martedì 6 settembre 2011

QUALCHE CONSIDERAZIONE SULLO SCONTRO TRA ANKARA E TEL AVIV

Da un lancio dell'agenzia TMNews (con fonte Afp) delle 12,24 - Il premier turco Recep Tayyip Erdogan ha annunciato la "sospensione totale" dei rapporti militari e commerciali con Israele, che rifiuta le scuse per l'assalto a una nave umanitaria turca, costato la vita, il 31 maggio 2010, a nove cittadini turchi. "Sospendiamo totalmente i nostri legami commerciali, militari e nell'industria della difesa" ha detto Erdogan ai giornalisti, secondo quanto riferisce l'agenzia Anadolu.

Il premier israeliano Benjamin Netannyahu e quello
turco Recep Tayyip Erdogan (Foto Reuters)
La vicenda dell'arrembaggio alla “Mavi Marmara” mi sembra abbia dato vita ad uno scontro politico-diplomatico tra Israele e Turchia il cui esito forse poteva essere diverso e che è stato portato alle conseguenze di questi giorni (la riduzione ai minimi termini delle relazioni tra i due governi), da un braccio di ferro che avrebbe potuto essere evitato, se lo si fosse voluto. Ma lo si voleva?

Dopo le dure polemiche sul conflitto a Gaza e sull'operazione “Piombo fuso”, era abbastanza evidente, infatti, che Erdogan volesse continuare a mettere in difficoltà Israele, sfruttando la missione della Freedom Flotilla, per mantenere il consenso in patria e guadagnarne all'esterno, nell'area della quale Ankara aspira a diventare il paese leader. Non c'è dubbio che nell'arrembaggio della flottiglia, i commandos israeliani abbiano fatto un uso della forza sproporzionato ed eccessivo. Ma è altrettanto evidente che, quanto meno a bordo della Mavi Marmara, non tutti i partecipanti alla missione “umanitaria” avessero intenzioni pacifiche (ci sono immagini e video che lo mostrano chiaramente). Questo, ovviamente non può giustificare i nove morti, ma serve a capire la dinamica degli eventi.

Se il governo israeliano avesse espresso subito il suo rammarico per quanto accaduto e magari avesse cercato di concordare con quello turco delle forme di risarcimento, forse la crisi sarebbe rientrata in poco tempo. Così però non è stato (forse nessuna delle due parti lo voleva davvero) e le posizioni si sono via via irrigidite, fino ad imboccare una strada senza via d'uscita, se non a costo che uno dei due contendenti perdesse la faccia: cosa che in politica e in diplomazia è semplicemente inammissibile.

Era proprio indispensabile che finisse così? A chi giova il deterioramento delle relazioni tra Turchia e Israele, tanto più in un momento in cui l'area medio-orientale è scossa da accadimenti che potrebbero cambiarne profondamente gli equilibri politico-diplomatici, in un periodo in cui una crisi economica di portata epocale sta cambiando i rapporti di forza globali? Interrogarsi su questo, aiuterebbe a capire meglio quanto sta accadendo, piuttosto che iscriversi acriticamente al partito filo-turco o a quello filo-israeliano.

Anche a proposito del rapporto Onu sui fatti della Mavi Marmara c'è qualcosa che secondo me andrebbe chiarito. Il governo turco ha voluto che il Consiglio di sicurezza ordinasse un'inchiesta e così è stato. Israele, da parte sua, non essendo riuscita a bloccare l'iniziativa, ha ottenuto però per tre volte di far rinviare la pubblicazione del relativo rapporto. Alla quarta richiesta gli è stato detto “no”. Solo che il “Rapporto Palmer” è risultato essere non così sfavorevole a Israele come si sarebbe potuto facilmente pensare.

Dato che mi sembra un po' difficile pensare che Ankara, Tel Aviv fossero all'oscuro dei contenuti del rapporto, peraltro anticipati dettagliatamente dal “New York Times” alla vigilia della pubblicazione, ci si potrebbe allora chiedere: perché Ankara ha premuto per la pubblicazione di un documento in definitiva più favorevole a Tel Aviv che a sé? La risposta si potrebbe forse trovare andando a guardare sull'altra sponda dell'Atlantico, a New York. Il governo turco, conosciuti da tempo gli esiti dell'inchiesta sui fatti della Mavi Marmara, potrebbe aver deciso di puntare sulla discussione del riconoscimento dello stato palestinese in calendario alla prossima sessione dell'Assemblea generale dell'Onu che si aprirà il 23 settembre. Un'iniziativa promossa e portata avanti, ovviamente, dall'Anp, ma dietro la quale molti vedono una regia turca.

Erdogan potrebbe aver pensato di sfruttare i sentimenti anti-israeliani rinfocolati dalle conclusioni del “Rapporto Palmer” per cercare di formare al Palazzo di vetro un fronte abbastanza ampio da ottenere il riconoscimento dello stato palestinese: un risultato che non avrebbe nell'immediato un valore pratico, ma che segnerebbe – questa sì – una pesante sconfitta politica e diplomatica per Israele. La figura di Erdogan ne uscirebbe rafforzata sia sul piano interno che su quello internazionale. E la Turchia potrebbe guadagnare un vantaggio forse incolmabile nella partita per conquistare il ruolo di nuovo paese guida dell'area medio-orientale.

Dunque, al momento Tel Aviv è in vantaggio su Ankara per 3 a 0: Israele lo scorso anno ha bloccato la Freedom Flotilla (1 a 0), poi si è rifiutato di chiedere scusa per i morti (2 a 0) e infine ha subito scarsi danni dall'inchiesta dell'Onu (3 a 0). Tutto sta vedere chi riuscirà a vincere l'incontro. [RS]

Questo post è pubblicato oggi su Notizie Radicali, il giornale telematico di Radicali Italiani

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