martedì 1 giugno 2010

LE ROSE DI SARAJEVO

Sui marciapiedi di Sarajevo si incontrano delle macchie rosse. Indicano i punti dove sono cadute le granate sparate sulla città durante l'assedio. I buchi sono stati riempiti, ma colorandoli di rosso, per non dimenticare. Piove, in questi giorni, qui a Sarajevo, e non fa nemmeno caldo. Siamo a giugno ma invece dell'estate sembra di essere all'inizio dell'autunno. Ed è in questo clima meteorologico che si tiene domani la conferenza Ue/Balcani occidentali a cui sono stati invitati anche Usa, Russia, Turchia e la Nato. Un clima meteo che mostra diverse analogie con il clima politico che accompagna la vigilia del vertice.

L'idea di una conferenza ad alto livello Ue-Balcani occidentali era stata avanzata un anno fa circa dal ministro degli Esteri italiani, Franco Frattini, e l'Italia, dopo il via libera di Bruxelles, ha poi sostenuto la Spagna che come attuale presidente di turno dell'Ue è l'organizzatrice ufficiale dell'evento. Lo scopo della conferenza è quello di riaffermare l'impegno europeo per l'integrazione dei Paesi dei Balcani occidentali nell'ambito del trattato di Lisbona. Il vertice si tiene a dieci anni dal summit di Zagabria che indicò ai Paesi della regione il percorso di riforme politiche ed economiche necessarie per l'adesione all'Ue.

Per non farsi illusioni, e come ho già scritto, diciamo subito che da Sarajevo non arriveranno decisioni eclatanti o impegni particolari, ma semplicemente verrà ribadito che il futuro dei Balcani è nell'Ue. Ieri lo storico quotidiano di Sarajevo Oslobodjenje ha pubblicato un articolo firmato dal ministro degli esteri spagnolo, Miguel Angel Moratinos, dal commissario europeo all'Allargamento, Stefan Fuele, e dal segretario di stato Usa, Hillary Clinton, in cui si ribadiva che riuscire a mettere al suo posto l'ultima casella mancante nella mappa dell'Unione rappresenta "una delle ultime sfide dell'Ue e della Nato".

Il problema è capire se l'Ue ha intenzione di raccogliere questa sfida e di vincerla oppure no continuando a traccheggiare. Da questo punto di vista è lecito nutrire qualche dubbio, alla luce anche dell'attuale gravissima crisi economica globale e dello "stress da allargamento" che l'Unione soffre dopo che negli ultimi sei anni sono entrati dodici nuovi Paesi. E non è un dettaglio che domani qui a Sarajevo mancheranno almeno la metà dei ministri degli Esteri dell'Ue. Non ci sarà nemmeno quello tedesco e ieri il giornale belgradese Blic scriveva che proprio la Germania è uno dei maggiori opposiitori dell'integrazione europea dei Balcani occidentali.

D'altra parte non ci saranno nemmeno la Clinton, il suo omologo russo Sergej Lavrov e il segretario generale della Nato Rasmussen. Ci sarà invece la Turchia con il ministro degli Esteri Ahmet Davutoglu, a ribadire il ruolo attivo e dinamico che Ankara gioca e intende sempre più giocare in futuro nella regione balcanica. In questi casi però bisogna decidere se guardare la parte mezza vuota del bicchiere o quella mezza piena.

La conferenza di domani potrebbe non essere un fallimento anche perché finalmente, dopo tanto tempo si riuscirà a mettere insieme i rappresentanti di tutti i Paesi della regione. Certo, c'è voluto un compromesso - la "formula Gymnich" proposta da Frattini - per riuscire a convincere il rappresentante serbo a sedersi attorno allo stesso tavolo con quello kosovaro ed evitare di ripetere il fallimento di Brdo a marzo scorso. E questo è sicuramente un primo successo, a meno di sorprese delle ultime ore. Resta però il fatto che, come sottolineava ieri il portale EuObserver, l'idea italiana di una road map per l'integrazione europea dei Balcani occidentali è stata accantonata.

Così come è stato deciso di rinunciare a chiudere la conferenza di domani con una solenne "dichiarazione di Sarajevo", preferendo una meno impegnativa dichiarazione della presidenza spagnola dell'Ue che in questo leva il ministro serbo degli Esteri, Vuk Jeremic, dall'imbarazzo di apporre lo sua firma accanto a quella del rappresentante di uno Stato, il ministro degli Esteri kosovaro Skender Hiseni, che Belgrado non riconosce. Vedremo dunque cosa accadrà domani, mentre sulla capitale bosniaca continua a piovere a dirotto e a fare freddo. Per scaldare un po' il morale chiudo allora con due buone notizie.

La prima è la dichiarazione congiunta sottoscritta sabato scorso qui a Sarajevo dai presidenti di Bosnia Erzegovina, Croazia, Montenegro e Serbia in cui si ribadisce l'importanza della cooperazione regionale con l'obiettivo strategico dell'adesione all'Ue. L'occasione è stato il decennale dell'Iniziativa Igman, dal nome del monte che sovrasta Sarajevo e cha da teatro delle gare di sci delle Olimpiadi del 1984 divenne nel corso dell'assedio l'avamposto delle forze serbe che martirizzavano la città. La seconda è la visita, domenica, del presidente croato Ivo Josipovic nella Republika Srpska ed il suo incontro con il premier serbo-bosniaco Milorad Dodik. Se sono rose fioriranno, vedremo. Intanto c'è qualcuno che sembra ben intenzionato a coltivarle. Speriamo che la pioggia di questi giorni non sia troppa.

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