martedì 10 agosto 2010

L'IDENTITA' COME METODO DI INCONTRO E DI DIALOGO

Sul numero 30 della rivista East (http://www.eastonline.it/) ho trovato un'interessante intervista di Valerija Brkljac (fondatrice dell'associazione Donne Yugo e collaboratrice di Radio Popolare, Manifesto e Marie Claire) al professor Dragoljub Kojcic. Filosofo, fondatore della rivista Drzava, già caporedattore della più importante rivista letteraria serba, ex presidente del Partito Democratico (tra il 1997 e il 2003) ed ex parlamentare, l'anno scorso ha fondato il partito Serbia 21. Confesso la mia ignoranza: prima di leggere l'intervista non conoscevo Kojcic e anche adesso non so altro oltre quello che dice rispondendo alle domande di Valerija Brkljac. Però nell'ultima risposta c'è un passaggio in cui le sue parole mi sembrano una replica intelligente e lungimirante ad alcuni dei discorsi (ri)sentiti in questi ultimi tempi dopo il parere della Corte internazionale di giustizia che ha ritenuto l'indipendenza del Kosovo non contraria al diritto internazionale e alla risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza. Discorsi che per altro tornano ogni volta che si parla del Kosovo e in generale della Serbia dopo il disastro degli anni '90.

La domanda di Valerija Brkljac è: "Dove si trova la Serbia oggi e quale dovrebbe essere la sua strategia nazionale secondo lei e il suo partito Serbia 21?".

Risponde il professor Kojcic:
"Se a qualcuno verrà in mente di scrivere un giorno l’antologia della demagogia, credo che gli esempi più efficaci si troveranno nelle “società in transizione”. Nell’arsenale dei demagoghi serbi si trovano le promesse impossibili, i tentativi d’inculcare nella gente la paura. Soprattutto usando la teoria del complotto. Quando ascoltate in continuazione che tutte le più grandi forze mondiali si sono accanite sul vostro popolo, iniziate a credere che le responsabilità per tutti i problemi reali non sono ascrivibili all’operato dei funzionari del vostro Stato.
È vero che siamo stati brutalmente discriminati e che è stata attuata un’aggressione militare illegale sul nostro Paese. Però tutto questo poteva essere diverso se Slobodan Milosevic, nel lontano 1988, mentre ancora esisteva l’Unione Sovietica, avesse accettato l’offerta di partnership, che a nome degli Usa ci aveva portato il Segretario di Stato James Baker.
La Serbia oggi si trova davanti a decisioni importanti. È naturale che i serbi non possono avere colpa per la politica dei leader comunisti, ma ora sarebbe irresponsabile, a causa dei ricordi amari, soccombere sotto le bugie dei nuovi demagoghi che non possono esistere sulla scena politica se non fomentando la rabbia verso l’Occidente.
Per noi di Serbia 21 l’interesse primario del nostro popolo è quello di collocarsi nell’Unione europea, quale spazio politico e di diritto per i serbi. D’altronde non vi è nessun motivo d’aver paura che i serbi nell’Unione possano perdere la propria identità. Il programma del partito che presiedo è dedicato alla salvaguardia dell’identità come nostro interesse strategico. Però questo è un metodo di apertura verso gli altri, un metodo d’incontro, di dialogo, come dir ebbe Martin Buber, e non uno xenofobico arroccarsi all’interno di mura".

Il testo integrale dell'intervista lo trovate qui

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