Non è un'emittente radiofonica, è il blog di Matteo Tacconi, uno che di Europa dell'est e del sud est se ne intende. Matteo Tacconi è infatti un giornalista freelance che si occupa di Balcani, Europa centro-orientale e area post-sovietica, spesso andando direttamente sul posto. Suoi pezzi li potete leggere sul quotidiano Europa, sulle riviste Limes, East e Narcomafie e sul sito resetdoc.it oltre che su altre testate. E' autore anche di (per ora) due libri entrambi pubblicati da Castelvecchi. Il primo è Kosovo: la storia, la guerra, il futuro, uscito nel giugno 2008, mentre il secondo si intitola C’era una volta il Muro: viaggio nell’Europa ex-comunista, ed è uscito nell'ottobre 2009 nel ventennale della caduta del Muro. A proposito di questo suo secondo lavoro vi segnalo la mia intervista a Matteo Tacconi per Radio Radicale
Radio Europa Unita si occupa degli "orienti" del Vecchio Continente: i Balcani, allargati alla Turchia, i paesi del cosiddetto "gruppo Visegrad" (Polonia, Ungheria, Repubblica ceca e Slovacchia), i paesi baltici, la Russia e tutta l’area post-sovietica, partendo dall’idea che, malgrado ci siano storia, cultura e politica a separare i vari segmenti geografici del vecchio continente, c’è anche qualcosa che unisce e lega uno spazio all’altro che fa sì che ciò che accade in un posto, è connesso a ciò che accade in un altro.
Nel blog trovate gli articoli di Matteo Tacconi, una sezione di reportage, una di speciali e anche una sezione di fotografie su quello che si trova "da Trieste in là", oltre ad una serie di link utili.
Radio Europa Unita, il blog di Matteo Tacconi
venerdì 27 agosto 2010
I KOSOVARI ALBANESI VANNO IN EUROPA CON IL PASSAPORTO SERBO
La realtà è sempre più complicata dell'immagine che i politici forniscono di essa. Il bianco ed il nero si fondono in una teoria infinita di grigi con tanti saluti a tutti coloro che vorrebbero liquidare tutto nella semplicistica contrapposizione torto/ragione, giusto/sbagliato, noi/loro, amico/nemico. Se volete averne una prova andate nei Balcani e vedrete che le divisioni ci sono, e sono forti, ma le necessità della vita le fanno superare senza tanto badare all'appartenenza etnica o al credo religioso o all'orgoglio nazionale. Necessità della vita per alcuni che diventano opportunità di affari per altri, come sempre succede.
Così, mentre Belgrado e Pristina si affrontano e si scontrano sulla questione dell'indipendenza, molti hanno capito che trovarsi a vivere in una terra che per alcuni è la repubblica indipendente del Kosovo e per altri è e rimane Serbia, può essere un'opportunità da sfruttare. Per esempio per ottenere un passaporto con cui entrare liberamente nell'Ue o, vivecersa, per sfruttare il bisogno di chi cerca quel passaporto. Quando lo scorso dicembre Bruxelles ha abolito il regime dei visti per i cittadini serbi, per i kosovari albanesi, esclusi dalla libera circolazione nell'Ue, diventare serbi, almeno all'anagrafe, può essere la strada buona per l'Europa.
Infatti, se "Il Kosovo è Serbia", la Serbia non può rifiutare il passaporto ai cittadini di etnia albanese che abitano in quella che continua a considerare una sua provincia. Un problema che il ministero dell'Interno serbo ha risolto decidendo che i documenti sarebbero stati conferiti a tutti i cittadini kosovari in possesso di una residenza in Serbia. Così, mentre i serbo-kosovari cercano parenti o amici disposti a farli registrare presso la propria abitazione, agli albanesi-kosovari ci pensa la criminalità locale che ha subito fiutato l'affare e ha stabilito uno dei sui centri operativi nel piccolo comune di Merosina, nel sud-ovest della Serbia a una quindicina di km del capoluogo Nis, poco lontano dal confine con il Kosovo.
La "agenzia di servizi" trova un serbo disposto a offrire il proprio indirizzo come residenza fittizia dell'albanese che potrà così ottenere il passaporto serbo che gli permetterà di circolare liberamente nell'Ue senza richiedere il visto. Il tutto per una somma che varia tra i 500 e 1000 euro. E tutti guadagnano qualcosa: il kosovaro che fa un'investimento sul suo futuro, il pensionato serbo che concendendo il suo indirizzo arrotonda una pensione da 80 euro al mese, il poliziotto compiacente che arrotonda il non certo ricco stipendio mensile di 150-200 euro. E naturalmente ci guadgana anche la "agenzia" che assicura il servizio.
Così, mentre Belgrado e Pristina si affrontano e si scontrano sulla questione dell'indipendenza, molti hanno capito che trovarsi a vivere in una terra che per alcuni è la repubblica indipendente del Kosovo e per altri è e rimane Serbia, può essere un'opportunità da sfruttare. Per esempio per ottenere un passaporto con cui entrare liberamente nell'Ue o, vivecersa, per sfruttare il bisogno di chi cerca quel passaporto. Quando lo scorso dicembre Bruxelles ha abolito il regime dei visti per i cittadini serbi, per i kosovari albanesi, esclusi dalla libera circolazione nell'Ue, diventare serbi, almeno all'anagrafe, può essere la strada buona per l'Europa.
Infatti, se "Il Kosovo è Serbia", la Serbia non può rifiutare il passaporto ai cittadini di etnia albanese che abitano in quella che continua a considerare una sua provincia. Un problema che il ministero dell'Interno serbo ha risolto decidendo che i documenti sarebbero stati conferiti a tutti i cittadini kosovari in possesso di una residenza in Serbia. Così, mentre i serbo-kosovari cercano parenti o amici disposti a farli registrare presso la propria abitazione, agli albanesi-kosovari ci pensa la criminalità locale che ha subito fiutato l'affare e ha stabilito uno dei sui centri operativi nel piccolo comune di Merosina, nel sud-ovest della Serbia a una quindicina di km del capoluogo Nis, poco lontano dal confine con il Kosovo.
La "agenzia di servizi" trova un serbo disposto a offrire il proprio indirizzo come residenza fittizia dell'albanese che potrà così ottenere il passaporto serbo che gli permetterà di circolare liberamente nell'Ue senza richiedere il visto. Il tutto per una somma che varia tra i 500 e 1000 euro. E tutti guadagnano qualcosa: il kosovaro che fa un'investimento sul suo futuro, il pensionato serbo che concendendo il suo indirizzo arrotonda una pensione da 80 euro al mese, il poliziotto compiacente che arrotonda il non certo ricco stipendio mensile di 150-200 euro. E naturalmente ci guadgana anche la "agenzia" che assicura il servizio.
LA SITUAZIONE DEI ROM IN SERBIA E CROAZIA
di Marina Szikora (*)
Il polverone sulla questione del destino dei Rom in Francia, come notizia, e’ seguito anche nei paesi balcanici, ma al momento non diventa tema di approfondimento nella regione che affronta altrettanto il problema dell’inserimento sociale della popolazione rom nella vita quotidiana.
Attualmente le autorita’ in Serbia affermano che i rom vivono meglio che negli anni precedenti, ma tutti i rappresentanti di questa minoranza non condividono tali valutazioni. E’ vero che alcuni di loro, grazie all’educazione, riescono ad uscire dal ‘circolo magico della poverta’’, ma gli altri restano alle margini senza alcuna sicurezza finanziaria o sanitaria, informa la Radio Europa libera trattando questo tema. Ultimamente si e’ potuto leggere nei media serbi che i rappresentanti governativi serbi usano termini del tutto inaspettati e affermano che “i rom vivono una specie di rinascimento”. Cosi’ il ministro per i diritti umani e di minoranze serbo, Svetozar Ciplic ha detto che lo Stato si comporta verso i rom meglio che negli anni precedenti e che la Serbia sta facendo molto di piu’ sul piano della loro integrazione risptto agli anni precedenti. “La posizione dei Rom non puo’ essere cambiata e non puo’ progredire in tempo breve e tutti quelli che lo dicono non sanno qual’e’ la vera situazione e non sono persone serie. La comunita’ rom e’ cambiata, ha avuto la sua evoluzione, ha avuto progresso e ha raggiunto una certa maturita’ al suo interno. Cosi’ dopo cinque anni del decennio dei rom, la Serbia offre assistenza in questo decennio e i rom migliorano la loro posizione” ha detto il ministro Ciplic.
Ci sono anche rappresentanti rom che concordano con queste affermazioni ma si tratta comunque di piccoli passi in avanti rispetto a quello che necessariamente dovrebbe essere fatto affinche’ l’integrazione dei rom possa essere compiuta definitivamente. C’e’ da dire che in Serbia solo il 9 percento della popolazione rom ha un lavoro fisso, che solo il 30 percento ha terminato la scuola elementare, circa 9 percento frequenta le medie mentre il solo 0,01 percento ha una educazione universitaria. In una intervista alla Radio Free Europe, Dragoljub Ackovic, vicepresidente del Parlamento mondiale dei Rom ha detto che i problemi che questa popolazione affronta in Serbia sono simili o quasi identici come in altre parti del mondo e che il problema principale, in effetti, e’ l’educazione. Un esempio di come l’educazione puo’ garantire una vita decente e’ quello di Dejan Marinkovic, ingegnere di trasporto di Valjevo. Grazie all’educazione, afferma questo rappresentante rom, con la sua famiglia vive molto decentemente e proprio grazie all’educazione e’ riuscito a far fine con la poverta’. Dall’altra parte, i dati dimostrano che la gran maggioranza dei bambini rom sono fuori dal sistema scolastico, i genitori disoccupati, vivono in pessime condizioni igieniche nelle periferie delle citta’ e dei villaggi affrontando ovunque poverta’, violenze e discriminazione raziale.
Secondo le valutazioni, sul territorio della Serbia esistono oltre 100 villaggi rom in pessime condizioni igieniche. Secondo il censimento del 2002, in Serbia ci sono circa 110.000 rom, ma secondo le valutazioni degli esperti ce ne sono tra 400.000 e 700.000. Ad esempio, ci sono molti rom in Kursumija che e’ una delle citta’ piu’ povere della Serbia. Questi rom dichiarano di avere una vita molto difficile, non hanno ne’ soldi ne’ cibo, sono senza lavoro e non possono educare i figli. Uno di questi, padre di una famiglia di nove bambini racconta di ricevere un minimo di aiuto dallo Stato ed e’ costretto a chiedere l’elemosina per poter comprare il pane. Questo e’ il destino del maggior numero dei rom in Kursumija. Come segno di sostegno, in occasione della Giornata dei Rom, il Ministero per i diritti umani e di minoranze ha dirstribuito 40 computer portatili ai migliori allievi di nazionalita’ rom. Milan Rakic, 18 anni, di Krusevac ha dichiarato a tal proposito che questo gli significa molto “poiche’ dimostra che valgo qualcosa, mi fa crescere la fede in me stesso e mi fa credere in un futuro migliore”. In Serbia, nel 2002 ai rom e’ stato riconosciuto lo status di minoranza nazionale il che ha contribuito a migliorare la loro situazione istituzionale. In realta’ pero’ a causa di distanza etnica e un’aiuto insufficiente dello Stato, lo status dei rom non e’ migliorato notevolmente. Da ricordare anche che cinque anni fa e’ stata stabilito il cosidetto “Primo decennio” dei Rom (2005-2015) promosso da 8 paesi dell’Europa sudorientale. Questo decennio dovrebbe rappresentare un obbligo politico dei paesi firmatari di effettuare, a livello nazionale, i programmi e le riforme con l’obbiettivo di migliorare la posizione dei rom. Come settori prioritari questi paesi si sono posti l’educazione, sanita’, occupazione e abitazione. Serbia e Croazia fanno parte di questa iniziativa.
Negli ultimi anni e’ stato fatto molto per il miglioramento delle condizioni di vita dei rom in Croazia, ha detto la premier croata Jadranka Kosor, in occasione della Giornata mondiale dei Rom. E’ stata anche un’occasione questa per ricevere i membri della Commissione per seguire l’attuazione del Programma nazionale per i rom. Kosor ha sottolineato che la Croazia ha notevolmente aumentato i fondi per il miglioremanto delle condizioni di vita di questa minoranza. Nel 2005 a tal proposito il Governo croato ha stanziato soltanto 2,7 milioni di kune, mentre l’anno scorso perfino 38 milioni di kune. In effetti, il Governo croato nel periodo stabilito come Decennio dei rom, dal 2005 al 2015, in quanto parte del Programma nazionale per i rom sta’ effettuando il piano di azione per l’inserimento dei rom nella vita sociale. La premier croata ha rilevato che l’educazione dei bambini rom e’ una delle condizioni del miglioramento della vita della comunita’ rom in Croazia e ha constatato che e’ stato aumentato notevolmente il numero degli stipendi per l’educazione nelle scuole medie dei bambini rom. Anche il presidente croato Ivo Josipovic ricevendo nel suo Ufficio i membri delle associazioni rom ha espresso speranza che la Croazia ogni anno avra’ sempre migliori rapporti relativi alla situazione dei rom.
Il numero di rom che oggi vivono in Croazia si puo’ solo suporre. Secondo il censimento del 2001, sono stati registrati soltanto 9.463 rom, ma il loro numero reale e’ molto maggiore. L’Ufficio del governo per le minoranze nazionali valuta che in Croazia vivono tra 30.000 e 40.000 rom. C’e’ da sottolineare che in Croazia la comunita’ rom ha il suo rappresentante in Parlamento. Secondo le valutazioni del parlamentare Nazif Memedi in Croazia ci sono oltre 40.000 rom. Molti di loro si dichiarano come macedoni o albanesi, dipendentemente dal paese dal quale si sono trasferiti. In Croazia il maggior numero vive nella contea di Medjimurje. Nuovi e recenti sondaggi sullo status dei rom in Croazia, sulla percentualita’ dei bambini inclusi nell’educazione elementare obbligatoria, sulla percentuale di quelli che hanno un lavoro fisso nonche’ sul livello di tutela sanitaria e status sociale dei rom, non ci sono ancora. L’ultimo sondaggio di questo tipo e’ stato effettuato nel 2002 il quale ha mostrato uno status molto precario di occupazione sociale ed educativa dei rom e soprattutto una posizione molto difficile e senza diritti delle donne rom. Anche se proprio il Programma nazionale del governo per i rom prevede come una delle priorita’ l’inserimento dei bambini rom nelle scuole e la sopressione della loro segregazione, e’ proprio la segregazione dei rom nelle scuole elementari croate uno dei problemi maggiori. C’e’ da aggiungere che lo scorso marzo, la Corte europea per i diritti umani ha inflitto una sentenza contro la Croazia a causa della segregazione di 15 bambini rom in quattro scuole elementari a Medjimurje. La sentenza riguarda la situazione del 2000 quando nelle scuole di questa contea i bambini rom erano tenuti in classi separate perche’ non conoscevano sufficientemente la lingua croata.
L’avvocato Lovorka Kusan e il Centro europeo per i diritti di rom hanno fatto causa contro lo Stato croato perche’ con la segregazione dei bambini rom viola i loro diritti umani e di minoranze. Davanti alle corti croate, ivi compresa la Corte costituzionale avevano perso tutti i processi. Ma il diritto alla soddisfazione e’ arrivato quest’anno dalla Corte europea per i diritti umani. Secondo questa sentenza la Croazia deve pagare a questi bambini che oggi sono magiorenni una riparazione di 4.000 euro. La sentenza obbliga le autorita’ croate a intraprendere le misure che serviranno ad ostacolare queste e simili violazioni di diritti umani e di minoranze nel futuro. Anche se la sentenza e’ relativa alla situazione di dieci anni fa, l’avvocato Lovorka Kusan avverte che la situazione attuale, per quanto riguarda la segregazione dei bambini rom nelle scuole elementari, e’ ancora peggiore rispetto al 2000. Kusan afferma che dieci anni fa, in Croazia c’erano 28 classi separate per i bambini rom, mentre oggi ce ne sono addirittura 67. E’ vero che l’aumento del numero di classi separate e’ parzialmente conseguenza di una larga azione per il maggiore inserimento dei bambini rom nel sistema scolastico, ma lo Stato – afferma l’avvocato – deve impegnarsi di piu’ affinche’ i bambini rom possano imparare la lingua croata e seguire l’insegnamento con i bambini della popolazione maggioritaria.
(*) Corrispondente di Radio Radicale. Il testo è la trascrizione della corrispondenza per lo Speciale di Passaggio a Sud Est andato in aonda mercoledì 25 agosto e dedicato alla condizione dei Rom nei Balcani
Il polverone sulla questione del destino dei Rom in Francia, come notizia, e’ seguito anche nei paesi balcanici, ma al momento non diventa tema di approfondimento nella regione che affronta altrettanto il problema dell’inserimento sociale della popolazione rom nella vita quotidiana.
Attualmente le autorita’ in Serbia affermano che i rom vivono meglio che negli anni precedenti, ma tutti i rappresentanti di questa minoranza non condividono tali valutazioni. E’ vero che alcuni di loro, grazie all’educazione, riescono ad uscire dal ‘circolo magico della poverta’’, ma gli altri restano alle margini senza alcuna sicurezza finanziaria o sanitaria, informa la Radio Europa libera trattando questo tema. Ultimamente si e’ potuto leggere nei media serbi che i rappresentanti governativi serbi usano termini del tutto inaspettati e affermano che “i rom vivono una specie di rinascimento”. Cosi’ il ministro per i diritti umani e di minoranze serbo, Svetozar Ciplic ha detto che lo Stato si comporta verso i rom meglio che negli anni precedenti e che la Serbia sta facendo molto di piu’ sul piano della loro integrazione risptto agli anni precedenti. “La posizione dei Rom non puo’ essere cambiata e non puo’ progredire in tempo breve e tutti quelli che lo dicono non sanno qual’e’ la vera situazione e non sono persone serie. La comunita’ rom e’ cambiata, ha avuto la sua evoluzione, ha avuto progresso e ha raggiunto una certa maturita’ al suo interno. Cosi’ dopo cinque anni del decennio dei rom, la Serbia offre assistenza in questo decennio e i rom migliorano la loro posizione” ha detto il ministro Ciplic.
