lunedì 22 agosto 2011

PROCESSO MLADIC: VERSO UN FUTURO MIGLIORE PER LA SERBIA?

Il processo contro Ratko Mladic, arrestato lo scorso 26 maggio nel nord della Serbia dopo quasi sedici anni di latitanza, potrebbe essere diviso in due: un procedimento riguarderebbe il solo genocidio di Srebrenica, mentre l'altro i restanti capi di accusa per crimini di guerra e contro l'umanità: è la richiesta avanzata martedì della scorsa settimana dal procuratore del Tribunale internazionale per l'ex Jugoslavia, Serge Brammertz. In attesa di vedere come andrà (che si tratterà comunque di procedimento lungo e complesso nessuno lo mette in dubbio), è interessare ricordare i risultati piuttosto interessanti del Gallup Balkan Monitor, risalente al luglio dell'anno scorso, circa l'opinione pubblica serba per quanto riguarda il caso. Un anno fa, quando la cattura degli ultimi due ricercati dalla giustizia internazionale, Ratko Mladic e Goran Hadzic, sembrava ancora lontana, la maggioranza relativa dei serbi (46%) riteneva che valesse la pena estradare al Tpi tutti i sospetti criminali di guerra al fine di preservare la pace e favorire lo sviluppo, anche se ciò era in contrasto con il desiderio di alcune o molte persone. Sulla figura di Mladic, invece, le opinioni erano più articolate: solo il 19% degli intervistati aveva risposto di ritenerlo un criminale di guerra, mentre esattamente il doppio (38%) lo giudicava un buon patriota. Poco meno di un quarto (23%) non concordava con nessuno di questi due giudizi e 1/5 non sapeva o non voleva rispondere alla domanda. Interrogati sul perché Mladić non fosse stato ancora catturato, il 10% affermava di pensare che si nascondesse in Serbia, ma che non fosse stato individuato, il 17% si diceva convinto che si trovasse all'estero, mentre la percentuale maggiore, il 35% degli intervistati, esprimeva la convinzione che le autorità sapessero dove si trovava, ma non volessero catturarlo.

Nonostante la reazione tutto sommato positiva seguita alla cattura di Mladic e di Hadzic, in un nota pubblicata il 5 luglio scorso sul sito del Gallup Balkan Monitor (Processo Mladić: verso un futuro migliore per la Serbia?), ci si chiede giustamente se sia stato davvero superato “l'ultimo ostacolo sul cammino della Serbia verso l'UE”, come ha dichiarato il procuratore per crimini di guerra serbo, Bruno Vekaric, all'agenzia di stampa Beta. Lo status internazionale non ancora definito del Kosovo, con un terzo degli Stati membri dell'Unione europea che non ne riconoscono l'indipendenza, potrebbe rappresentare un altro ostacolo sul cammino della Serbia verso l'integrazione nell'UE. I colloqui “tecnici” attualmente in corso tra Belgrado e Pristina, secondo il Gallup Balkan Monitor, segnalano che un importante passo avanti in materia amministrativa è stato raggiunto e suggeriscono che ci potrebbe essere qualche novità nella situazione di stallo attorno alla questione del Kosovo. Tuttavia, aggiungo io, la recente grave crisi scoppiata al confine che minacciava di precipitare in maniera pericolosa senza l'intervento della Kfor, mostra che la tensione è sempre altissima, che la brace cova sotto la cenere e che ci vuole molto poco per far nuovamente divampare l'incendio. L'opinione pubblica sulla controversia del Kosovo, pubblicato nel Focus on Kosovo's independence del Gallup Balkan Monitor nel luglio 2010, mostrato che le inconciliabili posizioni diffuse tra la gente, renderà difficile per i politici trovare un compromesso. Gli ultimi risultati, segnala sempre il Gallup Balkan Monitor, confermano questa valutazione: due terzi degli intervistati in Serbia sono convinti che la Serbia “mai” riconoscere il Kosovo, e solo meno del 4% degli albanesi del Kosovo sarebbe d'accordo su un compromesso territoriale come la cessione alla Serbia delle aree a maggioranza serba del Kosovo, o lo scambio con quelle a maggioranza albanese della Serbia.

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