venerdì 24 gennaio 2014

RIUSCIRA' LA SERBIA A ENTRARE NELL'UE NEL 2020?

Martedì 21 gennaio, con la conferenza intergovernativa a Bruxelles, sono iniziati ufficialmente i negoziati per l'adesione della Serbia all'Unione Europea. Si tratta indubbiamente di un risultato estremamente importante per un Paese che 14 anni fa, di questi tempi, fa era alla vigilia dell'enesimo conflitto (quello per il Kosovo) in cui lo aveva trascinato lungo tutti gli anni Novanta il regime nazionalista e autoritario di Slobodan Milosevic. Ed è singolare e significativo che a conquistare questo traguardo siano stati proprio dei personaggi politici che si sono compromessi con quel regime, come l'attuale presidente Tomislav Nikolic e l'attuale premier Ivica Dacic. 
Dacic, nelle sue dichiarazioni, ha detto che la Serbia punta a diventare il 29 Paese membro dell'UE: l'obiettivo è quello di chiudere i negoziati entro il 2018 per poi perfezionare l'ingresso formale nel 2020. Obiettivo ambizioso che si scontra con la realtà di un processo che si preannuncia assai complicato e quindi presumibilmente più lungo di quanto indicato dal premier serbo. I problemi sul tappeto sono tanti e di non poco conto a cominciare da quello dello status del Kosovo. 
A questo proposito ecco qui l'interessante post di Davide Denti pubblicato su Eastjournal.net, che abbiamo citato nella puntata di Passaggio a Sud Est di ieri. 
Tanti auguri alla Serbia e buona lettura.
 
Serbia: iniziano i negoziati adesione. Nell'UE entro il 2020?
di Davide Denti - da Eastjournal.net
“Oggi è l’inizio di capitolo interamente nuovo nelle relazioni UE-Serbia, ed un successo significativo, – ha commentato il presidente della Commissione europea José Manuel Barroso. – Elogio la Serbia per le sue riforme, sforzi e progressi compiuti negli scorsi anni. I cittadini serbi hanno forti aspirazioni europee, e noi continueremo a sostenere la Serbia affinché continui a fare progressi, passo a passo, nel suo cammino europeo.”
“E’ un giorno storico per la Serbia”, ha dichiarato il primo ministro Ivica Dačić. “Probabilmente è il più importante dalla seconda guerra mondiale”, ha aggiunto il vicepremier Aleksandar Vučić. Dopo anni di ritardo, dovuto alle reticenze della leadership di Belgrado a collaborare con il tribunale dell’Aja e a normalizzare i propri rapporti con il Kosovo, la Serbia si avvia quindi nell’ultima fase del suo cammino di integrazione europea. La fase forse più complessa, e che prenderà ancora diversi anni, durante la quale Belgrado dovrà introdurre sostanziali riforme per portare la propria legislazione in linea con gli standard europei (l’acquis comunitario). Ma Belgrado punta in alto.

Nell’UE entro il 2020? La scommessa di Dačić

“Sono sicuro che la Serbia sarà il prossimo Stato membro”: entrare nell’UE entro il 2020 è l’obiettivo dichiarato del primo ministro serbo Ivica Dačić.  Il governo di Belgrado vorrebbe concludere i negoziati entro il 2018, così da incassare le ratifiche dei 28 stati membri in un paio d’anni e sedere da pari ai tavoli di Bruxelles entro il 2020.
Una previsione che appare azzardata: ci sono voluti otto anni alla Croazia per “entrare in Europa”, dal 2005 al 2013, difficile che Belgrado (che si trova davanti anche lo scoglio del Kosovo) possa mettercene la metà. Di certo la Serbia punta a diventare il nuovo pupillo di Bruxelles nei Balcani e riconquistare un ruolo di leader regionale anche per quanto riguarda il processo d’integrazione europea. Non dovrebbe esserle difficile, viste le secche in cui si trovano oggi la Macedonia, il Montenegro, o l’Albania, per non parlare della Bosnia.
Inoltre i partiti di governo a Belgrado, progressisti (SNS) e socialisti (SPS), ci hanno messo la faccia nel puntare verso Bruxelles, ed è probabile che vogliano far valere i risultati ottenuti “in Europa” nella campagna elettorale che si aprirà a breve in Serbia in vista delle elezioni anticipate, non ancora confermate ma da molti previste per il 16 marzo. Per non perdere una preziosa occasione di visibilità il presidente della repubblica serba e capo del partito progressista Tomislav Nikolić, che non era presente a Bruxelles con Dačić e Vučić, ha fatto diffondere un video con lo slogan “Un presidente responsabile, cittadini soddisfatti, Serbia di successo”, in cui si rimarca il suo contributo alla lotta a crimine e corruzione, all’accordo fra Belgrado e Pristina e all’affermazione della pace e della stabilità nella regione. Il video si chiude con il messaggio “Insieme fino alla piena adesione all’Ue – il presidente serbo Tomislav Nikolić.”
Infine,  la data non sembra scelta a caso: nel 2020 si conclude il ciclo budgetario settennale UE appena iniziato, se la Serbia per allora fosse stato membro potrebbe sedere al tavolo della negoziazione budgetaria e garantirsi in anticipo la sua fetta di fondi strutturali. Ma sarà ben difficile che l’orizzonte UE 2020 si concretizzi per Belgrado: una data più realistica potrebbe essere il 2022-2025, con otto anni di negoziati e due-tre di ratifiche, dando per scontata la non ovvia risoluzione della questione dello status del Kosovo.

