venerdì 7 maggio 2010

GRECIA: LA STORIA PRESENTA IL CONTO. CHI PAGHERA'?

Il Parlamento di Atene ha approvato il nuovo piano che grazie ai prestiti dell'Unione Europea e del Fondo Monetario Internazionale dovrebbe evitare il fallimento della Grecia. Come previsto il piano è stato votato dal solo Partito Socialista (Pasok) a cui si è aggiunto il piccolo partito di estrema destra Laos: in totale 172 voti a favore e 121 contrari. Hanno votato contro la manovra Nea Demokratia (il partito di centrodestra il cui governo, al potere fino allo scorso ottobre, è accusato di aver di fatto truccato i bilanci nascondendo il baratro che si stava aprendo nei conti pubblici del Paese), i comunisti del Kke e la sinistra radicale di Syriza. Da segnalare il voto a favore del piano dell’ex ministro degli Esteri Dora Bakoyannis, deputata di Nd, che per questo è stata subito espulsa dal gruppo parlamentare. Stessa sorte toccata ai tre deputati del Pasok che si sono astenuti: un provvedimento che assottiglia la maggioranza socialista che ora dispone di 157 voti su 300, margine non troppo rassicurante in vista delle prove che il governo dovrà ancora superare in Parlamento.

Forse anche per questo Papandreou ha invitato tutte le forze politiche ad assumersi le proprie responsabilità, rivolgendosi in particolare al leader di Nd, Antonis Samaras, ma così non è stato. La seduta trasmessa in diretta tv ha mostrato i parlamentari che si rinfacciavano a vicenda le colpe della situazione, non dando certo prova di quella unità nazionale che forse sarebbe necessaria in momento così difficile. Il piano di risanamento è effettivamente molto duro: in cambio di 110 miliardi di euro da Ue e Fmi in tre anni, la Grecia deve tagliare pesantemente salari e pensioni dei dipendenti pubblici, imporre nuove tasse, congelare le assunzioni e ridurre le garanzie e gli stipendi ai lavoratori del settore privato. Inoltre, l’età pensionabile sarà elevata a 65 anni, le indennità saranno indicizzate all’inflazione e nei prossimi tre anni verrà mantenuta la tassa «una tantum» sugli utili delle imprese. L'obiettivo è di ridurre il deficit sotto il 3% entro il 2013.

Fuori dal palazzo, nonostante lo choc provocato dalla morte dei tre impiegati rimasti intrappolati nell'incendio appiccato alla Marfin Egnatia Bank in cui stavano lavorando, le tensioni sociali non accennano a spegnersi e con esse le proteste anche violente: ancora ieri sera ci sono stati scontri tra polizia e manifestanti davanti al Parlamento. Le manifestazioni sono proseguite anche oggi durante il voto sul piano di austerità. La Grecia è divisa, le misure imposte di fatto dalla comunità internazionale per dare via libera ai prestiti suscitano l'ira di molti, ma Papandreou si è mostrato deciso ad andare avanti per "salvare il Paese dalla bancarotta". "Votiamo e applichiamo l'accordo, altrimenti condanniamo la Grecia al fallimento", ha dichiarato il premier prima del voto. "Alcuni lo vogliono, speculano e sperano che arrivi. Noi, io, non lo permetteremo. Non permetteremo né la speculazione contro il nostro Paese, né che arrivi il fallimento".

Nonostante le proteste Papandreou si è detto quindi pronto ad andare avanti anche se questo fosse il suo ultimo mandato e ha annunciato che porterà in tribunale "i responsabili della crisi economica" a partire dall’ex premier Costas Karamanlis. Quando quest'ultimo andò al governo, nel 2004, la Grecia aveva 180 miliardi di euro di debito. Nel 2009, quando ha dovuto cedere la poltrona a Papandreou, si è scoperto che il rosso era salito a 300 miliardi. Sorge inevitabile la domanda: che fine hanno fatto i restanti 120 miliardi? Forse anche per questo il nuovo leader del partito conservatore, Antonis Samaras, non ha raccolto l'appello all'unità nazionale temendo di dover cedere all'istituzione di una commissione d'inchiesta parlamentare sugli ultimi dieci anni di gestione dei conti pubblici.

Papandreou, da parte sua, si trova anche politicamente in una posizione molto scomoda e delicata. Le tre astensioni parlamentari indicano che ci sono malumori nel suo stesso partito, mentre i sindacati pur condannando le violenze hanno intensificato i loro appelli alla lotta contro misure che giudicano ingiuste. Intanto oggi il premier è potuto però andare al vertice di Bruxelles con l'obiettivo dell'approvazione del piano di austerità raggiunto, come aveva promesso, e cercando di presentare una Grecia intenzionata a mantenere gli impegni e a non truccare più le carte, nonostante una durissima opposizione sociale e con il rischio di far pagare un costo politico enorme al Partito socialista dopo l'ampia vittoria con cui era tornato al governo in ottobre infliggendo una dura sconfitta a Nea Demokratia. Ma al di là dei problemi contingenti e delle scelte tattiche della politica, resta la necessità non più rinviabile di mettere mano ai problemi di fondo della società greca: corruzione, clientelismo, economia sommersa, evasione fiscale, espansione abnorme del settore pubblico. Un groviglio inestricabile che con l'esplodere della crisi globale non è riuscito più a sostenersi e sta crollando pesantemente. Come dire che la storia sta ancora una volta presentando il conto: i lavoratori greci non vorrebbero però essere lasciati soli a pagare per tutti.

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