickr)
Secondo Le Corbusier “di tutte le capitali situate in una posizione splendida, Belgrado è la più brutta”. L’affermazione dell’architetto svizzero è troppo drastica, ma ha un fondo di verità. In effetti la posizione geografica della capitale serba è invidiabile: il nucleo originario della città venne realizzato su una collina ai cui piedi la Sava affluisce nel Danubio e da cui, in particolare dalla fortezza di Kalemegdan, si gode il panorama di una pianura che si estende a perdita d’occhio. Non sono altrettanto apprezzabili, purtroppo, né l impianto urbanistico, né lo stile architettonico della città. Infatti alla impostazione urbanistica degli Ottomani si sovrappose quella dei Karadjordjevic ed a questa quella di stampo comunista del periodo titino: alla disorganicità derivante dalla sovrapposizione di tali idee urbanistiche profondamente diverse l’una dall'altra si aggiunsero, nel momento in cui la città si estese oltre la Sava ed il Danubio, i problemi di una rete viaria che si intasava spesso e volentieri in prossimità dei pochi ponti che collegavano il centro con Zemun, Novi Beograd e le altre nuove zone costruite oltre i fiumi. Ma se la struttura urbanistica di Belgrado non è entusiasmante, è altrettanto vero che il viaggiatore che arriva nella capitale balcanica è colpito dall’atmosfera tutta particolare che vi si vive: nelle strade di Belgrado vibra l’anima del popolo serbo, batte il “srpsko srce”, il cuore serbo. La città ha sempre vissuto con grande partecipazione le vicende nazionali, senza mai appiattirsi sui mantra dettati dal potere costituito, ma tenendo invece spesso un atteggiamento critico e disincantato nei confronti dei vari regimi che dal dopoguerra ad oggi si sono avvicendati alla guida del paese. In questo scritto il rapporto tra la città di Belgrado e la politica prima jugoslava e poi serba viene analizzato con riferimento diversi periodi storici, dal dopoguerra fino alla morte del Maresciallo Tito, dal periodo del regime di Slobodan Milosevic alla sua caduta, fino ai nostri giorni.
Riccardo De Mutiis [*]

La Belgrado di oggi / 2
Nella Belgrado di oggi anche la toponomastica, e questa è una abitudine tutta serba, è cambiata. Una delle strade più importanti di Belgrado, quella che dall’Hotel Slavija conduce alla pedonale Knez Mihajlova, ha cambiato per tre volte nome nell’arco di trent'anni, passando dalla ovvia intitolazione a Tito a quella, nel periodo di Milosevic, di Ulica Srpski Vladara (“Corso Prìncipi Serbi”, in linea con l’esaltazione dell'etnia nazionale che ha caratterizzato quel periodo), per passare a quella attuale di Ulica Kralja Milana, che ricorda Milan Obrenovic, principe e re della Serbia nella seconda metà dell’Ottocento. Ma l’esempio più eclatante della facilità con cui a Belgrado la toponomastica viene modificata è rappresentato dall'importante arteria Decanska, che sbocca in Trg Republike, che ha cambiato ben cinque volte la sua denominazione.

Se la città è profondamente mutata per tanti aspetti, ve ne sono degli altri che sono rimasti intatti e che continuano a caratterizzarla, nonostante il passare del tempo. Il più evidente, forse, è il disordine urbanistico. Il traffico, nonostante l’apertura del nuovo ponte Gazela sulla Sava, continua ad essere caotico. Ma quello che stupisce, in senso negativo, è il permanere di quelle baraccopoli sorte negli anni delle guerre in cui si insediarono i profughi provenienti dalla Bosnia , dalla Croazia e dal Kosovo: poco o nulla è stato fatto per offrire una sistemazione adeguata a questa gente. Il più grave problema urbanistico della città è rappresentato dal fatto che gran parte delle abitazioni (qualcuno parla addirittura del 50 %) sono state costruite in assenza di concessioni edilizie e quindi sono del tutto avulse da un qualsiasi piano di sviluppo urbanistico.

Altro carattere tipico di Belgrado e di tutta la Serbia, rimasto intatto nel corso degli anni, è quello del fumo. I serbi sono fumatori incalliti ed i belgradesi non lo sono da meno: non a caso il genere più contrabbandato, da sempre, è la sigaretta. Il divieto di fumare nei locali pubblici, introdotto un paio d’anni fa, è stato bypassato con una astuzia tutta balcanica: l’area riservata ai fumatori e quella per i non fumatori, che in tutti gli altri Paesi sono collocate in ambienti e cioè in camere diverse, nei locali di Belgrado sono ricavati all’interno dello stesso ambiente, così è del tutto normale che un tavolo riservato ai non fumatori sia affiancato, a qualche centimetro di distanza, da un tavolo per i fumatori, con i primi che respirano tutto il fumo prodotto dai secondi.

Insomma, Belgrado da una parte abbandona abitudini tipicamente serbe e si apre culturalmente ed economicamente all’esterno, e dall’altra non riesce a risolvere problemi che la affliggono da lungo tempo, come quello urbanistico e quello del fumo. La città bianca sta vivendo una fase di passaggio, cerca di aprirsi all’esterno ma non riesce a staccarsi completamente dai retaggi dal passato ed in questo senso replica le medesime incertezze del governo nazionale, sospeso fra il desiderio d’Europa ed il richiamo al nazionalismo insito nella questione kosovara. Ed alla crisi d’ identità della capitale non è estranea una modificazione del suo tessuto sociale.