Ci sono anche rappresentanti rom che concordano con queste affermazioni ma si tratta comunque di piccoli passi in avanti rispetto a quello che necessariamente dovrebbe essere fatto affinche’ l’integrazione dei rom possa essere compiuta definitivamente. C’e’ da dire che in Serbia solo il 9 percento della popolazione rom ha un lavoro fisso, che solo il 30 percento ha terminato la scuola elementare, circa 9 percento frequenta le medie mentre il solo 0,01 percento ha una educazione universitaria. In una intervista alla Radio Free Europe, Dragoljub Ackovic, vicepresidente del Parlamento mondiale dei Rom ha detto che i problemi che questa popolazione affronta in Serbia sono simili o quasi identici come in altre parti del mondo e che il problema principale, in effetti, e’ l’educazione. Un esempio di come l’educazione puo’ garantire una vita decente e’ quello di Dejan Marinkovic, ingegnere di trasporto di Valjevo. Grazie all’educazione, afferma questo rappresentante rom, con la sua famiglia vive molto decentemente e proprio grazie all’educazione e’ riuscito a far fine con la poverta’. Dall’altra parte, i dati dimostrano che la gran maggioranza dei bambini rom sono fuori dal sistema scolastico, i genitori disoccupati, vivono in pessime condizioni igieniche nelle periferie delle citta’ e dei villaggi affrontando ovunque poverta’, violenze e discriminazione raziale.
Secondo le valutazioni, sul territorio della Serbia esistono oltre 100 villaggi rom in pessime condizioni igieniche. Secondo il censimento del 2002, in Serbia ci sono circa 110.000 rom, ma secondo le valutazioni degli esperti ce ne sono tra 400.000 e 700.000. Ad esempio, ci sono molti rom in Kursumija che e’ una delle citta’ piu’ povere della Serbia. Questi rom dichiarano di avere una vita molto difficile, non hanno ne’ soldi ne’ cibo, sono senza lavoro e non possono educare i figli. Uno di questi, padre di una famiglia di nove bambini racconta di ricevere un minimo di aiuto dallo Stato ed e’ costretto a chiedere l’elemosina per poter comprare il pane. Questo e’ il destino del maggior numero dei rom in Kursumija. Come segno di sostegno, in occasione della Giornata dei Rom, il Ministero per i diritti umani e di minoranze ha dirstribuito 40 computer portatili ai migliori allievi di nazionalita’ rom. Milan Rakic, 18 anni, di Krusevac ha dichiarato a tal proposito che questo gli significa molto “poiche’ dimostra che valgo qualcosa, mi fa crescere la fede in me stesso e mi fa credere in un futuro migliore”. In Serbia, nel 2002 ai rom e’ stato riconosciuto lo status di minoranza nazionale il che ha contribuito a migliorare la loro situazione istituzionale. In realta’ pero’ a causa di distanza etnica e un’aiuto insufficiente dello Stato, lo status dei rom non e’ migliorato notevolmente. Da ricordare anche che cinque anni fa e’ stata stabilito il cosidetto “Primo decennio” dei Rom (2005-2015) promosso da 8 paesi dell’Europa sudorientale. Questo decennio dovrebbe rappresentare un obbligo politico dei paesi firmatari di effettuare, a livello nazionale, i programmi e le riforme con l’obbiettivo di migliorare la posizione dei rom. Come settori prioritari questi paesi si sono posti l’educazione, sanita’, occupazione e abitazione. Serbia e Croazia fanno parte di questa iniziativa.
Negli ultimi anni e’ stato fatto molto per il miglioramento delle condizioni di vita dei rom in Croazia, ha detto la premier croata Jadranka Kosor, in occasione della Giornata mondiale dei Rom. E’ stata anche un’occasione questa per ricevere i membri della Commissione per seguire l’attuazione del Programma nazionale per i rom. Kosor ha sottolineato che la Croazia ha notevolmente aumentato i fondi per il miglioremanto delle condizioni di vita di questa minoranza. Nel 2005 a tal proposito il Governo croato ha stanziato soltanto 2,7 milioni di kune, mentre l’anno scorso perfino 38 milioni di kune. In effetti, il Governo croato nel periodo stabilito come Decennio dei rom, dal 2005 al 2015, in quanto parte del Programma nazionale per i rom sta’ effettuando il piano di azione per l’inserimento dei rom nella vita sociale. La premier croata ha rilevato che l’educazione dei bambini rom e’ una delle condizioni del miglioramento della vita della comunita’ rom in Croazia e ha constatato che e’ stato aumentato notevolmente il numero degli stipendi per l’educazione nelle scuole medie dei bambini rom. Anche il presidente croato Ivo Josipovic ricevendo nel suo Ufficio i membri delle associazioni rom ha espresso speranza che la Croazia ogni anno avra’ sempre migliori rapporti relativi alla situazione dei rom.
Il numero di rom che oggi vivono in Croazia si puo’ solo suporre. Secondo il censimento del 2001, sono stati registrati soltanto 9.463 rom, ma il loro numero reale e’ molto maggiore. L’Ufficio del governo per le minoranze nazionali valuta che in Croazia vivono tra 30.000 e 40.000 rom. C’e’ da sottolineare che in Croazia la comunita’ rom ha il suo rappresentante in Parlamento. Secondo le valutazioni del parlamentare Nazif Memedi in Croazia ci sono oltre 40.000 rom. Molti di loro si dichiarano come macedoni o albanesi, dipendentemente dal paese dal quale si sono trasferiti. In Croazia il maggior numero vive nella contea di Medjimurje. Nuovi e recenti sondaggi sullo status dei rom in Croazia, sulla percentualita’ dei bambini inclusi nell’educazione elementare obbligatoria, sulla percentuale di quelli che hanno un lavoro fisso nonche’ sul livello di tutela sanitaria e status sociale dei rom, non ci sono ancora. L’ultimo sondaggio di questo tipo e’ stato effettuato nel 2002 il quale ha mostrato uno status molto precario di occupazione sociale ed educativa dei rom e soprattutto una posizione molto difficile e senza diritti delle donne rom. Anche se proprio il Programma nazionale del governo per i rom prevede come una delle priorita’ l’inserimento dei bambini rom nelle scuole e la sopressione della loro segregazione, e’ proprio la segregazione dei rom nelle scuole elementari croate uno dei problemi maggiori. C’e’ da aggiungere che lo scorso marzo, la Corte europea per i diritti umani ha inflitto una sentenza contro la Croazia a causa della segregazione di 15 bambini rom in quattro scuole elementari a Medjimurje. La sentenza riguarda la situazione del 2000 quando nelle scuole di questa contea i bambini rom erano tenuti in classi separate perche’ non conoscevano sufficientemente la lingua croata.
L’avvocato Lovorka Kusan e il Centro europeo per i diritti di rom hanno fatto causa contro lo Stato croato perche’ con la segregazione dei bambini rom viola i loro diritti umani e di minoranze. Davanti alle corti croate, ivi compresa la Corte costituzionale avevano perso tutti i processi. Ma il diritto alla soddisfazione e’ arrivato quest’anno dalla Corte europea per i diritti umani. Secondo questa sentenza la Croazia deve pagare a questi bambini che oggi sono magiorenni una riparazione di 4.000 euro. La sentenza obbliga le autorita’ croate a intraprendere le misure che serviranno ad ostacolare queste e simili violazioni di diritti umani e di minoranze nel futuro. Anche se la sentenza e’ relativa alla situazione di dieci anni fa, l’avvocato Lovorka Kusan avverte che la situazione attuale, per quanto riguarda la segregazione dei bambini rom nelle scuole elementari, e’ ancora peggiore rispetto al 2000. Kusan afferma che dieci anni fa, in Croazia c’erano 28 classi separate per i bambini rom, mentre oggi ce ne sono addirittura 67. E’ vero che l’aumento del numero di classi separate e’ parzialmente conseguenza di una larga azione per il maggiore inserimento dei bambini rom nel sistema scolastico, ma lo Stato – afferma l’avvocato – deve impegnarsi di piu’ affinche’ i bambini rom possano imparare la lingua croata e seguire l’insegnamento con i bambini della popolazione maggioritaria.
(*) Corrispondente di Radio Radicale. Il testo è la trascrizione della corrispondenza per lo Speciale di Passaggio a Sud Est andato in aonda mercoledì 25 agosto e dedicato alla condizione dei Rom nei Balcani
giovedì 26 agosto 2010
SHUTKA, LA CITTA' DEI ROM
Suto Orizari, che tutti abbreviano in Shutka, è un quartiere della periferia di Skopje, capitale della Macedonia. Qui esiste la prima e per ora unica municipalità rom ufficialmente riconosciuta del mondo. In seguito al terremoto che nel 1963 distrusse Skopje, i rom che da secoli vivevano nel quartiere di Topana furono trasferiti in questa zona lontano dal centro e qui rimasero. Nel 1996 il governo macedone riconobbe ufficialmente la municipalità rom che da allora ha accolto migliaia di persone. Oggi sono ottantamila.
Di Shutka e della sua realtà ha scritto Pietro Del Re su Repubblica del 21 agosto scorso.
"La terra promessa dei rom sorge tra un cimitero e una discarica, ha richiamato già ottantamila nomadi e perciò è entrata nella storia di quel popolo come il suo insediamento più affollato. Salvo poche baracche di lamiere, che servono agli ultimi arrivati, tutti possiedono case in muratura, con elettricità e acqua corrente. Degli ottantamila, la metà vive al di sotto della soglia della povertà, il 90 per cento è analfabeta e il 95 per cento disoccupato. Sono percentuali da quarto mondo: eppure in questo paesino percepisci ovunque l'orgoglio di chi intende dare finalmente una patria a una nazione da sempre sparpagliata. Così, quella che fino a pochi anni fa era la periferia più povera di Skopje, capitale della Macedonia, è diventato il primo comune rom della storia. Un ghetto? "Sì, ma un ghetto urbanizzato", ci dice Erduan Iseini, sindaco di Suto Orizari, che tutti abbreviano in Shutka. "Abbiamo infranto il luogo comune che ci vuole randagi, mendicanti e ladri. Soprattutto, abbiamo dimostrato che siamo capaci di vivere in una società moderna e democratica".
Inizia così il reportage di Del Re che poi spiega che a Shutka i rom usano il loro alfabeto e che il romanes, il loro antico idioma, è diventato lingua ufficiale. Ci sono due televisioni, un giornale e una stazione di polizia. Tra i rom di Shutka ci sono quelli fuggiti dalla Serbia, altri dal Kosovo, altri ancora dalla Bulgaria e quelli cacciati dai paesi dall'Europa ricca. "Se non fosse per la carnagione color tabacco dei suoi abitanti e per i cumuli d'immondizie che colonizzano le strade - scrive ancora Del Re - Shutka sembrerebbe una qualsiasi cittadina balcanica". Ci sono una pasticceria, un fornaio ed una macelleria che però non vende carne di maiale perché la maggior parte dei rom macedoni è musulmana. Naturalmente c'è anche un Internet caffè, mentre alle porte della cittadina un mercato espone merci di contrabbando per lo più fabbricate in Cina che consente ad ogni famiglia di sopravvivere con i suoi piccoli commerci.
"Hai l'impressione che gli abitanti di Shutka godano di ogni diritto", scrive Del Re che però scrive anche dei tanti problemi della comunità. Lo sviluppo è stato troppo rapido, Shutka "è diventata una piccola città troppo in fretta", dice il sindaco. La sovrappopolazione unita alla mancanza di lavoro "ha prodotto una povertà fisica e morale, mancano i soldi per garantire una casa a tutti, un liceo ai nostri figli, un letto d'ospedale ai nostri padri". Il budget cittadino non raggiunge i 40 mila euro, non c'è una biblioteca e solo una decina di rom frequenta l'università di Skopje, ma la delinquenza è più bassa che a Parigi o Londra e le moschee sono sempre piene, come spiega Nezdet Mustafa, laureato in filosofia e in scienze politiche, che dopo esser stato il primo sindaco di Shutka da anni è l'unico deputato rom al parlamento macedone e si dice convinto che prima o poi convincerà i suoi colleghi deputati a garantire la raccolta dei rifiuti e un'assistenza sanitaria adeguata ai bisogni della popolazione. Il problema è anche quello dell'istruzione: Klara Mischel Ilieva, responsabile della sede locale della Caritas tedesca, ritiene che tutto dipenda dall'educazione che riceveranno i loro bambini: "Bisogna puntare su di loro. Al momento, nelle scuole di Shutka ci sono cinquemila alunni, ma le antiche tradizioni spesso si scontrano con la modernità. Molte ragazzine, per esempio, vengono tolte dagli studi quando sono giovanissime, per essere date in sposa".
"Nei giorni in cui la Francia ha avviato un controverso programma di espulsione di rom - conclude Del Re - c'è da chiedersi se il modello Shutka sia esportabile altrove. Sì, dice Nezdet Mustafa, "a condizione che ci sia la volontà di integrare i rom e di liberarsi dei pregiudizi che li hanno sempre accompagnati". Più utopistica è la risposta dell'attuale sindaco: "Vorrei che i rom venissero tutti a Shutka, perché nel resto d'Europa sono considerati un popolo inferiore e pericoloso che genera soltanto criminali, prostitute e tossicodipendenti". Quanto meno, qui godrebbero del rispetto che si meritano".
Di Shutka e della sua realtà ha scritto Pietro Del Re su Repubblica del 21 agosto scorso.
"La terra promessa dei rom sorge tra un cimitero e una discarica, ha richiamato già ottantamila nomadi e perciò è entrata nella storia di quel popolo come il suo insediamento più affollato. Salvo poche baracche di lamiere, che servono agli ultimi arrivati, tutti possiedono case in muratura, con elettricità e acqua corrente. Degli ottantamila, la metà vive al di sotto della soglia della povertà, il 90 per cento è analfabeta e il 95 per cento disoccupato. Sono percentuali da quarto mondo: eppure in questo paesino percepisci ovunque l'orgoglio di chi intende dare finalmente una patria a una nazione da sempre sparpagliata. Così, quella che fino a pochi anni fa era la periferia più povera di Skopje, capitale della Macedonia, è diventato il primo comune rom della storia. Un ghetto? "Sì, ma un ghetto urbanizzato", ci dice Erduan Iseini, sindaco di Suto Orizari, che tutti abbreviano in Shutka. "Abbiamo infranto il luogo comune che ci vuole randagi, mendicanti e ladri. Soprattutto, abbiamo dimostrato che siamo capaci di vivere in una società moderna e democratica".
Inizia così il reportage di Del Re che poi spiega che a Shutka i rom usano il loro alfabeto e che il romanes, il loro antico idioma, è diventato lingua ufficiale. Ci sono due televisioni, un giornale e una stazione di polizia. Tra i rom di Shutka ci sono quelli fuggiti dalla Serbia, altri dal Kosovo, altri ancora dalla Bulgaria e quelli cacciati dai paesi dall'Europa ricca. "Se non fosse per la carnagione color tabacco dei suoi abitanti e per i cumuli d'immondizie che colonizzano le strade - scrive ancora Del Re - Shutka sembrerebbe una qualsiasi cittadina balcanica". Ci sono una pasticceria, un fornaio ed una macelleria che però non vende carne di maiale perché la maggior parte dei rom macedoni è musulmana. Naturalmente c'è anche un Internet caffè, mentre alle porte della cittadina un mercato espone merci di contrabbando per lo più fabbricate in Cina che consente ad ogni famiglia di sopravvivere con i suoi piccoli commerci.
"Hai l'impressione che gli abitanti di Shutka godano di ogni diritto", scrive Del Re che però scrive anche dei tanti problemi della comunità. Lo sviluppo è stato troppo rapido, Shutka "è diventata una piccola città troppo in fretta", dice il sindaco. La sovrappopolazione unita alla mancanza di lavoro "ha prodotto una povertà fisica e morale, mancano i soldi per garantire una casa a tutti, un liceo ai nostri figli, un letto d'ospedale ai nostri padri". Il budget cittadino non raggiunge i 40 mila euro, non c'è una biblioteca e solo una decina di rom frequenta l'università di Skopje, ma la delinquenza è più bassa che a Parigi o Londra e le moschee sono sempre piene, come spiega Nezdet Mustafa, laureato in filosofia e in scienze politiche, che dopo esser stato il primo sindaco di Shutka da anni è l'unico deputato rom al parlamento macedone e si dice convinto che prima o poi convincerà i suoi colleghi deputati a garantire la raccolta dei rifiuti e un'assistenza sanitaria adeguata ai bisogni della popolazione. Il problema è anche quello dell'istruzione: Klara Mischel Ilieva, responsabile della sede locale della Caritas tedesca, ritiene che tutto dipenda dall'educazione che riceveranno i loro bambini: "Bisogna puntare su di loro. Al momento, nelle scuole di Shutka ci sono cinquemila alunni, ma le antiche tradizioni spesso si scontrano con la modernità. Molte ragazzine, per esempio, vengono tolte dagli studi quando sono giovanissime, per essere date in sposa".
"Nei giorni in cui la Francia ha avviato un controverso programma di espulsione di rom - conclude Del Re - c'è da chiedersi se il modello Shutka sia esportabile altrove. Sì, dice Nezdet Mustafa, "a condizione che ci sia la volontà di integrare i rom e di liberarsi dei pregiudizi che li hanno sempre accompagnati". Più utopistica è la risposta dell'attuale sindaco: "Vorrei che i rom venissero tutti a Shutka, perché nel resto d'Europa sono considerati un popolo inferiore e pericoloso che genera soltanto criminali, prostitute e tossicodipendenti". Quanto meno, qui godrebbero del rispetto che si meritano".
mercoledì 25 agosto 2010
PASSAGGIO SPECIALE
La condizione dei Rom nei Balcani
Lo Speciale di Passaggio a Sud Est in onda questa sera alle 23,30 a Radio Radicale si occupa della situazione dei rom dei Balcani. Nei giorni in cui la Francia ha avviato il suo controverso piano di espulsione "volontaria" dei rom, e in cui il ministro degli Interni, Roberto Maroni, annuncia anche da noi un giro di vite repressivo, facciamo una sintetica panoramica sulle condizioni di vita dei Rom in Croazia, Serbia, Bosnia, Albania, Kosovo e Macedonia.
La registrazione dello Speciale è disponibile sul sito di Radio Radicale oppure direttamente qui
Il popolo Rom è uno dei principali gruppi etnici della popolazione di lingua romanì, che si presume essere originaria dell'India del Nord. Come per la storia delle origini delle popolazioni di lingua romanì, anche l'origine del termine Rom è oggetto di discussione tra gli studiosi. I Rom propriamente detti sono un gruppo etnico che vive principalmente in Europa, distribuito in una galassia di minoranze presenti soprattutto nei Balcani, in Europa centrale e in Europa orientale.
