Dunque, ci siamo. Domani la Corte internazionale di giustizia dell'Onu (Icj) esprimerà il parere richiesto dalla Serbia sulla legittimità dell'indipendenza del Kosovo proclamata unilateralmente il 17 febbraio 2008. Secondo la nota ufficiale diffusa dalla stessa Icj la scorsa settimana la seduta pubblica, nel corso della quale il presidente della Corte, Hisashi Owada, darà lettura del verdetto, è convocata alle ore 15 al Palazzo della Pace, all'Aia. Per i Balcani e l'intera Comunità internazionale è "arrivato il momento della verità", come ha dichiarato il ministro degli esteri serbo, Vuk Jeremic.
La Serbia, com'è noto, considera l'indipendenza dichiarata dal Kosovo il 17 febbraio 2008 una violazione del diritto internazionale e della risoluzione 1244 con cui il Consiglio di sicurezza dell'Onu nel 1999 ha posto la provincia sotto la tutela della Comunità internazionale pur riconoscendo la sovranità di Belgrado. I kosovari albanesi, che rappresentano oltre il 90% della popolazione, rivendicano invece il diritto ad un proprio stato dopo le discriminazioni e la pulizia etnica inflitti loro dalla Serbia di Milosevic che portarono alla guerra fermata solo dai bombardamenti della Nato del 1999.
L'8 ottobre del 2008 la Serbia ha ottenuto il via libera dall'Assemblea generale a sottoporre la questione al massimo organo giurisdizionale dell Nazioni Unite. Tra il primo e l'11 dicembre 2009 la Serbia, il Kosovo e ventinove Paesi membri Onu, inclusi Russia e Stati Uniti, hanno poi presentato le loro valutazioni alla Corte. Il verdetto di domani non avrà valore vincolante, ma assumerà certamente un notevole peso politico e diplomatico e quindi un'influenza sul difficile processo di stabilizzazione e di pacicazione dei Balcani occidentali dopo le guerre jugoslave degli anni '90.
Un parere dell'Icj favorevole all'indipendenza di Pristina, temono alcuni osservatori, potrebbe legittimare non solo le ambizioni secessioniste delle tante minoranze sparse nei vari Stati nati dalla dissoluzione della Jugoslavia (in Bosnia e Macedonia in primis), ma anche nel resto del mondo, a partire dalla stessa Unione Europea: non per caso Spagna, Cipro, Romania, Slovacchia e Grecia sono i cinque dei 27 Paesi UE a non aver riconosciuto l'indipendenza di Pristina. La possibilità però appare francamente eccessiva: non si vede perché un parere consultivo dovrebbe provocare ora quello che non accadde nel febbraio 2008. All'opposto, una decisione pienamente favorevole a Belgrado richierebbe di destabilizzare il difficile equilibrio che l'UE e la comunità internazionale cerca di mantenere nella regione alla ricerca di una stabilità più duratura. I pronostici di analisti, diplomatici e giuristi sembrano concordi, però, nel prevedere un verdetto "salomonico" (o equidistante o anche ambiguo, se preferite) con il quale la Corte internazionale, forzando i principi giuridici, riconoscerà la situazione "de facto": il Kosovo è ormai indipendente tranne che nei territori a nord del fiume Ibar, dove la maggioranza serba non riconosce altro che l'autorità della madrepatria.
La Serbia si dice comunque pronta, immediatamente dopo la decisione dell'Icj a proporre all'Assemblea generale delle Nazioni Unite l'adozione di una risoluzione equilibrata che mostri chiaramente il suo desiderio di raggiungere un compromesso su tutte le questioni, incluso lo status del Kosovo, e che mostri la sua flessibilità circa i bisogni della comunità albanese, così come delle altre comunità, come ha dichiarato il vicepremier serbo con delega all'Integrazione Ue, Bozidar Djelic, il quale ha però ribadito che Belgrado mai riconoscerà l'indipendenza della sua provincia.
Secondo il quotidiano serbo Politika, che nei giorni scorsi citava fonti del ministero degli Esteri di Belgrado, "la Serbia risponderà all'offerta di Bruxelles di redigere insieme il testo della risoluzione, dopo la riunione dei ministri degli Esteri Ue del 26 luglio prossimo". Vecernje Novosti, invece, citava altre fonti secondo la quali il testo della risoluzione che Bruxelles ha proposto alla Serbia di sottoscrivere insieme "affermerebbe che tutti i negoziati tra Belgrado e Pristina verrebbero condotti sotto gli auspici UE e né lo status, né la partizione verrebbero presi in considerazione", ma, qualora Belgrado non dovesse accettare, "sarebbe posta in discussione l'integrazione europea del Paese".
Il problema è, insomma, capire cosa succederà dopo. C'è chi pensa che il parere dell'Icj potrebbe far ripartire i negoziati tra Belgrado e Pristina: in questo modo la prima tenterebbe di "salvare il salvabile" (magari con un riconosciuta autonomia amministrativa per il nord kosovaro a maggioranza serba), mentre la seconda cercherebbe di mantenere il suo staus internazionale di Stato indipendente e sovrano, magari anche con l'arrivo di qualche nuovo riconoscimento. E' sempre presente, poi, l'ipotesi della partizione attraverso uno scambio di territori: in cambio del nord del Kosovo, a maggioranza serba, Belgrado cederebbe a Pristina la valle di Presevo, nella Serbia meridionale, a maggioranza albanese. Ma l'idea, almeno ufficialmente, non piace alla Comunità internazionale, la quale avrebbe già adottato la formula della partizione "de facto" ma non "de jure" per non far andare all'aria il complesso puzzle che si cerca di comporre nei Balcani. Il tentativo è quello di fare in modo che, dalle guerra, al protettorato internazionale, alla dichiarazione di indipendenza, alla decisione dell'Icj e oltre, il caso kosovaro resti un'eccezione e non diventi un precedente per il diritto internazionale.
ciao favola
RispondiEliminache voglia di piangere.........