Oltre 8000 candidati, 39 partiti politici e 11 coalizioni di fronte a poco più di 3 milioni elettori he dovranno indicare i loro rappresentanti per il rinnovo di tre parlamenti (quello dello centrale e quelli delle due entità che compongono il paese, ovvero la Republika Srpska e la Federazione Croato-Musulmana), dei tre seggi della presidenza tripartita della Repubblica e, dove sono previste, delle amministrazioni locali. Questi i numeri che fotografano la Bosnia Erzegovina che si prepara al voto di domenica 3 ottobre, una Bosnia che resta un semi-protettorato internazionale sottoposto all'autorità ddell'Ufficio dell'Alto rappresentante internazionale che avrebbe dovuto essere chiuso già cinque anni fa. La complessa architettura istituzionale, figlia degli accordi di pace di Dayton che posero fine alla guerra del 1992-95, negli ultimi anni ha finito per strasformarsi in una gabbia che strozza i tentativi di porre mano alle riforme necessarie per modernizzare il paese, superare il conflitto e avviare il processo di integrazione europea.
Le deboli istituzioni centrali avrebbero dovuto infatti essere rafforzate dalla riforma costituzionale, ritenuta essenziale per il processo di integrazione euroatlantica, ma i veti incrociato delle entità e la difesa degli interessi nazionalistici, ha provocato un'impasse istituzionale ed economica. Per questo è facile prevedere che dalla partita elettorale di domenica non verranno grandi novità dato che lo scontro politico si riduce sostanzialmente ad una lotta di potere interna alle tre etnie (croati, serbi e bosgnacchi musulmani), invece che a una competizione tra le forze conservatrici e quelle riformiste come in una normale demcrazia.
Nella Federazione croato-musulmana, l'etnia croata, numericamente minoritaria, sembra destinata ad avere un ruolo sempre più marginale a tutti i livelli istituzionali e per questo molti croato-bosniaci vorrebbero una divisione della Federazione. Tra i bosgnacchi, invece, nel tradizionale confronto tra lo storico Partito d'azione democratica (Sda) e il Partito per la Bosnia Erzegovina (Sbih), venuto alla ribalta con il voto del 2006, potrebbe inserirsi, e riservare qualche sorpresa, l'Unione per un futuro migliore della Bosnia (Sbb-Bih) del magnate dell'informazione Fahrudin Radoncic, subito ribattezzato il "Berlusconi balcanico". Il partito, fondato appena un anno fa, nelle intenzioni di voto raccoglie tra il 4 e l'8% del consensi, una percentuale che potrebbe rivelarsi decisiva per i nuovi equilibri della frastagliata rappresentanaza bosgnacca.
Nella Repubblica Srpska è quasi scontata la forte affermazione dell'Alleanza dei social democratici indipendenti (Snsd) dell'attuale premier Milorad Dodik, un nazionalista strenuo difensore della forte autonomia dei serbo-bosniaci rispetto allo stato centrale, che a un mese sì e uno no minaccia la secessione e la riunificazione alla "madre patria" serba, proprio mentre Belgrado cerca di proporsi come uno dei motori della stabilizzazione della regione per favorire l'avvio del processo di integrazione nell'Ue.
In un quadro politico che sembra promettere poche o nessuna novità, qualcosa di nuovo sembra però muoversi: c'è Naša Stranka fondato dal regista Dani Stanovic e a cui recentemente ha aderito una personalità prestigiosa come Zlatko Dizdarević; c'è il Nuovo Partito Socialista di Zdravko Krsmanović che alla testa del comune di Foča ha promosso un'autentica politica di riconciliazione in un ex bastione del nazionalismo serbo; c'è una tutta serie di gruppi e organizzazioni di base che stentano ancora a fare rete ma che sono molto attivi per cercare di costruire una vera società civile, consapevole dei propri diritti di cittadinanza e capace di affermarli e difenderli. Per questa volta, però, il vero vincitore rischia di essere il partito dell'astensione soprattutto tra i giovani, che sono probabilmente i veri disillusi della politica bosniaca. Il che andrà a tutto vantaggio delle forze nazionaliste. Con quali conseguenze cominceremo a capirlo da lunedì mattina.
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