La borghesia belgradese che aveva spesso avversato la politica di Milosevic è quasi evaporata: imprenditori ed intellettuali abbandonarono in gran parte Belgrado al tempo della guerra per il Kosovo e da allora non sono più rientrati, gli studenti che si sono laureati all’inizio del millennio sono emigrati all’estero, a causa della scarsità di impieghi adatti alle loro competenze e della insufficienza delle retribuzioni. Il posto di questa borghesia colta è stato preso dai serbi provenienti dalle zone rurali e dai profughi delle guerre: un campionario umano sicuramente meno acculturato di quello precedente. Il fenomeno è approfondito da Paolo Rumiz nel suo “Maschere per un massacro”, che parla di sostituzione della borghesia con il sottoproletariato e di conseguente imbarbarimento della città.

La chiusura di quei punti di ritrovo tipicamente belgradesi si spiega anche e soprattutto con l’abbandono della città da parte di coloro, la classe media, che erano soliti frequentare quei ritrovi, si trattasse del Ruski car o di un'altra kafana sulla Knez Mihajlova. Il professore che ha abbandonato Belgrado un decennio fa e vi torna solo per festeggiare il Srpska nova godina, il capodanno serbo che cade il 13 gennaio, non riconosce la città in cui aveva vissuto; lo studente che si è laureato all’università cittadina e poi ha trovato lavoro all’estero quando torna per le vacanze estive si sente estraneo al nuovo contesto sociale belgradese. Manca, attualmente, una classe media, e ci vorrà circa una generazione per riformarla. Ed alla fine di questo viaggio nella città bianca l’impressione è che quell’atmosfera particolare che si viveva nelle strade, tipicamente serba, che affascinava i visitatori, è scomparsa perché è scomparsa quella compagine sociale, la borghesia belgradese, che animava quei luoghi in cui quella atmosfera, il Srpsko srce, era palpabile e viva.
[5 - Fine]



[*] Riccardo De Mutiis, esperto di relazioni internazionali, conoscitore della realtà balcanica anche per aver partecipato a diverse missioni patrocinate da istituzioni internazionali. Passaggio a Sud Est ha già pubblicato diversi suoi pezzi: per ritrovarli clicca qui.   


sabato 23 marzo 2013

CROAZIA-SERBIA E' STATA SOLO UNA PARTITA DI CALCIO

La stretta di mano del 1999 tra Stankovic e Boban
C'erano molti timori per la partita che ieri sera ha visto contrapposte a Zagabria la Croazia e la Serbia per la qualificazione ai mondiali del 2014 in Brasile. Vatreni e Beli Orlovi (Fiamme e Aquile Bianche) non si erano mai incrociate in un match internazionale se si esclude il confronto del 9 ottobre 1999 tra la Croazia e l’allora Jugoslavia formata da Serbia e Montenegro per l’accesso agli Europei in Olanda. Le profonde ferite lasciate dal conflitto degli anni '90 non sono ancora guarite e per questo, alla vigilia, la memoria non ha potuto non andare a quel 13 maggio 1990, quando la partita tra la "Dinamo" di Zagabria e la "Stella Rossa" di Belgrado trasformò lo stadio Maksimir della capitale croata in un campo di battaglia, sinistro presagio di quello che sarebbe successo di lì ad un anno.

Certi ricordi sono duri a morire ed è per questo che ieri per Zagabria è stata una giornata ad altissima tensione, con centinaia di poliziotti in assetto antisommossa a presidiare i “punti caldi”, pronti a reprimere ogni accenno di provocazione, come al mattino, in piazza Ban Jelacic, dove alcuni ragazzi che intonavano «Ajmo ustase» (Forza ustascia) e «Ubij srbina» (Ammazza il serbo) sono stati subito fermati. Decine di ultrà, già noti alla polizia, sono stati invece fermati in via preventiva, mentre per altri tifosi croati era già in vigore il divieto di partecipare a eventi sportivi. Ai tifosi serbi è stato vietato di seguire la loro squadra, così come accadrà a settembre per i supporter croati per la partita di ritorno a Belgrado. Le autorità avevano inoltre avvertito che alla minima espressione estremista o razzista la partita sarebbe stata interrotta.

L’evento, alla fine, è stato solo sportivo e ha vinto la squadra migliore, sotto gli occhi del presidente croato Ivo Josipovic e dell’ex collega serbo Boris Tadic (l'incontro con l'attuale presidente, Tomislav Nikolic, visto il gelo degli ultimi mesi ancora non è alle viste, ma le diplomazie sono al lavoro da tempo). La Serbia dice praticamente addio al mondiale in Brasile: il secco 2-0 ieri subito lascia ormai poche speranze ai ragazzi di Sinisa Mihajlovic. Ciò che più conta, però, è che quella di ieri sera con la Croazia, nonostante i fischi e alcuni cori nazionalisti di una parte del pubblico di casa, sia stata solo una partita di calcio. I fantasmi del passato, quelli che mutarono l'odio sportivo in odio etnico e che trasformarono i gruppi di ultras nelle bande paramilitari che imperversarono nella Jugoslavia in guerra, sono rimasti fuori dallo stadio Maksimir.

Il giorno dopo è naturale, quindi, chiedersi se non ci sia stato troppo clamore per un incontro di calcio, troppa confusione tra calcio e politica. Ma il calcio, in Jugoslavia, èsempre stato usato come arma politica, fin dai tempi del Maresciallo Tito e non solo quando, negli anni Novanta, nei gruppi ultrà della Stella Rossa o del Partizan o della Dinamo furono arruolati molti componenti delle bande paramilitari. Ma gli anni passano e da quella che alcuni hanno chiamato “jugosfera” vengono da tempo segnali positivi che andrebbero colti con intelligenza. Nei Paesi ex jugoslavi molti lo stanno facendo, nonostamte le tante difficoltà che incontrano: un po' meno avviene dalle nostre parti, dove ci si accorge dei Balcani solo quando confermano i luoghi comuni più deleteri. Quelli che ieri sera sono stati smentiti una volta di più allo stadio Maksimir.