Quando il gioco si fa duro…

Dopo lo storico accordo Dačić-Thaçi sulla normalizzazione delle relazioni con il Kosovo, e dopo i tentennamenti del Consiglio UE di giugno 2013, oltre che dopo la telenovela dell’accordo di associazione Serbia-UE (entrato in vigore a settembre, a cinque anni dalla firma, per via di una birreria contesa con la Lituania) la Serbia si avvia così nell’ultima parte del suo percorso di avvicinamento all’Unione Europea. L’apertura dei negoziati conferma la prospettiva europea della Serbia e l’accelerazione impressa dall’amministrazione conservatrice Nikolić-Dačić alle relazioni con Bruxelles.
I negoziati si apriranno con alcuni dei capitoli più controversi, come il capitolo 23 su Magistratura e diritti fondamentali e il 24 su Giustizia, libertà e sicurezza: quei capitoli che, come appreso dalla Commissione nell’esperienza della Croazia, sono particolarmente di rilievo per i paesi dei Balcani occidentali. Meglio iniziare a lavorarci il prima possibile quindi, sapendo che servirà prendersi tutto il tempo necessario per verificare l’introduzione e la messa in atto di profonde riforme: è il nuovo approccio di Bruxelles, che precedentemente preferiva carburare con i capitoli meno problematici (nel caso del Montenegro, che ha anch’esso appena aperto i negoziati sui capitoli 23 e 24, la Commissione aveva iniziato un anno fa con i capitoli su scienza, ricerca, educazione e cultura). “Sarà un esercizio impegnativo ma equo e obiettivo”, ha assicurato il Commissario UE all’allargamento Štefan Füle, “che non si limiterà a ‘barrare le caselle’ ma andrà a verificare l’effettiva messa in pratica delle riforme”.
I capitoli su giustizia e diritti, assieme a quelli su ambiente, agricoltura e controlli finanziari, erano già stati individuati dalla Commissione europea nel suo screening iniziale come i più impegnativi per la Serbia, che dovrà allinearli all’acquis legislativo europeo. Belgrado dovrà introdurre riforme profonde del suo sistema giudiziario, inclusa la lotta alla corruzione e al crimine organizzato, e la protezione dei diritti umani (i casi contro la Serbia presso la Corte europea dei diritti umani danno una casistica delle questioni aperte), inclusa una significativa protezione della libertà d’espressione delle minoranze (è il caso del Gay Pride di Belgrado, che da anni non può tenersi per le minacce e violenze degli ultranazionalisti). Dovranno anche terminare i casi di intimidazione dei giornalisti, serbi e stranieri, di cui ha recentemente fatto esperienza Lily Lynch del portale Balkanist. 

Il nodo Kosovo

L’avvio dei negoziati d’adesione è la ricompensa attesa e meritata che Belgrado incassa per il suo impegno nel dialogo bilaterale con il Kosovo e per aver adempiuto a tutte le altre condizioni, inclusa la piena cooperazione con il tribunale penale internazionale dell’Aja per i crimini commessi nell’ex Jugoslavia. Se Bruxelles avesse mancato di ricompensare la Serbia, dopo già sei mesi di ritardo rispetto alla prima occasione disponibile per farlo, avrebbe inviato a Belgrado il messaggio che gli stati membri UE non sono seri nel loro approccio e coerenti con le proprie promesse, mandando all’aria il funzionamento della strategia di condizionalità applicata dall’Ue.
I negoziati d’adesione della Serbia e la normalizzazione delle relazioni tra Serbia e Kosovo procederanno in parallelo  rinforzandosi a vicenda. Da parte sua, il Kosovo sta negoziando con l’Ue un accordo d’associazione e stabilizzazione che possa portare anche alla liberalizzazione del regime dei visti. La Commissione europea continuerà a verificare la messa in atto degli accordi dell’aprile 2013 sulla normalizzazione delle relazioni durante il processo negoziale, così come la messa in atto dell’accordo d’associazione Ue-Serbia e l’impegno di Belgrado nella cooperazione regionale. D’altronde le sfide non mancano, come hanno dimostrato le dimissioni prima ancora di assumere l’incarico del tanto anelato sindaco serbo di Mitrovica Nord, Krstimir Pantić, definite irrilevanti dal ministro serbo per Kosovo e Metohija, Aleksandar Vulin, ma che costringeranno ad un nuovo turno elettorale a Mitrovica e che ritarderanno la costituzione della Comunità dei comuni serbi del Kosovo prevista dall’accordo. E presto si porrà anche la questione della partecipazione al voto dei serbi del Kosovo  alle legislative serbe.

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