giovedì 31 maggio 2012

LA SERBIA DOPO LE ELEZIONI

Archiviata l'elezione del presidente e la vittoria (non sorprendente) di Tomislav Nikolic, la politica in Serbia è ora concentrata sulle trattative politiche per la formazione del nuovo governo e su scenari ancora irrisolti. Tutto si gioca sulla composizione della maggioranza che dovrà sostenere il futuro esecutivo e su chi sarà colui al quale il presidente affiderà il mandato di formare il governo.
Intanto non è passato inosservato che la prima visita di Nikolić all'estero (anche se formalmente non ancora nelle vesti di presidente) è stata quella del 26 maggio a Mosca. Su invito del partito di Vladimir Putin, Nikolić ha partecipato al congresso di Russia Unita incontrando lo stesso Putin per un lungo colloquio a margine dei lavori. E' stata l'occasione per ringraziare l'alleato russo per il sostegno alla Serbia sul piano internazionale, in particolare per quanto riguarda il sostegno a Belgrado sulla questione del Kosovo.
Di contro destano perplessità le prime dichiarazioni di Nikolic riguardo alla collaborazione con gli altri Paesi della regione e in particolare ai rapporti con la Croazia, riallacciati con grande sforzo e portati avanti dall'ex presidente Boris Tadić dopo l'elezione di Ivo Josipović alla presidenza croata: da diverse parti si temono scenari diversi e ci sono, purtroppo, buone ragioni per nutrire timori in queste senso.

Questi i temi della corrispondenza di Marina Szikora per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi a Radio Radicale. Qui di seguito il testo.

Foto AFP/Andrej Isakovic
Le trattative per la formazione del nuovo governo in Serbia
Domenica sera, dopo tre ore di riunione intensa del Partito Democratico, il presidente uscente Boris Tadić cambia opinione, o almeno rinuncia a quello che aveva dichiarato subito dopo la sconfitta presidenziale. A distanza di una settimana dal ballottaggio, Tadić accetta di essere il candidato a premier del suo partito a condizione, afferma, che siano accettati gli obiettivi e le modalita' del lavoro su cui si deve basare il futuro governo e ha annunciato che sulla maggioranza parlamentare prima terra' i colloqui con la coalizione Partito Socialista della Serbia – Partito dei Pensionati Uniti della Serbia e Serbia Unita.
Tadić ha sottolineato che non veniva considerata mai e non si considerera' una coalizione con il Partito Progressista Serbo. Ha rilevato inoltre che il futuro governo deve essere armato di obiettivi e valori nonche' di un piano che sia realistico e realizzabile. "Stiamo affrontando grandi difficolta', ma credo che stiano arrivando giorni migliori per la Serbia" ha detto Boris Tadić dopo la riunione dei vertici del Partito Democratico domenica sera. Alla domanda dei giornalisti perche' allora la sua dichiarazione nella notte del ballottaggio in cui ha affermato che non sara' premier, Tadić ha precisato che nella notte elettorale "aveva detto cio' che aveva pensato" e ha aggiunto che come candidato presidenziale non aveva un piano di riserva. Per quanto riguarda la coabitazione, essa e' una conseguenza negativa della democrazia. Non esiste nessun paese al mondo in cui la coabitazione e' stata utile, ma molti grandi paesi, per esempio la Francia, l'avevano affrontata nel passato. I cittadini hanno deciso cosi' – hanno dato la maggioranza all'attuale coalizione governativa e la fiducia al nuovo presidente della Repubblica. Cio' significa che la coabitazione e' molto probabile, anche se non e' buona, ha spiegato Tadić il cambiamento della sua decisione. Ha sottolineato che lui e il Partito Democratico non hanno mai fuggito dalla responsabilita' pero' ha annunciato che quando sara' formato il governo all'interno del suo partito si parlera' di responsabilita' e quelli che avevano svolto male il loro lavoro, dovranno subire delle conseguenze. Ci sara' una riorganizzazione del DS a tutti i livelli, ha detto Tadić.
La settimana scorsa, il neo presidente della Serbia Tomislav Nikolić ancora dichiarava che affidera' il mandato per la formazione del nuovo governo ad un esponente del Partito serbo del progresso, cioè del suo ex partito dal quale, come annunciato, si e' dimesso. "Se i progressisti non sapranno utilizzarlo, ha detto Nikolić, allora affidera' il mandato in mani peggiori". Ha ripetuto che le sue dimissioni dalla presidenza del Partito del progresso sono in linea con la sua promessa di essere presidente di tutti i cittadini della Serbia. Ha perfino pianto aggiungendo: "cosi' deve essere – il bambino cresciuto, e' diventato autonomo". Come detto, e come precedentemente annunciato da lui stesso, Nikolić si e' dimesso dall'incarico di presidente del Partito del progresso. Boris Tadić questo non lo aveva fatto mai. Al tempo stesso e' stato capo dello stato e presidente del Partito Democratico e praticamente aveva l'influenza decisiva sul governo in cui il suo partito aveva la maggioranza.
La decisione di Tadić ad accettare l'incarico di premier si associa alle speculazioni dei media e dello stesso lider socialista Ivica Dačić espresse in una intervista al giornale serbo 'Press' che "i paesi occidentali molto potenti attraverso i loro ambasciatori chiedono l'accordo sulla grande coalizione, tra Tadić e Nikolić". La replica arriva pero' dal capo della diplomazia austriaca e vicecancelliere, Michael Spindelleger il quale afferma che la Serbia non ha bisogno di consigli dall'estero sul come formare il governo. Il ministro degli esteri austriaco sottolinea che per quanto riguarda la posizione della Serbia nulla e' cambiato dopo le elezioni: si aspetta che Belgrado debba migliorare maggiormente le relazioni con Priština e continuare le riforme. Ha aggiunto che vorrebbe vedere un governo che sia deciso a procedere con le riforme, integrazioni europee e collaborazione regionale.

Il neo presidente prima di tutto va a Mosca, da Putin
"Le assicuro che la collaborazione tra Serbia e Russia proseguira' progressivamente. Le assicuro che la Serbia e' partner della Russia nei Balcani" ha detto Nikolić a Putin e ha aggiunto che "la Serbia e' sulla via verso l'Ue. E' una via lontana ed incerta. Costruiremo il paese secondo le regole che esistono nell'Ue" ha assicurato Nikolić ma ha aggiunto che "finora non ha sentito che ci siano condizioni a riconoscere il Kosovo". "Noi non possiamo riconoscere il Kosovo seppure dovremmo interrompere i negoziati" ha precisato il nuovo presidente serbo rilevando che la Serbia con la risoluzione del Parlamento e' obbligata alla neutralita' militare. "La Serbi non sara' nella NATO" ha precisato Nikolić aggiungendo che lo aveva detto apertamente ai cittadini della Serbia nella campagna elettorale e che in questo senso ha anche vinto. Al tempo stesso, il presidente ad interim del Partito Progressista Serbo, Aleksandar Vučić ha mandato gli auguri a Dimitrij Medvedev eletto presidente della Russia Unita. Da prima, i due partiti, quello serbo e quello russa hanno firmato l'accordo sulla collaborazione.
Secondo i media serbi, dopo l'inaugurazione, il neopresidente serbo Tomislav Nikolić si rechera' il prossimo 14 giugno a Bruxelles su invito di Miroslav Lajčak, capo della diplomazia slovacca e inviato di Catherine Ashton, alto rappresentante dell'Ue per la politica estera e di sicurezza. Commentando l'ordine delle sue visita all'estero, prima Mosca e poi Bruxelles, Lajčak ha detto che "Nikolić adesso e' nella situazione quando manda messaggi e crea l'impressione sui suoi impegni da presidente".
Dopo l'incontro con il capo della delegazione Ue in Serbia, Tomislav Nikolić ha assicurato che non ci saranno ostacoli alla costituzione del nuovo governo e che collaborera' con Boris Tadić. Il neoeletto presidente serbo ha discusso con Vincent Deger sulla situazione attuale in Serbia e la sua prossima visita a Bruxell prevista per il 14 giugno. A Bruxelles, Nikolić incontrera' il presidente del Consiglio dell'Ue Herman van Rompey e la capo della diplomazia Ue Cathrine Ashton.
Nikolić si e' appellato anche ai partiti ad accordarsi al piu' presto sulla formazione del governo poiche' il pase si trova in una situazione economica difficile. "Io non saro' un problema per la costituzione del governo" ha sottolineato Nikolić. Alla domanda dei giornalisti come sara' la sua collaborazione con Tadić nel caso diventasse il capo del futuro governo, Nikolić ha risposto che Tadić come premier ha il diritto di pensare al suo partito, il DS mentre lui in quanto presidente della Serbia non ha il diritto a pensare ai partiti come nemmeno chi e' il presidente del governo e a quale partito appartiene. Ha aggiunto che come capo dello stato non si opporra' al Partito Democratico: "E' difficile farlo, ma ne sono pienamente deciso" e ha assicurato che in Serbia "e' arrivata la nuova era".
Con Deguer, ha informato Nikolić, si e' parlato anche del rispetto dei diritti umani e di minoranze, della situazione al sud della Serbia, in Kosovo, dei negoziati sul tema nonche' delle condizioni che la Serbia deve adempiere per poter iniziare i negoziati sull'adesione all'Ue.
Sull'inevitabile questione relativa alle relazioni con Croazia e BiH, il neoeletto presidente ha detto che alcuni hanno tentato di compromettere i suoi rapporti con la Croazia, il che, ha precisato, e' impossibile. "Non ho la responsabilita' per quello che avevo detto 15-20 anni fa" ha detto Nikolić. "Se fosse cosi', allora nessuno potrebbe occuparsi di politica. Io rispondo di quello che ho iniziato a fare da quando sono stato eletto presidente" ha aggiunto informando anche che alla sua inaugurazione a Belgrado invitera' anche il presidente croato Ivo Jospović assicurando che "non fara' mai nulla che possa compromettere le relazioni tra i due stati ed i due popoli".