venerdì 22 marzo 2013

RACCONTA L'EUROPA ALL'EUROPA: CORRUZIONE E CRIMINALITA' ORGANIZZATA IN EX JUGOSLAVIA

Ottava puntata del ciclo di Speciali di Passaggio a Sud Est che fanno parte del progetto europeo promosso da Osservatorio Balcani e Caucaso



L'ottavo Speciale prodotto nell'ambito del progetto europeo promosso da Osservatorio Balcani e Caucaso è dedicato ad una questione cruciale per l'integrazione europea dei Balcani occidentali. Le guerre degli anni '90 sono state il terreno di coltura della criminalità organizzata e gli anni successivi ai conflitti hanno visto fiorire la corruzione come sistema di potere. Tuttavia, il processo di integrazione nell'Unione Europea, l'affermazione di politici non compromessi e il consolidarsi di una società civile e di una stampa indipendente stanno favorendo, pur con tutte le difficoltà del caso, contraddizioni e battute d'arresto, un'evoluzione positiva della situazione che lascia sperare per il futuro.

Partecipano alla trasmissione

Cecilia Ferrara, giornalista freelance dell'Investigative Reporting Project Italy
Matteo Tacconi, giornalista e autore del blog  Radio Europa Unita
Andrea Lorenzo Capussela, ex direttore economico dell'International Civilian Office in Kosovo

Conclusioni di Luka Zanoni, direttore del portale web di Osservatorio Balcani e Caucaso

Ascolta qui lo Speciale





CROAZIA-SERBIA: PARTITA AD ALTA TENSIONE QUESTA SERA A ZAGABRIA

Dalle due parti ripetuti appelli a fare dell'incontro "la partita della pace"
Stimac: "Abbiamo una grande chance di mostrare a tutila nostra vera natura". Mihajlovic: "Ci aspetta una partita di calcio, non una guerra".



Una partita di calcio può avere un forte valore simbolico. Lo sappiamo bene noi in Italia, ma c'è un luogo, i Balcani, in cui una partita può caricarsi di ulteriori valenze etniche e politiche. E' quanto accadrà questa sera a Zagabria, dove la Croazia incontra la Serbia in un incontro valido per le qualificazioni ai Mondiali di Calcio in Brasile. Sarà il primo incontro dalla fine dalle guerre jugoslave degli anni Novanta. Guerre che ebbero il preludio proprio a Zagabria allo stadio Maksimir in occasione dell'incontro tra la Dinamo Zagabria e la Stella Rossa di Belgrado.

L'episodio risale al 13 maggio 1990 e viene considerato uno degli episodi più emblematici della fine della Jugoslavia. I due club, tradizionalmente rivali, per anni erano stati ai vertici del campionato jugoslavo e molto spesso si erano disputati il titolo nazionale. L'incontro non ebbe nemmeno inizio a causa dei disordini scoppiati sugli spalti tra gli ultras della Dinamo(i BBB, “Bad Blue Boys”) e quelli della Stella Rossa Belgrado (Delije). Gli scontri divampati dentro lo stadio si estesero anche fuori.Un anno dopo, nel maggio del 1991, a pochi mesi dallo scoppio della guerra, la squadra croata dell'Hajduk si presentò a Belgrado, per affrontare la Stella Rossa, con il lutto al braccio in memoria dei 12 poliziotti croati uccisi sul confine con la Serbia. Vinse l'Hajduk e fu l'ultima partita tra una squadra croata e una serba nella storia della Jugoslavia.

Con queste premesse è evidente che l'allarme sicurezza a Zagabria è altissimo: la polizia croata è da giorni in regime di massima allerta e ha lavorato in cooperazione con quella serba, mentre dalle due parti si sono moltiplicati gli appelli per fare di questo incontro la "partita della pace". Perché se il passato continua a pesare, e se gli ultras di entrambi i Paesi sono stati colpiti più volte dalle sanzioni dell'Uefa per ripetuti episodi di violenza e di razzismo, la speranza è che il match possa segnare una svolta in positivo, in linea con la politica ufficiale di disgelo in corso da mesi tra Zagabria e Belgrado dopo il freddo degli ultimi mesi.

L'allenatore della Croazia, Igor Stimac, ha lanciato un appello perché i tifosi "sostengano la nazionale con amore e non con l'odio per gli avversari. Abbiamo una grande chance di mostrare a tuti, incluse la Uefa e la Fifa, quale è la nostra vera natura", ha dichiarato. "Ci aspetta una partita di calcio, non una guerra", ha detto da parte sua il collega serbo, Sinisa Mihajlovic. Il caso ha voluto che Stimac e Mihajlovic siano gli stessi che quel giorno di maggio del 1991 furono protagonisti di un acceso litigio. Stimac era il capitano della squadra croata, mentre Mihajlovic giocava nella Stella Rossa. Vennero entrambi espulsi e ancora oggi si rifiutano di rivelare cosa si dissero (l'ipotesi che circola è quella di reciproche minacce di morte). Proprio per questo si adoperano da tempo per cercare di abbassare la tensione. Tre mesi fa, per esempio, si sono presi un caffè insieme in Polonia per "chiarire un po' di cose", come ha poi detto Mihajlovic che ha poi assicurato che "quella vecchia storia oggi è storia, e basta".

