martedì 30 ottobre 2012

TOUR BALCANICO PER CATHERINE ASHTON E HILLARY CLINTON

Hillary Clinton e Catherine Ashton

Tour balcanico per il segretario di stato Usa, Hillary Clinton, e per l'Alto rappresentante della politica estera dell'Ue, Catherine Ashton, arrivate oggi a Sarajevo per la prima tappa di una missione congiunta che prevede tappe anche in Serbia e Kosovo con l'obiettivo di rilanciare il processo di integrazione europea della regione. Nella capitale bosniaca, dove hanno incontrato i tre membri della presidenza collegiale, nonché i rappresentanti della Comunità internazionale, Ashton e Clinton hanno sottolineato “l'urgente necessità che i partiti politici servano l'interesse della popolazione e concordino le necessarie riforme”, come aveva anticipato un portavoce del segretario di Stato Usa alla vigilia della partenza. La Bosnia è bloccata delle contrapposizioni etniche, divisa in due entità contrapposte - Repubblika Srpska e Federazione di Bosnia Erzegovina, croato-bosgnacca - collegate da deboli istituzioni centrali, il rafforzamento delle quali è, invece, cruciale per l'adesione all'Unione europea e alla Nato. L'attuale amministrazione Usa non fa mistero della sua avversione per ogni ipotesi di separazione delle due entità nate in seguito agli accordi di pace di Dayton del 1995: mettere in discussione la sovranità della Bosnia Erzegovina “è completamente inaccettabile”, ha detto infatti Hillary Clinton a Sarajevo. “Pensiamo che l'integrazione nell'Unione europea e nella Nato offrano a questo paese la via migliore verso la stabilità e la prosperità”, ha detto Clinton in una conferenza stampa dopo l'incontro con i tre membri croato, bosgnacco e serbo della presidenza collegiale.

In Serbia, e in Kosovo, invece, Ashton e Clinton vanno per ribadire che secondo Bruxelles e Washington la soluzione per i due Paesi va costruita sugli accordi già raggiunti e sull'avanzamento del dialogo ripreso nel 2011 con il patrocinio dell'Ue. A Belgrado il segretario di Stato americano e l'Alto rappresentante europeo incontrano il presidente Tomislav Nikolic ed il premier Ivica Dacic per esprimere loro il pieno sostegno al processo di normalizzazione delle relazioni tra Kosovo e Serbia. Una visita, quella nella capitale serba, che si sbolge tra imponenti misure di sicurezza dopo l'annuncio delle manifestazioni di protesta dei gruppi della destra e degli ultranazionalisti del Partito radicale serbo. Lo scorso marzo la Serbia ha ottenuto lo status di Paese ufficialmente candidato all'adesione all'Unione europea e attende ora che Bruxelles fissi una data di inizio dei negoziati. L'obiettivo, inizialmente atteso per la fine dell'anno, è stato rinviato ottobre a causa della mancata ripresa dei colloqui con Pristina dopo l'interruzione dovuta alle elezioni serbe dello scorso maggio che hanno segnato l'affermazione dei nazionalisti. Il recente incontro tra il premier serbo Dacic e il suo omologo kosovaro, Hashim Thaci, a Bruxelles alla presenza del capo della diplomazia Ue, Catherine Ashton, ha sbloccato la situazione, ma se restano molte questioni in sospeso, sia sull'agenda, sia sulla modalità dei negoziati.

Se da una parte Belgrado è abbastanza tranquilla che il processo di integrazione europea non sarà condizionata dalla richiesta di riconoscere l'indipendenza del Kosovo (anche perché l'Ue non ha una posizione ufficiale, visto che 5 dei Paesi membri non la riconoscono), dall'altra parte Ashton e Clinton potrebbero avanzare la richiesta di atti concreti di distensione come, per esempio, lo smantellamento delle “strutture parallele” messe in piedi dai serbi del Kosovo che non intendono riconoscere l'autorità di Pristina. I Balcani occidentali sembrano dunque tornare al centro dell’attenzione sia dell'Unione europea che degli Stati Uniti, ma quanto questo interesse sia di nuovo prioritario per l'agenda di politica estera di Bruxelles e di Washington è difficile dirlo: da una parte, infatti, l'Ue è ancora ben lontana dall'uscire da una crisi che sta mettendo a rischio il progetto stesso di unione politica dell'Europa, dall'altra l'attuale Amministrazione Usa potrebbe non essere più al suo posto da martedì prossimo e in ogni caso, anche se Obama verrà rieletto per un secondo mandato, difficilmente Hillary Clinton resterà alla segreteria di Stato. Nonostante tutto ciò, il tour balcanico di questi giorni (Clinton si recherà anche in Albania e Croazia) è sicuramente un fatto rilevante.

Bruxelles non aveva nascosto il disappunto per la vittoria delle forze conservatrici e nazionaliste nelle elezioni parlamentari e presidenziali dello scorso maggio così come non aveva fatto mancare il proprio sostegno all'ex presidente Boris Tadic. Con il nuovo presidente Nikolic ed il nuovo governo di coalizione fra conservatori nazionalisti e socialisti la Serbia sembra avere assai smorzato l'indirizzo europeista che la passata leadership riformista aveva posto come prima priorità del Paese. Più volte sia Nikolic che il premier Dacic hanno dichiarato di essere disposti a rinunciare all'Ue se la contropartita dovesse essere la rinuncia al Kosovo. La crisi economica, che i serbi stanno subendo assai pesantemente, ha deteriorato notevolmente la situazione. Il richiamo identitario può essere sempre utile per far dimenticare altri e più pressanti problemi. Tuttavia in Serbia aumentano le voci di coloro che chiedono realismo e lungimiranza sulla questione del Kosovo e dell'integrazione europea: non solo i liberaldemocratici di Cedomir Jovanovic, da sempre favorevoli a rinunciare alla sovranità sull'ex provincia, non solo l'ex presidente Boris Tadic, contrario a riconoscere l'indipendenza del Kosovo, ma convinto della necessità dell'adesione all'Ue, ora anche il leader del Movimento per il rinnovamento serbo, l'ex ministro degli Esteri Vuk Draskovic, afferma che “la Serbia deve iniziare a normalizzare le relazioni con il Kosovo e stabilire stretti rapporti sia culturali, oltre che economici”. Secondo Draskovic, per il grande valore storico e culturale che ha per la Serbia il Kosovo “è un buon vicino di casa” e c'è dunque la necessità di stabilire le migliori relazioni possibili. “Noi non controlliamo il territorio da oltre 12 anni, ma c'è il modo di proteggere sia il popolo serbo, sia il suo patrimonio storico e culturale”, ha affermato Draskovic ai media serbi. Per questo, secondo l'ex ministro degli Esteri, è interesse della Serbia accettare le richieste del Consiglio europeo per normalizzare le relazioni con Pristina. “La Serbia è in recessione economica, mentre il popolo è ingannato con le favole per la sovranità e l'integrità territoriale”, ha affermato ancora Draskovic.


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