I Rom non sempre si definiscono così, perché si identificano con la patria d'immediata origine: è questo il caso soprattutto dei rom della Romania presenti e radicati nel paese da diversi secoli. In Italia si fa spesso confusione e i Rom vengono definiti "romeni" o "slavi". In realtà non c'è relazione tra il termine "Rom" e il nome dello stato della Romania, o con il popolo dei romeni o con la lingua rumena che è una lingua neo-latina. Gli slavi poi appartengono a differenti gruppi etnici e linguistici.
Secondo le stime nel mondo ci sono tra i 12 e i 15 milioni di Rom. Il numero ufficiale di rom in molti paesi è i certo anche perché molti di loro rifiutano di farsi registrare come di etnia rom per timore di subire discriminazioni. La discriminazione e la persecuzione è infatti un dato costante della storia dei Rom che nel corso dei secoli hanno subito la riduzione in schiavitù, la deportazione e lo sterminio.
La loro storia è strettamente legata alla diffidenza verso di loro comparsa fin dal loro primo apparire in Europa nel Medioevo. Gli “zingari” sono stati definiti “stranieri pericolosi”, sono stati accusati di spionaggio, di stregoneria, di rapimento di bambini, di rifiutare di lavorare per la loro “predisposizione al furto”. Le credenze popolari basate su pregiudizi e luoghi comuni, avallati dai mezzi di comunicazione di massa, sfruttati dai politici, hanno contribuito ad aggravare la discriminazione nei confronti dei rom. La storia dei Rom e dei Sinti è una storia di persecuzioni che va dalle discriminazioni quotidiane all'emarginazione razzista, dall'eliminazione fisica fino al genocidio sistematico, come quello messo in atto dal nazismo. La parola Porajmos o Porrajmos (che in lingua romaní significa «devastazione» o anche «grande divoramento»), oppure il termine Samudaripen (che significa «genocidio») indicano lo sterminio delle popolazioni rom.
Lo sterminio nazista distrusse la gran parte delle organizzazioni sociali preesistenti tra i gruppi Rom e Sinti dell'Europa centrale ed orientale ed i sopravvissuti, a causa del trauma subito, non riuscirono a ristabilire una nuova identità Rom. La politica di assimilazione forzata dei paesi ex socialisti contribuì a mettere fine al carattere nomadico delle popolazioni rom ed alla struttura sociale che ne conseguiva. La tradizionale struttura sociale dei Rom si è così preservata solo presso alcuni piccoli gruppi.
Anche dal punto di vista della religione i rom non hanno una propria religione ma adottano la religione delle popolazioni fra cui vivono, perché considerano la religione come un elemento culturale da acquisire per realizzare una buona integrazione sociale. E' interessante notare che nella tradizione Rom il rispetto tra le persone e i gruppi, compresi i gruppi religiosi, è più importante che l'ideologia religiosa stessa. Nei Balcani la maggioranza dei rom è cristiana-ortodossa, ma ci sono anche Rom musulmani come quelli del Kosovo e della Bosnia.
Per quanto riguarda l'attuale situazione dei Rom dei Balcani bisogna dire prima di tutto che allo scoppio delle guerre jugoslave, all'inizio degli anni '90, molti Rom si trovavano sul territorio di altri paesi europei. Altri invece sono emigrati successivamente per fuggire dalla guerra e alle persecuzioni etniche, venendosi così a trovare di fatto nella condizione di essere di fatto degli apolidi. In molti casi le autorità dei paesi ospitanti non hanno tutelato questa condizione così come stabilito dalla convenzione di Ginevra. In Italia, per esempio, molti sono stati obbligati a fornire un certificato anagrafica del proprio paese. Una richiesta impossibile da rispettare sia per la distruzione dei registri anagrafici di molte località colpite dalla guerra in Bosnia e in Kosovo, sia perché si trattava di rom nati nel nostro Paese.
Lo Speciale di Passaggio a Sud Est di Radio Radicale è realizzato con la collaborazione di Marina Szikora e Artur Nura
Lo Speciale di Passaggio a Sud Est in onda questa sera alle 23,30 a Radio Radicale si occupa della situazione dei rom dei Balcani. Nei giorni in cui la Francia ha avviato il suo controverso piano di espulsione "volontaria" dei rom, e in cui il ministro degli Interni, Roberto Maroni, annuncia anche da noi un giro di vite repressivo, facciamo una sintetica panoramica sulle condizioni di vita dei Rom in Croazia, Serbia, Bosnia, Albania, Kosovo e Macedonia.
La registrazione dello Speciale è disponibile sul sito di Radio Radicale oppure direttamente qui
Shutka, Macedonia: prima municipalità rom riconosciuta |
Il popolo Rom è uno dei principali gruppi etnici della popolazione di lingua romanì, che si presume essere originaria dell'India del Nord. Come per la storia delle origini delle popolazioni di lingua romanì, anche l'origine del termine Rom è oggetto di discussione tra gli studiosi. I Rom propriamente detti sono un gruppo etnico che vive principalmente in Europa, distribuito in una galassia di minoranze presenti soprattutto nei Balcani, in Europa centrale e in Europa orientale.
I Rom non sempre si definiscono così, perché si identificano con la patria d'immediata origine: è questo il caso soprattutto dei rom della Romania presenti e radicati nel paese da diversi secoli. In Italia si fa spesso confusione e i Rom vengono definiti "romeni" o "slavi". In realtà non c'è relazione tra il termine "Rom" e il nome dello stato della Romania, o con il popolo dei romeni o con la lingua rumena che è una lingua neo-latina. Gli slavi poi appartengono a differenti gruppi etnici e linguistici.
Secondo le stime nel mondo ci sono tra i 12 e i 15 milioni di Rom. Il numero ufficiale di rom in molti paesi è i certo anche perché molti di loro rifiutano di farsi registrare come di etnia rom per timore di subire discriminazioni. La discriminazione e la persecuzione è infatti un dato costante della storia dei Rom che nel corso dei secoli hanno subito la riduzione in schiavitù, la deportazione e lo sterminio.
La loro storia è strettamente legata alla diffidenza verso di loro comparsa fin dal loro primo apparire in Europa nel Medioevo. Gli “zingari” sono stati definiti “stranieri pericolosi”, sono stati accusati di spionaggio, di stregoneria, di rapimento di bambini, di rifiutare di lavorare per la loro “predisposizione al furto”. Le credenze popolari basate su pregiudizi e luoghi comuni, avallati dai mezzi di comunicazione di massa, sfruttati dai politici, hanno contribuito ad aggravare la discriminazione nei confronti dei rom. La storia dei Rom e dei Sinti è una storia di persecuzioni che va dalle discriminazioni quotidiane all'emarginazione razzista, dall'eliminazione fisica fino al genocidio sistematico, come quello messo in atto dal nazismo. La parola Porajmos o Porrajmos (che in lingua romaní significa «devastazione» o anche «grande divoramento»), oppure il termine Samudaripen (che significa «genocidio») indicano lo sterminio delle popolazioni rom.
Lo sterminio nazista distrusse la gran parte delle organizzazioni sociali preesistenti tra i gruppi Rom e Sinti dell'Europa centrale ed orientale ed i sopravvissuti, a causa del trauma subito, non riuscirono a ristabilire una nuova identità Rom. La politica di assimilazione forzata dei paesi ex socialisti contribuì a mettere fine al carattere nomadico delle popolazioni rom ed alla struttura sociale che ne conseguiva. La tradizionale struttura sociale dei Rom si è così preservata solo presso alcuni piccoli gruppi.
Anche dal punto di vista della religione i rom non hanno una propria religione ma adottano la religione delle popolazioni fra cui vivono, perché considerano la religione come un elemento culturale da acquisire per realizzare una buona integrazione sociale. E' interessante notare che nella tradizione Rom il rispetto tra le persone e i gruppi, compresi i gruppi religiosi, è più importante che l'ideologia religiosa stessa. Nei Balcani la maggioranza dei rom è cristiana-ortodossa, ma ci sono anche Rom musulmani come quelli del Kosovo e della Bosnia.
Per quanto riguarda l'attuale situazione dei Rom dei Balcani bisogna dire prima di tutto che allo scoppio delle guerre jugoslave, all'inizio degli anni '90, molti Rom si trovavano sul territorio di altri paesi europei. Altri invece sono emigrati successivamente per fuggire dalla guerra e alle persecuzioni etniche, venendosi così a trovare di fatto nella condizione di essere di fatto degli apolidi. In molti casi le autorità dei paesi ospitanti non hanno tutelato questa condizione così come stabilito dalla convenzione di Ginevra. In Italia, per esempio, molti sono stati obbligati a fornire un certificato anagrafica del proprio paese. Una richiesta impossibile da rispettare sia per la distruzione dei registri anagrafici di molte località colpite dalla guerra in Bosnia e in Kosovo, sia perché si trattava di rom nati nel nostro Paese.
Lo Speciale di Passaggio a Sud Est di Radio Radicale è realizzato con la collaborazione di Marina Szikora e Artur Nura
CONFINI E FRONTIERE
Attraverso gli amici del Balkan Crew ho scoperto un sito singolare e interessante Confini Amministrativi
E' una raccolta di immagini di luoghi di confine, contemporanei e del passato, da tutto il mondo. Nella presentazione del sito si legge: "Nei confini si incontrano (o si scontrano) le culture, le lingue, i diritti e le vicende degli stati. Alcuni confini sono difficili da superare o anche da vedere, perché scaturiscono da profonde diversità o da passioni ideologiche estreme. Ma ci sono anche confini quasi invisibili, perché dopo tante guerre sanguinose in quei posti finalmente si è imparato a convivere fraternamente".
Visto che questo blog parla di un'area che con confini e frontiere (fisiche, politiche e mentali) ha una certa pratica, mi sembra utile segnalarlo. Anche perché il nonno dell'autore (che è italiano, ha 47 anni e una moglie estone) nacque nel 1912 in un paese delle Alpi Giulie che si chiamava Heidenshaft e all’epoca apparteneva all’impero austro-ungarico. Quando vi nacque la madre dell'autoredel sito, nel 1941, il paese era diventato italiano ed era stato ribattezzato Aidussina. Poi dal 1947 quello stesso paese divenne Iugoslavo e dal 1991 sloveno e sichiama Ajdovscina.
E' una raccolta di immagini di luoghi di confine, contemporanei e del passato, da tutto il mondo. Nella presentazione del sito si legge: "Nei confini si incontrano (o si scontrano) le culture, le lingue, i diritti e le vicende degli stati. Alcuni confini sono difficili da superare o anche da vedere, perché scaturiscono da profonde diversità o da passioni ideologiche estreme. Ma ci sono anche confini quasi invisibili, perché dopo tante guerre sanguinose in quei posti finalmente si è imparato a convivere fraternamente".
Visto che questo blog parla di un'area che con confini e frontiere (fisiche, politiche e mentali) ha una certa pratica, mi sembra utile segnalarlo. Anche perché il nonno dell'autore (che è italiano, ha 47 anni e una moglie estone) nacque nel 1912 in un paese delle Alpi Giulie che si chiamava Heidenshaft e all’epoca apparteneva all’impero austro-ungarico. Quando vi nacque la madre dell'autoredel sito, nel 1941, il paese era diventato italiano ed era stato ribattezzato Aidussina. Poi dal 1947 quello stesso paese divenne Iugoslavo e dal 1991 sloveno e sichiama Ajdovscina.
martedì 24 agosto 2010
LA PIAGA DELLA CORRUZIONE NEI BALCANI
Che fare?
Le contromisure possibili sono molte e tutte valide: svincolare il sistema giudiziario dal controllo politico, dare maggior trasparenza a tutti settori del governo, applicare rigidi controlli sul finanziamento dei partiti politici, così come sulle aziende statali e sugli appalti pubblici, rafforzare le agenzie anti-corruzione, adottare leggi adeguate, aumentare gli stipendi di coloro che per il loro ruolo possono essere maggiormente vulnerabili alla corruzione, addestrare la polizia e formare unità investigative specializzate. Inoltre, gli stessi organi di informazione dovrebbero porre fine alla corruzione interna e indagare a fondo anche sui più rilevanti casi di corruzione in modo da aumentare la consapevolezza dell'opinione pubblica.
Da Belgrado, Bucarest, Pristina, Tirana, Skopje, Sarajevo, Sofia, Zagabria e Podgorica le autorità promettono impegno, determinazione e "tolleranza zero" contro corruzione e crimine organizzato, ma manca una reale volontà politica, accompagnata da una generale apatia dei cittadini, da una scarsa consdapevolezza dei propri diritti e delle possibilità di farli valere incidendo sulle decisioni di politici e amministratori locali. Bruxelles non sembra affatto soddisfatta e minaccia di rallentare o congelare il processo di adesione all'Unione Europea.
Balkan Insight ha realizzato una lunga e approfondita indagine che si consiglia vivamente alla lettura e che potete trovare nella traduzione in italiano suol sito di Osservatorio Balcani e Caucaso.
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PASSAGGIO IN ONDA
La puntata di Passaggio a Sud Est del 21 agosto a Radio Radicale
Il tema centrale della trasmissione è il Kosovo: dopo il parere della Corte internazionale di giustizia sull'indipendenza, Belgrado e Pristina si preparano alla "battaglia" diplomatica di settembre all'Assemblea generale dell'Onu. Belgrado ha depositato una bozza di risoluzione irritando Bruxelles che avrebbe preferito un testo co-firmato da Ue e Serbia e ribadisce che non intende in alcun modo accettare la secessione della sua ex provincia. Pristina, forte del parere della Icj, cerca nuovi riconoscimenti internazionali per arrivare a ottenere un seggio all'Onu. Intanto la questione kosovara viene sfruttata in Bosnia nella campagna elettorale per le elezioni generali di ottobre.
L'apertura del programma è dedicata alla Turchia: Washington e Ankara hanno smentito gli attriti a causa del sostegno turco all'Iran e degli attacchi a Israele. La Turchia sembra allontanarsi sempre più dell'Occidente e dall'Ue: l'opinione di Emma Bonino.
Il Tribunale internazionale per l'ex Jugoslavia mette sotto inchiesta Carla Del Ponte: l'ex procuratrice è accusata di aver estorto testimonianze con minacce, violenze psicologiche e corruzione.
Croazia: il presidente croato Ivo Josipovic interviene sull'adesione all'Ue del suo Paese: "Dobbiamo sapere cosa vogliamo e agire fermamente".
La trasmissione è stata realizzata con la collaborazione di Marina Szikora e Artur Nura ed è disponibile sul sito di Radio Radicale nella sezione delle Rubriche oppure direttamente qui
Il tema centrale della trasmissione è il Kosovo: dopo il parere della Corte internazionale di giustizia sull'indipendenza, Belgrado e Pristina si preparano alla "battaglia" diplomatica di settembre all'Assemblea generale dell'Onu. Belgrado ha depositato una bozza di risoluzione irritando Bruxelles che avrebbe preferito un testo co-firmato da Ue e Serbia e ribadisce che non intende in alcun modo accettare la secessione della sua ex provincia. Pristina, forte del parere della Icj, cerca nuovi riconoscimenti internazionali per arrivare a ottenere un seggio all'Onu. Intanto la questione kosovara viene sfruttata in Bosnia nella campagna elettorale per le elezioni generali di ottobre.
L'apertura del programma è dedicata alla Turchia: Washington e Ankara hanno smentito gli attriti a causa del sostegno turco all'Iran e degli attacchi a Israele. La Turchia sembra allontanarsi sempre più dell'Occidente e dall'Ue: l'opinione di Emma Bonino.
Il Tribunale internazionale per l'ex Jugoslavia mette sotto inchiesta Carla Del Ponte: l'ex procuratrice è accusata di aver estorto testimonianze con minacce, violenze psicologiche e corruzione.
Croazia: il presidente croato Ivo Josipovic interviene sull'adesione all'Ue del suo Paese: "Dobbiamo sapere cosa vogliamo e agire fermamente".
La trasmissione è stata realizzata con la collaborazione di Marina Szikora e Artur Nura ed è disponibile sul sito di Radio Radicale nella sezione delle Rubriche oppure direttamente qui
domenica 22 agosto 2010
DEL PONTE: "HO LA COSCIENZA A POSTO. L'INCHIESTA SU DI ME E' UN'ASSURDITA'"
La sede del Tribunale internazionale per l'ex Jugoslavia all'Aja |
La decisione di aprire un'inchiesta a carico dell'ex procuratore capo è stata presa lo scorso 29 giugno dal giudice Jean-Claude Antonetti, ma è stata rivelata questa settimana dal quotidiano britannico "The Guardian". Il fascicolo è stato aperto sulla bese delle accuse rivolte alla Del Ponte dal leader del Partito radicale serbo, l'ultranazionalista Vojislav Seselj, sotto processo all'Aja per crimini di guerra e crimini contro l'umanità, secondo il quale certi testimoni avrebbero parlato di "privazione del sonno nel corso degli interrogatori, pressioni psicologiche, ricatto, minacce o versamenti finanziari illegali".
L'indagine, che sarà condotta da un giudice indipendente, dovrà "indagare su eventuali intimidazioni o pressioni, anche indirette, esercitate da certi inquirenti dell'accusa", come si legge nella decisione del giudice Antonetti, pubblicata sul sito internet dell'Icty e dovrà inoltre appuraree se esistono "motivi sufficienti" per avviare una procedura per oltraggio.
L'atto del Tribunale internazionale per l'ex Jugoslavia
venerdì 20 agosto 2010
KOSOVO: NEI BALCANI SI PREPARA UN AUTUNNO CALDO
Belgrado e Pristina affilano le armi (politico-diplomatiche, per fortuna) in vista dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite che a settembre dovrà discutere e adottare una risoluzione sulla questione del Kosovo dopo il parere con cui la Corte internazionale di giustizia dell'Onu lo scorso 22 luglio ha affermato che la dichiarazione di indipendenza del 17 febbraio 2008 "non è contraria al Diritto internazionale". Un parere non vincolante, ma che consente a Pristina di rilanciare la ricerca di nuovi riconoscimenti internazionali con l'obiettivo finale di ottenere un seggio al Palazzo di vetro, cosa che chiuderebbe definitivamente le speranze della Serbia di riaprire la questione dello status della sua ex provincia. La discussione all'Assemblea generale si preannuncia quindi tutt'altro che tranquilla, non solo perché Belgrado non intende cedere sul riconoscimento dell'indipendenza, ma anche perché l'Ue non ha gradito per niente l'iniziativa della Serbia di depositare all'Onu la propria bozza di risoluzione senza alcuna consultazione con Bruxelles che aveva proposto di redigere e sottoscrivere insieme il testo. E' il caso di ricordare che 5 dei 27 Paesi membri dell'Ue, tra cui Spagna e Grecia, non hanno riconosciuto l'indipendenza kosovara e al momento non sembrano intenzionati a farlo.