Stasera le loro squadre si incontreranno davanti ad uno stadio esaurito: 40mila biglietti venduti in pochissimo tempo, malgrado i tifosi serbi non potranno entrare nello stadio. Anche i posti di frontiera sono stati allertati da giorni per bloccare gli ultras. E a Belgrado è stata rafforzata la sorveglianza di rappresentanze diplomatiche e di "obiettivi religiosi". La speranza è che non succeda nulla. Diversamente, vedremo da noi per l'ennesima volta, articoli di giornali e servizi televisivi che ci racconteranno che i Balcani non cambiano mai, che la guerra non è mai finita e che in definitiva si tratta di Paesi e popoli inaffidabili e pericolosi. Speriamo che questa sera "quella vecchia storia sia storia, e basta".

giovedì 21 marzo 2013

NIKOLIC: WASHINGTON NON CONOSCE BENE LA POSIZIONE SERBA SUL KOSOVO

"Usa e Serbia avranno contatti molto piu' frequenti ad alto livello"
 
www.washingtonpost.com
Di Marina Szikora [*]
In occasione dell'inaugurazione del pontificato di papa Francesco, il presidente della Serbia, Tomislav Nikolić, ha incontrato a Roma il vicepresidente degli Stati Uniti, Joseph Biden per parlare dei negoziati in corso sul Kosovo. Secondo Nikolić le informazioni arrivate da Washington non corrispondevano alla situazione delle relazioni tra Priština e Belgrado e l'avanzamento del dialogo non e' stato valutato in maniera corretta dall'Amministrazione: "Il signor Biden, come rappresentante dell'amminsitrazione americana, non e' stato messo a conoscenza dei detagli relativi a quello che il Parlamento serbo aveva chiesto e della Risoluzione approvata", ha dichiarato Nikolić all'agenzia di stampa serba Tanjug. 
Secondo le sue parole il colloquio con Biden e' stato molto utile perche' si e' parlato di temi che interessano anche gli Stati Uniti. Nikolić ha aggiunto che il vicepresidente americano ha detto chiaramente di sentirsi invitato a dare un contributo affinche' questo problema sia risolto, perche' gli Stati Uniti hanno riconosciuto l'indipendenza del Kosovo. Nikolić ha detto di aver indicato al suo interlocutore americano che molti Stati hanno riconosciuto l'indipendenza del Kosovo grazie a quel primo riconoscimento americano. Nikolic ha ricordato che anche la Serbia ha i suoi amici nel mondo, ma non distingue gli Stati ed i popoli su queste basi, bensi' in base a quanto possano collaborare sinceramente e apertamente con la Serbia, nonostante tutti i pesi e le limitazioni esistenti. 
"L'amministrazione americana e quella serba d'ora in poi avranno contatti molto piu' frequenti ad alto livello, perche' tutti vogliamo che questo problema sia finalmente risolto al fine di garantire una vita migliore per i cittadini della Serbia, incluso il Kosovo, per i cittadini del Kosovo inclusa la comunita' serba, che avra' l'aiuto sia dal parte serba che da quella dell'Ue", ha detto ancora Nikolić. Per il capo dello Stato serbo nei prossimi mesi il problema kosovaro molto probabilmente sara' risolto: "Se accadra' che gli albanesi non vogliono rinunciare proprio a nulla, questo problema rimarra' per le future generazioni, il che non sara' buono per la Serbia, ma nemmeno per la gente che vive a Priština", ha concluso Nikolić da Roma. 
[*] Corrispondente di Radio Radicale


OCALAN ANNUNCIA IL 'CESSATE IL FUOCO': STORICO NEWROZ PER I CURDI E LA TURCHIA


"Oggi inizia una nuova era per passare dalla lotta armata alla lotta democratica"

Newroz storico per i curdi e anche per la Turchia: atteso da alcuni giorni è infatti arrivato oggi l'annuncio del “cessate il fuoco” da parte del Pkk, il Partito curdo dei lavoratori. Il suo leader storico, Abdullah Ocalan, detenuto dal 1999 nel carcere di massima sicurezza sull'isola di Imrali, ha fatto diffondere questa mattina il documento nel quale annuncia la sospensione dell'operazioni armate e invita i combattenti del Pkk a ritirarsi oltre i confini della Turchia, nel Kurdistan iracheno.
Il documento di Ocalan è stato letto a Diyarbakir, nel sud est della Turchia, da due deputati del Bdp, il partito curdo che siede nel parlamento di Ankara, davanti ad una folla enorme: si parla di almeno 200mila persone) con striscioni, bandiere e immagini del leader del Pkk.
"E' il tempo della politica, non delle armi", afferma il messaggio. "Una nuova era inizia oggi, la porta si apre per passare dalla lotta armata alla lotta democratica", dice Ocalan nel messaggio letto in curdo, ma anche in turco. "Facciamo tacere le armi, lasciamo parlare la politica. E' ora che le nostre forze armate si ritirino oltre i confini. Non è la fine, e l'inizio di una nuova era".
Solo le prossime settimane e mesi ci diranno se sarà davvero così: se il capodanno curdo del 2013 segnerà l'inizio di una fase nuova in un conflitto che va avanti da oltre 30 anni e che ha provocato oltre 40mila morti.
Di sicuro oggi è cominciata la primavera e non poteva farlo in modo migliore.


SLOVENIA: VIA LIBERA DEL PARLAMENTO AL GOVERNO BRATUSEK


Ieri sera il Parlamento di Lubiana ha dato via libera al nuovo governo guidato da Alenka Bratusek: il nuovo esecutivo, di centro-sinistra, prende il posto di quello di centro-destra di Janez Jansa sfiduciato lo scorso mese di febbraio. I nuovi ministri, dell'undicesimo governo nella storia della Slovenia indopendente, hanno già prestato giuramento:oggi, dopo il passaggio delle consegne, si tiene il primo Consiglio dei Ministri di un governo che ha davanti a sé un compito non facile e che sarà giudicato dalla gente senza indulgenze. Qui di seguito il pezzo di Stefano Lusa, caporedattore della redazione giornalistica di Radio Capodistria, pubblicato oggi sul sito di Radio Capodistria.

