Fra una settimana, il prossimo 2 giugno a Sarajevo, si terrà la conferenza internazionale sui Balcani. Non ci saranno decisioni eclatanti, né nuovi particolari impegni per l’area. Verrà ribadito quello che era stato detto già dieci anni fa, ovvero che il futuro dei Balcani è nell’Unione europea. Il risultato importante dell'incontro sarà comunque quello di essere riusciti a riunire attorno allo stesso tavolo tutti i leader regionali. E già questo non è stato facile. Ci sono volute infatti settimane di mediazioni per trovare un compromesso che consentisse sia alla Serbia sia al Kosovo di sedersi allo stesso tavolo, evitando il fallimento che aveva invece caratterizzato il vertice Ue-Balcani svoltosi a Brdo, in Slovenia, il 20 marzo. Se fosse andato in scena lo stesso copione di Brdo, i Paesi dei Balcani occidentali avrebbero presentato un pessimo biglietto da visita ad un’Europa che già ha dovuto affrontare le controversie territoriali sloveno-croate, solo da poco avviate a soluzione, che è sempre alle prese con l'incomprensibile questione del nome della Macedonia che oppone Skopje ad Atene, che deve gestire la questione Kosovo e soprattutto aiutare a trovare una soluzione per la fragile situazione della Bosnia. Il tutto mentre le opinioni pubbliche europee sono sempre più restie a nuovi allargamenti e in un momento in cui la crisi economica globale con le conseguenti tempeste che stanno flagellando l’eurozona sta mettendo seriamente a rischio il futuro stesso dell'Ue come progetto politico.
Alla conferenza Ue-Balcani occidentali del 2 giugno a Sarajevo è dedicato lo Speciale di Passaggio a Sud Est in onda questa sera alle 23,30 a Radio Radicale. Il punto della situazione ad una settimana dal vertice con le corrispondenze di Marina Szikora e Artur Nura.
Per evitare un bis di Brdo, il nostro ministro degli Esteri Franco Frattini alcune settimane fa ha tirato fuori dal cappello la cosiddetta "formula Gymnich", ovvero il protocollo usato per le riunioni informali dei ministri degli Esteri dell'Ue. I partecipanti si siederanno intorno al tavolo identificati soltanto dal loro nome, senza alcun riferimento al loro Paese d’origine. In questo modo si dovrebbe riuscire a superare lo scoglio del Kosovo, Paese che si è autoproclamato indipendente nel febbraio del 2008 e che nel frattempo, tra i Paesi dell'area, è stato riconosciuto da Slovenia, Croazia, Montenegro, Macedonia e Albania. Il riconoscimento non è venuto invece da 5 dei 27 membri dell'Ue, tra cui la Spagna, attuale presidente di turno e organizzatrice della conferenza di Sarajevo, dalla Bosnia e dalla Serbia. La "formula Gymnich" consentirà al rappresentante serbo, il ministro degli Esteri Vuk Jeremic, di sedersi allo stesso tavolo di quello kosovaro, il suo omologo Skender Hyseni, senza che questo possa rappresentare un riconoscimento de facto dell'indipendenza. I problemi non sono però del tutto superati e lo scontro tra serbi e kosovari si potrebbe riproporre su questioni procedurali. Intanto, è già stato deciso che la dichiarazione conclusiva sarà presentata soltanto dall’Ue, evitando così che il ministro degli Esteri serbo si trovi nell’imbarazzante condizione di dover sottoscrivere un documento insieme a quello kosovaro.
Alla conferenza di Sarajevo parteciperanno anche Usa e Russia. Inoltre è stata invitata la Turchia che è sempre più attiva nei Balcani con progetti diplomatici (ultimo il trilaterale di maggio ad Istanbul Turchia-Croazia-Bosnia dedicato alla stabilità dell’Europa sud-orientale) e iniziative economiche e imprenditoriali. Diversi analisti vedono nell'attivismo politico di Ankara nella regione e nel suo sostegno all'integrazione europea dei Balcani occidentali una ulteriore mossa per acquisire credito a Bruxelles in vista della propria adesione all'Ue. Bisogna poi ricordare la presenza e l'iniziativa nell’area anche della Nato: nella sua ultima riunione, svoltasi a Tallinn il 22 aprile scorso, l'Alleanza ha dato via libera al Map (Membership Action Plan, procedura per l’adesione) per la Bosnia, dopo che l'anno scorso lo stesso era avvenuto per Montenegro e Albania. Poi c'è la vicenda della Macedonia che si vede la strada per Ue e Nato sbarrata dalla Grecia per via della querelle sul nome dell'ex repubblica jugoslava.
Qualche novità potrebbe arrivare anche per la questione dei visti. Dal 1 gennaio non c'è piuù bisogno di visti d’ingresso nell'Ue per i cittadini di Serbia, Macedonia, Montenegro. Luce rossa, per ora, per Albania, Bosnia e Kosovo. Ma forse, appunto anche per questi paesi potrebbero arrivare notizie positive con l'obiettivo di smorzare le pulsioni nazionaliste all’interno degli Stati e smorzare i crescenti sentimenti anti-europei, dopo anni di incertezza sul loro ingresso nell’Unione. Sarebbe un segnale non da poco, specie per la Bosnia Erzegovina alle prese con un impasse istituzionale che si potrae da troppo tempo e sempre sull'orlo di una possibile secessione mentre è già partita la campagna per le elezioni politiche e presidenziali del prossimo ottobre.
blog molto interessante, complimenti
RispondiEliminaGrazie e grazie anche per avermi fatto scoprire i tuoi blog. Davvero notevoli.
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