martedì 8 giugno 2010

ALTRI COMMENTI SUL VERTICE DI SARAJEVO

Sempre a proposito del vertice Ue/Balcani occidentali che si è tenuto a Sarajevo il 2 giugno vi segnalo altri commenti pubblicati in questi giorni e di cui ho parlato nella puntata di ieri della rassegna stampa sull'Europa sud occidentale in onda il mertedi attorno alle 6,45 su Radio Radicale.

Il vertice ha riunito a Sarajevo i Balcani occidentali, scrivono Dženana Halimović, Milad Obradović e Dženana Karabegović in un articolo apparso il 2 giugno sul sito di Radio Slobodna Evropa, intitolato "L'avvenire dei Balcani occidentali è più che mai europeo". Kosovo e Serbia si sono seduti insieme allo stesso tavolo grazie al cosiddetto compormesso "Gymnich". I dirigenti dei Paesi balcanici ed i loro omologhi hanno espresso il loro ottimismo sull'integrazione euro-atlantica quale garanzia di stabilità per la regione. Occorre ora proseguire nelle riforme al fine di adeguarsi agli standard richiesti da Bruxelles. A Sarajevo il processo di adesione è apparso più che mai sulla buona strada. Potete leggere l'articolo tradotto in francese sul sito del Courrier des Balkans.

Sul Riformista del 3 giugno, in un articolo intitolato "Frattini guida l'Ue verso i Balcani", Anna Mazzone scrive del ruolo nell'Italia nella conferenza di Sarajevo, un evento voluto dal nostro ministro degli Esteri che lo propose l'anno scorso come uno degli otto punti della "road map" che Frattini presentò in occasione del vertice Ue/Usa. "A Sarajevo, nella città smbolo delle guerre balcaniche [...] è stato da tutti riconosciuto all'Italia il suo impegno coerente e costante sulla strada dell'allargamento europeo ai Balcani occidentali" come fattore di stabilizzazione della regione, scrive Mazzone notando che "in un momento difficile per l'Europa [...] il rischio di accantonare definitivamente il processo di allargamento ai Balcani occidentali è assai concreto [...] Ma l'Italia non ha mai fatto passi indietro" come ha riconosciuto a Frattini il suo omologo spagnolo Miguel Angel Moratinos, presidente di turno dell'Ue.

Meno ottimista Luka Zanoni che in un pezzo intitolato "Europa sì, ma quando?", apparso il 3 giugno sul sito di Osservatorio Balcani e Caucaso, esordisce parlando per il vertice Ue/Balcani di un "magro bilancio, com'era nelle attese della vigilia", e di un "pallido parterre". "Ha fatto sicuramente piacere ai paesi dei Balcani occidentali sentirsi dire che il “loro futuro è nell’Unione europea”. Soprattutto in un momento di grave crisi per la stessa Unione. Tuttavia quali siano i prossimi passi per questi paesi lungo il cammino europeo resta ancora una domanda inevasa", scrive ancora Zanoni notando che "è evidente che l’Ue in questo momento non ha molto più da offrire ai vicini balcanici, se non la riconferma ufficiale della prospettiva di integrazione. Sulla tempistica e sulle modalità però resta tutto in sospeso". Insomma, l'allargamento ci sarà ma di accelerare il passo l’Unione sembra non volerne parlare. Dunque, si chiede giustamente Luka Zanoni, "i Balcani si stanno muovendo, seppur con fatica, verso un futuro migliore. L’Unione invece dove sta andando?".

Tesi analoga quella di Matteo Tacconi nell'articolo intitolato "A Sarajevo la Ue illude ancora i Balcani" apparso su Europa del 4 giugno, nel quale nota che dal vertice sono venute dichiarazioni di buona volontà, ma pochi fatti. Ciò che occorre far ripartire quindi, scrive Tacconi, è lo sforzo europeo per l'allargamento ai Balcani. "Uno sforzo che deve andare oltre la politica dei piccoli passi e del regime agevolato dei visti [...] L'Ue deve fare e dare di più. Le promesse devono tramutarsi in fatti. Il rischio, altrimenti, è che rilanciando la prospettiva europea senza fissare date o con cerimonie come quella di Sarajevo, i paesi dell'ex Jugoslavia si stufino dell'Europa e preferiscano rimanere fuori, piuttosto che attendere all'infirnito".