Le sfide del nuovo governo
di Stefano Lusa

È il primo governo guidato da una donna, quello più giovane della storia della repubblica, il primo con un ministro che apertamente dichiara di appartenere ad una minoranza nazionale ed è anche il primo governo che ha un mandato a termine.
Il gabinetto Bratušek si ripresenterà alla camera entro un anno per chiedere la fiducia. Se le cose dovessero andar bene potrebbe continuare, magari fino alla fine del mandati, altrimenti la strada non potrebbe essere altro che quella delle elezioni anticipate. Uno scenario questo che probabilmente cancellerebbe dal parlamento molte delle forze politiche oggi presenti.
In questo momento le incognite sono molte. La prima riguarda lo stato delle casse dello stato. Le dichiarazioni fatte dall’ex ministro delle finanze Janez Sušteršič sono allarmanti e la nuova opposizione non ha mancato di dire che quello della Bratušek sarà l’ultimo governo sloveno prima del commissariamento europeo.
Se la situazione economica dovesse aggravarsi, non potrebbero che acquisti, le proteste di piazza e la sfiducia nei confronti della classe politica.
In ogni modo bisognerà vedere quanto la coalizione riuscirà a reggere e quanto tempo dovrà passare affinché emergano le contraddizioni tra i partiti della nuova maggioranza. Le sorti dell’esecutivo paiono ancora una volta nelle mani di Gregor Virant, il bizzoso leader della Lista civica, ma anche in quelle dei Socialdemocratici che sognano di capitalizzare in termini di voti quello che gli inaffidabili sondaggi teoricamente gli assegnano.
La nuova opposizione non sembra voler dare troppa tregua al governo. Il primo bersaglio potrebbe essere il ministro della difesa Roman Jakič, su cui non sono mancati di volare ieri pesanti strali. Se lo scontro dovesse ancora di più inasprirsi, con il solito infamante reciproco scambio di accuse tra le opposte fazioni, la classe politica slovena potrebbe procedere verso un inesorabile autodafé.


KOSOVO: CONTINUA IL DIFFICILE CONFRONTO SULLO STATUS DEI SERBI DEL NORD

Il vicedirettore dell'Ufficio del governo serbo per il Kosovo, Krstimir Pantić, ha dichiarato lunedi' 18 marzo di essere sicuro che Belgrado non fara' piu' nessuna concessione nel dialogo con Priština e che i negoziatori non accetteranno che alla comunita' dei comuni serbi non vengano concesse competenze legislative ed esecutive e si e' detto preoccupato sul proseguimento del dialogo. Senza tali competenze la comunita' serba in Kosovo non potra' sopravvivere, ha detto Pantić, dicendosi pessimista sul prossimo round di negoziati perche' dietro Priština ci sono gli Stati Uniti e la gran parte dell'Ue e per questo motivo i kosovari non sono pronti a compromessi significativi. 
Qui di seguito la trascrizione della corrispondenza di Marina Szikora per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi 21 marzo a Radio Radicale [NB: la corrispondenza è stata registrata prima della fine dei colloqui del 20 marzo].

La data dell'inizio dei negoziati di adesione della Serbia all'Ue dipende dalle riforme e dal dialogo con Priština, ha detto lunedi' a Belgrado il commissario all'allargamento dell'Ue Štefan Feule incontrando i vertici serbi. Durante il suo incontro con il capo dello stato serbo Tomislav Nikolić, e' stato trasmesso che Belgrado ritiene che la Serbia ha meritato la tanto attesa data. Secondo le parole di Nikolić, la Serbia ha fatto molto a proposito delle condizioni che il Consiglio europeo ha posto davanti a Belgrado ma che nel dialogo con Priština non si puo' fare ne piu' ne' meno di quello che si dice nella Risoluzione sul Kosovo approvata dal Parlamento serbo. Secondo il presidente serbo, per raggiungere l'accordo adesso e' necessario che la parte kosovara cedesse. Nikolić ha assicurato che non esiste nessuna differenza nei messaggi che lui ed il premier serbo Ivica Dačić trasmettono sul dialogo con Priština, l'unica differenza e' che il presidente serbo esprimeva ottimismo sulla risposta alla Risoluzione mentre il premier, avendo piu' contatti con Priština, afferma che questo non sara' per niente facile. Nikolić ha ribadito che la piattaforma da lui proposta ed approvata in parlamento puo' portare pace e stabilita' nei Balcani, uno sviluppo sicuro della Serbia, sicurezza e connessione della comunita' serba con la Serbia e la Serbia nell'Ue. Il presidente serbo ha sottolineato che la Serbia e' pronta ad ogni tipo di dialogo con l'Ue e che lavora costantemente perche' la conclusione del rapporto del Consiglio europeo sia positiva affinche' la Serbia possa ottenere la data dell'inizio dei negoziati.

In risposta, il commissario europeo ha detto che insieme all'alto rappresentante dell'Ue, Kathrin Ashton appoggia le aspirazioni della Serbia e vogliono entrambi che gli sforzi europei abbiano successo. "So che tutti siete intressati a sapere se la Serbia avra' la data dell'inizio dei negoziati a giugno. La risposta dipende dagli sforzi ad adempiere le riforme e se sara' raggiunto un progresso visibile e sostenibile nelle relazioni con il Kosovo" ha detto Feule. Il commissario europeo ha salutato il progresso raggiunto nel dialogo tra Belgrado e Priština ma non ha risposto esplicitamente alla domanda se la Serbia avra' la data per l'inizi dei negoziati a giugno, scrivono i media serbi. Feule ha precisato che nel rapporto della Commissione europea sull'avanzamento della Serbia, che sara' reso pubblico il prossimo 16 aprile verra' indicato tutto quello che e' stato fatto per quanto riguarda l'adempimento delle riforme ma ha rilevato che in alcuni settori come quello della giustizia, approvazione della strategia anticorruzione, liberta' dei media e l'inclusione dei gruppi vulnerabili, il lavoro sulle riforme deve essere intensificato. Fuele ha salutato la nuova dinamica nel dialogo tra Belgrado e Priština e "l'offensiva" che e' stata compiuta con l'incontro tra i presidenti Nikolić e Jahjaga e ha espresso speranza che saranno raggiunti risultati significativi.