A complicare le cose viene ora la notizia di una "contro dichiarazione" di indipendenza dei territori a maggioranza serba nel nord del Kosovo inviata due giorni fa a radio Kim, la principale emittente dei serbi del Kosovo, da parte di una non meglio definita "Alleanza delle municipalità delle province autonome del Kosovo e Metohija". L'iniziativa non è stata accolta nel migliore dei modi a Belgrado. Il ministro serbo per il Kosovo, Goran Bogdanovic, si è affettato a condannarla come "il lavoro di qualche persona irresponsabile" invitando i serbo-kosovari a "non cedere alle provocazioni". Nella provocazione sembra essere caduto invece il ministro degli Interni di Pristina, Bairam Rexepi, che, intervistato dal quotidiano serbo Danas, ha dichiarato che "la Comunità internazionale è stata informata dal governo kosovaro albanese che potrebbe essere usata la forza nelle aree serbe del Kosovo". Dichiarazione che ha immediatamente suscitato allarme nelle cancellerie internazionali e che è stata successivamente smentita dallo stesso ministro il quale ha assicurato in una nota di non avere "mai menzionato l'utilizzo di armi nell'intervista".
Intanto il presidente serbo Boris Tadic, come era stato preannunciato dopo il parere della Corte internazionale di giustizia ha spedito 55 "inviati speciali" in altrettanti Paesi per trovare sostegni contro il riconoscimento del Kosovo, mentre il presidente kosovaro, Fatmir Sejdiu, ed il premier Hashim Thaci hanno scritto ai paesi membri delle Nazioni Unite per cercare nuovi riconoscimenti internazionali e invitando a votare contro la risoluzione serba. La quale risoluzione è un altro elemento di tensione. La Serbia, inizialmente, aveva fatto sapere di non essere intenzionata ad accogliere l'invito dell'Ue a modificare il testo in cui propone una riapertura dei negoziati con Pristina "su tutte le questione aperte", incluso, anche se non esplicitamente, lo status del Kosovo. Oggi invece da Belgrado si dice, per bocca del ministro dell'Interno, Ivica Dacic, che la Serbia è "aperta a modificare" il testo della risoluzione presentata all'Assemblea generale delle Nazioni unite. "Per noi era importante che la Serbia depositasse per prima una proposta di testo, poichè la prima depositata è anche la prima che si vota e, se approvata, la seconda bozza di testo non arriva nemmeno alla votazione", ha spiegato Dacic precisando che "vi erano informazioni politiche e di altra natura" che altre parti intendessero depositare un loro testo.
"Siamo pronti a tutto - ha detto Dacic - tranne a che il testo metta un punto sulla questione Kosovo, significando in tal modo che la questione dello status del Kosovo è risolta". Che è invece proprio la questione che per Pristina è definitivamente chiusa. Ci sarà di certo da lavorare nelle prossime settimane per le diplomazie e per gli analisti. Anche perché dalla questione del Kosovo dipende il proseguimento del processo di integrazione europea della Serbia. Una questione che nel Paese comincia a suscitare preoccupazioni in alcune forze politiche come i liberaldemocratici il cui leader, Cedomir Jovanovic, da sempre favorevole all'indipendenza kosovara, chiede una politica diversa sulla questione e offre la propria collaborazione in questa direzione. Dopo un estate piuttosto calda, avremo probabilmente un autunno niente affatto fresco. Anche perché all'inizio di ottobre ci saranno le elezioni generali in Bosnia dove la questione kosovara è seguita con estrema attenzione, soprattutto nella Republika Srpska, e viene quotidianamente sfruttata nella campagna elettorale. Per i Balcani si prepara un autunno caldo.
A complicare le cose viene ora la notizia di una "contro dichiarazione" di indipendenza dei territori a maggioranza serba nel nord del Kosovo inviata due giorni fa a radio Kim, la principale emittente dei serbi del Kosovo, da parte di una non meglio definita "Alleanza delle municipalità delle province autonome del Kosovo e Metohija". L'iniziativa non è stata accolta nel migliore dei modi a Belgrado. Il ministro serbo per il Kosovo, Goran Bogdanovic, si è affettato a condannarla come "il lavoro di qualche persona irresponsabile" invitando i serbo-kosovari a "non cedere alle provocazioni". Nella provocazione sembra essere caduto invece il ministro degli Interni di Pristina, Bairam Rexepi, che, intervistato dal quotidiano serbo Danas, ha dichiarato che "la Comunità internazionale è stata informata dal governo kosovaro albanese che potrebbe essere usata la forza nelle aree serbe del Kosovo". Dichiarazione che ha immediatamente suscitato allarme nelle cancellerie internazionali e che è stata successivamente smentita dallo stesso ministro il quale ha assicurato in una nota di non avere "mai menzionato l'utilizzo di armi nell'intervista".
Intanto il presidente serbo Boris Tadic, come era stato preannunciato dopo il parere della Corte internazionale di giustizia ha spedito 55 "inviati speciali" in altrettanti Paesi per trovare sostegni contro il riconoscimento del Kosovo, mentre il presidente kosovaro, Fatmir Sejdiu, ed il premier Hashim Thaci hanno scritto ai paesi membri delle Nazioni Unite per cercare nuovi riconoscimenti internazionali e invitando a votare contro la risoluzione serba. La quale risoluzione è un altro elemento di tensione. La Serbia, inizialmente, aveva fatto sapere di non essere intenzionata ad accogliere l'invito dell'Ue a modificare il testo in cui propone una riapertura dei negoziati con Pristina "su tutte le questione aperte", incluso, anche se non esplicitamente, lo status del Kosovo. Oggi invece da Belgrado si dice, per bocca del ministro dell'Interno, Ivica Dacic, che la Serbia è "aperta a modificare" il testo della risoluzione presentata all'Assemblea generale delle Nazioni unite. "Per noi era importante che la Serbia depositasse per prima una proposta di testo, poichè la prima depositata è anche la prima che si vota e, se approvata, la seconda bozza di testo non arriva nemmeno alla votazione", ha spiegato Dacic precisando che "vi erano informazioni politiche e di altra natura" che altre parti intendessero depositare un loro testo.
"Siamo pronti a tutto - ha detto Dacic - tranne a che il testo metta un punto sulla questione Kosovo, significando in tal modo che la questione dello status del Kosovo è risolta". Che è invece proprio la questione che per Pristina è definitivamente chiusa. Ci sarà di certo da lavorare nelle prossime settimane per le diplomazie e per gli analisti. Anche perché dalla questione del Kosovo dipende il proseguimento del processo di integrazione europea della Serbia. Una questione che nel Paese comincia a suscitare preoccupazioni in alcune forze politiche come i liberaldemocratici il cui leader, Cedomir Jovanovic, da sempre favorevole all'indipendenza kosovara, chiede una politica diversa sulla questione e offre la propria collaborazione in questa direzione. Dopo un estate piuttosto calda, avremo probabilmente un autunno niente affatto fresco. Anche perché all'inizio di ottobre ci saranno le elezioni generali in Bosnia dove la questione kosovara è seguita con estrema attenzione, soprattutto nella Republika Srpska, e viene quotidianamente sfruttata nella campagna elettorale. Per i Balcani si prepara un autunno caldo.
"TIREREMO MLADIC FUORI DAL SUO BUCO"
Vladimir Vukcevic |
"Il lavoro 24 ore su 24 ha condotto a materiale molto utile: registrazioni di conversazioni telefoniche, i suoi diari" dice Vukcevic facendo riferimento al materiale sequestrato lo scorso febbraio nell'abitazione della moglie di Mladic a Belgrado e spiegando che "era nascosto molto bene" per giustificaro il tardivo ritrovamento. Vukcevic aggiunge inoltre che le ricerche proseguono esattamente nello stesso modo anche per l'ex leader serbo-croato Goran Hadzic, l'altro super ricercato per crimini di guerra ancora in libertà.
Due anni fa, nel luglio del 2008, il terzo grande latitante, l'ex leader politico dei serbo-bosniaci Radovan Karadzic, fu preso a Belgrado, dove viveva sotto una falsa identità.
Nonostante la collaborazione di Belgrado con il Tribunale internazionale per l'ex Jugoslavia sia nettamente migliorata nell'ultimo anno, come certificato dall'attuale procuratore capo Serge Brammertz nei suoi rapporti semestrali all'Onu, la mancata cattura di Mladic e Hadzic - che evidentemente godono ancora di appoggi e coperture - continua a complicare il processo di integrazione europea della Serbia.
DEL PONTE: DA ACCUSATRICE AD ACCUSATA
Carla Del Ponte |
La grande accusatrice di Milosevic e degli altri responsabili delle guerre jugoslave degli anni '90, che ha diretto la procura del Tpi sino al 2007 ed attualmente è ambasciatrice della Svizzera in Argentina, soprannominata "lady di ferro", era fermamente convinta nella necessità di una pressione internazionale sui Paesi dell'ex Jugoslavia per convincerli alla cooperazione con la giustizia internazionale. Un atteggiamento a tratti intransigente (soprattutto nei confronti della Serbia) che più volte le valse la critica di aver politicizzato l'attività del Tpi.
"Alcuni testimoni hanno riferito di pressioni e intimidazioni a cui sono stati sottoposti da parte degli investigatori della procura" ha dichiarato Antonetti facendo riferimento a dichiarazioni dei testimoni che parlano di privazioni del sonno durante gli interrogatori, pressioni psicologiche, ricatto, minacce e persino versamenti illegali di denaro. L'inchiesta oltre la Del Ponte riguarda due importanti collaboratori della ex procuratrice, Hildegart Urtz-Retzlaff e Daniel Saxon.
Sembra il mondo alla rovescia: l'accusatore che finisce sul banco degli accusati. Invece è solo lo stato di diritto ed è giusto che sia così. Nessuno è al di sopra della legge e tutti hanno diritto ad un processo equo nel quale potersi difendere usando tutti i mezzi previsti dalla legge. Anche i peggiori criminali. Un diritto che non è stato concesso ai morti ammazzati, alle donne stuprate, alle centinaia di migliaia di vittime della follia nazionalista dei criminali che hanno insanguinato i Balcani negli anni '90.
giovedì 19 agosto 2010
LA CROAZIA TRA INTEGRAZIONE EUROPEA, CRISI ECONOMICA, ELEZIONI E QUALCHE SCANDALO
Di Marina Szikora
Il testo che segue è la trascrizione della corrispondenza per lo Speciale di Passaggio Sud Est andato in onda mercoledì 18 agosto a Radio Radicale
L’annuncio di una sessione straordinaria del parlamento croato a fine mese, per discutere la manovra finanziaria ha provocato nuove e forti divergenze tra la maggioranza governativa e l’opposizione. La presidente del governo croato, Jadranka Kosor in difesa dell’annunciata manovra che dovrebbe far fronte al peggioramento della situazione finanziaria del Paese, ha detto che una delle priorita’ della revisione del bilancio sara’ la tutela della popolazione piu’ debole, in cui ci sono i pensionati, soprattutto quelli con le pensioni basse, mentre “tutto il resto e’ piu’ o meno aperto”. Il piu’ importante di questa manovra che sara’ una base di inizio per elaborare il bilancio del 2011 – ha spiegato la premier - e’ che i pieni e veri effetti della revisione e le decisioni che verranno prese in merito, quali la modifica di certe leggi e il successo dell’attuazione di certe misure della ripresa economica, si dovranno notare nel bilancio per il 2011. Jadranka Kosor ha aggiunto che oltre al bilancio, per la prima volta nella storia della Croazia, verra’ approvata anche la legge sulla responsabilita’ fiscale che obblighera’ questo e qualsiasi prossimo governo croato ad un comportamento diverso e piu’ razionale. Alla domanda se teme l’arrivo dell’autunno e le annunciate protesta, la premier ha rispoto che “i cittadini, i membri di sindacati e gli impiegati nell’amministrazione pubblica e nei servizi pubblici sono consapevoli che laddove il governo e’ il datore di lavoro, c’e’ bisogno di dialogo e che non sarebbe buono se nel futuro si viene a discutere se i salari verrano pagati o no”.
Per quanto riguarda la notizia uscita recentemente nei media che si prevede un calo degli stipendi del dieci percento, il capo del governo croato ha detto che si tratta di riflessioni su tutto quello che potrebbe entrare nella nuova manovra. Dure pero’ le critiche dell’’opposizione socialdemocratica. Il presidente del Partito socialdemocratico, Zoran Milanovic afferma che la manovra della finanziaria di quest’anno annunciata come ordine del giorno di una prossima riunione straordinaria del parlamento croato doveva farsi ben prima e che arriva troppo tardi. Milanovic aggiunge che l’SDP e’ per “le proposte concrete”. “Abbiamo sentito dalla premier che tutto e’ ok., che la finanziaria funziona normalmente. Potrei chiedere – perche’ allora la manovra? La risposta e’ che ‘il buco’ e’ enorme, la finanziaria e’ pianificata in modo non reale gia’ dal suo inizio e in Croazia non c’e’ nessuno, tranne l’HDZ che non ne sia consapevole” ha detto il leader socialdemocratico. In questo contesto ha criticato la modalita’ dell’approvamento della finanziaria per il 2010 e del pacchetto di misure antirecessione. Ha avvertito pero’ che in questo momento e’ ancora possibile una manovra senza il calo degli stipendi e delle pensioni. E mentre si e' in attesa dell'annunciata sessione straordinaria del Sabor croato, il vicepresidente del Governo e ministro delle finanze, Ivan Suker dichiara incoraggiando che l'economia croata entro la fine dell'anno iniziera' la sua ripresa e che nel 2011 si prevede l'uscita dalla crisi. Anche questo contrasta pero' le previsioni nere del presidente del piu' grande partito di opposizione, Zoran Milanovic che accusa il governo di dotarsi soltanto «di un metodo populista con il quale vuole dimostrare che si sta' facendo qualcosa, mentre non si sa nemmeno che cosa si stia facendo». Secondo il presidente socialdemocratico, il segnale d'allarme si e' sentito quando in soli sei mesi si e' avvicinati al numero di otto miliardi di kune di deficit il che era previsto per l'intero anno.
In questi giorni si puo' leggere anche sulla stampa croata che la crescita record nel secondo trimestre in Germania potrebbe rilanciare la ripresa economica croata. A sorpresa degli analisti, l'economia tedesca nel secondo trimestre ha segnato una crescita del 2,2 percento. Si tratta della piu' grande crescita economica negli ultimi 23 anni, scrivono i media tedeschi. Va ricordato che la Germania e' la piu' grande economia europea e la seconda forza mondiale di esportazione dopo la Cina. Proprio la sua ripresa, concordano gli esperti internazionali, e' un ottimo segnale per l'economia globale. Ad un tale beneficio conta anche la Croazia poiche' l'economia croata e' tradizionalmente collagata con quella tedesca, sia per quanto riguarda l'esportazione dei prodotti croati sul mercato tedesco sia per quanto riguarda gli investimenti tedeschi in Croazia. Si segnano crescite in Germania, Austria ed Italia, vale a dire quasi un terzo del mercato di esportazione croata. Questo potrebbe far crescere l'esportazione e portare alla crescita economica nel 2011 quando questa crescita verra' materializzata in forma di aumento degli ordinamenti dei nostri esportatori, sostiene l'analista croato Ante Babic. Da aggiungere che gli esperti ed economisti croati sono contrari anche all'idea dell'introduzione della tassazione delle banche avanzata dal Governo di Jadranka Kosor. Cosi' il governatore della Banca Nazionale della Croazia (HNB), Zeljko Rohatinski, ha affermato che a causa della tassazione, come costo aggiuntivo per le banche, i tassi d'interesse sarebbero aumentati, o comunque sarebbe stato rallentato il loro calo.
Le supposizioni mediatiche relative a questo argomento, sono state commentate anche dal capo dello Stato, Ivo Josipovic. “Le misure che sono in preparazione e quelle in attuazione devono essere efficaci e dal punto di vista sociale devono essere giuste. Per me cio’ significa molto di piu’ che una singola misura di tassazione. Penso che l’intero sistema di tassazione deve essere rivisto in modo tale che quelli che anno di piu’ – contribuiscano di piu’. La mia idea di base e’ quella di allegerire il processo di lavoro, e quindi e’ possibile anche l’aumento del guadagno della gente, ma e’ necessaria la tassazione della proprieta’ e forse anche di alcuni lavori particolari quali le banche” ha spiagato Josipovic. Per quanto riguarda l’annuncio della manovra finanziaria e supposizioni sul possibile calo dei salari del dieci percento, il presidente croato ha detto che “al momento se ne legge sulla stampa. Quando sara’ chiaro di che cosa si tratta, allora mi esprimero’” ha detto Josipovic. La situazione economica in Croazia non puo’ non toccare il requisito ritenuto anche indispensable da Bruxelles nel processo della prossima adesione della Croazia all’Ue, cioe’ la lotta alla corruzione e criminalita’ organizzata. A tal proposito, i vertici croati, sia il governo guidato da Jadranka Kosor ma soprattutto il presidente Ivo Josipovic affermano il loro fermo impegno per combattere il male che in tutti gli anni dal raggiungimento dell’indipendenza ha colpito gravemente il Paese e la vita dei suoi cittadini.
Adesso, in primo piano si trova lo scandalo collegato con l’arresto dell’ex primo uomo della Hypo Bank austriaca Wolfgang Kulterer. L’ex capo della Hypo Alpe Adria Gruppo nel periodo tra il 1992 e il 2006 e’ stato arrestato domenica scorsa a Klagenfurt perche’ accusato di aver causato danni di alcuni miliardi di euro e grazie a cui, sul territorio dei Balcani, e soprattutto in Croazia, e’ fiorita una corruzione di dimensioni epocali. Ma la cosa piu’ interessante per la Croazia relativa a questo scandalo che ha scosso l’Austria e la Germania, sono i legami politici di Kulterer con l’ex premier croato Ivo Sanader. C’e’ da sottolineare che nel momento dell’arresto di Kulterer in parallelo si sono svolte perquisizioni a Vienna e nella regione di Corinzia. L’ex capo di Hypo e’ tenuto sotto arresto perche’ si teme la possibilita’ della sua fuga e del suo influenzamento sui testimoni. Il lancio impressionante della Hypo banca da una piccola banca locale e’ in effetti il risultato del suo sbarcamento nei Balcani sotto il patroncinio politico dell’allora leader controverso della Corinzia, il defunto leader del Partito della liberta’ austriaco (FPÖ), Jörg Haider. Secondo il presidente croato Ivo Josipovic, oggi si e’ nella posizione “di osservare da una distanza di tempo gli eventi e le supposizioni relative alle vicende che indubbiamente sono problematiche e che vanno chiarite – dalla trasformazione e privatizzazione fino a queste mosse commerciali singolari, in cui si sospetta che lo Stato e la societa’ avevano subito grossi danni”. Una delle questioni ancora non chiarite e’ la vera ragione delle improvvise dimissioni dell’ex primo uomo del governo croato e dell’HDZ Ivo Sanader un anno fa. In questo momento, Sanader si trova negli Stati Uniti, e’ partito proprio qualche giono fa, e come scrivono i media croati, ha lascito il paese “in una maniera per niente spettacolare, senza tappeto rosso, senza uomini di sicurezza, in forma del tutto privata” con la famiglia. Resta da vedere quando e sotto quali circostanze tornera’ in Croazia.