Da cetnico a moderato: ma il passato è davvero passato?
L'intervista di Tomislav Nikolić alla Frankfurter Allgemeine Zeitung poco prima delle elezioni presidenziali in Serbia, ha sollevato un discreto polverone. Il neo presidente serbo in questa intervista ha scoperto di non vergognarsi della sua appartenenza cetnica e del suo ruolo nelle guerre in ex Jugoslavia agli inizi degli anni novanta. Ha detto che sogna ancora la Grande Serbia ma che si e' conciliato con l'integralita' territoriale della Croazia e della BiH. "I miei sogni dai tempi della disgregazione della Jugoslavia su chi dovrebbe vivere in quale parte, purtroppo non si sono realizzati. Ed evidentemente non si realizzeranno" ha detto Nikolić alla Faz. Ha aggiunto che la Grande Serbia e' ancora il suo sogno ma un sogno che a causa delle relazioni internazionali attuali e il cammino della Serbia verso l'Ue non sara' realizzato. In quanto duca cetnico, ha ricordato Nikolić, aveva detto che deve essere sempre cetnico e che difendera' nuovamente la Serbia se verra' chiamato a farlo. Ha aggiunto di non vedere' perche' la sua storia politica dovrebbe rappresentare un ostacolo per le sue visite ufficiali in Croazia e BiH. Ma il sale sulla ferita croata e' stata l'osservazione di Nikolić che la citta' di Vukovar e' citta' serba e che quindi non ci sono ragioni per cui i croati dovrebbero ritornarci. E' chiaro che una tale dichiarazione, espressa nell'intervista ad un giornale prestigioso come la Faz, toccando la maggiore ferita ancora cosi' viva nella memoria sulla citta' martire e simbolo dell'aggressione serba Vukovar, ha destato forti critiche e scandalo nella vicina Croazia.
Commentando queste dichiarazioni, il capo dello stato croato Ivo Josipović ha ricordato che "Vukovar come ogni citta' croata, e' aperta alla vita di croati, serbi, ungheresi e tutti gli altri cittadini quale che sia la loro nazionalita'". Ha aggiunto pero' che "la dichiarazione di Nikolić non e' nello spirito della politica di riconciliazione e ci fa tornare alla politica degli anni novanta". La Croazia, ha rievocato Josipović, allora si e' opposta ad una tale politica e sapra' opporsi anche alle sue reminiscenze: "Se questa dichiarazione e' un ritorno alle idee degli anni novanta, tali idee non ci saranno. La Croazia continuera' a condurre una politica di uguaglianza nazionale e pacifica verso i vicini. La collaborazione con la Serbia la dovremo ancora sviluppare ma dalla politica di Nikolić dipende se la nostra mano verra' accettata. Spero che Nikolić redighera' le sue posizioni" ha detto il presidente croato Ivo Jospović.
Secondo le parole della ministro degli esteri croata Vesna Pusić, "bisogna appena vedere quali posizioni prendera' Nikolićš e il governo in Serbia" dipendentemente da questo, ha detto Vesna Pusić, l'influenza all'interno della Serbia si dividera' oppure si concentrera' da una parte. Va aggiunto anche che subito dopo le reazioni in Croazia, dal gabinetto di Nikolić e' stato difuso un comunicato in cui si smentisce che Nikolić avrebbe detto al giornale tedesco che Vukovar e' una citta' serba e che i croati non hanno nessuna ragione a tornarci.

PASSAGGIO IN ONDA

E' on-line la puntata di Passaggio a Sud Est trasmessa oggi da Radio Radicale.La trasmissione è riascoltabile nella sezione "In Onda" del blog oppure, insieme a quelle precedenti, sul sito di Radio Radicale.


mercoledì 30 maggio 2012

OMONIA: LA BOLGIA DI ATENE

"Se passate da Atene e se proprio volete osservare dalla migliore angolazione possibile lo sfacelo in cui s’è cacciata e hanno cacciato la Grecia, percorrete la via Athinas da piazza Monastiraki, fino a giungere a un’altra spianata: Omonia. Anche il quartiere che le si sviluppa intorno prende questo nome e fa peraltro da limite tra l’area turistica e il resto del centro della capitale".


Inizia così l'articolo di Matteo Tacconi per il quotidiano Europa che racconta Omonia il più malfamato quartiere della capitale greca, dove furti, rapine, prostituzione, traffico di droga e di migranti sono una realtà quotidiana che, unita alla grave crisi economica che travaglia il Paese, ha costretto molti operatori economici a chiudere i battenti.

Atene, Omonia (Foto Matteo Tacconi)

Leggi l'articolo di Matteo Tacconi sul suo blog Radio Europa Unita

martedì 29 maggio 2012

LA POVERA GRECIA DI ADRIANO SOFRI

"I medicanti che si vedono numerosi ad Atene sembrano più poveri di quelli di Budapest o di Sarajevo. Forse bevono meno, fumano meno, ma sono più poveri. Stanno sdraiati per terra e dormono, o fingono di dormire, magari con un bambino addosso, e con una mano morta che sporge tenendo il bicchiere di cartone per le monete, euro o frazioni, per ora".


Atene: un senzatetto dorme sotto la scritta ''Distruggiamo il presente"
(Foto Thanassis Stavrakis/AP)
Inizia così il reportage di Adriano Sofri pubblicato ieri da Repubblica che racconta la crisi in Grecia a poco meno di tre settimane dalle nuove elezioni del 17 giugno, indette suo malgrado dal presidente Karolos Papoulias visto il fallimento dei tentativi di formare un governo dopo le elezioni anticipate del 6 maggio.
La gente che chiede l'elemosina per le strade, mentre chi può ritira i propri risparmi dai conti correnti, sono l'immagine di una crisi di cui non si vede la via d'uscita.
Il debito pubblico stimato per quest'anno sarà pari al 160% del prodoto interno lordo. La disoccupazione è al 22%, ma tra i giovani arriva al 54%. Una eventuale uscita dalla moneta unica, secondo il Financial Times, costerebbe 500 miliardi di euro. Un'ipotesi che porterebbe al blocco dei fondi Ue e del piano di aiuti di Bce e Fmi e avrebbe conseguenze durissime per l'economia del Paese e contraccolpi violenti sul sitema globale.
L'affermazione di Syriza il 6 maggio è stato un effetto della bancarotta della vecchia politica. Gli osservatori per il 17 giugno prevedono però una vittoria dei partiti che hanno aderito al "memorandum" imposto dalla troika Ue/Bce/Fmi. Una vittoria dell'"usato insicuro" (Nea Demokratia e Pasok), nonostante il discredito in cui sono caduti i due partiti che hanno spartito il potere dalla caduta del regime dei collonnelli, o almeno una "non vittoria" di Syriza. La questione di chi vincerà le elezioni è cruciale, dato che per la legge greca, al primo partito spetta un premio di 50 seggi che potrebbero diventare essenziali per una maggioranza di governo.
Conclude Adriano Sofri: "Un comune cittadino greco oggi può pensare che la vittoria conservatrice darebbe alla troika mano libera. L'Europa potrebbe decidere di prestare o no, e quanto e fino a quando, e che ulteriore giro di vite imporre di volta in volta. La vittoria di Syriza porrebbe almeno il problema a un'Europa cambiata da Hollande, dalla Renania-Westfalia, magari anche dall'aspirazione (verbale) italiana a compensare l'austerità con la crescita ecc. Syriza è poco affidabile [..] Ma quale paese europeo oggi non è attraversato dall'ascesa di forze "inaffidabili"? Italia docet. L'"inaffidabilità" è largamente il risvolto delle decisioni tecnocratiche e burocratiche e sovranazionali, e l'usato sicuro, dove resiste, fa bene a farci i conti".

Il reportage di Adriano Sofri per Repubblica

domenica 27 maggio 2012

TURCHIA: L'ATTENZIONE AL CASO FAZIL SAY E' ATTENZIONE AI PROGRESSI SUI DIRITTI UMANI

L'attenzione al caso del pianista Fazil Say, che rischia la prigione per "ateismo", è attenzione ai progressi turchi verso i più alti standard internazionali per i diritti umani
Dichiarazione del Senatore Marco Perduca, co-vicepresidente del senato del Partito Radicale

"Secondo quanto raccolto da TMNews, un procuratore di Istanbul avrebbe chiesto un anno e mezzo di prigione per il compositore e pianista turco di fama internazionale, il 42enne Fazil Say, perche' accusato di "attentato ai valori religiosi" per dei messaggi ritenuti offensivi verso l'Islam su Twitter. Say sarebbe accusato di avere "offeso senza ragione i valori religiosi che sono sacri". La procura deve confermare le accuse mosse da utenti di twitter dove il pianista, che notoriamente e' vicino ad ambienti laici, avrebbe scritto messaggi canzonatori e colti nei confronti dell'Islam richiamando dei versi del grande poeta persiano dell'11esimo secolo, Omar Khayyam, che criticano l'islam.

Credo che tutti gli amici della Turchia e i sinceri alleati della sua battaglia per l'adesione all'Unione europea debbano vigilare da vicino anche questa vicenda, dopo quanto accaduta ad alcuni giornalisti in passato o continua ad accadere ad alcuni militanti nonviolenti kurdi, perche' anche da li' passa la possibilita' di portare a buon fine quanto la turchia ha con grande profitto avviato da anni pur nella grande indifferenza europea. Scriveremo all'Ambasciatore turco a Roma per esser informati nel dettaglio.


Il lancio dell'agenzia TMNews

Turchia/ Insulti all'islam, pianista Fazil Say rischia prigione
Si è dichiarato ateo su Twitter, pronto a emigrare in Giappone

Ankara, 26 mag. (TMNews) - Un procuratore di Istanbul ha chiesto un anno e mezzo di prigione per Fazil Say, compositore e pianista turco di fama internazionale, accusato di "attentato ai valori religiosi" per dei messaggi ritenuti offensivi verso l'Islam su Twitter.
Say, 42 anni, è accusato di avere "offeso senza ragione i valori religiosi che sono sacri", ha sottolineato la stampa turca. La procura di Istanbul deve ancora confermare l'atto d'accusa, redatto dopo la presentazione di denunce da parte di singoli individui che chiedono l'apertura di un processo nei prossimi giorni.
Il musicista, portavoce degli ambienti laici e pronto a emigrare in Giappone, si è attirato le ire dei conservatori negli ultimi tempi in Turchia per dei messaggi postati sul sito di microblogging. Sottolineando il suo ateismo, Say avrebbe preso in giro la chiamata alla preghiera del muezzin richiamando dei versi del grande poeta persiano dell'11esimo secolo, Omar Khayyam, che criticano l'islam. "Sono forse la prima persona al mondo a essere oggetto di un'inchiesta per avere dichiarato il mio ateismo - ha affermato in un'intervista a Hurriyet, aggiungendo - se vado in prigione la mia carriera è finita".
(fonte Afp)
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giovedì 24 maggio 2012

DA ULTRANAZIONALISTA A MODERATO: CHI E' IL NUOVO PRESIDENTE DELLA SERBIA?

di Marina Szikora [*]
E' la quarta volta che Tomislav Nikolić si candida alla carica di presidente della Serbia: la prima volta fu alle elezioni del 2003 che furono annullate per mancanza del quorum. Dopo la modifica della costituzione, si candidò a quelle del 2004, poi a quelle del 2008, entrambe perse a favore di Boris Tadic, e infine del 2012. La terza sfida contro Tadić al ballottaggio si e' dimostrata quella fortunata.
E' difficile descrivere Nikolić in poche parole, sottolinea un servizio della televisione e radio croata HTV. Nella sua carriera politica l'unica costante e' il cambiamento di posizioni e politiche. Fu il miglior allievo di Vojislav Šešelj, suo vice, duca cetnico ma alla fine lo abbandono'. Fu l'avversario feroce dell'Ue, ma oggi diventa suo sostenitore.