Dopo l'incontro con Nikolić, Fuele ha incontrato anche il premier Ivica Dačić il quale ha dichiarato di essere molto soddisfatto della qualita' del progresso nell'adempimento dei criteri politici per il proseguimento e acceleramento dell'eurointegrazione della Serbia. Il premier serbo ha indicato che la normalizzazione delle relazioni con Priština e' l'obiettivo della Serbia non a causa della data dell'inizio dei negoziati con l'Ue bensi' perche' si tratta di un "problema oggettivo" della Serbia. La Commissione europea presentera' il rapporto sull'avanzamento della Serbia nelle integrazioni europee e sul dialogo tra Belgrado e Priština il prossimo aprile dopodiche' il Consiglio europeo decidera' se attribuire alla Serbia la data concreta per l'inizio dei negoziati di adesione.

Una delegazione di deputati tedeschi della Cdu in visita a Belgrado
All'inizio di questa settimana Belgrado hanno visitato anche i deputati tedeschi della CDU. Secondo il quotidiano serbo 'Danas' i parlamentari tedeschi sono arrivati per "dare una pacca alle spalle delle autorita' serbe per i risultati realizzati nel precedente periodo ma anche per ricordare chiaramente i compiti rimanenti che bisogna adempiere" informa il quotidiano 'Danas' in occasione della visita dei deputati tedeschi del partito governativo CDU a Belgrado. La delegazione tedesca ha incontrato il premier Ivica Dačić e il vicepresidente del Governo, Aleksandar Vučić, parlamentari serbi e rappresentanti delle organizzazioni nongovernative. Secondo l'ex ambasciatore serbo a Berlino, Ognjen Pribićević si tratta di una delegazione molto forte che in base all'incontro con i vertici serbi stabilira' quello che e' stato raggiunto nei settori chiave, soprattutto il progetto relativo al nord del Kosovo e l'attuazione degli accordi finora raggiunti nel dialogo con Priština. Tutto cio', secondo Pribićević, sara' rilevante per Berlino a prendere la decisione finale sull'avanzamento della Serbia nelle integrazioni europee. La giornalista serba di politica estera, Seška Stanojlović ritiene invece che ci sono senza dubbio divergenze tra i messaggi pubblici dei parlamentari tedeschi e quello che e' stato detto nei colloqui interni con i rappresentanti del Governo serbo.

Quanto al quotidiano di Belgrado 'Blic', l'adempimento delle aspettative tedesche sono la precondizione per l'approvazione da parte del partito governativo tedesco del Bundestag a dare il segnale verde per l'inizio dei negoziati di adesione della Serbia con l'Ue. Il capo della delegazione tedesca giunta a Belgrado Schokenhoff ha presicato che Berlino richiede "una volonta' chiara e visibile" e questa volonta' visibile potrebbe consistere in una dichiarazione scritta o orale da parte dei presidenti della Serbia e del Kosovo o dei due premier, davanti alle camere, che entrambi i governi durante i negoziati di adesione della Serbia regoleranno in una forma giuridica condizionata la normalizzazione delle relazioni. Quanto a queste informazioni i rappresentanti del Bundestag tedesco hanno dichiarato che "la Germania ha riconosciuto l'importanza eccezionale e storica degli eventi che vedono i due premier come protagonisti degli incontri regolari tra Belgrado e Priština che rappresentano passi importanti nella direzione giusta per la normalizzazione dei rapporti. Un altro segnale incorraggiante e' stato l'incontro tra i presidenti Nikolić e Jahjaga. Quanto alle richieste per l'abolizione delle strutture parallele al nord del Kosovo, i deputati tedeschi – scrive 'Blic' – hanno sottolineato che sono indispensabili accordi concreti che dovrebbe accettare anche la popolazione serba al nord del Kosovo nonche' l'inizio della loro attuazione e la trasparenza dei contributi finanziari provenienti dalla Serbia.

La delegazione tedesca ha constatato che sono necessari ulteriori sforzi da parte di Belgrado per influenzare i serbi al nord ad accettare la missione dell'Ue, per stabilire permanentemente la libera circolazione dell'Eulex e per collaborare con gli stessi nelle indagini sugli attacchi con le bombe. Per quanto riguarda la riconciliazione nella regione, i rappresentanti tedeschi hanno rilevato che sin da quando ci sono stati cambiamenti di potere si lavora attivamente per realizzare contatti con i vicini e sono proseguiti gli sforzi nella tutela delle relazioni di buonvicinato su cui era impegnato anche il governo precedente. In questo contesto e' stato particolarmente rilevato l'incontro tra Tomislav Nikolić e Atifeta Jahjaga. Il messaggio della delegazione tedesca riguarda anche Priština, prosegue 'Blic' e precisa che essi si dicono consapevoli che per una valutazione degli sforzi nel dialogo con Kosovo il ruolo centrale e' anche quello del comportamento di Priština e quindi si insiste affinche' anche Priština ed i suoi rappresentanti dimostrino prontezza ad un compromesso. "La frazione CDU/CSU del Bundestag puo' giustificare la sua decisione positiva sull'inizio dei negoziati di adesione soltanto se gli accordi e le riforme non restino lettere morte sulla carta ma se siano attuati" e' la conclusione dei rappresentanti tedeschi.


"QUI TIRANA": LA CORRISPONDENZA DI ARTUR NURA

Gli argomenti della corrispondenza di Artur Nura per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi e che è possibile riascoltare sul sito di Radio Radicale.

Albania: il governo di Tirana ha offerto asilo a 210 appartenenti all'organizzazione dei Mujahedin del popolo iraniano. Le ragioni di questa decisione, le reazioni internazionali e quelle della stessa organizzazione che chiede asilo per tutti i suoi membri.

