lunedì 21 gennaio 2013

SEI ANNI DOPO SIAMO SEMPRE TUTTI HRANT DINK

Sei anni fa, il 19 gennaio del 2007, davanti alla sede del suo giornale Agos, nel quartiere di Osmanbey a Istanbul, veniva assassinato Hrant Dink, il giornalista e scrittore turco di origine armena. Era nato il 15 settembre del 1954 e si era sempre battuto per la ricerca del dialogo tra turchi ed armeni. Questo suo impegno lo fece finire nel mirino dei nazionalisti e per la sua attività pubblicistica nell'ottobre del 2004 fu condannato a sei mesi di prigione sulla base del famigerato articolo 301 del codice penale turco che puniva chi fosse ritenuto colpevole di aver diffamato pubblicamente l'identità turca (nel 2008 l'articolo fu poi attenuato, anche in conformità alle richieste dell'Unione Europea, circoscrivendolo alle offese allo Stato e agli organi costituzionali e riducendo le pene previste).

Il processo, le intimidazioni e le minacce non fecero mai venire meno l'impegno di Hrant Dink e la sua fiducia nel dialogo e nella giustizia: ci vollero tre colpi di pistola, sparati a bruciapelo alla schiena in una delle più affollate vie di Istanbul. Il suo assassinio provocò un enorme emozione in tutta la Turchia e il suo funerale si trasformò in una enorme manifestazione. All'insegna dello slogan “Siamo tutti Dink, siamo tutti armeni”, oltre centomila persone scesero in piazza per chiedere pace e riconciliazione. Sei anni dopo la sua morte, resta intatto il messaggio di un giornalista, di un intellettuale, ma soprattutto di un grande uomo che con la sua morte ha dato coraggio a tante persone di far sentire la propria voce contro un'ideologia nazionalista e reazionaria che vorrebbe impedire ai turchi di pensare con la loro testa.

Al contrario di quanto volevano coloro che hanno armato la mano del giovane fanatico assassino, Hrant Dink è diventato il simbolo della Turchia che vuole maggiore democrazia, libertà di parola e pluralismo. Il processo per la sua uccisione resta un test cruciale non solo per il governo di Recep Tayyp Erdogan e per la nuova classe dirigente emersa nell'ultimo decennio, ma per il futuro stesso della democrazia turca. Stabilire la verità e fare giustizia è importante per la famiglia di Hrant Dink, ovviamente, e per la comunità armena, ma è importante anche per la Turchia intera e per l'intera Europa. Un'Europa sempre più impaurita e diffidente, dove nazionalisti e xenofobi di ogni risma sembrano pericolosamente prendere piede, quasi che gli anticorpi prodotti dal cataclisma dei genocidi del XX secolo abbiano ormai perso la loro capacità di fermare la malattia, come ammoniva Primo Levi. Per questo è importante, oggi come sei anni fa, continuare a dire “Siamo tutti Hrant Dink”.


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