La decisione di lunedì è stata accolta con favore dalla maggioranza dei 27. Secondo il nostro ministero degli Esteri, "è il giusto segnale al momento giusto, sia per la Serbia che per l'intera regione balcanica", mentre per il ministro degli Esteri svedese, Carl Bildt, è stato fatto oggi "ciò che avremmo dovuto fare già sei mesi fa", anche se non si può escludere che "possa ancora riproporsi" un contrasto tra Ue e Serbia sulla mancata 'piena cooperazione' con il TPI. Ora la parola passa dunque alla Commissione europea che, grazie al voto favorevole di lunedì, entro "qualche settimana" invierà un questionario a Belgrado. Il parere definitivo della Commissione è attesa fra circa un anno e per allora, perché non correre il rischio che tutti si blocchi nuovamente, Ratko Mladic e Goran Hadzic dovranno essere nelle celle del carcere internazionale di Scheveningen. Per questo lunedì, in un'intervista all'International Herald Tribune, il presidente della Repubblica serbo, Boris Tadic, ha assicurato che "la Serbia soddisferà fino in fondo i suoi obblighi internazionali" e che la cattura di Mladic è solo questione di tempo. Intanto, però, secondo un sondaggio dell'International republican institute pubblicato ieri, il 51% dei cittadini serbi continua anon considerare utile all'interesse nazionale l'arresto e l'estradizione all'Aia di Ratko Mladic anche se il dato è comunque diminuito del 4% tra ottobre 2009 e agosto 2010. Nel periodo di tempo considerato, è lievemente aumentata, dal 34 al 36%, la percentuale di serbi che considera "nell'interesse dello stato", raggiungere la piena cooperazione con il Tribunale. Per il 38% dei serbi, assecondare il TPI è un "male necessario" e solo il 15% è, invece, pienamente d'accordo sull'arresto e l'estradizione di Mladic. Un dato in crescita del 2% nei dieci mesi analizzati mentre al contempo cala dal 37 al 35% la parte di opinione pubblica serba per cui "in nessun caso" Belgrado dovrebbe cooperare con il Tribunale.
Insomma, la Serbia è cambiata e sta cambiando e anche se resistono pulsioni nazionaliste e anti-europee, il paese in questi anni (soprattutto con la presidenza di Boris Tadic e dopo la vittoria dei filo europeisti alle elezioni politiche del 2008), ha varato pur tra mille difficoltà una serie di riforme importanti per entrare nell'UE. Quella di lunedì, quindi, è davvero una data importante. Addirittura storica, come ha scritto la scrittrice, giornalista e regista serba Jasmina Tesanovic in un articolo pubblicato ieri da La Stampa. "Anche se passeranno diversi anni prima che la Serbia diventi membro della UE anche ufficialmente, da oggi la vita di noi cittadini serbi cambierà radicalmente [...] Dopo l'esperienza ventennale di sanzioni, isolamento e crimine legalizzato la Serbia è alle porte dell'Unione, della fortezza della democrazia occidentale con i suoi standard di leggi sul razzismo, sul sitema giudiziario, monetario, sui diritti umani, sui crimini di guerra, ecc.". Per Jasmina Tesanovic è necessario che il suo paese tagli i fili visibili e invisibili con il suo passato criminale: "La UE con tutti i suoi problemi è l'ultima chance per la Serbia per far fronte al male interno decennale". Quella dei ministri degli Esteri dei 27 "è una decisione saggia, perché la Serbia è collocata in mezzo all'Europa: è più facile far diventare Serbia parte dell'Europa, che rischiare che tutta l'Europa diventi Serbia".
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