domenica 14 ottobre 2012

ELEZIONI IN MONTENEGRO: SARA' MIODRAG LEKIC L'ANTI-DJUKANOVIC?

Miodrag Lekic (Foto Mara Babovic)
Il Montenegro va alle urne oggi per le elezioni anticipate di sei mesi rispetto alla scadenza naturale della legislatura. Circa mezzo milione di montenegrini sono chiamati a scegliere i propri rappresentanti tra cinque partiti, sette coalizioni e un movimento civico, per eleggere un parlamento con un "mandato pieno" nei prossimi quattro anni in cui il Paese sarà impegnato nei negoziati di adesione con l'Unione europea aperti ufficialmente lo scorso giugno. E' la nona elezione parlamentare dalla fine del regime jugoslavo a partito unico, la terza dalla dichiarazione di indipendenza dalla Serbia nel 2006.

La consultazione si svolge a pochi giorni dalla pubblicazione del rapporto annuale della Commissione europea sul processo di integrazione dei Paesi che sono in lista di attesa per l'adesione all'Ue. Nella sua “pagella” Bruxelles ha esortato il Montenegro a compiere progressi soprattutto in materia di lotta alla corruzione e al crimine organizzato, il solito punto dolente di un Paese crocevia di tanti traffici illegali internazionali che si muovono sulla cosiddetta “rotta balcanica”. Un Paese che fa anche i conti con la crisi economica seguita alla crescita sostenuta registrata nel triennio 2006-2009, immediatamente dopo l'indipendenza da Belgrado. I contraccolpi della crisi internazionale hanno sgonfiato la bolla immobiliare, trainata dal turismo, e fatto crollare gli investimenti esteri, con un debito pubblico cresciuto fino all'attuale quota del 58% del Pil e un tasso di disoccupazione che sfiora il 20%. Lo scorso anno si è registrata una crescita del Pil  del 2,7%, ma le previsioni per il 2012 non vanno oltre lo 0,5%, nonostante il buon andamento della recente stagione turistica.

In una realtà in cui la classe politica, come fanno notare diversi analisti, si mostra incapace di proporre qualcosa di nuovo, le elezioni di oggi non dovrebbero portare particolari novità. Secondo la previsioni, infatti, la vittoria andrà, come al solito, al Partito democratico dei socialisti (Dps), a cui i sondaggi attribuiscono il 47% dei voti, guidato da Milo Djukanovic, “padre della patria” ma anche politico dalle discutibili frequentazioni e dai traffici poco chiari. Lo stesso nei confronti del quale la magistratura di Bari sollevò pesanti accuse di associazione mafiosa e contrabbando internazionale, a cui scampò solo grazie all'immunità diplomatica. Djukanovic è anche l'unico leader balcanico rimasto ininterrottamente al potere dopo il crollo della Jugoslavia. Anche dopo le dimissioni “a sorpresa” a fine 2010 (era al suo quinto mandato da premier): “Sono stato al potere per 20 anni, sono state create le condizioni per un mio passo indietro”, disse dopo che il Montenegro ottenne la candidatura ufficiale all'adesione Ue, ma la sua leadership è rimasta intatta.

La pessima reputazione internazionale del Montenegro in materia di legalità è il principale argomento con cui l'opposizione ha tentato di erodere il consenso di cui continua a godere Djukanovic, ma i partiti dell'opposizione di centro-destra, riuniti in una coalizione denominata “Fronte democratico”, sono dati dai sondaggi al 40%. La loro speranza è che il partito di Djukanovic non vada oltre la maggioranza relativa di 81 seggi nel parlamento di Podgorica. A meno che il leader del “Fronte”, Miodrag Lekic, non riesca a compiere il miracolo. E qualche possibilità potrebbe averla se Djukanovic ha cercato di liquidare l'avversario accusandolo di essere una proiezione serba in terra montenegrina. In realtà le cose non stanno così, come spiega Matteo Tacconi in un ritratto pubblicato su Osservatorio Balcani e Caucaso. Lekić, ex ministro degli Esteri ed ex ambasciatore jugoslavo in Italia durante la guerra del Kosovo e nel primo periodo del dopo Milosevic, docente alla Sapienza e alla Luiss di Roma, semplicemente pensa che il Montenegro non possa non dialogare, commerciare e fare accordi con la Serbia, così come ritiene che il rapporto speciale tra Podgorica e Belgrado debba allargarsi a tutta l’area balcanica. Lekić, scrive Tacconi, a suo tempo jugoslavista convinto, continua a pensare che l’esperienza jugoslava abbia lasciato un'eredità che le leadership della regione debbano cogliere e valorizzare dopo la lunga parentesi segnata dalle piccole autarchie balcaniche. Sarà lui l'anti-Djukanovic?


Alcune mie interviste a Miodrag Lekic per Radio Radicale realizzate qualche anno fa a proposito della questione del Kosovo


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