Macedonia: per le elezioni locali di domenica 24 marzo i partiti macedoni hanno presentato liste comuni in due città importanti contro i candidati separati degli albanesi. Le decisioni al riguardo della Commissione d'inchiesta sugli incidenti avvenuti in Parlamento e che hanno causato la lunga crisi politica.

Kosovo: potrebbe essere in vista un accordo tra Belgrado e Prishtina sulle "istituzioni parallele" serbe nel nord del Kosovo, anche se il premier kosovaro Hashim Thaci ha smentito. Le dichiarazioni di Jelko Kacin sul dialogo tra serbi e albanesi. Le dichiarazioni del ministro serbo per l'Energia sui negoziati tra Belgrado e Prishtina sulla questione delle risorse energetiche del Kosovo.


PASSAGGIO IN ONDA

E' on-line la puntata di Passaggio a Sud Est trasmessa da Radio Radicale il 21 marzo. La trasmissione è ascoltabile nella sezione "In Onda" del blog oppure, insieme a quelle precedenti, sul sito di Radio Radicale.

domenica 17 marzo 2013

VIAGGIO NELLA "CITTA' BIANCA" - 4a puntata


Continua il viaggio di Riccardo De Mutiis nella storia recente di Belgrado, dall’epoca della Jugoslavia del Maresciallo Tito ai giorni nostri: un viaggio alla scoperta della “città bianca” nelle cui strade vibra il “srpsko srce”, il cuore serbo. In questa quarta puntata il racconto prosegue nella capitale serba di oggi, attraverso le trasformazioni subite in questo ultimo decennio, dai nomi delle strade ai nuovi luoghi di ritrovo, dall'arrivo dei brand internazionali all'attenzione al look delle nuove generazioni: segni che indicano, dopo la lunga stagione del nazionalismo e del rifiuto di ciò che veniva dall’estero, l'apertura della città al mondo con tutte le contraddizioni che a ciò si accompagnano.

Belgrado: un'immagine di Knez Mihailova
Secondo Le Corbusier “di tutte le capitali situate in una posizione splendida, Belgrado è la più brutta”. L’affermazione dell’architetto svizzero è troppo drastica, ma ha un fondo di verità. In effetti la posizione geografica della capitale serba è invidiabile: il nucleo originario della città venne realizzato su una collina ai cui piedi la Sava affluisce nel Danubio e da cui, in particolare dalla fortezza di Kalemegdan, si gode il panorama di una pianura che si estende a perdita d’occhio. Non sono altrettanto apprezzabili, purtroppo, né l impianto urbanistico, né lo stile architettonico della città. Infatti alla impostazione urbanistica degli Ottomani si sovrappose quella dei Karadjordjevic ed a questa quella di stampo comunista del periodo titino: alla disorganicità derivante dalla sovrapposizione di tali idee urbanistiche profondamente diverse l’una dall'altra si aggiunsero, nel momento in cui la città si estese oltre la Sava ed il Danubio, i problemi di una rete viaria che si intasava spesso e volentieri in prossimità dei pochi ponti che collegavano il centro con Zemun, Novi Beograd e le altre nuove zone costruite oltre i fiumi. Ma se la struttura urbanistica di Belgrado non è entusiasmante, è altrettanto vero che il viaggiatore che arriva nella capitale balcanica è colpito dall’atmosfera tutta particolare che vi si vive: nelle strade di Belgrado vibra l’anima del popolo serbo, batte il “srpsko srce”, il cuore serbo. La città ha sempre vissuto con grande partecipazione le vicende nazionali, senza mai appiattirsi sui mantra dettati dal potere costituito, ma tenendo invece spesso un atteggiamento critico e disincantato nei confronti dei vari regimi che dal dopoguerra ad oggi si sono avvicendati alla guida del paese. In questo scritto il rapporto tra la città di Belgrado e la politica prima jugoslava e poi serba viene analizzato con riferimento diversi periodi storici, dal dopoguerra fino alla morte del Maresciallo Tito, dal periodo del regime di Slobodan Milosevic alla sua caduta, fino ai nostri giorni.
Riccardo De Mutiis [*]

La Belgrado di oggi / 1
Al viaggiatore che arrivi per la prima volta a Belgrado in questi giorni la città non appare molto diversa  dalle altre capitali dell’Europa orientale che da qualche decennio si sono decisamente trasformate, entrando nei circuiti  economici internazionali: grandi centri commerciali, presenza diffusa di banche straniere, punti vendita dei brand che fanno della diffusione a livello mondiale il loro obiettivo primario,  soggezione delle generazioni più giovani alle tendenze, soprattutto in tema di look, dettate dai paesi occidentali. Insomma, dopo la lunga stagione del nazionalismo, e dunque dell’ostracismo nei confronti dell’estero, Belgrado e la Serbia sembrano avviate sulla strada dell’apertura internazionale. E’ un'impressione, questa, che trova conferma anche sotto il profilo culturale: in quella che forse è la più antica libreria belgradese, “Akademija”, sulla Mihajlova, si trovano tante pubblicazioni di autori esteri, ma anche di autori serbi che hanno per oggetto argomenti o personaggi stranieri, cosa impensabile fino a qualche anno fa. E’ stata sdoganato, dopo circa un decennio, il libro in cui Carla Del Ponte parla delle indagini da lei svolte quale procuratrice del Tribunale penale per l’ex Jugoslavia ["La caccia. Io e i criminali di guerra" pubblicato in Italia da Feltrinelli, n.d.r] e che l’avevano resa, per il fatto di aver perseguito molte personalità serbe, particolarmente invisa a Belgrado ed in tutta la Serbia: “Gospodja tuziteljka” ("Signora procuratrice"), è il titolo serbo del libro. Altro best seller, stavolta italiano, molto presente nelle librerie serbe è “Ja sam  bog”, ovvero “Io sono Dio” di Giorgio Faletti, mentre, per passare alle pubblicazioni serbe aventi ad oggetto argomenti stranieri, può essere interessante, sempre da un prospettiva italiana, segnalare il libro su Berlusconi scritto da Adrijana Mirkovic, montenegrina di Bar trapiantata a Belgrado, intitolato “Uspeh i moc”, cioè “Il successo ed il potere”.

