Lo Speciale di Passaggio a Sud Est andato in onda ieri sera alle 23,30 a Radio Radicale è stato dedicato all'iniziativa politico-diplomatica della Turchia nei Balcani.
Ad un secolo, più o meno, di distanza dalla estromissione dell'Impero ottomano dai Balcani in seguito alla guerra del 1912, la Turchia è tornata nella regione e vuole restarci da protagonista. Ovviamente, quella di oggi è una Turchia completamente diversa: è un paese sostanzialmente democratico e moderno, una realtà dinamica sia dal punto di vista economico che da quello demografico, è un importante membro della Nato con in corso i negoziati per l'adesione all'Ue. E' però sempre un paese di notevole peso, situato in un’area strategica, che da qualche tempo non fa più mistero di ambire ad un ruolo di potenza regionale, grazie alla politica estera molto dinamica e a tratti spregiudicata - che qualcuno ha definito "neo-ottomana" - portata avanti dal governo islamico-moderato di Recep Tayyp Erdogan e dal suo attivissimo ministro degli Esteri, Ahmet Davutoglu, ex-professore di relazioni internazionali in diverse Università, e padre della dottrina della cosiddetta "profondità strategica". E' lui il vero protagonista della politica turca nei Balcani e così come più volte ha illustrato quello che vorrebbe essere il nuovo ruolo della Turchia nella regione, soprattutto nelle zone dove vivono maggioranze musulmane, ha anche sempre negato che l'iniziativa diplomatica nei Balcani abbia una connotazione neo-ottomana o pan-islamica, preferendo piuttosto far presente come i legami storici con la popolazione musulmana della regione, specialmente in Bosnia, potrebbero aiutare la stabilità dell'area.
Se diversa è la Turchia che torna nei Balcani, la realtà geopolitica dei Balcani è invece abbastanza simile a quella di un secolo fa. Dissoltasi la Jugoslavia, la regione oggi è infatti formata da diversi piccoli Stati che dipendono, chi più chi meno, dalle potenze europee. Il dato nuovo è che la Turchia si trova oggi in compagnia del gruppo dei paesi dei Balcani occidentali che aspirano all’ingresso nell’Unione europea. A parte la Croazia, il cui ingresso nell'Ue è ormai sicuro, anche se non c'è per il momento una data certa, tutti gli altri - Macedonia, Serbia, Montenegro, Bosnia Erzegovina, Albania e Kosovo - sono in lista d'attesa. Da notare che sono tutti paesi che per secoli hanno fatto parte dell’impero ottomano ed è proprio a questi che negli ultimi mesi la Turchia ha rivolto le proprie attenzioni diplomatiche e politiche.
Il 16 ottobre del 2009 il ministro degli esteri turco Davutoglu ha partecipato al Convegno "Eredità ottomana e comunità musulmane nei Balcani di oggi" svoltosi Sarajevo parlando di storia, destino e futuro comune della Turchia e dei Balcani e in occasione delle sue altre visite nei Balcani il ministro turco ha evocato con analogo tono altri momenti della comune storia (va da sé che gli storici serbi e croati non condividono del tutto questa interpretazione del passato).
Dieci giorni dopo il convegno di Sarajevo, il èresidente turco Abdullah Gül, a Belgrado, ha dichiarato che "Serbia e Turchia sono paesi chiave nei Balcani", mentre il presidente serbo Boris Tadić, leader del fronte filo-europeo che governa il suo paese, ha parlato di una collaborazione strategica. Dopo la Serbia il Presidente Gül ha visitato anche altri paesi balcanici, ribadendo questa stessa impostazione politica.
A metà gennaio di quest'anno Davutoglu ha avuto un incontro con il suo omologo bosniaco, Sven Alkalaj, e con quello serbo Vuk Jeremic. Il 20 aprile successivo, a Belgrado ha incontrato nuovamente Jeremic ed il collega spagnolo Miguel Angel Moratinos, presidente di turno dell'Ue, per discutere del vertice Ue/Balcani occidentali che si è poi tenuto il 2 giugno a Sarajevo e al quale è stata invitata anche la Turchia. Come molti hanno fatto notare, il maggior successo del vertice è stato quello di riuscire a mettere attorno allo stesso tavolo tutti i rappresentanti dei paesi della regione, compresi Serbia e Kosovo. E sembra proprio che questo risultato si debba, oltre che all'Italia che ha proposto il compromesso della "formula Gymnich", anche alla Turchia a cui la Serbia aveva chiesto di intervenire nei confronti delle autorità kosovare per ottenere la loro partecipazione.
Prima della conferenza di Sarajevo, il 24 aprile a Istanbul si è svolta una "trilaterale" con i presidenti di Turchia, Bosnia Erzegovina e Serbia, alla quale hanno partecipato anche i ministri degli Esteri di tre paesi. Un vertice definito dalla stampa turca, forse con eccessiva enfasi, un "evento storico", conclusosi con una Dichiarazione in cui si afferma l'impegno comune per favorire la stabilizzazione e la pacificazione definitiva del Balcani.
L’impressione è che al centro dell’iniziativa diplomatica turca nei Balcani ci sia proprio la Bosnia Erzegovina. L'attivismo turco nei Balcani ha infatti preso slancio dopo il fallimento del vertice di Butmir (l’aeroporto di Sarajevo) organizzato da Ue e Usa il 9 ottobre del 2009 e che avrebbe dovuto cercare di sbloccare l'impasse istituzionale che paralizza le riforme in Bosnia preparando il superamento degli accordi di pace di Dayton che nel 1995 misero fine alla guerra. E' da notare anche che il ministro degli Esteri turco Davutoglu ha dichiarato che, durante il suo incontro con Clinton a Zurigo dedicato alla questione armena, avrebbe alla fine parlato molto più a lungo della Bosnia che dei rapporti con l'Armenia. Del resto proprio la Turchia a favorire la presentazione da parte della Bosnia Erzegovina del "Mambership action plan" per l'adesione alla Nato (il "Map" è il primo passo formale di un paese che intende aderire all'Alleanza).
Molti si chiedono se l’iniziativa turca nei Balcani sia totalmente autonoma o se sia stata ispirata dagli Stati Uniti. Di certo essa è vista positivamente sia a Washington che a Bruxelles, come dimostra l'invito a partecipare al vertice Ue/Balcani occidentali svoltosi il 2 giugno a Sarajevo. Ad Ankara questo ruolo non può che far piacere, non solo per le sue ambizioni di potenza regionale, ma anche perché può fargli guadagnare punti preziosi nel suo negoziato di adesione all'Unione europea. Un negoziato il cui esito positivo è tutt'altro che scontato, complici le resistenze di alcuni Paesi membri, le diffidenze delle opinioni pubbliche europee (sfruttate da politici e governanti contrari all'adesione della Turchia), la crisi economica e lo "stress da allargamento" di cui l'Ue soffre dopo le ultime adesioni del 2004 e 2007. Resta il fatto che nei Balcani occidentali molti problemi geo-politici restano dolorosamente aperti ed è quindi ancora presto per esprimere un giudizio sull’impatto che la politica turca potrà avere nella regione. Quel che è chiaro è che la Turchia è ormai parte della partita balcanica ed è intenzionata a giocarvi un ruolo da protagonista.
Lo Speciale di Passaggio a Sud Est, realizzato con la collaborazione di Marina Szikora e Artur Nura, è disponibile per il podcast sul sito di Radio Radicale nella sezione delle Rubriche oppure è ascoltabile direttamente qui
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