giovedì 30 settembre 2010

BOSNIA AL VOTO: UN'ANALISI DI LUCA LEONE

Fra pochi giorni i cittadini della la Bosnia Erzegovina si receheranno alle urne per quelle che probabilmente sono le più importanti elezioni della storia recente del paese. Nessuno si aspetta grandi novità da un voto che probabilmente conitnuerà a premiare le formazioni politiche nazionaliste. Alle "nuove" classi politiche nazionali e locali spetterà però il compito di far uscire il Paese da una grave crisi politico-istituzionale che da molto tempo sta impedendo le riforme, frenando lo sviluppo economico e bloccando il processo di integrazione europea.
In vista delle elezioni qui di seguito vi propongo un'analisi di Luca Leone, giornalista, scrittore e saggista, che da anni si occupa anche di Balcani del quale proprio in questi giorni esce il libro "Bosnia Express. Politica, religione, nazionalismo, mafia e povertà in quel che resta della Porta d’Oriente", pubblicato da Infinito Edizioni. Luca Leone è autore, tra l'altro di "Srebrenica. I giorni della vergogna" (Infinito Edizioni, 2005-2007).



Domenica 3 ottobre i cittadini bosniaci vanno al voto per eleggere i membri della presidenza dello Stato bosniaco, i deputati della Camera dei Rappresentanti del Parlamento bosniaco, il presidente e il vice presidente della Republika Srpska, i deputati dei parlamenti della Republika Srpska e della Federazione di Bosnia Erzegovima, ovvero la cosiddetta Entità a maggioranza croato-musulmana, e i rappresentanti dei dieci consigli cantonali della Federazione stessa (la Republika Srpska non è infatti suddivisa in unità amministrative inferiori).

Lo Stato-Frankestein creato dai chirurghi folli di Dayton nel 1995, insomma, è chiamato a rifarsi il look, ma probabilmente solo quello, visto che difficilmente il Parlamento e la presidenza che verranno sapranno e vorranno dare la tanto attesa svolta positiva che il Paese aspetta da tre lustri. Destino della Bosnia anche nel quadriennio a venire, così, è di continuare a sperperare tra il 60 e il 70 per cento del bilancio pubblico per far funzionare una macchina istituzionale che prevede la presenza contemporanea - per governare e amministrare una popolazione di poco più di quattro milioni di esseri umani che vivono su una superficie pari alla somma di quelle di Piemonte e Sicilia - di due Entità e un distretto autonomo, con 13 Costituzioni, 14 governi con i rispettivi primi ministri, oltre un centinaio di ministri (tra Stato, Entità, cantoni e distretto), diverse magistrature e persino diversi regimi in materia di passaporto, poiché mentre da subito la liberalizzazione dei visti tra Ue, Serbia e Croazia ha permesso a serbo-bosniaci e croato-bosniaci - tutti dotati di doppio passaporto - di viaggiare liberamente, invece meno di due milioni di musulmani-bosniaci sono stati rinchiusi in una gabbia di acciaio burocratico quasi fossero fiere prigioniere di uno zoo vecchio e scrostato. Un magma totale.

A rimarcare la situazione di oggettiva difficoltà del Paese - la cui economia è ormai controllata da agenzie internazionali e governi esteri sia occidentali che orientali - ci sono le cifre di una campagna elettorale in cui si sono confrontati ben 39 partiti, 11 coalizioni e 13 candidati indipendenti alla presidenza. I candidati complessivi per le poltrone disponibili a vario livello istituzionale sono 8.149, il 37 per cento dei quali donne. E tutti costoro non saranno votati solo dai bosniaci che vivono in patria ma anche, sulla carta, da circa 1,2 milioni di aventi diritto che la guerra ha sparpagliato in quasi cento Paesi di tutto il mondo.

Come finirà? Come sempre è difficile fare previsioni. È probabile che ancora una volta il partito di maggioranza relativa risulti quello dell'astensionismo, sintomo di un Paese che non nutre più alcuna fiducia nei politici e che non vede prospettive diverse dalla corruzione, dalla povertà, dal dimenticatoio in cui la Bosnia è stata precipitata. Tra coloro che andranno alle urne è probabile che i partiti maggiormente votati saranno ancora una volta quello nazionalista musulmano Sda (Partito dell'azione democratica, Stranka Demokratske Akcije), quello serbo Sds (Partito democratico serbo, Srpska Demokratska Stranka) e quello croato Hdz (Unione democratica croata di Bosnia Erzegovina, Hrvatska demokratska zajednica Bosne i Hercegovine), con i primi due destinati ad avere ancora una volta un predominio numerico sul terzo, determinato dal numero più alto di appartenenti alla comunità musulmana e a quella ortodossa. Tra gli indipendenti, è molto atteso Nasa Stranka, il partito fondato dal premio Oscar per la regia Danis Tanovic, da molti accusato di essere poco operativo, fumoso e intellettuale, nonostante abbia rappresentato una novità importante per gli stanchi e delusi bosniaci e alle amministrative del 2008 sia stato discretamente premiato.

C'è, tuttavia, una candidatura che potrebbe rappresentare una vera e propria rottura rispetto al passato. Una rottura non necessariamente salutare. È quella del miliardario musulmano Fahrudin Radoncic, il potentissimo proprietario del quotidiano Avaz oltre che di una televisione e di un impero nel settore immobiliare e alberghiero. Annoiato dalla sua attività e dal mero esercizio del suo sterminato potere per sostenere questo o quel candidato - musulmano - il signor Avaz è tentato dal cesarismo, evidentemente non fine a se stesso, e potrebbe "scendere in campo" per dare il colpo finale a un Paese che di tutto ha bisogno fuorché del suo novello Silvio Berlusconi. I pericoli legati a una esposizione politica personale di Radoncic sono enormi poiché si tratta di un populista in grado di far arrivare attraverso il giornale più letto e potente dell'intera Bosnia messaggi facili e promesse appetitose non solo alla maggioranza bosniaca ma all'intero Paese, e in particolare al popolo degli astensionisti e ai giovani, che agognano l'idea di un progetto politico alternativo che possa traghettare fuori dalla palude la Bosnia, approdando nel placido (ma assai melmoso) laghetto dell'Unione europea. Riuscirà Radoncic ad attrarre una tipologia di elettori non facile da trovare in Bosnia, ovvero i "trasversali". La grande novità di questa trasversalità sarebbe rappresentata da un messaggio chiaro inviato ai partiti nazionalisti, che lavorano instancabilmente per dividere il Paese e colpi di slogan carichi d'odio. Il populismo non è però meno pericoloso del nazionalismo.

Nessun dubbio, invece, sulla facile rielezione del nazionalista serbo-bosniaco Miroslav Dodik, miliardario primo ministro della Republika Srpska, l'uomo che periodicamente sventola il fantasma di una secessione che nessuno vuole, nell'area balcanica, a cominciare da quella Belgrado cui Dodik guarda ma che, a sua volta, ha accantonato il progetto di Grande Serbia per cullare quello molto più ambizioso e propositivo di entrare nell'Unione europea. È evidente che i grandi investitori stranieri - come l'italiana Fiat - che vanno a produrre a bassissimi costi del personale chiedano e pretendano stabilità e politica filo-europeista a Belgrado. E in Serbia alla secessione della Republika Srpska dalla Bosnia Erzegovina e a una successiva unificazione tra Belgrado e Banja Luka ormai pensano "seriamente" solo gli ubriachi di rakija durante le grigliate in riva ai fiumi.

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