Il testo che segue è la trascrizione della corrispondenza per lo Speciale di Passaggio Sud Est andato in onda mercoledì 18 agosto a Radio Radicale
L’annuncio di una sessione straordinaria del parlamento croato a fine mese, per discutere la manovra finanziaria ha provocato nuove e forti divergenze tra la maggioranza governativa e l’opposizione. La presidente del governo croato, Jadranka Kosor in difesa dell’annunciata manovra che dovrebbe far fronte al peggioramento della situazione finanziaria del Paese, ha detto che una delle priorita’ della revisione del bilancio sara’ la tutela della popolazione piu’ debole, in cui ci sono i pensionati, soprattutto quelli con le pensioni basse, mentre “tutto il resto e’ piu’ o meno aperto”. Il piu’ importante di questa manovra che sara’ una base di inizio per elaborare il bilancio del 2011 – ha spiegato la premier - e’ che i pieni e veri effetti della revisione e le decisioni che verranno prese in merito, quali la modifica di certe leggi e il successo dell’attuazione di certe misure della ripresa economica, si dovranno notare nel bilancio per il 2011. Jadranka Kosor ha aggiunto che oltre al bilancio, per la prima volta nella storia della Croazia, verra’ approvata anche la legge sulla responsabilita’ fiscale che obblighera’ questo e qualsiasi prossimo governo croato ad un comportamento diverso e piu’ razionale. Alla domanda se teme l’arrivo dell’autunno e le annunciate protesta, la premier ha rispoto che “i cittadini, i membri di sindacati e gli impiegati nell’amministrazione pubblica e nei servizi pubblici sono consapevoli che laddove il governo e’ il datore di lavoro, c’e’ bisogno di dialogo e che non sarebbe buono se nel futuro si viene a discutere se i salari verrano pagati o no”.
Per quanto riguarda la notizia uscita recentemente nei media che si prevede un calo degli stipendi del dieci percento, il capo del governo croato ha detto che si tratta di riflessioni su tutto quello che potrebbe entrare nella nuova manovra. Dure pero’ le critiche dell’’opposizione socialdemocratica. Il presidente del Partito socialdemocratico, Zoran Milanovic afferma che la manovra della finanziaria di quest’anno annunciata come ordine del giorno di una prossima riunione straordinaria del parlamento croato doveva farsi ben prima e che arriva troppo tardi. Milanovic aggiunge che l’SDP e’ per “le proposte concrete”. “Abbiamo sentito dalla premier che tutto e’ ok., che la finanziaria funziona normalmente. Potrei chiedere – perche’ allora la manovra? La risposta e’ che ‘il buco’ e’ enorme, la finanziaria e’ pianificata in modo non reale gia’ dal suo inizio e in Croazia non c’e’ nessuno, tranne l’HDZ che non ne sia consapevole” ha detto il leader socialdemocratico. In questo contesto ha criticato la modalita’ dell’approvamento della finanziaria per il 2010 e del pacchetto di misure antirecessione. Ha avvertito pero’ che in questo momento e’ ancora possibile una manovra senza il calo degli stipendi e delle pensioni. E mentre si e' in attesa dell'annunciata sessione straordinaria del Sabor croato, il vicepresidente del Governo e ministro delle finanze, Ivan Suker dichiara incoraggiando che l'economia croata entro la fine dell'anno iniziera' la sua ripresa e che nel 2011 si prevede l'uscita dalla crisi. Anche questo contrasta pero' le previsioni nere del presidente del piu' grande partito di opposizione, Zoran Milanovic che accusa il governo di dotarsi soltanto «di un metodo populista con il quale vuole dimostrare che si sta' facendo qualcosa, mentre non si sa nemmeno che cosa si stia facendo». Secondo il presidente socialdemocratico, il segnale d'allarme si e' sentito quando in soli sei mesi si e' avvicinati al numero di otto miliardi di kune di deficit il che era previsto per l'intero anno.
In questi giorni si puo' leggere anche sulla stampa croata che la crescita record nel secondo trimestre in Germania potrebbe rilanciare la ripresa economica croata. A sorpresa degli analisti, l'economia tedesca nel secondo trimestre ha segnato una crescita del 2,2 percento. Si tratta della piu' grande crescita economica negli ultimi 23 anni, scrivono i media tedeschi. Va ricordato che la Germania e' la piu' grande economia europea e la seconda forza mondiale di esportazione dopo la Cina. Proprio la sua ripresa, concordano gli esperti internazionali, e' un ottimo segnale per l'economia globale. Ad un tale beneficio conta anche la Croazia poiche' l'economia croata e' tradizionalmente collagata con quella tedesca, sia per quanto riguarda l'esportazione dei prodotti croati sul mercato tedesco sia per quanto riguarda gli investimenti tedeschi in Croazia. Si segnano crescite in Germania, Austria ed Italia, vale a dire quasi un terzo del mercato di esportazione croata. Questo potrebbe far crescere l'esportazione e portare alla crescita economica nel 2011 quando questa crescita verra' materializzata in forma di aumento degli ordinamenti dei nostri esportatori, sostiene l'analista croato Ante Babic. Da aggiungere che gli esperti ed economisti croati sono contrari anche all'idea dell'introduzione della tassazione delle banche avanzata dal Governo di Jadranka Kosor. Cosi' il governatore della Banca Nazionale della Croazia (HNB), Zeljko Rohatinski, ha affermato che a causa della tassazione, come costo aggiuntivo per le banche, i tassi d'interesse sarebbero aumentati, o comunque sarebbe stato rallentato il loro calo.
Le supposizioni mediatiche relative a questo argomento, sono state commentate anche dal capo dello Stato, Ivo Josipovic. “Le misure che sono in preparazione e quelle in attuazione devono essere efficaci e dal punto di vista sociale devono essere giuste. Per me cio’ significa molto di piu’ che una singola misura di tassazione. Penso che l’intero sistema di tassazione deve essere rivisto in modo tale che quelli che anno di piu’ – contribuiscano di piu’. La mia idea di base e’ quella di allegerire il processo di lavoro, e quindi e’ possibile anche l’aumento del guadagno della gente, ma e’ necessaria la tassazione della proprieta’ e forse anche di alcuni lavori particolari quali le banche” ha spiagato Josipovic. Per quanto riguarda l’annuncio della manovra finanziaria e supposizioni sul possibile calo dei salari del dieci percento, il presidente croato ha detto che “al momento se ne legge sulla stampa. Quando sara’ chiaro di che cosa si tratta, allora mi esprimero’” ha detto Josipovic. La situazione economica in Croazia non puo’ non toccare il requisito ritenuto anche indispensable da Bruxelles nel processo della prossima adesione della Croazia all’Ue, cioe’ la lotta alla corruzione e criminalita’ organizzata. A tal proposito, i vertici croati, sia il governo guidato da Jadranka Kosor ma soprattutto il presidente Ivo Josipovic affermano il loro fermo impegno per combattere il male che in tutti gli anni dal raggiungimento dell’indipendenza ha colpito gravemente il Paese e la vita dei suoi cittadini.
Adesso, in primo piano si trova lo scandalo collegato con l’arresto dell’ex primo uomo della Hypo Bank austriaca Wolfgang Kulterer. L’ex capo della Hypo Alpe Adria Gruppo nel periodo tra il 1992 e il 2006 e’ stato arrestato domenica scorsa a Klagenfurt perche’ accusato di aver causato danni di alcuni miliardi di euro e grazie a cui, sul territorio dei Balcani, e soprattutto in Croazia, e’ fiorita una corruzione di dimensioni epocali. Ma la cosa piu’ interessante per la Croazia relativa a questo scandalo che ha scosso l’Austria e la Germania, sono i legami politici di Kulterer con l’ex premier croato Ivo Sanader. C’e’ da sottolineare che nel momento dell’arresto di Kulterer in parallelo si sono svolte perquisizioni a Vienna e nella regione di Corinzia. L’ex capo di Hypo e’ tenuto sotto arresto perche’ si teme la possibilita’ della sua fuga e del suo influenzamento sui testimoni. Il lancio impressionante della Hypo banca da una piccola banca locale e’ in effetti il risultato del suo sbarcamento nei Balcani sotto il patroncinio politico dell’allora leader controverso della Corinzia, il defunto leader del Partito della liberta’ austriaco (FPÖ), Jörg Haider. Secondo il presidente croato Ivo Josipovic, oggi si e’ nella posizione “di osservare da una distanza di tempo gli eventi e le supposizioni relative alle vicende che indubbiamente sono problematiche e che vanno chiarite – dalla trasformazione e privatizzazione fino a queste mosse commerciali singolari, in cui si sospetta che lo Stato e la societa’ avevano subito grossi danni”. Una delle questioni ancora non chiarite e’ la vera ragione delle improvvise dimissioni dell’ex primo uomo del governo croato e dell’HDZ Ivo Sanader un anno fa. In questo momento, Sanader si trova negli Stati Uniti, e’ partito proprio qualche giono fa, e come scrivono i media croati, ha lascito il paese “in una maniera per niente spettacolare, senza tappeto rosso, senza uomini di sicurezza, in forma del tutto privata” con la famiglia. Resta da vedere quando e sotto quali circostanze tornera’ in Croazia.
PASSAGGIO SPECIALE
I Balcani occidentali tra integrazione europea e crisi economica
E' il tema dello Speciale di Passaggio a Sud Est andato in onda ieri, mercoledì 18 agosto, a Radio Radicale. La puntata è in pratica il naturale proseguimento di quella dell'11 agosto scorso che era dedicata a fare un punto della situazione del processo di integrazione europea di alcuni Paesi dell'Europa sud est da un punto di vista più strettamente politico. Ieri sera, invece, si è parlato delle questioni legate alla crisi economica globale.
La puntata di ieri era dedicata in particolare a due situazioni significative, quelle di due Paesi ugualmente toccati dalla crisi globale e diversamente impegnati nel processo di integrazione europea: la Croazia, che dovrebbe entrare nell'Ue nel 2012 o 2013 e il cui clima politico inizia a scaldarsi mentre all'orizzonte cominciano a profilarsi le prossime elezioni, e l'Albania in cui lo scontro a tutto campo che si protrae da oltre un anno tra maggioranza di centro-destra e opposizione rischia di mettere in serio pericolo il cammino di adesione all'Ue.
Lo Speciale è stato realizzato con la collaborazione di Marina Szikora e Artur Nura ed è disponibile direttamente qui
oppure insieme a tutti i precedenti sul sito di Radio Radicale nella sezione delle Rubriche.
E' il tema dello Speciale di Passaggio a Sud Est andato in onda ieri, mercoledì 18 agosto, a Radio Radicale. La puntata è in pratica il naturale proseguimento di quella dell'11 agosto scorso che era dedicata a fare un punto della situazione del processo di integrazione europea di alcuni Paesi dell'Europa sud est da un punto di vista più strettamente politico. Ieri sera, invece, si è parlato delle questioni legate alla crisi economica globale.
La puntata di ieri era dedicata in particolare a due situazioni significative, quelle di due Paesi ugualmente toccati dalla crisi globale e diversamente impegnati nel processo di integrazione europea: la Croazia, che dovrebbe entrare nell'Ue nel 2012 o 2013 e il cui clima politico inizia a scaldarsi mentre all'orizzonte cominciano a profilarsi le prossime elezioni, e l'Albania in cui lo scontro a tutto campo che si protrae da oltre un anno tra maggioranza di centro-destra e opposizione rischia di mettere in serio pericolo il cammino di adesione all'Ue.
Lo Speciale è stato realizzato con la collaborazione di Marina Szikora e Artur Nura ed è disponibile direttamente qui
oppure insieme a tutti i precedenti sul sito di Radio Radicale nella sezione delle Rubriche.
mercoledì 18 agosto 2010
WALESA: SENZA TURCHIA NON C'E' EUROPA
"Non c'è Europa senza Turchia". Lo afferma l'ex presidente polacco, Lech Walesa, in un'intervista alla France presse nella quale sostiene che "la Turchia deve progressivamente raggiungere il livello di sviluppo dell'Europa ed entrare il giorno dopo" .
"Le frontiere e le divisioni hanno condotto a dei conflitti, principalmente religiosi", dice ancora il premio Nobel per la pace, cattolico fervente, il quale osserva però che la religione è stata strumentalizzata. Per Walesa "la religione deve tornare al suo posto e le persone capiranno che in realtà Dio è lo stesso in tutte le religioni, ma ci sono troppi insegnanti della fede".
I negoziati per l'adesione di Ankara all'Unione Europea si sono ufficialmente aperti nel 2005, ma sono attualmente fermi a causa di diversi problemi che vanno dalla questione irrisolta della divisione di Cipro, al rispetto dei diritti civili in Turchia, ma soprattutto a causa delle resistenze di alcuni Paesi membri, Germania e Francia in primo luogo, all'ingresso nell'Unione di un paese di 75 milioni di musulmani.
La Polonia, che sostiene invece l'adesione piena della Turchia, avrà la presidenza di turno dell'Ue nel secondo semestre 2011.
"Le frontiere e le divisioni hanno condotto a dei conflitti, principalmente religiosi", dice ancora il premio Nobel per la pace, cattolico fervente, il quale osserva però che la religione è stata strumentalizzata. Per Walesa "la religione deve tornare al suo posto e le persone capiranno che in realtà Dio è lo stesso in tutte le religioni, ma ci sono troppi insegnanti della fede".
I negoziati per l'adesione di Ankara all'Unione Europea si sono ufficialmente aperti nel 2005, ma sono attualmente fermi a causa di diversi problemi che vanno dalla questione irrisolta della divisione di Cipro, al rispetto dei diritti civili in Turchia, ma soprattutto a causa delle resistenze di alcuni Paesi membri, Germania e Francia in primo luogo, all'ingresso nell'Unione di un paese di 75 milioni di musulmani.
La Polonia, che sostiene invece l'adesione piena della Turchia, avrà la presidenza di turno dell'Ue nel secondo semestre 2011.
NESSUN ULTIMATUM DI OBAMA A ERDOGAN: I RAPPORTI SONO CALOROSI
Nessun "ultimatum" alla Turchia per il suo atteggiamento nei confronti dell'Iran e le sue recenti prese di posizione contro Israele. La Casa Bianca ha smentito la notizia pubblicata l'altro ieri dal Finacial Times e che ho riportato anch'io su questo blog. Il quotidiano della City aveva scritto che il presidente Barack Obama aveva messo in guardia il primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan ammonendo che le sue possibilità di ottenere armi americane (in particolare droni da impiegare contro i guerriglieri curdi del Pkk) potrebbero diminuire.
Il FT citava un alto responsabile dell'Amminiarrazione secondo il quale "il presidente ha detto a Erdogan che alcune posizioni che la Turchia ha assunto hanno suscitato questioni che saranno sollevate al Congresso". "Non so da dove abbiano fatto uscire" questa cosa, ha affermato il vice portavoce della Casa Bianca, Bill Burton, contestando l'uso del termine "ultimatum".
Il premier turco da parte sua ha assicurato in un'intervista all'emittente televisiva HaberTurk che le relazioni turco-americane procedono per il meglio. "Noi non abbiamo problemi", ha detto Erdogan definendo "calorosi" i rapporti con Obama. "I problemi che possono verificarsi in occasione di negoziati sull'acquisto di armi sono questioni interne a ogni Paese", ha aggiunto Erdogan spiegando che "il loro Congresso può avere una valutazione diversa, come ce l'ha il nostro parlamento".
Resta il fatto che gli Stati Uniti non avevano nascosto la loro delusione per il voto contrario di Ankara alle Nazioni Unite sulle nuove sanzioni contro Teheran, adottate a giugno dal Consiglio di sicurezza. Ed è altrettanto noto che le relazioni tra Turchia e Israele, in freddo da un anno e mezzo dopo il duro scontro tra Erdogan e il presidente israeliano Shimon Peres a Davos a causa del conflitto a Gaza e dell'operazione "Piombo fuso", si sono ulteriormente deteriorate dopo il raid israeliano contro la "Freedom flotilla" diretta a Gaza lo scorso 31 maggio che provocò la morte di nove attivisti turchi.
"Il presidente ed Erdogan hanno parlato circa dieci giorni fa e hanno discusso dell'Iran, della flottiglia e di altri argomenti", ha ammesso Bill Burton. "Ovviamente, esiste un dialogo (con i turchi), ma nessun ultimatum di questo tipo è stato lanciato", ha assicurato il portavoce.
Il FT citava un alto responsabile dell'Amminiarrazione secondo il quale "il presidente ha detto a Erdogan che alcune posizioni che la Turchia ha assunto hanno suscitato questioni che saranno sollevate al Congresso". "Non so da dove abbiano fatto uscire" questa cosa, ha affermato il vice portavoce della Casa Bianca, Bill Burton, contestando l'uso del termine "ultimatum".
Il premier turco da parte sua ha assicurato in un'intervista all'emittente televisiva HaberTurk che le relazioni turco-americane procedono per il meglio. "Noi non abbiamo problemi", ha detto Erdogan definendo "calorosi" i rapporti con Obama. "I problemi che possono verificarsi in occasione di negoziati sull'acquisto di armi sono questioni interne a ogni Paese", ha aggiunto Erdogan spiegando che "il loro Congresso può avere una valutazione diversa, come ce l'ha il nostro parlamento".
Resta il fatto che gli Stati Uniti non avevano nascosto la loro delusione per il voto contrario di Ankara alle Nazioni Unite sulle nuove sanzioni contro Teheran, adottate a giugno dal Consiglio di sicurezza. Ed è altrettanto noto che le relazioni tra Turchia e Israele, in freddo da un anno e mezzo dopo il duro scontro tra Erdogan e il presidente israeliano Shimon Peres a Davos a causa del conflitto a Gaza e dell'operazione "Piombo fuso", si sono ulteriormente deteriorate dopo il raid israeliano contro la "Freedom flotilla" diretta a Gaza lo scorso 31 maggio che provocò la morte di nove attivisti turchi.
