martedì 18 maggio 2010

IL KOSOVO E IL RISCHIO DELLA SPARTIZIONE

Mitrovica (Foto Nicointokio/Flickr)
Il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, ha presentato ieri al Consiglio di sicurezza il rapporto sull'attività della missione Onu in Kosovo (Unmik) a cui è annesso quello della missione civile dell'Ue (Eulex). Il segretario generale ha espresso "preoccupazione" per la politica messa in atto recentemente dalle autorità di Pristina che punta a smantellare le istituzioni "parallele" messe in piedi dai serbi nel Nord del Kosovo con il sostegno di Belgrado. L'invito al governo kosovaro è dunque quello di "operare con cautela nel mettere in campo la nuova strategia in questa parte del territorio". Il capo dell'Unmik, l'ambasciatore italiano Lamberto Zannier, nel suo intervento ha ammonito sia Belgrado che Pristina che "poco è stato fatto per la soluzione dei problemi quotidiani dei cittadini".

Nei prossimi mesi la Corte internazionale di giustizia dell'Onu dovrà pronunciarsi sulla legittimità secondo il diritto internazionale della dichiarazione di indipendenza del Kosovo. La Corte, che rappresenta il massimo organo istituzionale delle Nazioni Unite, è stata investita della questione dall'Assemblea Generale che ha accolto una richiesta in tal senso avanzata dalla Serbia. Il ministro degli esteri serbo Vuk Jeremic nel suo intervento al Consiglio di sicurezza, ha sostenuto che nel momento in cui la Corte internazionale di giustizia avrà espresso il suo parere ci sarà l'opportunità di raggiungere un "compromesso strategico" tra Belgrado e Pristina. "Penso che siamo che vicini ad un nuovo, promettente momento in Kosovo. Noi siamo pronti a discutere tutte le questioni, incluse quelle che sono al cuore del problema: il futuro status del Kosovo", ha sostenuto Jeremic, precisando comunque che "nessun progresso può essere compiuto attraverso azioni unilaterali".

In attesa della decisione dei giudici - che non sarà vincolante, ma che avrà ovviamente un notevole peso politico e diplomatico - si torna però a parlare dell'ipotesi di una divisione del Kosovo: la parte settentrionale del Paese (a nord del fiume Ibar, dove i serbi sono in maggioranza) tornerebbe a Belgrado, mentre Pristina potrebbe ottenere in cambio parte del territorio della Serbia meridionale a maggioranza albanese. Questo almeno potrebbe essere uno degli scenari possibili.

Durante il suo viaggio in Norvegia, all'inizio di maggio, il presidente serbo Boris Tadic ha riaffermato che uno degli assi principali della sua politica è la difesa del Kosovo. Di fronte all'Assemblea generale dell'Onu, nell'estate di due anni fa, Tadic aveva evocato l'ipotesi di una partizione del Kosovo dopo aver inviato all'Unmik una proposta di accordo per la creazione delle condizioni di separazione funzionale tra i serbi e gli albanesi in Kosovo. Diversi diplomatici occidentali evocano ora questa ipotesi sottintendendo che Belgrado avrebbe preso la sua decisione. In effetti, la costituzione serba non impedisce la variazione dei confini del Paese tramite negoziati anche se da Belgrado si limitano a rispondere che la Corte internazionale di giustizia deve ancora pronunciarsi.

La domanda è: quella della partizione è un'ipotesi fondata, oppure si tratta di un "balloon d'essai" nella prospettiva di una ripresa dei negoziati sullo status del Kosovo?

In un articolo pubblicato recentemente dal giornale kosovaro Koha Ditore, Augustin Palokaj scrive che a Bruxelles e nelle capitali di altri Paesi c'è preoccupazione per una posizione della Serbia favorevole alla divisione. Fonti diplomatiche occidentali non meglio specificate hanno dichiarato al giornale che la autorità serbe "al più alto livello" si sono dichiarate a favore di questa ipotesi. L'alto livello, sempre secondo le fonti citate da Koha Ditore, è quello del ministro degli Esteri serbo Vuk Jeremic e del presidente Tadic che, se hanno divergenze su altre questioni, sono invece in totale accordo quando si tratta del Kosovo. Secondo le fonti di Koha Ditore, Tadic e Jeremic sono stati molto chiari: essi vogliono la divisione del Kosovo. La spartizione però sarebbe pericolosa: secondo gli interlocutori del giornale kosovaro molti Stati (in particolare Francia, Germania e Usa) hanno fatto sapere alla Serbia che l'ipotesi è inaccettabile, che creerebbe nuovi problemi e che sarebbe pericolosa per gli stessi serbi kosovari, la maggioranza dei quali non vive a nord dell'Ibar.