Sulla Croazia ha detto di tutto, dal sogno sulla Grande Serbia fino alla divisione, ricorda HTV. Oggi dice che i confini non sono cambiabili. Fu contrario all'estradizione dei fuggitivi dell'Aja e poi a favore della loro estradizione. Oltre a questo, sempre diretto, pronto a conflitti ed insulti. Come la dichiarazione piu' vergognosa resta in memoria quella del 2003 quando all'ex premier Zoran Đinđić, dopo l'intervento alla gamba, due settimane prima della sua uccisione Nikolić grido': "Se qualcuno di voi nei prossimi mesi vede Zoran Đinđić, ditegli che anche Tito prima di morire aveva problemi con la gamba", ricorda ancora HTV. Fu al potere per un breve periodo, alla fine degli anni novanta, in coalizione con Slobodan Milošević e cinque anni fa, fu presidente del Parlamento, ma soltanto per cinque giorni. Si vantava di essere stato volontario nella guerra contro la Croazia e da quel periodo lo accompagnano gravi accuse anche se niente e' stato chiarito.

Pronto a tutto, dallo sciopero della fame fino alle accuse di brogli elettorali, elenca ancora il sito croato le particolarita' sul neo presidente serbo. Infine, e' giunto il culmine della sua carriera. Molti analisti in Serbia si aspettano che si comportera' similmente all'ex premier croato Ivo Sanader dopo la sua vittoria nel 2003 dal quale si e' anche appropriato dello slogan elettorale: "Muoviamo la Serbia", vale a dire che dopo le elezioni abbandonera' il nazionalismo e con tutte le forze iniziera' ad adempiere le condizioni europee.

All'indomani del secondo turno presidenziale in Serbia i media tedesci sottolineano che il neoeletto presidente Tomislav Nikolić e' "nazionalista", "figura controversa" e fino a qualche anno fa stretto collaboratore e seguace del imputato di crimini di guerra dell'Aja Vojislav Šešelj. La maggior parte dei giornali tedeschi avverte che con Nikolić alla guida della Serbia e' messo a repentaglio l'orientamento proeuropeo della Serbia. "Negli ultimi quattro anni Nikolić recita di essere convinto sostenitore dell'ingresso della Serbia nell'Ue e non vuole che nessuno ricordi le sue precedenti dichiarazioni. Si pone la questione quanto questo miracoloso cambiamento sia veritiero" scive Neue Zuricher Zeitung, il giornale tedesco della Svizzera. Il Zeddeutsche di Monaco di Baviera afferma che "la vittoria di Nikolić e' un colpo agli sforzi della Serbia di avvicinarsi all'Ue.

Tutti i media montenegrini, informa il quotidiano serbo 'Blic', mettono in primo piano la dichiarazione di Nikolić che lavorera' sul miglioramento delle relazioni tra Podgorica e Belgrado. Il quotidiano montenegrino "Dan" valuta che la vittoria di Nikolić rappresenta una svolta per la Serbia.

I media austriaci sono dell'opinione che la Serbia domenca scorsa ha vissuto un terremoto politico rilevando che il lider del Partito Progressista Serbo Tomislav Nikolić ha vinto del tutto inaspettatamente. Kroene Zeitung scrive che adesso "le carte nella politica della Serbia si rimescoleranno nuovamente". Questo quotidiano austriaco afferma che la bassa affluenza alle urne e' stata conveniente per la vittoria di Nikolić e conclude che il successo di Nikolić e' ancora piu' importante quando si ha presente che i media negli Stati Uniti e nell'Ue nonche' in Serbia avevano sostenuto fortemente Tadić. Secondo la stampa viennese, Nikolić si e' trasformato da un estremista verso un europeo e democratico ma si ricorda anche che Nikolić e' stato un acceso ammiratore di Vojislav Šešelj e che come volonario trascorse quattro mesi nella guerra contro la Croazia.

Secondo la Reuters, Nikolić fu "alleato ultranazionalista" di Slobodan Milošević ai tempi dei bombardamenti della Nato contro la Serbia nel 1999 ma dopo le elezioni perse nel 2008 tento' di mostrarsi come un conservatore proeuropeo.

Anche al centro dei media della BiH la vittoria presidenziale di Nikolić: 'Dnevni avaz' mette in primo piano le dichiarazioni del vincitore che la Serbia non abbandonera' la via europea. Accanto alle prime notizie mancano pero' commenti che cosa significa la vittoria di Nikolić per i futuri rapporti tra Serbia e BiH.

Nazionalista, già amministratore di un cimitero, Tomislav Nikolić e' stato eletto presidente della Serbia e la sua vittoria sorprendente potrebbe mettere in questione il cammino del paese verso l'Ue, scrive il 'New York Times' nella sua edizione di lunedi'. Il giornale indica che Nikolić potrebbe voltare maggiormente la Serbia verso la Russia. Cita le valutazioni degli analisti secondo i quali Nikolić avrebbe conquistato la gente che affronta difficolta' a causa della caduta del tenore di vita nei tempi in cui l'Ue ha perso la sua attrazione. Il giornale ritiene che al presidente uscente Boris Tadić e' capitata la stessa sorte dei politici in Grecia ed in Francia, puniti dagli elettori delusi. Nikolić dovra' adottare misure severe contro il deficiti e convincere il FMI a scongelare il credito alla Serbia, conclude NYT.

Belgrado, 20 maggio 2012: festeggiamenti per la vittoria di Tomislav Nikolic a Terazije, sotto la sede del Partito democratico di Boris Tadic, e a Trg Republike

Il video sarà disponibile in un secondo momento


[*] Corrispondente di Radio Radicale. Il testo è tratto dalla puntata di Passaggio a Sud Est del 24 maggio 2012

PRESIDENZIALI IN SERBIA: PER NIKOLIĆ E' BUONA LA TERZA

Di Marina Szikora [*]
Il rivale ormai da sempre di Boris Tadić questa volta ce l'ha fatta: Tomislav Nikolić e' il nuovo Presidente della Serbia. Forse a sorpresa di molti ma secondo la mia opinione, si sentiva nell'aria da tempo e mi ricordo il mio ultimo viaggio a Belgrado, lo scorso dicembre: rispecchia l'umore dei cittadini stanchi dalla crollante situazione economica, ne accusavano il Partito Democratico e Tadić come i massimi responsabili e promettevano il voto a Nikolić. Un voto 'contro' per punizione.

"Un presidente dei cittadini, non di un partito politico"
Da subito, Tomislav Nikolić ha riconfermato che dal momento della vittoria non sara' piu' il presidente del Partito Progressista Serbo che lo scorso 6 maggio alle elezioni parlamentari ha ottenuto il maggior numero di voti. Nel suo primo rivolgersi dopo la proclamazione della vittoria, Nikolić ha detto che "esiste la giustizia di Dio": "Stasera, grazie ai cittadini della Serbia ho vinto alle elezioni presidenziali. Voglio ringraziare i cittadini che hanno votato per me e per il mio sfidante. Oggi le elezioni sono state magnifiche, serbe, cosi' come si deve. La Serbia non abbandonera' la via europea, ma non dimentichera' nemmeno il suo popolo in Kosovo" ha assicurato il nuovo presidente Tomislav Nikolić. Ha aggiunto che queste elezioni non sono state un referendum pro o contro l'Ue bensi' elezioni che hanno risolto i problemi interni creati da Tadić e il Partito Democratico. "Dobbiamo iniziare a lavorare, a liberarci dal criminale, liberarci dagli oligarchi di partito, cerchiamo amici in tutti il mondo. Dobbiamo liberarci dalla peste bianca" ha rilevato Nikolić aggiungendo che questo e' il massimo della sua cariera politca e la piu' felice giornata della sua vita, se esclusi i momenti di felicita' familiare. Il vincitore ha detto di voler convincere tutti che la Serbia puo' essere uno stato moderno e normale. Ha detto di non essere arrabbiato con nessuno e che collaborera' con tutti. L'annuncio anche che la vicepresidente del suo partito, Jorgovanka Tabaković sara' molto probabilmente il futuro premier della Serbia.

L'attenzione è ora sul futuro della Serbia
Nulla puo' nascondere l'immagine nazionalista di Nikolić, non e' da dimenticare che il lider progressista serbo porta il titolo di 'duca cetnico' e difficilmente si dimenticano i suoi accesi interventi a pari passo con l'ultra nazionalista radicale ed imputato dell'Aja Vojislav Šešelj, di cui Nikolić e' stato il vice e con il quale aveva incamminato la parte estremista della Serbia che aveva sofferto l'assassinio del piu' grande riformista ed europeista serbo, l'ex premier Zoran Đinđić. Quaranta minuti dopo il suo primo intervento, Nikolić e' nuovamente uscito davanti ai giornalisti informando di aver parlato telefonicamente con Boris Tadić il quale gli ha fatto gli auguri per la vittoria. Ha aggiunto di aver sentito anche Ivica Dačić e che il loro colloquio e' stato un colloquio di cordialita'.
"Ci devono essere avversari politici, ma mai piu' nemici" ha detto Nikolić promettendo che non calpestera' mai la Costituzione della Serbia e ha annunciato che la sua prima visita all'estero in veste di Presidente della Serbia sara' quella a Mosca. "Ho accettato l'invito della Russia Unita ad intervenrie il prossimo 25 maggio a Mosca... E' stato prima delle elezioni... ci andrei volentieri, la nostra collaborazione puo' aiutare molto la Serbia" ha spiegato il neo presidente serbo la sua intenzione di recarsi in Russia scoprendo cosi' che non dimentichera' l'alleato russo ma ha indicato anche che chiedera' un incontro con la cancelliera Merkel, poiche' la Germania, ha rilevato Nikolić, e' il principale alleato della Serbia nell'Ue.

