Diciotto anni dopo il crollo Jugoslavia, a dieci anni dalla fine delle guerre che segnarono tragicamente e sanguinosamente quel crollo e a trenta dalla scomparsa del Maresciallo Tito, le ex repubbliche che componevano la creatura politica che lui aveva creato e incarnato per oltre tre decenni, sembrano alla ricerca di una collaborazione regionale, per ora soprattutto in campo economico. Così almeno, è emerso dal Southeast Management Forum, svoltosi recentemente a Bled, in Slovenia, dove uomini d'affari e manager provenienti dalle sei repubbliche ex jugoslave hanno discusso delle prospettive di quella che l'Economist ha definito la "Jugosfera" economica.
Di Jugosfera, in realtà, si parla da un certo tempo, facendo riferimento a quell'area unita da una storia e da una cultura comuni, i cui fili sono stati spezzati dalle guerre degli anni '90 ma nonostante tutto, non in maniera irreversibile, o almeno non dappertutto. Secondo Tim Judah "la gente già vive in una Jugosfera: bevono latte croato, guardano programmmi tv bosniaci e mangiano spuntini di un'azienda serba controllata da una compagnia slovena". E in effetti, le principali catene di supermercati - come la serba Delta, la slovena Mercator e la croata Konzum - hanno avviato piani di espansione nelle altre repubbliche. Tutto ciò fa pensare al mercato unico che dal 1992 ha costituito un cardine della costruzione dell'Unione Europea.
Anche se da qualche tempo si parla insistentemente anche di "jugonostalgia", in realtà non c'è voglia di tornare ai tempi della vecchia Jugoslavia, ma evidentemente, nonostante i conflitti, le radici comuni non sono state del tutto estirpate, grazie anche ad una lingua pressochè identica, sebbene trascritta con alfabeti diversi. A dividere in realtà è soprattutto la politica, il nazionalismo usiato in maniera spregiudicata soprattutto ad uso interno. Certo non aiuta la questione del Kosovo (anche se recentemente riaperta la possibilità di riaprire negoziati diretti tra le due parti), o le continuamente minacciate tentazioni secessioniste dei serbi di Bosnia (ma anche dei croati), o ancora il contenzioso confinario tra Croazia e Slovenia solo recentemente avviato a soluzione. Ma i segnali incoraggianti non mancano, come l'incontro dello scorso 9 settembre a Belgrado fra i responsabili delle ferrovie slovena, croata e serba, per cominciare a pensare ad un'azienda unica e semplificare i controlli doganali, con forti benefici di competitività. Alla fine del mese poi, in Montenegro i responsabili delle borse locali discuteranno della possibile creazione di una borsa regionale, anche nella prospettiva di attrarre nuovi investimenti internazionali in un mercato dalle dimensioni interessanti.
In fondo anche il processo di integrazione europea è nato su questioni economiche: mettere insieme nazioni che per secoli si erano massacrate. Anche per i Balcani occidentali questa potrebbe essere una strada percorribile con il vantaggio di avere già pronto il traguardo dell'Ue che con tutti i limiti e con tutti gli errori resta pur sempre una delle più gradi costruzioni politiche della storia.
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