"The Times They Are a-Changin'", cantava Bob Dylan nel 1964 per avvertire che i tempi stanno cambiando e i figli sono pronti a rivoltarsi contro i loro padri. Mi è venuto in mente il titolo di questa canzone famosissima quando ho letto la notizia che il Parlamento serbo, grazie alle aperture di progressisti e socialisti, potrebbe varare in tempi brevi la risoluzione di condanna del massacro di Srebrenica voluta e sostenuta dal presidente Boris Tadic. Ora, a parte la canzone di Dylan che si riferisce ad altri tempi e ha altri significati, è un fatto che le cose in Serbia da qualche tempo hanno cominciato a cambiare. Poco per volta, non senza contraddizioni e contraccolpi, il Paese sta cercando di fare i conti con sé stesso e di recuperare il tempo perduto dietro ai deliri nazionalisti panserbi di Slobodan Milosevic e dei suoi sodali e tirapiedi.
Ero a Belgrado nel 2008 sia quando Boris Tadic vinse le elezioni battendo l'allora radicale Tomislav Nikolic al ballottaggio, sia quando pochi mesi dopo la coalizione europeista vinse elezioni che secondo i sondaggi avrebbero invece visto un'affermazione degli ultranazionalisti radicali con i nazionalisti moderati a fare da ago della bilancia. La sera delle presidenziali ero nella sede del Partito Democratico (Ds) di Tadic, invece la sera delle elezioni politiche ero a Zemun nel quartier generale dei Radicali, zeppo di giornalisti della stampa internazionale. I turboserbi già assaporavano il gusto della vittoria. Fin a quando dal Cesid giunsero le prime notizie che lo spoglio delle schede elettorali stava dando la vittoria agli europeisti.
Dopo di allora è venuta prima la scelta del Partito socialista serbo (Sps, che fu di Slobodan Milosevic ma oggi è guidato dal giovane e pragmatico Ivica Dacic) di far parte della maggioranza che sostiene l'attuale governo europeista e poi la scissione dell'ala moderata dei Radicali che, sotto la guida di Nikolic ha abbandonato Vojslav Seselj (sotto processo all'Aja per crimini di guerra) e il Partito Radicale Serbo al suo destino dando vita al Partito Progressista Serbo (Sns). Ora la Serbia, proseguendo la transizione democratica che dovrà portarla all'adesione all'UE, sembra prossima a far cadere un altro tabù. Il Partito socialista ed il Partito progressista si sono detti disponibili ad approvare la risoluzione parlamentare di condanna del massacro di Srebrenica del luglio 1995, quando le truppe serbo-bosniache guidate dal generale Ratko Mladic, massacrarono 8000 civili musulmani (secondo le stime ufficiali).
Oggi il quotidiano Blic scrive che "Ivica Dacic (attuale ministro dell'Interno, ndr) e Tomislav Nikolic sono pronti a sostenere la risoluzione su Sebrenica la cui parte introduttiva fa riferimento alla decisione della Corte internazionale di giustizia del luglio 1995, secondo cui a Srebrenica fu commesso un genocidio". Certo, i problemi non mancano, prima di tutto dal punto di vista lessicale. Proprio l'uso o meno nel testo della parola "genocidio", infatti, dovrebbe essere uno dei nodi da sciogliere durante il dibattito parlamentare che dovrebbe svolgersi "entro la fine di marzo",secondo le indicazioni del presidente del Parlamento serbo, Slavica Dukic-Dejanovic, anche se il calendario è ancora da fissare.
L'apertura da parte di progressisti e socialisti per ora non è niente di più che un'indiscrezione, che però basta a indicare che tipo di trasformazione sia in atto nella politica e nella società civile serba. A parte la minoranza dei Radicali ultranazionalisti, la questione non è più legata al riconoscimento o meno delle responsabilità serbe di quanto avvenne a Srebrenica quasi quindici anni fa, ma a come definire quel crimine. Stando alle notizie che circolano sui media, la bozza della risoluzione proporrebbe un compromesso tra quanti - come i Democratici e i Liberali - sono favorevoli a condannare il "genocidio" di Srebrenica e quanti - Socialisti e Progressisti- preferiscono parlare di "crimine di guerra", come gli altri commessi nel corso delle guerre jugoslave degli anni Novanta, e di cui furono vittime anche i serbi. La soluzione di compromesso proporrebbe un testo che invece di usare direttamente la parola "genocidio" parlerebbe dei "gravi crimini contro i bosgnacchi commessi a Srebrenica nel 1995" che "sono stati qualificati come genocidio dalla Corte internazionale di giustizia e dal Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia".
Da un punto di vista strettamente politico, tuttavia, la parte significativa della risoluzione è un'altra. Il presidente Tadic, spiegando il suo forte appoggio all'iniziativa, ha parlato della necessità di "protezione dell'interesse nazionale" chiedendo al parlamento un pronunciamento in grado di compensare in qualche modo la mancata cattura del super ricercato Mladic. Di particolare importanza, quindi, è la parte del testo in cui si afferma che "il parlamento sostiene le misure per punire tutti i responsabili" della strage di Srebrenica. Quindi, anche l'ex generale la cui mancata cattura a quasi quindici anni dalla fine della guerra di Bosnia resta per Belgrado motivo di grave imbarazzo internazionale e soprattutto un ostacolo insormontabile per aprire definitivamente il processo di adesione all'Unione Europea. Se la risoluzione sarà approvata con questa affermazione sarà una conferma che il mondo politico serbo, nella sua grande maggioranza, sembra oggi pronto finalmente a guardare in faccia alla propria storia per guardare al futuro. The Times They Are a-Changin', anche in Serbia.
pensa che in italia stiamo ripudiando la costituzione !!
RispondiEliminapensa che progresso dei figli rispetto ai padri !!!!!