Le future relazioni con gli altri paesi della regione
Il predecessore di Nikolic, Boris Tadić, ha contribuito notevolmente, insieme al presidente croato Ivo Josipović alla riconciliazione e ai buoni rapporti tra Serbia e Croazia, ma anche in tutta la regione. Nelle sue prime risposte ai giornalisti dopo la proclamazione della vittoria, Nikolić ha detto che avra' buoni rapporti con tutti i paesi della regione, in Bosnia con Milorad Dodik, in Montenegro perche', come ha detto, le relazioni tra Montenegro e Serbia sono peggiori rispetto a quelle con la Croazia il che non e' naturale. "Avro' molto lavoro da fare prima di arrivare a Zagabria, ma ci andro'" ha detto Nikolić ai giornalisti croati aggiungendo che non recitera' di essere fratello con i croati ma Serbia e Croazia devono essere in pace permanente. Che la Croazia dimostri ad aver meritato lo status di candidato dell'Ue, che tutti i cittadini sono uguali e avra' in me un collaboratore, ha precisato Nikolić. Il neoeletto presidente ha affermato inoltre di non avere "inclinazioni genetiche per odiare la Croazia e che mai ne' lui ne' la sua famiglia hanno vissuto qualcosa di male da parte della Croazia". Ha avvertito pero' che la Croazia deve risolvere la questione dei profughi serbi, del loro patrimonio e della loro sicurezza.
Tra le prime congratulazioni dall'estero, non a caso, sono state quelle del capo dello stato croato Ivo Josipović. Nel suo augurio al nuovo presidente serbo, Josipović ha espresso speranza nella continuazione della collaborazione intensa tra i due paesi a favore della stabilita', sicurezza e pace nella regione e nell'intero continente europeo. Nel comunicato rilasciato dal suo Ufficio si rileva che la Croazia resta impegnata a sollecitare le relazioni di buon vicinato con la Serbia, incluso anche il pieno sostegno alle integrazioni euroatlantiche della Serbia. Il presidente croato, prosegue il comunicato, ha parlato telefonicamente anche con l'ex presidente serbo Boris Tadić e gli ha ringraziato per tutto quello che ha fatto a fin del miglioramento delle relazioni tra Croazia e Serbia nonche' per il suo contributo a stabilire collaborazione e pace duratura nella regione.
"Credo che avremo rapporti di qualita'. Questa e' l'unica opzione politica che visto formalmente e stratificamente in Europa per noi e' un po' lontana, ma si tratta di vicini" ha detto il premier croato Zoran Milanović a Chicago dove partecipa al vertice della Nato. Il premier croato ha aggiunto che anche in Ungheria vi e' la destra al potere ma che la Croazia con l'Ungheria ha buoni rapporti. Ha rilevato che secondo le regole costituzionali-giuridiche, in Serbia la massima responsabilita' per condurre la politica interna ed estera appartiene al governo e quindi bisogna aspettare "l'epilogo".

Ora la formazione del nuovo governo: bis democratici-socialisti o nuove alleanze?
Non necessariamente il rappresentante del partito che ha ottenuto la maggioranza relativa deve ottenere l'incarico di formare il nuovo governo, ma chi sarà in grado di trovare una maggioranza in parlamento. Di certo ci vorra' del tempo e staremo a vedere quanto tutte le analisi e previsioni di queste ore incideranno sul futuro della Serbia.

[*] Corrispondente di Radio Radicale. Il testo è tratto dalla corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi a Radio Radicale.

lunedì 21 maggio 2012

SERBIA: LE ELEZIONI PRESIDENZIALI DEL 20 MAGGIO E LA MISSIONE OSCE

Intervista a Matteo Mecacci

Il deputato radicale italiano Matteo Mecacci ha coordinato la missione di breve periodo dell'Osce (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) che ha monitorato le elezioni serbe del 6 e del 20 maggio 2012. L'importante tornata elettorale che ha coinvolto la Serbia (con il rinnovo del Parlamento, delle amministrazioni locali e l'elezione del presidente della repubblica) è stata promossa dall'Osce, che ha anche gestito direttamente le operazioni di voto in Kosovo per i cittadini con doppia cittadinanza.
"La giornata delle elezioni si è svolta correttamente sotto tutti i punti di vista: dalle operazioni di voto, a quelle di conteggio", ha detto Mecacci nella conferenza stampa tenutasi al Media Centar di Belgrado lunedì 21 maggio. La campagna elettorale "si è svolta in un contesto regolare e fortemente competitivo", si legge nello statement dell'Osce in cui si sottolinea come i due candidati alla presidenza serba "hanno avuto pari opportunità di condurre una campagna elettorale, durante la quale è stata offerta agli elettori la scelta tra due diverse opzioni politiche".
Anche per il ballottaggio presidenziale una criticità viene però individuata, come era già accaduto il 6 maggio, nel sistema dei media, i quali, si legge ancora nello statement dell'Osce, "hanno garantito la copertura di dichiarazioni e opinioni, ma senza fornire una lettura critica ed un punto di vista sufficientemente analitico".

Qui di seguito l'intervista a Matteo Mecacci che ho realizzato lunedì 21 maggio a Belgrado per Radio Radicale subito dopo la conferenza stampa tenutasi al Medija Centar in cui è stato presentato il rapporto dell'Osce. La sintesi delle conclusioni dell'Osce e un commento sull'esito del ballottaggio per le presidenziali che ha visto la vittoria del leader conservatore Tomislav Nikolic.



OSCE: Serbian presidential election open and highly competitive, institutions need to be more responsive

OSCE: Statement of Preliminary Findings and Conclusions

OSCE welcomes peaceful voting in Kosovo for Serbian election


ELEZIONI IN SERBIA: UN PRIMO COMMENTO

Un primo sommario commento del giorno dopo.
In Serbia tira un po' la stessa aria che c'è qui da noi in Italia. Con la sua sconfitta Boris Tadic ha pagato la crisi e la situazione generale peggiorata. Non è tutta colpa sua ma chi è al governo è ritenuto il responsabile. Parlando con i taxisti e con altri ho avuto l'impressione che molti abbiano votato più contro Tadic che per Nikolic. Molti altri non sono proprio andati a votare per lo stesso motivo. Di sicuro il risultato del voto del 20 maggio è stata una sorpresa solo per chi non conosce la situazione in Serba e la sua realtà politica e sociale.
Domenica era una bellissima giornata di sole. A Belgrado l'atmosfera era molto rilassata e, come ha certificato la missione Osce, le operazioni di voto si sono svolta in maniera tranquilla e regolare in tutto il Paese, compresi i comuni a maggioranza serba del Kosovo.
Domenica sera sotto il cavallo di Trg Republike (il monumento al principe Mihailo Obrenovic, tradizionale luogo di ritrovo per le manifestazioni politiche) non c'era molta gente a festeggiare la vittoria di Toma Nikolic (a occhio direi che ce n'erano di più nel 2008 per Tadic). Inni alla Serbia, le tradizionali tre dita alzate, insieme a sfottò pesanti contro Tadic sotto gli uffici del Partito democratico che si trovano a a Terazije, vicinissima a piazza della Repubblica.
Come mi è stato spiegato da alcuni esperti e come ho spiegato nelle mie corrispondenze per Radio Radicale, paradossalmente il socialdemocratico Tadic ha finito per rappresentare la stagnazione e il conservatore Nikolic il cambiamento (o meglio "un" cambiamento).
Non credo che ci saranno sconvolgimenti nella direzione politica serba, né per quanto riguarda la politica interna, né per i rapporti internazionali. Anche Nikolic è ormai favorevole all'adesione all'UE e sa benissimo che bloccare il processo di integrazione sarebbe un disastro politico ed economico (la Serbia ha grande bisogno di investimenti esteri e degli aiuti e delle facilitazioni comunitarie). Qualche problema potrebbe nascere se si formasse un governo con la partecipazione dell'ex-premier Vojislav Kostunica, che qualche giorno prima del voto ha dato il suo appoggio a Nikolic, un sostegno un po' imbarazzante per il neo presidente Nikolic perché Kostunica è decisamente contro l'integrazione europea.
Nei prossimi mesi secondo me ci sarà da attendersi un qualche irrigidimento nei colloqui tecnici tra Belgrado e Pristina sul Kosovo, ma anche in questo caso la Serbia non potrà credo tirare troppo la corda rischiando di non ottenere la data di apertura dei negoziati entro fine anno.
Non bisogna comunque dimenticare che in realtà il presidente della repubblica non ha grandi poteri e che Tadic in questi anni ha un po' forzato il suo ruolo.
Tutte le forze politiche aspettavano l'elezione del presidente prima di dare il via alle trattative per la formazione del nuovo governo. Per capire che tipo di maggioranza ne uscirà bisogna vedere cosa farà il leader del partito socialista Ivica Dacic: se manterrà l'alleanza con Tadic, confermata prima del ballottaggio e per il momento ribadita anche domenica sera, o se farà il salto della quaglia e passerà con Nikolic.
In base al risultato delle elezioni parlamentari del 6 maggio ci sono i numeri per un governo diciamo così “social-liberal-europeista” con democratici e socialisti più i liberalsocialisti di Jovanovic e/o i deputati delle regioni unite di Serbia del liberale Mladjan Dinkic. Oppure potrebbe nascere un governo con il Partito del progresso di Nikolic, i socialisti di Dacic e i democratici serbi di Kostunica con però i problemi che dicevo.
Domenica sera non si capiva bene se Tadic fosse disposto ad accettare o meno una "cohabitation": nella sua prima dichiarazione dopo la sconfitta ha detto che non sa ancora cosa farà e che non è interessato necessariamente al premierato, ma non l'ha nemmeno escluso a priori. Anche Dacic, da parte sua, ha detto che il premierato per il premierato non gli interessa. Tra i due per questa carica spunta il nome dell'attuale sindaco di Belgrado, Dragan Djilas, astro nascente del Partito democratico di Tadic, nonostante abbia dichiarato in prima battuta di non avere interesse per la carica di capo del governo.
Siamo evidentemente alle prime battute e tutti vogliono tenersi le mani libere e dovremo aspettare i prossimi giorni per capire che cosa succederà. [RS]

La corrispondenza per il notiziario del mattino di Radio Radicale del 21 maggio

domenica 20 maggio 2012

ELEZIONI IN SERBIA: CHIUSE LE URNE. TADIC O NIKOLIC?

20 maggio 2012: un seggio di Belgrado
(Foto R.Spagnoli)
Si sono da poco chiuse le operazioni di voto per il ballottaggio delle presidenziali in Serbia.
Tra poco sapremo se il responso delle urne confermerà le previsioni della vigilia e darà al presidente uscente Boris Tadic, leader del Partito democratico, il terzo mandato oppure se avrà vinto il conservatore Tomislav Nikolic, leader del Partito serbo del progresso che per la quarta volta corre per la presidenza della repubblica (la terza contro Tadic).
In attesa del risultato, si può però già dare un giudizio positivo sullo svolgimento di questo turno elettorale che, come già quello del 6 maggio, si è tenuto in un clima tranquillo e senza irregolarità degne di nota, anche nei comuni a maggioranza serba del Kosovo.