Dopo il vertice di Sarajevo, di "Balcani occidentali in mezzo al guado" parla Andrea Cellino, direttore del Dipartimento politico e di pianificazione presso la Missione Osce in Bosnia Erzegovina, nell'articolo pubblicato il 4 giugno su Affari Internazionali. "C’erano e ci sono effettivamente ottime ragioni per ribadire l’impegno a portare i Balcani in Europa", scrive Cellino che giudica positivamente anche il tempismo del vertice perché "andavano incoraggiate le tendenze degli ultimi sei mesi, che hanno visto incrementare i segnali positivi tra i leader della regione". Certo, non ci si può nascondere la vaghezza delle dichiarazioni finali, dato che quasi tutti i leader si sono espressi in termini positivi sull’obiettivo finale della piena integrazione europea dei Balcani, ma pochi hanno fornito dettagli su come raggiungere tale risultato. Per cui, secondo Cellino, il problema è proprio questa incertezza sul percorso di integrazione nell’Ue: "Una prospettiva così indefinita e di lungo periodo rischia di offrire incentivi troppo deboli per convincere le classi dirigenti dei paesi interessati ad attuare affrontare riforme impegnative e spesso impopolari". Occorrerebbe, dunque, "qualcosa di più concreto e preciso per incoraggiarle a combattere la corruzione, rafforzare le istituzioni e collaborare tra loro". Inoltre, "una politica dell’Ue più chiara e legata a precisi incentivi favorirebbe un approccio più unitario da parte della comunità internazionale, che troppo spesso fa più fatica ad accordarsi sulla politica della carota che su quella del bastone".

Che gli ostacoli all'integrazione europea dei Balcani stiano nei Balcani stessi, ma probabilmente ancora di più nell'Ue, mi pare sia anche la tesi di Miodrag Lekic, già ambasciatore di Jugoslavia a Roma e oggi docente presso le Università “La Sapienza” e “Luiss - Guido Carli” di Roma. Sempre su Affari Internazionali, in un articolo intitolato "L'ombra della Grecia sui Balcani occidentali" e pubblicato il 4 giugno, Lekic ammette che non era certamente il momento ideale per una conferenza di questo tipo visto che l'Ue, dopo anni di successi e di retorica ottimista, sta attraversando una delle più gravi crisi della sua storia: "Nell’attuale situazione europea era difficile immaginare che anche paesi più aperti all’integrazione dei popoli balcanici e che hanno interessi strategici nella regione, come la Spagna e l’Italia, potessero ricevere un mandato chiaro per aprire una prospettiva concreta di ulteriore allargamento dell’Ue". E però "in ogni caso, anche indipendentemente dall’attuale crisi europea, resta da chiarire se la Ue da sola abbia capacità sufficienti per portare a compimento la stabilizzazione e integrazione della regione e quale ruolo possano svolgervi gli Stati Uniti, ma anche la Turchia e la Russia, ambedue presenti nell’area". Quindi, conclude Lekic, se è vero che "i Balcani occidentali risentono ancora oggi della pesante eredità delle guerre che hanno insanguinato la regione negli anni novanta del XX secolo", è altrettanto vero che negli ultimi dieci anni i paesi della regione hanno fatto notevoli progressi in vari settori e, inoltre, "hanno in totale una popolazione più o meno equivalente a quella della Romania, non tale, quindi, da sottoporre la “capacità di assorbimento” dell’Ue a uno stress eccessivo". E' evidente, allora, che "le indecisioni dell’Ue e la sua difficoltà a definire un percorso più preciso per l’integrazione dei Balcani dipendono in gran parte dalla crisi interna da cui è oggi afflitta e dalla mancanza di una visione più chiara del suo futuro".

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