Le molte ragioni contrarie alla divisione erano state ricordate anche dall'ambasciatore italiano a Pristina, Michael L. Giffoni, in un'intervista a Francesco Gradari pubblicata il 14 gennaio scorso da Osservatorio Balcani e Caucaso. L'ambasciatore italiano spiegava, prima di tutto, che "in realtà nessun governo occidentale ha mai dichiarato sino ad oggi il suo sostegno all'ipotesi di partizione del territorio della Repubblica del Kosovo" e ricordava di essere intervenuto varie volte sulla questione per ribadire la sua convinzione che "la partizione non è una soluzione". "Se concordiamo sul fatto che l'obiettivo fondamentale sia quello di stabilizzare i Balcani occidentali, anche attraverso il loro avvicinamento a Bruxelles, l'ipotesi di una partizione o di uno scambio di territori tra Kosovo e Serbia non può essere nemmeno presa in considerazione" perché, spiegava l'ambasciatore, "mettendo di nuovo mano ai confini, infatti, si creerebbe solamente una escalation di rivendicazioni e potenziali tensioni a livello regionale difficilmente ricomponibile". In altre parole, "la partizione non risolverebbe il problema, ma ne genererebbe di nuovi perché verrebbe rimessa nuovamente al centro la questione dei confini, rendendola ancora più acuta e importante invece di marginalizzarla come la logica dell'integrazione vorrebbe". Non solo: la partizione, secondo Giffoni, non soddisferebbe nemmeno la Serbia "per la quale la soluzione del problema kosovaro non può coincidere con l'annessione di una striscia di terra. A Belgrado dovrebbe interessare unicamente il benessere ed il progresso delle comunità serbe del Kosovo e la stessa cosa dicasi per i serbi di Bosnia, o per gli albanesi della Macedonia, e così via".

Le preoccupazioni dell'ambasciatore Giffoni sulle conseguenze negative che un'eventuale divisione del Kosovo potrebbe avere in altri Paesi della regione è condivisa a Bruxelles, sia nei palazzi dell'Ue che al quartier generale della Nato. I timori riguardano prima di tutto Bosnia Erzegovina e Macedonia che presentano un quadro politico molto fragile. Per questo si sollecita da più parti la necessità di stringere i tempi circa l'integrazione euro-atlantica di questi due Paesi.

Tornando al Kosovo, in realtà l'ipotesi della divisione nasconderebbe il tentativo di Belgrado di non perdere la faccia, ben sapendo che non è più possibile tornare indietro rispetto allo status della sua ex provincia, che non è pensabile che i Paesi che ne hanno riconosciuto l'indipendenza possano rivedere la decisione e che i riconoscimenti internazionali non potranno che crescere con il tempo. Così almeno affermano alcuni dei diplomatici interpellati da Koha Ditore. L'unica carta che la Serbia a questo punto potrebbe giocare è dunque quella della divisione: una situazione "win-win" in cui né serbi, né albanesi vincono tutto, ma entrambi hanno qualcosa da guadagnare e in cui Belgrado punterebbe anche a negoziare una maggiore rappresentanza dei serbi nelle istituzioni kosovare. Ma il comportamento delle autorità serbe e dei rappresentanti serbi del nord del Kosovo dimostra anche, sempre secondo la fonti diplomatiche citate da Koha Ditore, la loro preoccupazione per il numero relativamente significativo dei serbi kosovari che hanno votato alle recenti elezioni amministrative nonostante gli appelli al boicottaggio e alle minacce di ritorsioni.

Tuttavia, la divisione del Kosovo, così come la riapertura dei negoziati sullo status dell'ex provincia serba, ma anche una nuova risoluzione del Consiglio di sicurezza che sostituisca la 1244 del 1999, sono tutte ipotesi difficili da realizzare. E' l'opinione di diplomatici internazionali e dell'Ue riportata dall'agenzia di stampa Beta il 18 maggio. Una soluzione che contribuirebbe alla stabilità potrebbe essere allora una vera autonomia per i serbi del nord del Kosovo unita ad uno status garantito per i serbi delle enclave: in questo senso diventa cruciale la politica che Belgrado porterà avanti. Secondo fonti non nominate citate dall'agenzia Beta, le informazioni provenienti dal Consiglio di sicurezza mostrano che i sostenitori dell'indipendenza del Kosovo stanno irrigidendo il loro atteggiamento in attesa della decisione della Corte internazionale di giustizia, sottolineando il carattere irreversibile della proclamazione di indipendenza

3 commenti:

  1. Errata corrige.
    Secondo paragrafo, quarta riga: dove c'è scritto "La Corte, che rappresenta il massimo organo istituzionale delle Nazioni Unite", deve essere letto "massimo organo giurisdizionale".

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  2. in caso dovessimo sparire cercateci come new balkan-crew
    vi scriveremo anche dal carcere !!!
    http://blog.libero.it/Linucka/8841896.html

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