E' iniziato a Sarajevo il tour balcanico dell'Alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza, Catherine Ashton, che ha scelto i Balcani (e segnatamente un paese, la Bosnia Erzegovina, con una situazione interna molto delicata) come destinazione della sua prima visita ufficiale in Europa. Dopo Sarajevo la Ashton si recherà a Belgrado dove incontrerà i rappresentati delle Ong serbe più attive prima di incontrare il premier Mirko Cvektovic e poi il presidente della repubblica, Boris Tadic. Il "ministro degli Esteri europeo" concluderà poi il suo viaggio a Pristina, capitale del Kosovo. Sarajevo, Belgrado e Pristina, un trittico significativo, in coincidenza con l'insediamento del nuovo presidente croato a Zagabria, per dire che "le porte dell'Ue sono aperte ai Paesi della regione", come ha anticipato lei stessa in una intervista pubblicata dal quotidiano serbo, Vecernje Novosti, dopo che all'inizio del suo aveva definito i Balcani occidentali una "priorità della politica estera Ue". E proprio in quest'ottica, alla vigilia della sua partenza, la Ashton ha dato l'ok all'iniziativa del premier sloveno, Borut Pahor, di organizzare in marzo una Conferenza sulle prospettive europee dei Balcani insieme a Consiglio d'Europa e Commissione Europea: sarebbe la prima volta dopo 18 anni che i rappresentanti di tutti i Paesi dell'area tornano a riunirsi intorno allo stesso tavolo per discutere del futo della regione.
E qui, però, sorgono i problemi. Della conferenza si comincia appena a discutere che subito, infatti, emerge la questione del Kosovo che ieri ha festeggiato il secondo anniversario dell'indipendenza, ma ancora non è riconosciuto dalla Bosnia, dalla Serbia e da cinque dei 27 Paesi dell'Ue, tra cui la Spagna, attuale presidente di turno. Il primo ministro sloveno Borut Pahor ha assicurato che Pristina "sarà rappresentata in maniera adeguata", espressione diplomatica che rivela la prima seria difficoltà organizzativa. Dato che per ora non è stato precisato cosa significhi "rappresentanza adeguata" dei delegati kosovari, si preannuncia un difficile negoziato per definire un livello di rappresentanza dei delegati di Pristina che possa risultare accettabile ad entrambe le parti. La posizione serba, infatti, è chiara: se i rappresentanti kosovari parteciperanno alla Conferenza a titolo personale o come parte della missione Unmik (la missione Onu in Kosovo) o della Kfor (il contingente militare multinazionale della Nato), Belgrado non porrà obiezioni. Non potrà invece accettare che i delegati di Pristina siano accolti come rappresentanti di un’entità statale che la Serbia non accetta di riconoscere. E una conferenza internazionale sul futuro dei Balcani che si svolgesse senza la Serbia, oltre ad essere impensabile, non avrebbe nessun senso.
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