"Il presidente ed Erdogan hanno parlato circa dieci giorni fa e hanno discusso dell'Iran, della flottiglia e di altri argomenti", ha ammesso Bill Burton. "Ovviamente, esiste un dialogo (con i turchi), ma nessun ultimatum di questo tipo è stato lanciato", ha assicurato il portavoce.
martedì 17 agosto 2010
LA REPUBBLICA DELLE TROMBE
Suonano per la nascita di un bambino, per un battesimo, per la partenza dei ragazzi per il servizio militare e per il loro ritorno, per un matrimonio o l’inaugurazione della nuova casa. Suonano nelle feste popolari in cui si balla e si canta, ma anche ai funerali. La tradizione delle bande di ottoni accompagna molti momenti della vita del popolo serbo ed è stata conosciuta in Europa occidentale anche grazie alle musiche di Goran Bregovic e ai film di Emir Kusturica.
Il momento culminante è il Sabor Trubaca, il festival delle trombe che si tiene ogni anno nel mese di agosto a Guca, una cittadina di cinquemila abitanti della Serbia centrale, a 150 km da Belgrado. Tutto è cominciato nel 1961 e non si è mai interrotto, nemmeno durante le guerre degli anni '90. Quest'anno siamo dunque alla cinquantesima edizione: il festival si è aperto il 13 per chiudersi domenica 22.
Al festival di Guca, che ormai richiama decine di migliaia di persone da tutta Europa (e non solo), ma soprattutto alla tradizione delle bande di ottoni e al loro ruolo nella cultura serba è dedicato il film documentario Trubacka republika (La repubblica delle trombe) uscito qualche anno fa. Gli autori sono Alessandro Gori e Stefano Missio che ho intervistato per Radio Radicale.
Il sito del film "La repubblica delle trombe"
Il sito ufficiale del festival di Guca
Il momento culminante è il Sabor Trubaca, il festival delle trombe che si tiene ogni anno nel mese di agosto a Guca, una cittadina di cinquemila abitanti della Serbia centrale, a 150 km da Belgrado. Tutto è cominciato nel 1961 e non si è mai interrotto, nemmeno durante le guerre degli anni '90. Quest'anno siamo dunque alla cinquantesima edizione: il festival si è aperto il 13 per chiudersi domenica 22.
Al festival di Guca, che ormai richiama decine di migliaia di persone da tutta Europa (e non solo), ma soprattutto alla tradizione delle bande di ottoni e al loro ruolo nella cultura serba è dedicato il film documentario Trubacka republika (La repubblica delle trombe) uscito qualche anno fa. Gli autori sono Alessandro Gori e Stefano Missio che ho intervistato per Radio Radicale.
Il sito del film "La repubblica delle trombe"
Il sito ufficiale del festival di Guca
LA SERBIA, IL KOSOVO E LE NAZIONI UNITE
di Marina Szikora Quello che segue è il testo della corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda sabato 14 agosto a Radio Radicale
La risoluzione 1244 è ancora in vigore
Il parere della Corte internazionale di Giustizia dell’Aja relativo all’indipendenza del Kosovo ha confermato che la risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e’ ancora in vigore, ha detto per il “Voice of America” l’analista politico John Zavales. Questo esperto politico ha valutato che “nel senso giuridico, il parere dell’ICJ rappresenta una decisione moltro limitata e tecnica nella quale e’ semplicemente affermato che la dichiarazione di indipendenza del Kosovo non rappresenta la violazione della legge” perche’ non stabilisce lo status di statalita’ o il diritto dell’entita’ alla secessione, ma rappresenta un comunicato sull’intenzione degli autori. “Quindi, con questo parere non si creano le basi per il riconoscimento della statalita’ o il cambiamento dello status. Nella sua motivazione, la Corte ha illustrato che non si e’ occupata della questione dello status e che non ha espresso nessuna raccomandazione o invito agli stati di riconoscere l’indipendenza del Kosovo” ha detto Zavales per la “Voice of America” informa il quotidiano di Belgrado ‘Blic’. Tuttavia, il parere della Corte fa sapere chiaramente che la risoluzione ONU 1244 resta in vigore. Questa risoluzione prevede che la soluzione sia trovata attraverso i negoziati relativi ad un alto tasso di autonomia del Kosovo nell’ambito della Serbia mentre non si prevedono cambiamenti dello status senza l’approvazione del Consiglio di sicurezza dell’ONU” ha detto l’analista politico commentando la recente decisione dell’ICJ.
Jeremic pessimista sulla proposta di nuova risoluzione
Ma a proposito dell’attuale prinicipale iniziativa di Belgrado di portare alla prossima Assemblea Generale delle Nazioni Uniti la risoluzione Serbia – Kosovo, il ministro degli esteri serbo Vuk Jeremic dichiara con pessimismo che l’esito degli sforzi della Serbia di assicurarsi il sostegno alla proposta di risoluzione, vista la resistenza, e’ praticamente impossibile ma che fara’ di tutto a convincere i membri dell’organizzazione mondiale che le posizioni serbe sono giuste. Va detto che una delegazione della Serbia guidata dal ministro Jeremic, ha avuto settimana scorsa a New York oltre 40 consultazioni bilaterali con i rappresentanti permanenti degli stati membri dell’ONU con lo scopo di minimalizzare il possibile numero di stati che, a seguito della decisione del ICJ, potrebbero riconoscere l’indipendenza unilaterale del Kosovo. “Abbiamo informato i nostri interlocutori detagliatamente con il contenuto del parere consultativo dell’ICJ, che in nessuna parte non ha dato ragione a Pristina per la secessione unilaterale dalla Serbia” ha detto Jeremic da New York. Il capo della diplomazia serb ha aggiunto che considerando la resistenza da affrontare, non e’ difficile concludere che la missione serba e’ praticamente impossibile. “Ma non ci permetteremo di non impegnarci al massimo e di non utilizzare ogni mezzo diplomatico, di non mancare a raggiungere tutti quelli che sono pronti ad ascoltarci e tenteremo di convincerli con la forza delle argomentazioni politiche che le nostri posizioni sono giuste” ha detto Jeremic. Come infondate, ha rigettato le accuse dell’opposizione serba che la decisione di intervenire all’Assemblea generale dell’Onu significa in effetti rinunciare alla lotta in seno al Consiglio di Sicurezza dove la Serbia gode del sostegno della Russia e della Cina, membri permanenti con diritto al veto. Il ministro degli esteri serbo ha spiegato che l’unico tema che verra’ trattato all’Assemblea generale dell’Onu e’ il parere consultativo dell’ICJ perche’ richiesto dalla stessa Assemblea generale. “Il nostro approcio all’Assemblea generale, quale che sara’ l’esito del voto, in nessun modo non mettera’ a repentaglio la nostra posizione al Consiglio di Sicurezza. Al contrario, puo’ soltanto rafforzarla” ha sottolineato Vuk Jeremic.
I liberaldemocratici impegnati per una soluzione del problema
Il presidente del Partito liberal-democratico Cedomir Jovanovic ha dichiarato che e’ necessaria una svolta nella politica serba verso il Kosovo e ha aggiunto che potrebbe lui stesso impegnarsi per quel tipo di indipendenza di questa regione che sarebbe opportuno per i serbi che in Kosovo ci vivono.
“Oggi il Kosovo e’ indipendente per 22 stati europei, membri dell’Ue. Oggi il Kosovo e’ indipendente per 70 paesi del mondo e molto probabilmente il Kosovo verra’ ammesso come membro delle Nazioni Unite” ha precisato Jovanovic. Illustrando la proposta di risoluzione relativa alla Serbia e il Kosovo che il suo partito avviera’ a tutti i gruppi parlamentari serbi, il leader liberal-democratico ha detto che il suo partito non puo’ riconoscere l’indipendenza del Kosovo ma lo puo’ fare la gente che vive in questo paese. Oltre a confermare il suo impegno per la soluzione del problema, Jovanovic ha valutato che il cambiamento della politica dello Stato deve implicare anche l’acceleramento delle integrazioni europee e l’adesione di Belgrado alla Nato. Come ha detto, e’ necessario raggiungere un accordo storico tra Belgrado e Pristina “che deve rispettare la realta’” e che acconsentira’ relazioni particolari tra Serbia e Kosovo, l’exterritorialita’ dei monasteri serbi e la salvaguardia di tutta la gente che li’ ci vive. Secondo Cedomir Jovanovic, tutto il resto sarebbe una politica vuota e una ideologia che rappresenterebbe la continuita’ con la politica di Slobodan Milosevic e che lascierebbe conseguenze catastrofiche per il futuro del Paese.
La proposta di risoluzione che verra’ presentata in Parlamento dal LDP prevede come obbiettivo principale della politica della Serbia “la soluzione definitiva di tutte le questioni aperte che appesantiscono il futuro politico, economico e di sicurezza nonche’ l’impegno per soddisfare velocemente le condizioni per l’ingresso nell’Ue”. In questa proposta dei liberal-democratici si afferma che la Serbia e’ consapevole che la questione dello status finale del Kosovo non puo’ essere risolta attraverso un semplice compromesso e quindi si propone che tutti i problemi vengano risolti correggendo gradualmente le relazioni bilaterali costruendo nuove circostanze attraverso garanzie che la Serbia aderira’ all’Ue, alla NATO e che le forze della NATO continueranno ad essere presenti in Kosovo.
“L’accelerazione del processo di adesione della Serbia all’Ue, l’ingresso nella NATO e le garanzie istituzionali di uno status speciale della comunita’ serba aprono lo spazio affinche’ la Serbia rinunci a bloccare politicamente l’integrazione del Kosovo nelle organizzazioni che acconsentiscono una vita migliore di tutti i suoi cittadini” si legge nella proposta di risoluzione dell’LDP.
lunedì 16 agosto 2010
OBAMA NON SI FIDA PIU' DELLA TURCHIA?
"Per avere le nostre armi, dovrete cambiare posizione su Iran e Israele". Lo avrebbe detto personalmente il presidente statunitense Barack Obama al primo ministro turco, Recep Tayyip Erdogan secondo quanto scrive oggi il Financial Times. L'ammonimento è "particolarmente significativo" dato che la Turchia vorrebbe acquistare velivoli americani senza pilota per attaccare le basi dei guerriglieri curdi del Pkk situate tra le montagne nel Kusdistan iracheno al confine con la Turchia, dopo il ritiro statunitense dall'Iraq previsto per la fine del prossimo anno.
Secondo una fonte dell'Amministrazione Usa riportata dal giornale, Obama avrebbe detto a Erdogan "che alcune delle azioni della Turchia hanno suscitato interrogativi che saranno sollevati in Congresso". Ovvero, dice sempre la fonte, la questione principale è "se possiamo avere o meno fiducia nella Turchia come alleato": "Questo significa che sarà più difficile far approvare dal Congresso alcune delle richieste che la Turchia ci ha fatto, per esempio a proposito di alcuni armamenti che vorrebbe avere per combattere il Pkk".
La legge americana prescrive che l'Amministrazione notifichi al Congresso la vendita di armamenti a Paesi della Nato con 15 giorni di anticipo. Per impedire una vendita del genere occorrerebbe una legge ad hoc. La cosa al momento non è alle viste (sarebbe un passo di estrema gravità), ma eventuali resistenze da parte del Congresso potrebbero indurre Obama a rinunciare alla transazione: insomma, a Washington cominciano a serpeggiare dubbi sulla lealtà dell'alleato turco. Ricordo che stiamo parlando del Paese che ha il secondo maggiore esercito della Nato dopo quello degli Usa.
Nel corso dell'incontro al G20 di Toronto alla fine di giugno, Obama rimproverò a Erdogan di non aver agito come un alleato per il voto contrario della Turchia all'Onu sulle nuove sanzioni all'Iran. Obama inoltre invitò il premier turco a moderare i toni nei confronti di Israele dopo il raid contro la cosiddetta "Freedom Flotilla" diretta verso Gaza che costò la vita di nove attivisti turchi. Gli ammonimenti sulla vendita di armi e gli inviti alla moderazione nei confronti di Israele non sembra però abbiano fatto grande impressione ad Ankara. Anzi.
L'Akp, il Partito per la Giustizia e lo Svilippo del primo ministro Erdogan ha deciso di escludere l'ambasciatore israeliano dalla tradizionale cena per la fine del Ramadan. Il presidente del comitato relazioni estere del partito, Omer Celik, ha spiegato in una conferenza stampa che il mancato invito non è una questione personale contro l'ambasciatore israeliano Gabi Levi, ma "un atto simbolico contro le politiche israeliane": nessuno che sia "ingiusto o iniquo può oltrepassare la soglia del Partito", ha aggiunto il dirigente dell'Akp.
La notizia è riportata dal sito del quotidiano israeliano Haaretz che ricorda come da quando è al governo, l'Akp ha sempre invitato alla cena tutti gli ambasciatori accreditati ad Ankara. La decisione di escludere quest'anno il rappresentante israeliano sarà pure "simbolica", ma è altrettanto, se non di più, pesantemente politica. A Tel Aviv non l'hanno sicuramente presa bene, ma, com'è lecito immaginare, nemmeno a Washington avranno gradito, visto il peso e l'influenza della cosiddetta "lobby ebraica" sulla politica statunitense.
Secondo una fonte dell'Amministrazione Usa riportata dal giornale, Obama avrebbe detto a Erdogan "che alcune delle azioni della Turchia hanno suscitato interrogativi che saranno sollevati in Congresso". Ovvero, dice sempre la fonte, la questione principale è "se possiamo avere o meno fiducia nella Turchia come alleato": "Questo significa che sarà più difficile far approvare dal Congresso alcune delle richieste che la Turchia ci ha fatto, per esempio a proposito di alcuni armamenti che vorrebbe avere per combattere il Pkk".
La legge americana prescrive che l'Amministrazione notifichi al Congresso la vendita di armamenti a Paesi della Nato con 15 giorni di anticipo. Per impedire una vendita del genere occorrerebbe una legge ad hoc. La cosa al momento non è alle viste (sarebbe un passo di estrema gravità), ma eventuali resistenze da parte del Congresso potrebbero indurre Obama a rinunciare alla transazione: insomma, a Washington cominciano a serpeggiare dubbi sulla lealtà dell'alleato turco. Ricordo che stiamo parlando del Paese che ha il secondo maggiore esercito della Nato dopo quello degli Usa.
Nel corso dell'incontro al G20 di Toronto alla fine di giugno, Obama rimproverò a Erdogan di non aver agito come un alleato per il voto contrario della Turchia all'Onu sulle nuove sanzioni all'Iran. Obama inoltre invitò il premier turco a moderare i toni nei confronti di Israele dopo il raid contro la cosiddetta "Freedom Flotilla" diretta verso Gaza che costò la vita di nove attivisti turchi. Gli ammonimenti sulla vendita di armi e gli inviti alla moderazione nei confronti di Israele non sembra però abbiano fatto grande impressione ad Ankara. Anzi.
L'Akp, il Partito per la Giustizia e lo Svilippo del primo ministro Erdogan ha deciso di escludere l'ambasciatore israeliano dalla tradizionale cena per la fine del Ramadan. Il presidente del comitato relazioni estere del partito, Omer Celik, ha spiegato in una conferenza stampa che il mancato invito non è una questione personale contro l'ambasciatore israeliano Gabi Levi, ma "un atto simbolico contro le politiche israeliane": nessuno che sia "ingiusto o iniquo può oltrepassare la soglia del Partito", ha aggiunto il dirigente dell'Akp.
La notizia è riportata dal sito del quotidiano israeliano Haaretz che ricorda come da quando è al governo, l'Akp ha sempre invitato alla cena tutti gli ambasciatori accreditati ad Ankara. La decisione di escludere quest'anno il rappresentante israeliano sarà pure "simbolica", ma è altrettanto, se non di più, pesantemente politica. A Tel Aviv non l'hanno sicuramente presa bene, ma, com'è lecito immaginare, nemmeno a Washington avranno gradito, visto il peso e l'influenza della cosiddetta "lobby ebraica" sulla politica statunitense.
domenica 15 agosto 2010
PASSAGGIO IN ONDA
La puntata di Passaggio a Sud Est del 7 agosto a Radio Radicale
L'argomento principale della puntata riguarda il Kosovo: la Serbia, per bocca del ministro degli Esteri Vuk Jeremic, è pessimista sull'esito della proposta di nuova risoluzione depositata all'Onu ma non rinuncia alla sua battaglia contro l'indipendenza, mentre nel mondo politico c'è chi chiede un cambio di politica sulla questione, come il leader liberal-democratico Cedomir Jovanovic da sempre favorevole all'indipendenza della provincia. Intanto l'Albania cerca sostegni internazionali per il Kosovo e rafforza le relazioni bilaterali con Pristina come anche la Macedonia.
In Bosnia Erzegovina in vista delle elezioni generali fissate per il 3 ottobre sembra profilarsi una nuova politica da parte dell'Unione Europea per superare l'attuale regime di protettorato internazionale, favorire le riforme istituzionali e rilanciare il processo di integrazione europea superando le resistenze che vengono soprattutto dall'attuale dirigenza della Republika Srpska.
Nell'ultima parte del programma si parla della tradizione delle bande musicali balcaniche, del ruolo della musica tradizionale nella vita dei serbi e del festival di Guca che si svolge proprio in questo periodo con un'intervista a Stefano Missio, co-autore del film documentario "La repubblica delle trombe".
La puntata è stata realizzata come sempre con la collaborazione di Marina Szikora e Artur Nura ed è riascoltabile direttamente qui
oppure è disponibile per il podcast sul sito di Radio Radicale nella sezione delle Rubriche (dove è possibile riascoltare anche tutte le puntate precedenti compresi gli Speciali del mercoledì).
L'argomento principale della puntata riguarda il Kosovo: la Serbia, per bocca del ministro degli Esteri Vuk Jeremic, è pessimista sull'esito della proposta di nuova risoluzione depositata all'Onu ma non rinuncia alla sua battaglia contro l'indipendenza, mentre nel mondo politico c'è chi chiede un cambio di politica sulla questione, come il leader liberal-democratico Cedomir Jovanovic da sempre favorevole all'indipendenza della provincia. Intanto l'Albania cerca sostegni internazionali per il Kosovo e rafforza le relazioni bilaterali con Pristina come anche la Macedonia.