Il deputato radicale Matteo Mecacci, coordinatore della missione di osservazione di breve termine dell'Osce, traccia un primo bilancio delle operazioni di voto ai microfoni di Radio Radicale.

venerdì 18 maggio 2012

LO SCARSO INTERESSE DEI MEDIA ITALIANI PER LE ELEZIONI IN SERBIA

La Fiat di Kragujevac (Reuters)
L'informazione italiana dovrebbe essere più attenta a quanto accade al di là dell'Adriatico e dovrebbe seguire con maggiore attenzione questa importante tornata elettorale in Serbia. La Serbia, infatti, ci riguarda da vicino, per ragioni geografiche, legami storici ma in particolare per gli interessi economici che le imprese italiane hanno in Serbia e più in generale nell'Europa centrale e sud orientale.
Sono molte le imprese italiane che negli ultimi anni hanno investito nel mercato serbo. Basso costo del lavoro, condizioni fiscali favorevoli, disponibilità degli amministratori politici locali creano un terreno molto favorevole. C'e la Fiat, che di recente ha aperto lo stabilimento di Kragujevac per produrre la “500” dove una volta c'era la Zastava, creando un indotto che ha portato in quell'area altre aziende italiane legate al ciclo produttivo dell'auto. Ci sono Unicredit e Intesa San Paolo che da sole detengono il 25% del settore del credito in Serbia e sono le due principali banche commerciali del Paese (agevolando di conseguenza le imprese italiane). Ma c'è prima di tutto una realtà di centinaia di imprese attive soprattutto nel tessile oltre che nei settori dell'energia e delle infrastrutture.
La massiccia disoccupazione induce il governo centrale e le amministrazioni locali a favorire gli investitori stranieri. Grazie anche ad un sistema fiscale tra i più competitivi sia in termini di tassazione che di esenzioni. Senza contare che la Serbia, al centro di un'area di libero scambio che riguarda diverse decine di milioni di persone, si trova ad essere una vera e propria piattaforma di lancio verso altri mercati, mentre le merci serbe, grazie agli accordi con l'Ue, possono arrivare più facilmente anche negli Usa.
Certo non è tutto oro quello che luccica, I problemi sono tanti. Gli imprenditori non fanno beneficenza, tanto meno quando si tratta di colosso industriali o finanziari. L'arrivo di capitali esteri non risolve di colpo i problemi, a volte ne creano di nuovi, come dimostra proprio l'esempio dell'arrivo della Fiat a Kragujevac. Ma anche questo dovrebbe essere un motivo in più per guardare con attenzione alla Serbia, così come più in generale a tutta l'area balcanica. [RS]

La corrispondenza del 18 maggio per il notiziario del pomeriggio di Radio Radicale


SERBIA: CHIUSA LA CAMPAGNA ELETTORALE, LA PAROLA AGLI ELETTORI

Domenica prossima si vota in Serbia per il secondo turno delle elezioni presidenziali. Al ballottaggio, dopo il primo voto del 6 maggio, i due eterni sfidanti: Boris Tadic, presidente uscente, leader del Partito democratico, socialdemocratico ed europeista, e Tomislav Nikolic, già esponente di spicco del Partito radicale serbo, la formazione ultranazionalista il cui capo, Vojislav Seselj è sotto processo all'Aja per crimini di guerra, passato su posizioni conservatrici più moderate e filo europeiste con il suo Partito serbo del progresso, partito di maggioranza relativa dopo le elezioni parlamentari del 6 maggio. Tadic e Nikolic sono praticamente alla pari. Tadic, in leggerissimo vantaggio dopo il primo turno, è dato come favorito nei sondaggi. L'esito del voto di domenica non è però affatto scontato. Tadic potrebbe infatti pagare il conto per il malcontento popolare provocato dalla crisi economica, le difficoltà delle famiglie, la corruzione molto diffusa ed una situazione generale che la gente avverte come peggiorata rispetto a qualche anno fa. Proprio questi sono stati i temi di una campagna elettorale molto combattuta. Tadic chiede il voto per proseguire il cammino verso l'Europa e la piena integrazione internazionale. Nikolic, da parte sua attacca l'avversario sulle cose non fatte, le promesse mancate. E ha anche accusato Tadic di brogli elettorali.

La corrispondenza per il notiziario del mattino di Radio Radicale del 18 maggio



Sulla carta, come dicevo, il vincitore dovrebbe essere Tadic, ma quattro anni fa Nikolic, dato per favorito nei sondaggi e in testa dopo il primo turno, fu poi battuto sul filo di lana al ballottaggio da Tadic. Il faccia a faccia dell'altro ieri in tv è stato molto serrato. Tadic è apparso assai sicuro di sé, mentre Nikolic ha assunto un tono polemico nei confronti del rivale. Tadic ha insistito che non su fermi il cammino intrapreso dalla Serbia, che queste elezioni saranno un referendum sul futuro e che la vittoria di Nikolic potrebbe fermare il processo di integrazione europea. La prospettiva di integrazione, dopo la candidatura ufficiale all'adesione all'Ue, attirerà nel Paese investimenti esteri e nuove relazioni economiche e politiche.
Nikolic sfida tadic per la terza volta, dopo le elezioni del 2004 e del 2008. ha un passato politico ingombrante, nel regime di Milosevic e come esponente di primo piano del Partito radicale serbo. Dopo la sconfitta del 2008 ha lasciato il Srs e ha dato vita al Partito serbo del progresso spostandosi su posizioni conservatrici più moderate, favorevoli all'integrazione europea purché non comporti necessariamente la rinuncia definitiva al Kosovo.

Ieri sera si è chiusa la campagna elettorale. Tadic ha riunito i suoi supporter alla Beogradska Arena, il grande palazzo dello sport di Novi Beograd che ospita anche importanti concerti. Con lui si sono schierati alcuni dei maggiori leader della famiglia socialista europea, compreso il neo presidente francese Francois Hollande. “Il voto del 20 maggio sarà un referendum su dove andrà la Serbia, se continuerà il cammino verso l'Ue e se perderà la strada”. Nikolic, invece, si è rivolto agli elettori con appello televisivo in cui ha chiesto ai cittadini serbi di non astenersi e punire Tadic per le tante promesse non mantenute. L'Italia farebbe bene a seguire da vicino e con attenzione queste elezioni, più di quanto abbia fatto il 6 maggio, non solo per vicinanza geografica e storica, ma per l'importanza economica che la Serbia ha per il nostro Paese. Sono tante infatti le imprese italiane che operano in Serbia: non ci sono solo grandi gruppi come Fiat, Unicredit o Intesa San Paolo, ma centinaia di piccole e medie imprese che da anni operano nel paese creando un interscambio di grande importanza.

Le elezioni del 20 maggio, come quelle del 6, sono monitorate da una missione internazionale di osservazione dell'Organizazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, coordinata da Matteo Mecacci, deputato radicale eletto nel Pd, presidente del Comitato Democrazia e Diritti umani dell'Assemblea parlamentare dell'Osce. [RS]

giovedì 17 maggio 2012

SERBIA: CONTINUA UNA DURA CAMPAGNA ELETTORALE IN VISTA DEL BALLOTTAGGIO

Dopo il voto in Serbia di domenica 6 maggio, tutto e' concentrato sulla composizione del futuro governo, ma ancora prima su quello che i cittadini della Serbia decideranno domenica prossima al secondo turno delle elezioni presidenziali al quale si sfideranno ancora una volta il presidente uscente Boris Tadić, leader del Partito democratico, e il suo avversario politico di sempre, Tomislav Nikolić, ex numero due del Partito radicale serbo di Vojislav Seselj, e da qualche hanno approdato a posizioni conservatrici più moderate con il suo Partito serbo del progresso.
Qui di seguito la corrispondenza di Marina Szikora per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi a Radio Radicale.


Nei giorni precedenti un po' al centro dell'attenzione, secondo gli attuali sondaggi, si e' posizionato Tomislav Nikolić, leader del Partito serbo del progresso, quello che contrariamente alle previsioni di mesi e settimane fa potrebbe essere l'ennesimo perdente alla sfida presidenziale. E' iniziato con le sue denunce di brogli elettorali fino alle dichiarazioni del suo possibile ritiro dal secondo turno con la spiegazione di non voler continuare a partecipare nella corsa elettorale manipolata. Ma infine, durante la sua visita alla citta' di Kikinda lo scorso fine settimana, il candidato presidenziale Tomislav Nikolić ha detto ai gironalisti che lanciera' un appello anche ai candidati della sua coalizione a partecipare anch'essi al secondo turno delle elezioni regionali e che ha deciso di continuare a lottare. "Essi (il potere) proclamerebbero comunque la vittoria, partecipassimo noi o no. Tutto il resto servirebbe soltanto a destabilizzare la Serbia in questo periodo piu' difficile" ha detto Nikolić aggiungendo che la lotta dei progressisti per stabilire "i risultati legali" delle elezioni non cessera' e che loro utilizzeranno tutte le possibilita' legali in questa lotta. Nikolić ha raccomandato all'altro cadidato presidenziale della coalizione "La scelta per una vita migliore" Boris Tadić e al Partito Democratico che il voto del 20 maggio "deve essere democratico, giusto e onesto". Il leader progressista ha detto altrettanto che questo e' un caso singolare perche' il partito che ha vinto alle elezioni chiede il loro anullamento e ha sottolineato che la sua coalizione 'Muoviamo la Serbia' ha vinto con una differenza molto piu' grande rispetto ai risultati ufficiali. "Anche se mi capitasse di vincere, con chi collaborerei? Con un governo formato in base a voti rubati?" si e' chiesto Nikolić tentando gia' cosi' a giustificare la possibile sconfitte al ballottaggio. Ha ripetuto di non riconoscere i risultati elettroali del 6 maggio poiche', come ha detto, sono state molto probabilmente le prime elezioni in cui ci sono le prove su presunti brogli elettorali e ha annunciato manifestazioni di protesta finche' non sara' risolto il problema dei voti rubati: "Questa e' stata una grande e preparata rapina che si pensa potra' essere accettata" ha commentato Nikolić.

Dopo il voto di domenica scorsa Nikolić ha accusato il Partito Democratico e il suo leader Boris Tadić di aver manipolato con i materiali elettorali in diversi luoghi della Serbia e che avevano abusato del diritto elettorale dei cittadini. "Tadić ha rubato alla Serbia il diritto al voto e adesso cerca di rubare l'intero paese per trasformarlo in proprieta' privata del Partito Democratico" ha denunciato Nikolić. Le annunciate protesta dei progressisti sono iniziate con le guide di protesta in tutta la Serbia domenica scorsa. Si sono svolte a Šabac, Kruševac, Novi Sad, Jagodina, Ćuprija, Čačak, Paraćin e Niš. I rappresentanti del Partito Progressista Serbo hanno spiegato che le guida di protesta sono una specie di rivolta dei cittadini e parlano a nome della richiesta dei progressisti di indagare sul materiale elettorale che si dice essere stato manipolato nel senso che sarebbero state inserite schede false da parte del Partito Democratico.

Boris Tadić reagisce a queste accuse e afferma che l'idea principale delle protesta a causa di presunti voti rubati e' quella di mettere a repentaglio la legittimita' delle elezioni e di umiliare la Serbia davanti alla comunita' internazionale. Secondo il lider del Partito Democratico, l'attuale atmosfera in Serbia non contribuisce al suo sviluppo bansi' minaccia il suo futuro. "Se noi in Serbia mandiamo l'immagine di un paese non ordinato, in cui le istituzioni non risolvono i problemi e torniamo all'atmosfera in cui tutto si risolve con le violenze, questo e' molto male. Nessuno degli investitori verra' in un tale paese come nessuno ama entrare in una casa in cui ci sono litigi" ha avvertito Tadić e ha aggiunto che questo comportamento e' irresponsabile e non civile perche' tutti quelli che sono insoddisfatti dei risultati elettorali possono proclamarli falsi e rubati. Tadić si e' appellato alla pace e consistenza e ha ricordato che ci sono gli osservatori internazionali. Le istituzioni competenti, ha assicurato Tadić, stanno analizzando se ci sono state irregolarita' e tutti i partiti hanno i loro rappresentanti che sono ugualmente rappresentati nelle commissioni.