Un gelato in riva al Danubio
La “città bianca” appare omologata alle altre metropoli continentali non solo a chi la visita per la prima volta, ma anche a chi vi era stato e vi ritorna, per la prima volta, nel nuovo millennio. Per rendersene conto è sufficiente fare un giro in centro: l’internazionalizzazione della capitale si coglie dalla chiusura di tante attività commerciali tipicamente serbe, che avevano una tradizione pluridecennale ed a cui i belgradesi erano particolarmente affezionati, e dal sorgere, al loro posto, di esercizi che fanno della diffusione internazionale il carattere distintivo. E’ emblematico, al riguardo, il caso di uno dei caffè a cui i belgradesi erano più legati, il Ruski car, situato sulla Mihajlova in corrispondenza dell’accesso a Trg Republika [piazza Repubblica, n.d.r.]. Il locale, il cui ambiente, di qui il nome, era caratterizzato da una serie di ritratti dei più importanti zar della Russia, in cui anche i camerieri vestivano alla russa,  ha chiuso proprio l’anno scorso per essere sostituito da un ristorante della holding statunitense Vapiano, che opera in tutto il mondo con la formula del franchising, proponendo cibo italiano. Ma, più in generale, molti ristoranti e caffè che si trovano in centro e che offrivano i piatti tipici della cucina serba e il tradizionale caffè turco sono stati sostituiti da esercizi che propongono un menu internazionale. Il noto Snezana, che si incontra sulla Mihajlova nei pressi dell'ingresso al parco della fortezza Kalemegdan, ha conservato il nome serbo ma ha stravolto il suo menu in cui non si trovano più cevapcici, pleskavica e sarma, ma invece pizza e pasta.

E’ vero che resiste, su Terazje, un locale apprezzato non solo dalla élite belgradese, ma anche dagli ospiti internazionali di un certo calibro: lo storico Hotel Moskva, costruito più di un secolo fa, dove si gustano le migliori torte della città ed in cui fino a qualche anno fa non era difficile incontrare il corrispondente della sede Rai di Belgrado, Ennio Remondino. Ma è anche vero che il management dell’hotel ha dovuto in qualche modo adeguare, rinnovandoli, non solo ambiente e menu, ma anche il personale, passando dagli austeri camerieri in costume tipico serbo a giovanissime konobarice (cameriere) vestite alla moda. Negli ultimi anni, poi, l’abitudine dei belgradesi, soprattutto nei mesi caldi, a vivere i momenti di svago e di relax sui fiumi si è particolarmente accentuata e si è passati, nel giro di pochi anni, da una presenza sporadica di attività sul Danubio e sulla Sava, limitata ai tipici splavovi (i bar-terrazze sull’acqua), ad una occupazione del lungo fiume molto più intensa ed organizzata: è stato creato il porto fluviale, con annessi ristoranti e bar (c’è addirittura una palestra), sono nati  molti ristoranti e locali notturni, soprattutto sul Danubio, e l’isola Ada ciganlija, sulla Sava, è attualmente caratterizzata dalla presenza di stabilimenti balneari con tanto di ombrelloni e sdraio.
[4. continua]



[*] Riccardo De Mutiis, esperto di relazioni internazionali, conoscitore della realtà balcanica anche per aver partecipato a diverse missioni patrocinate da istituzioni internazionali. Passaggio a Sud Est ha già pubblicato diversi suoi pezzi: per ritrovarli clicca qui.   


venerdì 15 marzo 2013

RACCONTA L'EUROPA ALL'EUROPA: IL MONTENEGRO TRA PASSATO E FUTURO

Settima puntata del ciclo di Speciali di Passaggio a Sud Est che fanno parte del progetto europeo promosso da Osservatorio Balcani e Caucaso


Il settimo Speciale prodotto nell'ambito del progetto europeo promosso da Osservatorio Balcani e Caucaso è dedicato al Montenegro, piccolo Paese incastonato tra l'Adriatico e le montagne balcaniche. Famoso per le sue bellezze naturali, abitato da gente fiera e combattiva, negli ultimi anni è divenuto terra di conquista della speculazione turistico-edizlia e di lucrosi e non troppo chiari affari nel settore energetico, ambito che vede l'Italia in prima fila. Un Paese governato da oltre venti anni dalla stessa persona, Milo Djukanovic, diventato ricchissimo in poco tempo (secondo i detrattori e alcune inchieste giudiziarie grazie al contrabbando di sigarette) e che ha costruito un capillare sistema di potere politico-economico. Corruzione politica, clientelismo e penetrazione della criminalità organizzata, rendono quella montenegrina una realtà simile a quella di altri Paesi dell'area balcanica. Anche in Montenegro però, grazie ad alcune personalità coraggiose come Vanja Calovic, direttrice dell'ong Mans, tira aria di cambiamento: lo si è visto alle ultime elezioni politiche, lo si vedrà, forse, alle presidenziali del 7 aprile che diranno se e in quale misura la "primavera montenegrina" del 2012 ha fatto sbocciare frutti duraturi. 


Partecipano alla trasmissione: 

Nela Lazarevic, corrispondente del quotidiano Vijesti e del portale Birn 
Luca Lietti, responsabile area sviluppo dell'associazione "Trentino Balcani" 
Vanja Calovic, intervistata da Francesco Martino per Osservatorio Balcani e Caucaso

Conclusioni di Luka Zanoni, direttore della testata giornalistica di Osservatorio Balcani e Caucaso.

Ascolta qui il settimo Speciale "Racconta l'Europa all'Europa": Montenegro




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