In Bosnia Erzegovina in vista delle elezioni generali fissate per il 3 ottobre sembra profilarsi una nuova politica da parte dell'Unione Europea per superare l'attuale regime di protettorato internazionale, favorire le riforme istituzionali e rilanciare il processo di integrazione europea superando le resistenze che vengono soprattutto dall'attuale dirigenza della Republika Srpska.
Nell'ultima parte del programma si parla della tradizione delle bande musicali balcaniche, del ruolo della musica tradizionale nella vita dei serbi e del festival di Guca che si svolge proprio in questo periodo con un'intervista a Stefano Missio, co-autore del film documentario "La repubblica delle trombe".
La puntata è stata realizzata come sempre con la collaborazione di Marina Szikora e Artur Nura ed è riascoltabile direttamente qui
oppure è disponibile per il podcast sul sito di Radio Radicale nella sezione delle Rubriche (dove è possibile riascoltare anche tutte le puntate precedenti compresi gli Speciali del mercoledì).
venerdì 13 agosto 2010
LA CROAZIA, LA SERBIA E L'ADESIONE ALL'UE
di Marina Szikora (*)
I tre partiti di opposizione sloveni affermano che la legge sulla ratifica dell'accordo di arbitrato della Slovenia con la Croazia che ha finalmente sbloccato il lungo ostacolato processo di negoziati di adesione della Croazia con l'Ue, e' incostituzionale. Per questo motivo, i tre partiti sloveni hanno chiesto la verifica della costituzionalita' dell'accordo e hanno proposto che fino alla decisione finale si fermi la sua attuazione. Infatti, i democratici di Janez Jansa (SDS), i nazionalisti di Zmago Jelincic (SNS) ed i popolari di Radovan Zerjava (SLS) fanno riferimento alla decisione della Corte costituzionale che qualche mese fa aveva confermato che l'accordo tra Croazia e Slovenia sulla soluzione del confine sia conforme alla costituzione slovena. Si stabilisce pero' anche che in caso che l'arbitrato internazionale non decidesse a favore del contatto territoriale della Slovenia con il mare internazionale, potrebbero esserci conseguenze costituzionali. In tal caso, in base all'interpretazione della Corte costituzionale slovena, si dovrebbe cambiare la parte della costituzione che parla del tanto contestato confine sloveno nel golfo di Savudria. Va sottolineato che l'accordo di arbitrato con la Croazia e' entrato in vigore in Slovenia lo scorso sabato mentre in Croazia la stessa decisione e' entrata in vigore ancora prima. Allo stato attuale, manca ancora lo scambio della nota sulla ratifica affinche' si possa procedere con la procedura relativa all'istituzione della corte di arbitrato. Ma questo passo non potra' essere compiuto se la Corte costituzionale slovena accettera' la richiesta dei partiti di opposizione. Questo lascia comunque spazio per un certo senso di preoccupazione sul tranquillo procedimento dell'ultima tappa del processo di negoziati della Croazia con l'Ue.
Intanto, nonostante una molto breve pausa estiva dei vertici croati, il tema dell'integrazione europea non cessa ad essere al centro delle loro iniziative e dei loro impegni. All'ultima riunione relativa alla conferenza di adesione con la Croazia svoltasi a Bruxelles lo scorso mese, sono stati temporaneamente chiusi i capitoli relativi alla sicurezza del cibo e del controllo finanziario. Con questo atto, il numero totale di capitoli chiusi con la Croazia e' 22 di un totale di 35 capitoli che rappresentano la cornice legislativa dell'Ue. Secondo la Commissione europea, alcuni capitoli complessi, quali quelli con le implicazioni finanziarie, nonche' i capitoli relativi alla competizione del mercato, giustizia e diritti fondamentali, saranno esaminati nei prossimi mesi. La Commissione europea ritiene che il ritmo dei negoziati e' nelle mani della Croazia e che la capacita' di soddisfare le misure in tempo necessario sara' decisiva per definire la data della tanto attesa conclusione dei negoziati di adesione iniziati ormai cinque anni fa.
L'esperto americano per i Balcani, collaboratore del Centro Woodrow Wilson a Washington, Martin Slezinger ha valutato che vi e' spazio per nuovi negoziati sul Kosovo ma allo stesso tempo ha rilevato che la Serbia non puo' realizzare entrambi i suoi obbiettivi, vale a dire – diventare membro dell'Ue e mantere il Kosovo come parte del suo territorio e sistema. Secondo questo esperto statunitense, l'Ue e i rappresentanti del Kosovo sperano che i negoziati tratteranno principalmente le questioni tecniche relative alla situazione sul terreno e le relazioni tra la minoranza serba e la maggioranza albanese. Per i Serbi, naturalmente, la questione principale e il comportamento della Serbia nei confronti del Kosovo. In questo senso – afferma Slezinger, si spera che sono possibili tutti e due tipi di negoziati. E' chiaro, spiega l'esperto statunitense, che l'Ue vuole che la Serbia diventi suo membro nonostante il Kosovo, ma e' altrettanto chiaro che sara' necessario mettere in sesto le relazioni tra la Serbia e il Kosovo prima del suo ingresso nell'Ue.
La Germania vuole la Serbia nell'Ue, afferma in questi giorni il protavoce dei lieberali tedeschi (FDP) ed esperto per l'Europa sudorientale, Reiner Stinner e agginge pero' che il suo partito ritiene inutile il dibattito sul Kosovo alla prossima Assemblea generale dell'Onu. Queste sono anche dichiarazioni che contrastano l'opinione generale che sarebbe proprio la Germania, uno dei paesi leader dell'Ue ad opporsi fortemente al processo di allargamento dopo il prossimo ingresso della Croazia come 28-esimo stato membro dell'Ue. Parlando della prospettiva europea della Serbia, Stinner, membro dell'FDP a cui appartiene anche il capo della diplomazia tedesca Gido Westerwelle, sottolinea che in Germania non esistono forze rilevanti che si oppongono all'adesione della Serbia all'Ue ma che pero' i criteri necessari devono essere adempiuti. «Noi vogliamo l'adesione della Serbia nell'Ue perche' con cio' ci attendiamo una stabilizzazione fondamentale dell'intera regione» ha detto Stinner e ha sottolineato che la Germania appoggia la Dichiarazione di Salonicco la quale stabilisce l'ingresso di tutti i paesi dei Balcani occidentali. Ma a causa dei processi politici nelle circostanze della piu' grave crisi economica nella storia tedesca del dopoguerra e la minaccia del crollo dell'euro, al centro della politica tedesca, in questo momento, e' piuttosto la capacita' di salvaguardare il funzionamento dell'Ue che le nuove adesioni.
«La Serbia deve soddisfare i criteri politici ed economici. Inoltre, la Serbia deve regolare le sue relazioni con i paesi vicini, incluso il Kosovo» e' dell'opinione Stinner. «Sappiamo che per la Serbia si tratta di un colpo molto duro e doloroso» ha detto il liberale tedesco ricordando che proprio la Germania, nel periodo della sua divisione, aveva trovato i meccanismi per una possibile cooperazione e collaborazione nonostante posizioni giuridico-internazionali contrastanti. «Anche la Serbia dovra' incamminarsi su questa via. Non e' immaginabile che l'Ue accolga ancora una volta un paese con conflitti confinali aperti» ha detto Stinner che recentemente ha visitato Belgrado. Ha aggiunto che avrebbe salutato una prossima visita del capo della diplomazia tedesca a Belgrado e che in quella occasione potrebbe essere stabilito l'avanzamento della Serbia sulla via verso l'Ue. »Per noi politici europei questo semplificherebbe notevolmente la pubblicizzazione dell'adesione della Serbia all'Ue» ha concluso Reiner Stinner della FDP.
Il settimanale croato 'Nacional' riporta le affermazioni di Ted Carpenter, vicepresidente dell'Istituto di Washington «Cato», secondo il quale Washington prima si aveva opposto all'iniziativa serba di chiedere il parere della Corte internazionale di Giustizia sulla legittimita' dello status del Kosovo e poi, quando pero' non ci e' riuscita ad ostacolarlo, aveva silenziosamente fatto lobbing sulla decisione a favore del Kosovo. L'attuale insistere della Serbia sulla risoluzione relativa al Kosovo all'Assemblea generale delle Nazioni Unite che si terra' a settembre, ha scontrato grande opposizione all'interno dell'Ue ma anche da parte degli Stati Uniti che ancora alla fine degli anni 90 presero il Kosovo sotto protezione. La posizione della Serbia e' nota: come ribadito ancora una volta dal ministro degli esteri serbo Vuk Jeremic, la Serbia «non accetta la secessione unilaterale» di Pristina perche' «due terzi del mondo» non lo hanno accettato. Ma la decisione della CIG ha sollecitato alcuni tra questi paesi a riconsiderare le cose. In una intervista con la BBC, scrive 'Nacional', Ted Carpenter ha sottolineato che gli Stati Uniti guardano male ogni governo che si oppone ai desideri americani relativi all'ex Jugoslavia. «Tutto cio' che contrasta la politica americana suscitera' la rabbia degli Stati Uniti ma anche le loro minaccie non molto sottili» ha detto Carpenter. Ha aggiunto che gli Stati Uniti credono che il riconoscimento del Kosovo apre la via verso l'Ue anche ad altri paesi dell'ex Jugoslavia. Secondo gli Stati Uniti, afferma Carpenter, questo significa la fine definitiva di tutti i conflitti e tensioni nazionalisti nei Balcani ma commenta anche di ritenere una tale posizione «abbastanza ingenua».
Carpenter ricorda che l'America ha gia' impiegato molto tempo e soldi per la soluzione di questo problema soprattutto perche' la precedente politica americana non ha realizzato quanto atteso a Washington, vale a dire, il Kosovo non e' riconosciuto in tutto il mondo. Proprio per evitare nuovi guerre sul territorio balcanico, gli Stati Uniti si impegneranno al massimo ad evitare l'approvazione della risoluzione serba alle Nazioni Unite, e' dell'opinione Carpenter. E allora, afferma, si arrivera' ad un raffredamento diplomatico tra Washinton e Belgrado e gli americani, molto probabilmente, raccomanderanno agli europei di rallentare il processo di avvicinamento della Serbia all'Ue. Gli Stati Uniti non possono direttamente danneggiare la Serbia, ma possono influenzare negativamente le istituzioni finanziarie internazionali sulle quali hanno una grande influenza, sottolinea questo esperto politico americano e aggiunge che questa sarebbe comunque una reazione troppo severa ma non esclude che sara' proprio cosi'.
«Il periodo dal 2000 al 2003 e' stato segnato da grandi speranze e aspettative e come esatti si sono dimostrati gli ammonimenti che saranno necessari decenni affinche' i cambiamenti portassero ad una vita migliore per la maggior parte dei citadini della Serbia» valuta per il quotidiano serbo 'Blic' Ognjen Pribicevic, ex consigliere dell'ex ministro degli esteri serbo Vuk Draskovic e gia' ambasciatore a Berlino, autore del libro «Ascesa e crollo del DOS» che tra breve avra' la sua promozione. «Lo standard di vita e' saltato rispetto al 1999 e la democrazia e' diventata 'unico gioco nella citta''. Sono passati soltanto dieci anni e ce ne sara' bisogno 'soltanto' di altri venti affinche' la Serbia torni alla normalita'. Questo e' il prezzo del regime di Milosevic e del, purtroppo, grande sostegno del popolo che questo regime aveva goduto» scrive Pribicevic nel suo libro e tra l'altro afferma che per la tranquillizzazione della scena politica serba il maggiore merito va al presidente Boris Tadic che ha contribuito piu' di tutti affinche' si arrivasse ad un consenso sulle questioni nazionali, quali il Kosovo e l'adesione all'Ue.
(*) Corrispondente di Radio Radicale. Il testo è la trascrizione della corrispondenza per lo Speciale di Passaggio a Sud Est andato in onda mercoledì 11 agosto a Radio Radicale
I tre partiti di opposizione sloveni affermano che la legge sulla ratifica dell'accordo di arbitrato della Slovenia con la Croazia che ha finalmente sbloccato il lungo ostacolato processo di negoziati di adesione della Croazia con l'Ue, e' incostituzionale. Per questo motivo, i tre partiti sloveni hanno chiesto la verifica della costituzionalita' dell'accordo e hanno proposto che fino alla decisione finale si fermi la sua attuazione. Infatti, i democratici di Janez Jansa (SDS), i nazionalisti di Zmago Jelincic (SNS) ed i popolari di Radovan Zerjava (SLS) fanno riferimento alla decisione della Corte costituzionale che qualche mese fa aveva confermato che l'accordo tra Croazia e Slovenia sulla soluzione del confine sia conforme alla costituzione slovena. Si stabilisce pero' anche che in caso che l'arbitrato internazionale non decidesse a favore del contatto territoriale della Slovenia con il mare internazionale, potrebbero esserci conseguenze costituzionali. In tal caso, in base all'interpretazione della Corte costituzionale slovena, si dovrebbe cambiare la parte della costituzione che parla del tanto contestato confine sloveno nel golfo di Savudria. Va sottolineato che l'accordo di arbitrato con la Croazia e' entrato in vigore in Slovenia lo scorso sabato mentre in Croazia la stessa decisione e' entrata in vigore ancora prima. Allo stato attuale, manca ancora lo scambio della nota sulla ratifica affinche' si possa procedere con la procedura relativa all'istituzione della corte di arbitrato. Ma questo passo non potra' essere compiuto se la Corte costituzionale slovena accettera' la richiesta dei partiti di opposizione. Questo lascia comunque spazio per un certo senso di preoccupazione sul tranquillo procedimento dell'ultima tappa del processo di negoziati della Croazia con l'Ue.
Intanto, nonostante una molto breve pausa estiva dei vertici croati, il tema dell'integrazione europea non cessa ad essere al centro delle loro iniziative e dei loro impegni. All'ultima riunione relativa alla conferenza di adesione con la Croazia svoltasi a Bruxelles lo scorso mese, sono stati temporaneamente chiusi i capitoli relativi alla sicurezza del cibo e del controllo finanziario. Con questo atto, il numero totale di capitoli chiusi con la Croazia e' 22 di un totale di 35 capitoli che rappresentano la cornice legislativa dell'Ue. Secondo la Commissione europea, alcuni capitoli complessi, quali quelli con le implicazioni finanziarie, nonche' i capitoli relativi alla competizione del mercato, giustizia e diritti fondamentali, saranno esaminati nei prossimi mesi. La Commissione europea ritiene che il ritmo dei negoziati e' nelle mani della Croazia e che la capacita' di soddisfare le misure in tempo necessario sara' decisiva per definire la data della tanto attesa conclusione dei negoziati di adesione iniziati ormai cinque anni fa.
L'esperto americano per i Balcani, collaboratore del Centro Woodrow Wilson a Washington, Martin Slezinger ha valutato che vi e' spazio per nuovi negoziati sul Kosovo ma allo stesso tempo ha rilevato che la Serbia non puo' realizzare entrambi i suoi obbiettivi, vale a dire – diventare membro dell'Ue e mantere il Kosovo come parte del suo territorio e sistema. Secondo questo esperto statunitense, l'Ue e i rappresentanti del Kosovo sperano che i negoziati tratteranno principalmente le questioni tecniche relative alla situazione sul terreno e le relazioni tra la minoranza serba e la maggioranza albanese. Per i Serbi, naturalmente, la questione principale e il comportamento della Serbia nei confronti del Kosovo. In questo senso – afferma Slezinger, si spera che sono possibili tutti e due tipi di negoziati. E' chiaro, spiega l'esperto statunitense, che l'Ue vuole che la Serbia diventi suo membro nonostante il Kosovo, ma e' altrettanto chiaro che sara' necessario mettere in sesto le relazioni tra la Serbia e il Kosovo prima del suo ingresso nell'Ue.
La Germania vuole la Serbia nell'Ue, afferma in questi giorni il protavoce dei lieberali tedeschi (FDP) ed esperto per l'Europa sudorientale, Reiner Stinner e agginge pero' che il suo partito ritiene inutile il dibattito sul Kosovo alla prossima Assemblea generale dell'Onu. Queste sono anche dichiarazioni che contrastano l'opinione generale che sarebbe proprio la Germania, uno dei paesi leader dell'Ue ad opporsi fortemente al processo di allargamento dopo il prossimo ingresso della Croazia come 28-esimo stato membro dell'Ue. Parlando della prospettiva europea della Serbia, Stinner, membro dell'FDP a cui appartiene anche il capo della diplomazia tedesca Gido Westerwelle, sottolinea che in Germania non esistono forze rilevanti che si oppongono all'adesione della Serbia all'Ue ma che pero' i criteri necessari devono essere adempiuti. «Noi vogliamo l'adesione della Serbia nell'Ue perche' con cio' ci attendiamo una stabilizzazione fondamentale dell'intera regione» ha detto Stinner e ha sottolineato che la Germania appoggia la Dichiarazione di Salonicco la quale stabilisce l'ingresso di tutti i paesi dei Balcani occidentali. Ma a causa dei processi politici nelle circostanze della piu' grave crisi economica nella storia tedesca del dopoguerra e la minaccia del crollo dell'euro, al centro della politica tedesca, in questo momento, e' piuttosto la capacita' di salvaguardare il funzionamento dell'Ue che le nuove adesioni.
«La Serbia deve soddisfare i criteri politici ed economici. Inoltre, la Serbia deve regolare le sue relazioni con i paesi vicini, incluso il Kosovo» e' dell'opinione Stinner. «Sappiamo che per la Serbia si tratta di un colpo molto duro e doloroso» ha detto il liberale tedesco ricordando che proprio la Germania, nel periodo della sua divisione, aveva trovato i meccanismi per una possibile cooperazione e collaborazione nonostante posizioni giuridico-internazionali contrastanti. «Anche la Serbia dovra' incamminarsi su questa via. Non e' immaginabile che l'Ue accolga ancora una volta un paese con conflitti confinali aperti» ha detto Stinner che recentemente ha visitato Belgrado. Ha aggiunto che avrebbe salutato una prossima visita del capo della diplomazia tedesca a Belgrado e che in quella occasione potrebbe essere stabilito l'avanzamento della Serbia sulla via verso l'Ue. »Per noi politici europei questo semplificherebbe notevolmente la pubblicizzazione dell'adesione della Serbia all'Ue» ha concluso Reiner Stinner della FDP.