Lunedi' il Partito Democratico rilascia una dichiarazione in cui si dice che per Tomislav Nikolić non contano piu' ne' le istituzioni, ne' la procura, ne' elezioni libere, bensi' soltanto il bastone e le violenze con cui pensa di poter vincere poiche' i cittadini non vogliono votarlo. Siccome la procura aveva dichiarato che il materiale elettorale e' stato rubato solo dopo il conteggio dei voti e che non ci sono stati brogli elettorali, il lider del Partito Progressista Serbo ha accusato la procura di essere "una mano allungata del DS" e si e' detto pronto a picchiarsi personalmente ai colleggi elettorali se i voti continueranno ad essere rubati. A tal proposito e' seguito appunto il comunicato del partito governativo in cui si afferma anche che non si tratta di nessun broglio elettorale bensi' di una sconfitta che Nikolić tenta di trasformare in falsita' e violenze non credendo nell'ordine democratico bensi' nel caos. Il massimo delle accuse giunge al punto di dire che quelli che avevano annunciato la morte dell'ex premier Zoran Đinđić, oggi parlano che legheranno i funzionari del Partito Democratico e che picchieranno loro per strada. Infine, il DS dichiara: "Si e' avverato quello di cui abbiamo avvertito da tempo: la politica di Tomislav Nikolić e' imprevedibile e la sua scelta rappresenta un pericolo per la stabilita' e pace in Serbia".

Nell'attesa di quello che si profilera' ad essere il futuro potere serbo, non mancano commenti sul ruolo del vincitore effettivo delle elezioni parlamentari, il socialista Ivica Dačić. Tra questi, un'analisi del quotidiano croato 'Jutarnji list' in cui possiamo trovare una oppinione sul perche' del successo del 'piccolo Sloba' come spesso viene nominato il successore di Slobodan Milošević. Trattasi di una campagna elettorale condotta con estrema efficacia. "Un esempio scolastico di buona campagna" ha commentato il capo redattore del quotidiano di Belgrado 'Danas' Zoran Panović. L'ex portavoce di Milošević, Ivica Dačić, nei suoi interventi e negli spot elettorali ha combinato con successo l'immagine di Josip Broz Tito con Slobodan Milošević, elevando il culto della mano forte, ordine e orgoglio nazionale. Ha composto la campagna mettendo insieme elementi che pochi avrebbero osato fare: un po' di giustizia sociale e dignita' di lavoratori, un po' di orgoglio nazionale e minacce di forza dei nemici, laddove essi siano, scrive il quotidiano croato. Nell'umore trionfante postelettorale, aggiunge 'Jutarnji list', Ivica Dačić (46) ha scoperto il suo obiettivo: vuole diventare presidente della Serbia. "Alle prossime elezioni, saro' io il presidente, e SPS avra' almeno 20 percento di voti", ha dichiarato Dačić orgogliosamente. Oltre a Čedo Jovanović, il leader liberaldemocratico, Dačić e' il piu' giovane politico serbo di prima fila e ha gia' dimostrato di essere capace per le svolte piu' difficili: da un totale perdente di bruttissima immagine a capo di un partito del dittatore odiato, quale il patito socialista di Milošević lasciatogli in eredita', in solo pochi anni e' riuscito a progredire in un lider di partito moderno ed accettabile a tutti senza il quale il potere non e' nemmeno immaginabile. Ricordiamolo, ancora nella notte dei primi risultati elettorali, Dačić stesso ha dichiarato trionfante che "se la Serbia forse non sa ancora chi sara' il futuro presidente, sicuramente si sa di gia' chi sara' il suo premier".

Ivica Dačić e' nato in Kosovo, nella citta' di Prizren e giunse a Belgrado soltanto verso la fine degli anni 80 quando si iscrisse alla Facolta' delle Scienze politiche. Ben presto divenne presidente della gioventu' del Partito Socialista di Milošević. Si racconta che fece di tutto per avvicinarsi a Slobodan Milošević e sua moglie Mirjana Marković. All'eta' di 26 anni diventa portavoce di Milošević e ci rimane accanto fino al suo arresto nella villa di Tito a Dedinje. Dopo la caduta di Milošević, Dačić raggiunge ai vertici del Partito Socialista della Serbia. A seguito dell'uccisione del premier Zoran Đinđić che freno' drammaticamente il cammino della Serbia verso le riforme e verso l'Occidente, nel 2003 fu eletto presidente del gruppo parlamentare dello SPS e a fine 2006 venne eletto presidente del Partito Socialista che approvo' all'unanimita' la "Risoluzione sul ruolo storico di Slobodan Milošević". A questa vittoria lo portarono le dichiarazioni che prima o poi i responsabili dell'estradizione di Milošević all'Aja dovranno rispondere e perche' accuso' fortemente il Partito Democratico per aver arrestato ed estradato Milošević. All'epoca qualifico' il DS come il piu' grande terremoto politico nella storia della Serbia e promise che se stara' a lui, non ci saranno piu' estradizioni al Tribunale dell'Aja. Solo pochi anni dopo, in veste di ministro degli interni della Serbia, Dačić fece arrestare il piu' ricercato imputato dell'Aja, l'ex generale Ratko Mladić.

PASSAGGIO IN ONDA

E' on-line la puntata di Passaggio a Sud Est trasmessa oggi da Radio Radicale.La trasmissione è riascoltabile nella sezione "In Onda" del blog oppure, insieme a quelle precedenti, sul sito di Radio Radicale.

mercoledì 16 maggio 2012

MLADIC: DALLA LATITANZA, ALL'ARRESTO, AL PROCESSO

E' iniziato questa mattina davanti al Tribunale internazionale per l'ex Jugoslavia, all'Aia, il processo a carico dell'ex generale serbo-bosniaco, Ratko Mladic, arrestato a maggio dello scorso anno in casa di un parente a Lazarevo, villaggio 80 km a nord-est di Belgrado, dopo 16 anni di latitanza.
L'ex capo militare delle forze serbo-bosniache, che secondo l'atto d'accusa redatto dal Procuratore capo del Tribunale internazionale, Serge Brammertz, è stato parte di una "impresa criminale comune" finalizzata "a cacciare per sempre i bosniaco-musulmani e i croato-bosniaci", deve rispondere di due genocidi, cinque crimini contro l'umanità e quattro crimini di guerra, per un totale di 11 capi di accusa per i quali rischia l'ergastolo. Il crimine più grave di cui è accusato è il genocidio di Srebrenica, dove, nel luglio del 1995, furono trucidati più di 8000 bosgnacchi che avevano cercato rifugio nell'enclave che avrebbe dovuto essere protetta dalle truppe dell'Onu.
Mladic visibilmente invecchiato e con la parte destra del corpo semi paralizzata da due ictus, subiti nel 1996 e nel 2008, "continua a pensare di non aver nulla a che fare con i crimini ed è persuaso che sarà giudicato non colpevole", come ha dichiarato il suo avvocato.

Qui di seguito un analisi che ricostruisce in sintesi e analizza l'evoluzione del contesto politico interno della Serbia e di quello internazionale in cui si sviluppò la vicenda della latitanza di Mladic, dalla caduta di Milosevic fino all'arresto dell'ex generale, un anno fa.

L'autore è Riccardo De Mutiis, esperto di relazioni internazionali, particolarmente sotto il profilo giuridico, conoscitore della realtà serba e di quella balcanica più in generale, anche per aver partecipato a diverse missioni di carattere politico patrocinate da istituzioni internazionali.
 
MLADIC, DALLA LATITANZA AL PROCESSO: IL CONTESTO POLITICO E INTERNAZIONALE
di Riccardo de Mutiis

Maggio 2001, L’Aja, ufficio del Procuratore generale presso il Tribunale penale internazionale per i crimini commessi nell’ex Jugoslavia, Carla Del Ponte.
Viene introdotto, attraverso un accesso secondario, Nebojsa Vujovic, ex chargè d’affaires presso l’ambasciata jugoslava a Washington, appena nominato responsabile per le relazioni con il Tribunale dal governo dell’Unione di Serbia e Montenegro (il soggetto politico succeduto nel 2003 alla Jugoslavia, a cui , nel 2006, all’indomani della dichiarazione d’indipendenza del Montenegro, succederà la repubblica di Serbia).
Le parole di Vujovic sono chiare: “Il Tribunale è diventato la questione di politica estera più pressante per il mio governo […] Il futuro della Serbia dipende dalla cooperazione con il Tribunale, la cooperazione determinerà l’accesso o meno della Serbia al processo di adesione all’Unione Europea […] Contiamo di consegnarvi Ratko Mladic entro due o tre mesi”.
“Dovete arrestare Mladic entro la settimana prossima”, è la replica della Del Ponte.
L’ arresto del comandante in capo delle forze serbe durante la guerra di Bosnia, Ratko Mladic, in esecuzione di un mandato emanato dal Tribunale internazionale, che lo ritiene responsabile per la strage di Srebrenica in cui trovarono la morte circa 8000 civili, non avviene né, come aveva richiesto la Procura, entro una settimana, né, come aveva assicurato Vujovic, entro due o tre mesi, ma solo 7 anni dopo, il 28 maggio 2011.

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Ad un anno dall’arresto di Mladic, può essere interessante da ricordare il contesto politico interno ed internazionale cui si verificò tale evento. Il richiamo allo scenario internazionale è scontato: è infatti pacifico che l’arresto di Mladic si inserisce nel tema della cooperazione della Serbia con gli organismi internazionali e quindi nel più generale ambito della politica estera dello stato balcanico. Tale politica, a partire dal 2001, anno della scomparsa dalla scena politica di Slobodan Milosevic, è stata caratterizzata da un approccio contraddittorio, che riflette le diverse anime delle due forze politiche che si contendevano il potere.
Quella nazionalista moderata, riconducibile al leader del DSS (Demokratika srpska stranka - Partito democratico serbo) Vojislav Kostunica, giurista, espressione della Serbia più profonda, tradizionalista e rurale, decisamente contrario alla consegna al Tribunale penale per crimini commessi nell’ex Jugoslavia dei cittadini serbi incriminati da quell’organo giudiziario, in quanto vede in tale consegna una inaccettabile cessione della sovranità nazionale, convinto al contrario che gli imputati di nazionalità serba debbano essere giudicati da un tribunale serbo.
Quella progressista, che fa capo al leader del DS (Demokratika stranka - Partito democratico) Zoran Djindjic, tecnocrate europeista che ha studiato e lavorato in Germania, convinto che solo la riammissione della Jugoslavia a pieno titolo nei circuiti internazionali, da cui era stata esclusa a seguito dei conflitti interni scatenati in Croazia, in Bosnia ed in Kosovo, potrebbe risolvere la drammatica crisi economica in cui il Paese si dibatte da più di un decennio, e quindi senz’altro disponibile a soddisfare quella condizione, la consegna dei criminali di guerra al Tribunale dell’Aja, a cui la Comunità internazionale subordina l’erogazione di aiuti economici alla nazione balcanica.

Kostunica e Djindjic sono i pilastri del DOS, l’alleanza politica che sconfigge Milosevic ed il suo Partito socialista, prima alle elezioni presidenziali dell’ottobre 2001, a seguito delle quali Kostunica viene eletto presidente della Federazione jugoslava, e poi alle elezioni parlamentari serbe del 23 dicembre 2001, che determinano la nomina di Djindjic a primo ministro della repubblica federata serba. Ma si tratta di una alleanza strumentale, finalizzata esclusivamente a sconfiggere Milosevic: in realtà i due uomini, Kostunica e Djindjic, diversi per formazione culturale e per carattere, non sono fatti per intendersi, ed il dissidio scoppia proprio in occasione dell‘arresto di Milosevic e della conseguente consegna dello stesso al Tribunale dell’Aja, operazione decisa e portata a termine da Djindjic all’oscuro, pare, di Kostunica, il quale la contesta energicamente sostenendo che il vozd debba essere giudicato da un tribunale jugoslavo.
Zoran Djindjic muore il 12 marzo 2003, assassinato nel centro di Belgrado, e sembra che il movente dell’omicidio sia connesso proprio all’arresto di Milosevic: secondo la lettura più accreditata, infatti, il mandante dell’assassinio, Milorad “Legija” Ulemek, alias Lukovic, esponente di spicco delle “Crvene beretke” (Berretti rossi), l’unità antiterrorismo che nei fatti fungeva da milizia privata di Milosevic, agisce perché ha appreso che Djindjic ne aveva deciso l’arresto, violando in tal modo la promessa di impunità in cambio della quale lo stesso Lukovic non si era opposto all’arresto del suo protettore.

Il testimone di Djindjic alla guida del partito viene raccolto da Boris Tadic, anch’esso convinto della necessità di cooperazione con il Tribunale Penale Internazionale e quindi contrario al tenace ostruzionismo di Kostunica, divenuto nel 2004 primo ministro, di fronte alla richieste di cooperazione, ed in particolare di consegna degli imputati di nazionalità serba, provenienti dal Procuratore generale del Tribunale, Carla Del Ponte.
La determinazione a non collaborare di Kostunica prevale per diversi anni ed è evidenziata, oltre che dal rinvio sine die dell’approvazione della legge sulla cooperazione con il Tribunale internazionale, anche dal fatto che le autorità di Belgrado accolgono solo una delle 77 richieste della Procura generale di interrogare i testimoni serbi nel processo contro Milosevic e consegnano al Tribunale solo imputati di basso calibro.
E proprio l’atteggiamento di chiusura di Kostunica provoca una crisi tra l’ONU, organizzazione che ha creato il Tribunale dell’Aja, ed il Tribunale stesso, se è vero che gli appelli della Del Ponte alla Comunità internazionale perché condizioni l’erogazione dei finanziamenti alla Jugoslavia alla cooperazione della stessa con il Tribunale vengono stigmatizzati dal Segretario generale dell’organizzazione, Kofi Annan, il quale invita il Procuratore generale ad astenersi da tali dichiarazioni ed a “limitare i suoi interventi a questioni che più direttamente rientrino nella sfera delle sue competenze”.
Nonostante il perdurare del dissidio circa la politica internazionale, DS e DDS stringono una nuova alleanza di governo: l’obiettivo non è più quello di far fronte comune contro Milosevic, ma quello di neutralizzare il partito di maggioranza relativa, il Partito radicale serbo (SRS - Srpska radikalna stranka) dell’ultranazionalista Vojislav Seselj, ex leader della milizia privata dei “Bijeli orlovi”, le “Aquile bianche”, al tempo della guerra di Bosnia , anch’esso imputato per crimini di guerra ed autoconsegnatosi al Tribunale dell’Aja.

La rottura dell’alleanza tra DS e DDS, si consuma alle elezioni presidenziali del 2008: Kostunica ed il suo partito non appoggiano la candidatura di Tadic che, ciò nonostante, si impone al ballottaggio nei confronti di Tomislav Nikolic che medio tempore aveva sostituito Seselj alla guida dei radicali. Ed è innegabile che proprio a far data dalla elezione di Tadic alla presidenza serba la politica estera dello stato balcanico si caratterizza per una lenta ma progressiva evoluzione verso posizioni europeiste e collaborative con le organizzazioni internazionali.
Gli elementi sintomatici di tale evoluzione sono di tutta evidenza: proprio a partire dall‘elezione di Tadic inizia una serie di concessioni reciproche tra Serbia ed Unione Europea che non possono essere considerate casuali ma sono invece parte di una precisa strategia. Infatti l’Unione Europea, nell’aprile 2008, a distanza di appena due mesi dall’elezione di Tadic, stipula con il governo serbo quell’accordo di associazione e stabilizzazione che prelude all’ingresso nell'Unione e che era in cantiere da diversi anni.
Passano nemmeno tre mesi e la Serbia ripaga l’Unione Europea della fiducia concessagli effettuando l’arresto, il 30 luglio 2008, del numero due sulla lista dei ricercati per i crimini commessi nella ex Jugoslavia, l’ex leader dei serbi di Bosnia Radovan Karadzic, la cui imputazione risale addirittura al 1996.
Il fatto che Tadic sia stato in grado di effettuare l’arresto di Karadzic in pochi mesi, mentre al suo predecessore Kostunica non erano stato sufficienti 8 anni dimostra, se ve ne fosse bisogno, l’attendibilità della tesi secondo cui Kostunica avrebbe potuto arrestare Karadzic e sapeva perfettamente dove questi si nascondeva (ed infatti il ricercato viene intercettato a Belgrado, e non in un posto sconosciuto e inaccessibile) ed invece aveva preferito persistere in quell’atteggiamento ostruzionistico e non collaborativo, definito “muro di gomma“ dal Procuratore generale Del Ponte .

Nel dicembre 2009 si registra un ulteriore segnale di apertura dell’Unione Europea: la liberalizzazione del regime dei visti per i cittadini serbi.
Questa volta la risposta di Belgrado si fa attendere, ma è quella che la Comunità internazionale attende da circa 15 anni: l’arresto del numero uno della lista dei ricercati del Tribunale dell’Aja, appunto Ratko Mladic. E le modalità attraverso le quali è stato effettuato l’arresto di Mladic consentono di cogliere altre interessanti implicazioni della vicenda.
L’ex generale è stato arrestato nell’abitazione di un familiare e quindi in un posto in cui era del tutto logico effettuare delle ricerche: e se Mladic è stato costretto a rifugiarsi presso un parente, con rilevanti probabilità di essere scoperto, ciò significa, evidentemente, che tutte le coperture di cui godeva a livello politico e soprattutto militare erano venute meno, e se l’influente esercito serbo ed i potenti servizi segreti non sono più in grado di offrire protezione a Mladic ciò vuol dire, implicazione di notevole rilievo, che essi hanno cessato finalmente di costituire uno Stato nello Stato e non sono più in grado, come in passato, di condizionare le scelte politiche.

Il progresso della Serbia verso posizione europeiste, è proseguito anche dopo l’arresto di Mladic, sia pure con qualche intoppo, fino ad oggi. Il percorso è stato difficile nell’ultimo anno, a causa del riaccendersi della questione kosovara, che vede Serbia ed Unione Europea su posizioni opposte, ma ha registrato un passo in avanti decisivo: il conferimento dello status di candidato all’ingresso nell’Unione allo stato balcanico.
Si può affermare, in definitiva, che lo spostamento su posizioni europeiste della Serbia, di cui l’arresto di Mladic costituisce un'importante prova, conviene ad entrambi gli attori di questa vicenda: conviene all’Unione Europea perché attraverso l’imposizione delle regole e delle modalità di controllo comunitarie riuscirà verosimilmente a stabilizzare una area le cui tensioni, in passato, si sono propagate agli Stati dell’Unione, e conviene alla Serbia perché le consente di godere di quegli incentivi di cui la sua asfittica economia ha decisamente bisogno e perché consente ai suo cittadini, attraverso la liberalizzazione dei visti a cui si è fatto riferimento, di potere viaggiare liberamente, dopo circa 20 anni di isolamento, e di avere quindi la possibilità di quel confronto diretto e di quello scambio culturale con altre realtà che è il presupposto irrinunciabile per lo sviluppo di ogni società civile.

venerdì 11 maggio 2012

PREOKRET: LA SERBIA DELLA "SVOLTA"

A pochi giorni dalle elezioni del 6 maggio, Čedomir Jovanović, candidato presidente del movimento Preokret (“Svolta” o anche “Cambiamento”) e leader del Ldp (Partito liberaldemocratico) ha rilasciato un’intervista al quotidiano serbo Danas. Nei riporto qui di seguito un estratto inviato da Nicola Dotto che ringrazio molto per la traduzione.
“Lavoreremo sodo, fino alla fine delle nostre forze, grazie all’energia che ci hanno dato i nostri sostenitori [...] energia che c’è sempre stata negli incontri fatti durante la campagna elettorale lunga 16.000 chilometri”, dice Jovanovic nell'intervista, aggiungendo che dopo il voto “ci sarà un Paese nel quale le persone vedranno un futuro migliore per loro e i loro figli” e che la Serbia “sarà uno Stato efficace e orientato al futuro, altruista e responsabile, felice e pacifico”.
Il risultato di Preokret – singolare coalizione nata dall'accordo tra Jovanovic e Vuk Draskovic – è stato alla fine inferiore alle attese. “Solo con un grande appoggio elettorale potremmo essere al governo e realizzare quello che i nostri elettori si aspettano”, dice Jovanovic nell'intervista. Il grande successo non c'è stato, ma alla fine i 20 seggi ottenuti di Preokret potrebbero essere determinanti per il futuro governo dato che i seggi di democratici e socialisti da soli non bastano.
L'intervista, anche se pubblicata prima del voto, è comunque interessante per quanto riguarda le posizioni di Jovanovic e il suo possibili atteggiamento dopo il ballottaggio del 20 maggio per le presidenziali.

Vuk Draskovic e cedomir Jovanovic

Poco tempo fa avete detto che solo il partito DS di Tadić potrebbe essere un vostro partner al governo. Il weekend scorso invece avete dichiarato che Tadić e Nikolić sono uguali. Potreste chiarire questa contraddizione?
Guardate le loro campagne politiche, come si relazionano uno con l’altro scappando dai problemi reali del Paese, facendo silenzio su questioni alle quali devono rispondere e su problemi che non sono riusciti a risolvere in passato, anche se avrebbero potuto. Sono uguali anche nella ricerca dell’appoggio di “Preokret” e nel non prendersi le responsabilità per le loro scelte.