Il settimanale croato 'Nacional' riporta le affermazioni di Ted Carpenter, vicepresidente dell'Istituto di Washington «Cato», secondo il quale Washington prima si aveva opposto all'iniziativa serba di chiedere il parere della Corte internazionale di Giustizia sulla legittimita' dello status del Kosovo e poi, quando pero' non ci e' riuscita ad ostacolarlo, aveva silenziosamente fatto lobbing sulla decisione a favore del Kosovo. L'attuale insistere della Serbia sulla risoluzione relativa al Kosovo all'Assemblea generale delle Nazioni Unite che si terra' a settembre, ha scontrato grande opposizione all'interno dell'Ue ma anche da parte degli Stati Uniti che ancora alla fine degli anni 90 presero il Kosovo sotto protezione. La posizione della Serbia e' nota: come ribadito ancora una volta dal ministro degli esteri serbo Vuk Jeremic, la Serbia «non accetta la secessione unilaterale» di Pristina perche' «due terzi del mondo» non lo hanno accettato. Ma la decisione della CIG ha sollecitato alcuni tra questi paesi a riconsiderare le cose. In una intervista con la BBC, scrive 'Nacional', Ted Carpenter ha sottolineato che gli Stati Uniti guardano male ogni governo che si oppone ai desideri americani relativi all'ex Jugoslavia. «Tutto cio' che contrasta la politica americana suscitera' la rabbia degli Stati Uniti ma anche le loro minaccie non molto sottili» ha detto Carpenter. Ha aggiunto che gli Stati Uniti credono che il riconoscimento del Kosovo apre la via verso l'Ue anche ad altri paesi dell'ex Jugoslavia. Secondo gli Stati Uniti, afferma Carpenter, questo significa la fine definitiva di tutti i conflitti e tensioni nazionalisti nei Balcani ma commenta anche di ritenere una tale posizione «abbastanza ingenua».
Carpenter ricorda che l'America ha gia' impiegato molto tempo e soldi per la soluzione di questo problema soprattutto perche' la precedente politica americana non ha realizzato quanto atteso a Washington, vale a dire, il Kosovo non e' riconosciuto in tutto il mondo. Proprio per evitare nuovi guerre sul territorio balcanico, gli Stati Uniti si impegneranno al massimo ad evitare l'approvazione della risoluzione serba alle Nazioni Unite, e' dell'opinione Carpenter. E allora, afferma, si arrivera' ad un raffredamento diplomatico tra Washinton e Belgrado e gli americani, molto probabilmente, raccomanderanno agli europei di rallentare il processo di avvicinamento della Serbia all'Ue. Gli Stati Uniti non possono direttamente danneggiare la Serbia, ma possono influenzare negativamente le istituzioni finanziarie internazionali sulle quali hanno una grande influenza, sottolinea questo esperto politico americano e aggiunge che questa sarebbe comunque una reazione troppo severa ma non esclude che sara' proprio cosi'.
«Il periodo dal 2000 al 2003 e' stato segnato da grandi speranze e aspettative e come esatti si sono dimostrati gli ammonimenti che saranno necessari decenni affinche' i cambiamenti portassero ad una vita migliore per la maggior parte dei citadini della Serbia» valuta per il quotidiano serbo 'Blic' Ognjen Pribicevic, ex consigliere dell'ex ministro degli esteri serbo Vuk Draskovic e gia' ambasciatore a Berlino, autore del libro «Ascesa e crollo del DOS» che tra breve avra' la sua promozione. «Lo standard di vita e' saltato rispetto al 1999 e la democrazia e' diventata 'unico gioco nella citta''. Sono passati soltanto dieci anni e ce ne sara' bisogno 'soltanto' di altri venti affinche' la Serbia torni alla normalita'. Questo e' il prezzo del regime di Milosevic e del, purtroppo, grande sostegno del popolo che questo regime aveva goduto» scrive Pribicevic nel suo libro e tra l'altro afferma che per la tranquillizzazione della scena politica serba il maggiore merito va al presidente Boris Tadic che ha contribuito piu' di tutti affinche' si arrivasse ad un consenso sulle questioni nazionali, quali il Kosovo e l'adesione all'Ue.
(*) Corrispondente di Radio Radicale. Il testo è la trascrizione della corrispondenza per lo Speciale di Passaggio a Sud Est andato in onda mercoledì 11 agosto a Radio Radicale
giovedì 12 agosto 2010
PASSAGGIO SPECIALE
L'Unione Europea e l'integrazione del sud est europeo
La crisi economica globale e i suoi effetti sulla Grecia con il conseguente indebolimento dell’euro e hanno praticamente monopolizzato la politica dell’Ue nei mesi scorsi, frenando bruscamente i processi di integrazione dei paesi in lista d'attesa e mettendo in crisi anche l'attuazione del Trattato di Lisbona. Da mesi si discute se l'Ue è arrivata al capolinea e cosa resta del progetto politico dei "padri fondatori". E naturalmente la discussione si sposta sull'allargamento e sul fino a dove si possono spingere i confini dell'Unione.
I prossimi mesi, dopo la pausa estiva, si presentano carichi di attese per il futuro dell'Unione: ci sono le questioni monetarie ed economiche, quella della ricerca di una politica estera comune (anche attraverso l'avvio del Servizio europeo d’azione esterna, il "ministero degli esteri" dell'Ue) sulla quale per ora pesa la difesa delle prerogative nazionali dei singoli paesi membri. Poi c'è, appunto, la questione del proseguimento del processo di allargamento: qui i teatri delle operazioni sono almeno due, i Balcani occidentali e la Turchia.
A questo tema è stato dedicato lo Speciale di Passaggio a Sud Est andato in onda ieri sera a Radio Radicale e realizzato come sempre con la collaborazione di Marina Szikora e Artur Nura.
Qui di seguito il testo dell'introduzione della puntata di ieri.
Dopo l’ampliamento dell’Ue da 15 a 27 Paesi, reso quasi obbligato dal crollo del blocco sovietico, l'allargamento vive ora una fase di stanchezza complicata da una generale crisi del sentimento europeista. Ma l'integrazione nell’Unione dei Balcani è necessaria per non lasciare in una sorta di limbo una regione storicamente instabile.
Alla conferenza svoltasi in giugno a Sarajevo l'Ue ha ribadito il proprio impegno e la promessa dell'integrazione della regione chiedendo però ai Paesi interessati altrettanto impegno per raggiungere gli standard richiesti e una sufficiente stabilità politico-economica interna. Il grado di avanzamento del processo di adesione cambia però da paese a paese.
La Croazia è ben avanzata nella trattativa e potrebbe entrare nel 2012, magari insieme all’Islanda, salvo soprese. Per Bosnia, Montenegro, Serbia, Macedonia, Albania e Kosovo le prospettive sono più complicate, trattandosi di Paesi che devono ancora fare molto in materia di stato di diritto, riforma del sistema giudiziario, rispetto delle libertà dei cittadini, lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata. Tuttavia, passi avanti ci sono stati: Serbia, Montenegro e Macedonia sono da gennaio nell’area Schengen per quanto riguarda i visti e Albania e Bosnia potrebbero presto entrarci. A novembre la Commissione europea darà il parere sulla candidatura del Montenegro, la Serbia ha presentato qualche tempo fa la richiesta di ottenere lo status di candidato, e il dossier albanese è all'esame delle autorità di Bruxelles anche se la crisi politica interna conseguente allo scontro in atto da un anno tra maggioranza e opposizione crea molte preoccupazioni a Bruxelles che sembra intenzionata a intervenire direttamente per risolvere i problemi.
La Macedonia infine potrebbe finalmente veder sbloccato l'inizio del negoziato che attende dal 2005 a causa della disputa con la Grecia sul nome dell'ex repubblica jugoslava che sta impedendo a Skopje anche l'adesione alla Nato. E proprio all'Aleanza più che all'Ue sembra affidato il compito di favorire il compromesso. Ultimamente da Atene sono venuti alcuni segnali positivi: l'arrivo ad Atene del governo socialista ha allentato le rigidità elleniche come provano i diversi incontri già avvenuti tra i premier dei due Paesi. Nonostante ciò non sembra che una soluzione sia vicina.
Infine c'è la questione del Kosovo. La Corte di giustizia internazionale dell’Onu il 22 luglio ha giudicato legittima la dichiarazione d’indipendenza. Il parere della Corte dell’Aja probablmente inciderà sul processo di integrazione di tutti i Balcani nell’Unione europea. Prima però i 27 dovranno concordare una linea d’azione comune nei confronti del Kosovo: cinque paesi infatti - Spagna, Slovacchia, Romania, Grecia e Cipro – ancora non lo riconoscono.
Nella trasmissione si fa in particolare il punto della situazione per quanto riguarda Croazia, Serbia, Albania e Macedonia.
L'ultima parte è dedicata alla Turchia. Nella sua recente visita ufficiale ad Ankara, il premier britannico David Cameron ha annunciato che la Gran Bretagna intende essere la principale paladina della piena integrazione della Turchia all'Ue criticando apertamente le posizioni di Francia e Germania contrarie all'adesione in favore di un partenariato privilegiato. A parte la singolarità che una tale posizione venga da un Paese tradizionalmente euro-scettico come il Regno Unito e da un politico di non certo specchiata fede europeista come il leader conservatore, diversi osservatori hanno letto la polemica del premier inglese verso le posizioni di Sarkozy e Merkel come il confronto tra due diverse visioni dell'Ue: quella tradizionale, che privilegia il "soft power" e tutela le prerogative nazionali incarnata da Berlino e Parigi, e una visione più moderna che punta a fare dell'Ue un attore di primo piano sulla scena mondiale. Da questo punto di vista l'integrazione della Turchia, molto più di quella dei Balcani occidentali, sarà il banco di prova nei prossimi anni per misurare il futuro dell'Ue come progetto politico.
La Turchia nelle prossime settimane ha di fronte alcuni passaggi significativi. C'è un nuovo capo di stato maggiore generale: il generale Isik Kosaner è definito come un duro e come un difensore del secolarismo kemalista. Ma proprio la sua nomina e l'avvicendamento ai vertici delle froze armate che hanno portato a questa nomina, mostrerebbero che per la prima volta i generali sono stati sconfitti dal potere politico. Il 27 agosto il nuovo capo delle forze armate terrà il suo primo discorso pubblico e tutti gli occhi saranno puntati su di lui per capire quale potrà essere nei prossimi mesi il rapporto tra il governo islamico-moderato dell'Akp e l'establishment militare dopo i numerosi scontri di questi anni. Anche perché due settimane dopo i turchi voteranno per il referendum sulla riforma della Costituzione del 1982 (figlia del golpe militare dell'80), voluta dal premier Erdogan e che tra le altre cose mette dei paletti ad alcuni poteri dei militari e della magistratura.
Intanto Ankara ribadisce che l'integrazione nell'Unione è una delle priorità della sua politica internazionale, ma i fatti dimostrano che non è l'unica. L'iniziativa politico-diplomatica portata avanti all'insegna della dottrina della "profondità strategica" elaborata dall'attuale ministro degli Esteri, Ahmet Davutoglu, dimostra che la Turchia intende giocare un ruolo da potenza regionale nell'area che va dai Balcani al Medio Oriente al Caucaso, senza dimenticare il ruolo centrale nella definizione delle nuove rotte energetiche che riguardano estremamente da vicino l'Europa. La Turchia ha fatto capire chiaramente che l'Europa gli interessa ma non a qualunque prezzo. Sta a quest'ultima, nel senso di Unione Europea, decidere se vuole fare proprio questo straordinario capitale geopolitico.
Lo Speciale di ieri è riascoltabile direttamente qui
oppure sul sito di Radio Radicale nella sezione delle Rubriche
La crisi economica globale e i suoi effetti sulla Grecia con il conseguente indebolimento dell’euro e hanno praticamente monopolizzato la politica dell’Ue nei mesi scorsi, frenando bruscamente i processi di integrazione dei paesi in lista d'attesa e mettendo in crisi anche l'attuazione del Trattato di Lisbona. Da mesi si discute se l'Ue è arrivata al capolinea e cosa resta del progetto politico dei "padri fondatori". E naturalmente la discussione si sposta sull'allargamento e sul fino a dove si possono spingere i confini dell'Unione.
I prossimi mesi, dopo la pausa estiva, si presentano carichi di attese per il futuro dell'Unione: ci sono le questioni monetarie ed economiche, quella della ricerca di una politica estera comune (anche attraverso l'avvio del Servizio europeo d’azione esterna, il "ministero degli esteri" dell'Ue) sulla quale per ora pesa la difesa delle prerogative nazionali dei singoli paesi membri. Poi c'è, appunto, la questione del proseguimento del processo di allargamento: qui i teatri delle operazioni sono almeno due, i Balcani occidentali e la Turchia.
A questo tema è stato dedicato lo Speciale di Passaggio a Sud Est andato in onda ieri sera a Radio Radicale e realizzato come sempre con la collaborazione di Marina Szikora e Artur Nura.
Qui di seguito il testo dell'introduzione della puntata di ieri.
Dopo l’ampliamento dell’Ue da 15 a 27 Paesi, reso quasi obbligato dal crollo del blocco sovietico, l'allargamento vive ora una fase di stanchezza complicata da una generale crisi del sentimento europeista. Ma l'integrazione nell’Unione dei Balcani è necessaria per non lasciare in una sorta di limbo una regione storicamente instabile.
Alla conferenza svoltasi in giugno a Sarajevo l'Ue ha ribadito il proprio impegno e la promessa dell'integrazione della regione chiedendo però ai Paesi interessati altrettanto impegno per raggiungere gli standard richiesti e una sufficiente stabilità politico-economica interna. Il grado di avanzamento del processo di adesione cambia però da paese a paese.
La Croazia è ben avanzata nella trattativa e potrebbe entrare nel 2012, magari insieme all’Islanda, salvo soprese. Per Bosnia, Montenegro, Serbia, Macedonia, Albania e Kosovo le prospettive sono più complicate, trattandosi di Paesi che devono ancora fare molto in materia di stato di diritto, riforma del sistema giudiziario, rispetto delle libertà dei cittadini, lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata. Tuttavia, passi avanti ci sono stati: Serbia, Montenegro e Macedonia sono da gennaio nell’area Schengen per quanto riguarda i visti e Albania e Bosnia potrebbero presto entrarci. A novembre la Commissione europea darà il parere sulla candidatura del Montenegro, la Serbia ha presentato qualche tempo fa la richiesta di ottenere lo status di candidato, e il dossier albanese è all'esame delle autorità di Bruxelles anche se la crisi politica interna conseguente allo scontro in atto da un anno tra maggioranza e opposizione crea molte preoccupazioni a Bruxelles che sembra intenzionata a intervenire direttamente per risolvere i problemi.
La Macedonia infine potrebbe finalmente veder sbloccato l'inizio del negoziato che attende dal 2005 a causa della disputa con la Grecia sul nome dell'ex repubblica jugoslava che sta impedendo a Skopje anche l'adesione alla Nato. E proprio all'Aleanza più che all'Ue sembra affidato il compito di favorire il compromesso. Ultimamente da Atene sono venuti alcuni segnali positivi: l'arrivo ad Atene del governo socialista ha allentato le rigidità elleniche come provano i diversi incontri già avvenuti tra i premier dei due Paesi. Nonostante ciò non sembra che una soluzione sia vicina.
Infine c'è la questione del Kosovo. La Corte di giustizia internazionale dell’Onu il 22 luglio ha giudicato legittima la dichiarazione d’indipendenza. Il parere della Corte dell’Aja probablmente inciderà sul processo di integrazione di tutti i Balcani nell’Unione europea. Prima però i 27 dovranno concordare una linea d’azione comune nei confronti del Kosovo: cinque paesi infatti - Spagna, Slovacchia, Romania, Grecia e Cipro – ancora non lo riconoscono.
Nella trasmissione si fa in particolare il punto della situazione per quanto riguarda Croazia, Serbia, Albania e Macedonia.
L'ultima parte è dedicata alla Turchia. Nella sua recente visita ufficiale ad Ankara, il premier britannico David Cameron ha annunciato che la Gran Bretagna intende essere la principale paladina della piena integrazione della Turchia all'Ue criticando apertamente le posizioni di Francia e Germania contrarie all'adesione in favore di un partenariato privilegiato. A parte la singolarità che una tale posizione venga da un Paese tradizionalmente euro-scettico come il Regno Unito e da un politico di non certo specchiata fede europeista come il leader conservatore, diversi osservatori hanno letto la polemica del premier inglese verso le posizioni di Sarkozy e Merkel come il confronto tra due diverse visioni dell'Ue: quella tradizionale, che privilegia il "soft power" e tutela le prerogative nazionali incarnata da Berlino e Parigi, e una visione più moderna che punta a fare dell'Ue un attore di primo piano sulla scena mondiale. Da questo punto di vista l'integrazione della Turchia, molto più di quella dei Balcani occidentali, sarà il banco di prova nei prossimi anni per misurare il futuro dell'Ue come progetto politico.
La Turchia nelle prossime settimane ha di fronte alcuni passaggi significativi. C'è un nuovo capo di stato maggiore generale: il generale Isik Kosaner è definito come un duro e come un difensore del secolarismo kemalista. Ma proprio la sua nomina e l'avvicendamento ai vertici delle froze armate che hanno portato a questa nomina, mostrerebbero che per la prima volta i generali sono stati sconfitti dal potere politico. Il 27 agosto il nuovo capo delle forze armate terrà il suo primo discorso pubblico e tutti gli occhi saranno puntati su di lui per capire quale potrà essere nei prossimi mesi il rapporto tra il governo islamico-moderato dell'Akp e l'establishment militare dopo i numerosi scontri di questi anni. Anche perché due settimane dopo i turchi voteranno per il referendum sulla riforma della Costituzione del 1982 (figlia del golpe militare dell'80), voluta dal premier Erdogan e che tra le altre cose mette dei paletti ad alcuni poteri dei militari e della magistratura.
Intanto Ankara ribadisce che l'integrazione nell'Unione è una delle priorità della sua politica internazionale, ma i fatti dimostrano che non è l'unica. L'iniziativa politico-diplomatica portata avanti all'insegna della dottrina della "profondità strategica" elaborata dall'attuale ministro degli Esteri, Ahmet Davutoglu, dimostra che la Turchia intende giocare un ruolo da potenza regionale nell'area che va dai Balcani al Medio Oriente al Caucaso, senza dimenticare il ruolo centrale nella definizione delle nuove rotte energetiche che riguardano estremamente da vicino l'Europa. La Turchia ha fatto capire chiaramente che l'Europa gli interessa ma non a qualunque prezzo. Sta a quest'ultima, nel senso di Unione Europea, decidere se vuole fare proprio questo straordinario capitale geopolitico.
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