I DS e Dinkić hanno garantito che dopo le elezioni non ci sarà un governo di coalizione con l’SNS di Nikolić. Perchè voi non l’avete fatto?
Non vedo nel partito SNS di Nikolić né politica, né capacità, né persone che possano lavorare insieme nel governo. Nikolić però ha il diritto, almeno verbalmente, di iniziare a mandare messaggi accettabili e diversi dopo 20 anni di errori terribili e di grandi danni fatti alla Serbia, ai nostri vicini e alle persone che qui hanno sofferto. Questo diritto non glielo posso togliere ma voglio dirgli di cambiare gesti e retorica e seguire politiche concrete, non offrendosi solo come copia di Tadić.

Come spiegate che Tadić costantemente dica che l’SPS di Dacić è un partito vicino e simile a voi di “Preokret”?
Anche il vice presidente deve essere schietto e capisco che a lui Dacić e l’SPS siano simpatici, infatti con loro ha intessuto rapporti con noi impossibili. I DS di Tadić e l’SPS di Dacić hanno coniato il motto: “Don’t ask, don’t tell”. Con noi l’accordo è possibile ma con principi completamente diversi, con chiari e pubblici accordi politici che contengano un piano su cosa vogliamo cambiare nel Paese, la verità sull’economia, la fine della demagogia, una diversa politica estera e regionale.

Potete dire le riforme che il nuovo governo deve portare avanti con l’obiettivo di sanare e sviluppare l’economia e l’impresa?
Subito nei primi 100 giorni di governo faremo nuove leggi sull’agricoltura, sul lavoro, sulla salute e le pensioni, sulle politiche giovanili, sulla cultura e l’insegnamento, perseguendo efficaci politiche di anticorruzione e riduzione delle tasse; adotteremo regole severe ma giuste per imprese statali e private, dando sovvenzioni solo per quelle che adotteranno misure di razionalizzazione, uscendo dal monopolio e sopportando la concorrenza. Basta agli arroganti, non ci saranno più garanzie statali per prestiti ad aziende che buttano via i soldi. Nello specifico il cambiamento della legge sul lavoro avverrà in due modi; difesa efficace dei diritti dei lavoratori in modo concreto e non una lista di desideri che nessuno rispetta e poi flessibilità legislativa, possibilità per i giovani e gli studenti di entrare nel mondo del lavoro così come succede nelle economie a libero mercato.

Dopo il 6 maggio che passi farete in tema di politica estera?
Faremo nuovi accordi con Bruxelles, Washingon e Mosca, nell’interesse reciproco, accanto a una chiara direzione europea; inizio degli accordi per l’ingresso nella UE, attivazione di aiuti reciproci tra le ex repubbliche jugoslave. Daremo soluzioni a vecchie domande e a cause ancora in corso con la Croazia, aiutando la Bosnia a diventare un paese che funzioni e andando insieme verso l’Europa nell’interesse di tutti i cittadini, serbi, bosniaci e croati. Anche sul Kosovo, apriremo un nuovo orizzonte politico per noi, il nostro popolo e quelli che con il nostro popolo là vivono e dai quali dipendono, cioè i kosovari albanesi... Non dobbiamo lasciare questi problemi ai nostri figli.

Cosa succederebbe se dopo le elezioni in Serbia (non) si svoltasse? In quale società vivremo?
Se vinceremo e svolteremo sarà l’inizio di un enorme e brillante lavoro nel quale ci sarà posto per tutti. Vogliamo fare un cambiamento per un Paese nel quale i politici lavorino nelle istiuzioni, ci sia successo nel lavoro e più qualità della vita per le persone ambiziose, laboriose e impegnate. Lo Stato e i partiti non soffocheranno più la vita e il potenziale degli uomini umiliandoli e sottovalutandoli.

Nella vostra campagna elettorale non avete mai parlato di una vita migliore, ma della creazione di una società nella quale tutti possano realizzare le loro potenzialità e “vengano valorizzate le persone che valgono”. Non è una strategia troppo rischiosa? Perchè non avete parlato di aziende e investimenti da attrarre?
Non dirò mai alla gente che “Preokret” può fare un governo che sia il loro tutore per sempre, che viva le loro vite, che cambi le fortune familiari...non desidero offendere le persone e mai mentirò. Non voglio che fra quattro anni qualcuno mi chieda: “Dove sono i miei 1000 euro di risparmio o cosa facciamo con 200.000 nuovi posti di lavoro se nel frattempo ne abbiamo persi altri 400.000?” Starò accanto alle persone per 4 anni e dirò loro cosa abbiamo fatto insieme per costruire un Paese normale.

giovedì 10 maggio 2012

ERRATA CORRIGE


Commentando l'esito delle elezioni del 6 maggio in Serbia, sia su questo blog, sia nella mia trasmissione a Radio Radicale, ho commesso un errore.
Nella fretta ho equivocato il senso della dichiarazione in cui il leader del Partito socialista Ivica Dacic ha affermato che non potrebbe “far parte di un governo che mantenga posizioni estreme, quali la Repubblica Srpska costruita sul genocidio”, ribaltando il senso delle sue parole.
In effetti sono stato un po' ottimista: Dacic sta cercando sicuramente di liberarsi dell'eredità più ingombrante del regime di Milosevic (di cui fu portavoce), ma non al punto di rinnegarlo totalmente.

ELEZIONI IN SERBIA: REAZIONI E COMMENTI / 2

Di Marina Szikora [*]
L'esito delle elezioni in Francia, Serbia e Grecia, scrive il sito croato index.hr, vengono gia' qualificati da alcuni come 'primavera europea' perche' hanno dimostrato un chiaro desiderio di cambiamenti. Mentre i cittadini attendono i primi passi concreti, i politici sono attualmente occupati con se stessi e la formazione del governo, prosegue il sito croato.
Il capo dello stato croato Ivo Josipović in uno dei suoi primi commenti si e' congratulato con tutti quelli che in Grecia, Francia e Serbia hanno avuto il successo elettorale. Ha detto di aspettarsi che la Croazia con tutti questi paesi continui a collaborare, quale che sia il governo che avra' l'incarico di guidarli. "Con tutti questi paesi noi ci impegnamo a crostruire buoni e amichevoli rapporti" ha detto il presidente Josipović. "La stretta vittoria di Hollande ha portato ai francesi nuove speranze nella possibile fine di crisi che aveva segnato la seconda meta' della presidenza di Sarkozy. In Grecia invece rari sono quelli sorpresi dai buoni risultati che a dispetto di Bruxelles hanno ottenuto la sinistra e la destra estremiste" ha sottolineato il presidente croato e ha aggiunto che i cittadini in giro per l'Europa ovviamente, motivati dalla crisi, sono desiderosi di cambiamenti.

Index.hr scrive che mentre i greci stanno cercando di capire se con Hollande verra' ammorbidita la fortissima pressione eurotedesca su Atene, a Belgrado il piu' ricercato in questo momento e' Ivica Dačić anche se i progressisti di Tomislav Nikolić hanno ottenuto una sottillissima precedenza rispetto ai democratici di Tadić. Se il socialista riformato di Milošević, come lui stesso annuncia, avra' veramente la poltrona di premier, per adesso sono ancora soltanto speculazioni. Come anche l'esito del secondo turno persidenziale tra Tadić e Nikolić conclude uno dei piu' letti siti croati.

"Il piccolo Slobo sulla via verso il potere" cosi' il titolo dell'articolo del quotidiano di Monaco di Baviera "Sueddeutsche Zeitung". L'articolo spiega che "i socialisti serbi hanno raddoppiato il numero dei loro parlamentari mentre il capo del partito Ivica Dačić adesso vuole diventare premier". Il testo prosegue che il lider dei socialisti, nella lotta contro la mafia per anni collegata con lo stato, e' riuscito spesso ad avere grande successo. Durante il suo mandato sono state arrestate diverse persone che si collegano con l'attentato contro il premier prooccidentale Zoran Đinđić. Il giornale tedesco ricorda anche che da Washington Dačić ha ricevuto molte congratulazioni per il suo lavoro nella sopressione del traffico illecito di droghe. A Bruxelles spesso menzionato perche' si fa carico dell'agenda dell'Ue.

"Sul passato maggiormente tace" constata Sueddeutsche Zeitung e ricorda che negli anni novanta Dačić fu il portavoce di Milošević e risultava coresponsabile per la politica probellica della Serbia contro la Bosnia, Croazia e Kosovo. Infine, questo regime ha fatto precipitare anche la Serbia nella miseria e nella poverta'. Il giornale tedesco sottolinea anche che Dačić fino ad oggi ha rifiutato di scusarsi e aggiunge che "nel frattempo il piccolo Slobo, come chiamato dai media di Belgrado, e' diventato pragmatico. Alle elezioni presidenziali nel 2004 ancora con toni convincenti diceva che il Kosovo deve restare per sempre parte della Serbia. Oggi pensa che la Serbia non puo' lottare contro il mondo intero e che deve seguire una politica realistica". Dietro queste affermazioni si nasconde l'idea della divisione del Kosovo, constata il giornale di Monaco e aggiunge che Dačić ritiene che solo in tal modo la Serbia puo' salvare la propria faccia.

Infine, va detto che commentando un testo di "Koha ditore", il giornale di Priština, in cui si afferma che il potere kosovaro insistera' presso i rappresentanti dell'Ue affinche' Dačić non diventi il futuro premier della Serbia, Dačić ha affermato che questa non puo' essergli altro che la migliore pubblicita'. "Quando i vostri nemici, tutti quelli che si impegnano per l'indipendenza del Kosovo ritengono che io non debba diventare permier perche' metterei a repentaglio l'indipendenza, allora io ritengo questo un grande complimento" ha constatato Dačić. Il giornale di Priština ha scritto che il Partito Socialista Serbo che Ivica Dačić aveva ereditato dal "boia balcanico" e' la piu' grande sorpresa delle elezioni in Serbia. Esso si e' posizionato fortemente come terzo partito e fatto si' che Dačić possa diventare candidato a premier". I voti del SPS potrebbero decidere anche chi dei due candidati al balottaggio diventera' il presidente della Serbia, agginge 'Koha ditore' e ricorda che Dačić e' stato caratterizzato anche da una retorica aspramente nazionalista e populista prima delle elezioni e che ha concesso gli arresti di albanesi della Valle di Preševo ma anche di albanesi del Kosovo durante il loro ingresso o uscita dalla Serbia. Come migliore notizia il giornale di Priština evidenzia il fatto che l'ultranazionalista Partito Radicale Serbo di Vojislav Šešelj non e' riuscito a passare la soglia elettorale.

[*] Corrispondente di Radio Radicale. Il testo è tratto dalla puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi