Questa è una settimana cruciale per
l’Europa: si sovrappongono sfide interne ed esterne. La crisi
economica e finanziaria sta mettendo a dura prova la capacità delle
nostre comuni istituzioni di bilanciare rigore e crescita, condizione
indispensabile per affrontare il problema fondamentale della
disoccupazione. L’Europa non è solo lo spread. Una Unione in buona
salute deve anche guardare al di là dei propri confini, perché il
resto del mondo non sta fermo ad aspettare che i nostri problemi
interni siano risolti. L’Europa deve essere all’altezza delle sue
responsabilità, con particolare riguardo a due questioni che sono in
gioco in questi giorni. In primo luogo, la Turchia. L’Europa non
può sottrarsi alla propria responsabilità storica di scegliere tra
miopia e lungimiranza. Ci dispiace che alcune autorità turche, di
fronte a manifestazioni pacifiche, abbiano reagito in modo
sproporzionato. E tuttavia, le circostanze attuali devono infondere
un rinnovato senso di urgenza nel far progredire i negoziati dell’Ue
con Ankara. Bisogna coinvolgere in modo costruttivo le autorità
turche, senza dare lezioni ma neppure mostrando segni di cedimento
sui valori fondamentali di libertà e giustizia. Il continente
europeo ha bisogno di una Turchia pienamente democratica all’interno
dei suoi confini, non al di fuori. Questo è l’obiettivo da tenere
in mente, e la Turchia - come l’ultimo decennio della sua storia ha
dimostrato necessita dei vincoli e dei benefici che le derivano
dall’ancoraggio con l’Europa, ora più che mai.
Non è il momento di chiudere le porte
alla prospettiva europea della Turchia, ma, al contrario, il tempo di
rafforzarla. La decisione di ieri del Consiglio Affari Generali
dell’Unione Europea di riprendere i negoziati di adesione a ottobre
e aprire il capitolo sulle politiche regionali è un segnale nella
giusta direzione. Certo, se avessimo aperto in passato il negoziato
su temi quali i diritti fondamentali e la giustizia, per esempio,
oggi potremmo contare su una leva più efficace nel nostro dialogo
con le autorità turche. Se facessimo l’errore di interrompere il
processo di integrazione europea di Ankara, domani avremmo un’Europa
meno credibile sullo scenario internazionale. In secondo luogo, il 27
e 28 giugno il Consiglio europeo si riunirà per concordare una data
precisa per l’avvio dei negoziati di adesione della Serbia. Questa
volta Belgrado ci guarda con particolare speranza. Anche a Pristina,
capitale del Kosovo, si nutrono grandi aspettative per l’apertura
dei negoziati per l’Accordo di Associazione e Stabilizzazione.
Spero vivamente che, di qui a pochi giorni, noi europei saremo
all’altezza della sfida, avendo fatto un ulteriore passo in avanti
sulla via dell’integrazione dei Balcani, senza la quale l’unico -
e certamente non auspicabile - risultato sarebbe il riemergere di
impulsi nazionalistici a Belgrado e Pristina. Rimandare le decisioni
potrebbe innescare una spirale negativa di sospetti e tensioni,
nonostante il gigantesco sforzo già fatto da tutte le parti.
L’apertura dei negoziati è
fondamentale: dobbiamo decidere adesso. I popoli di Serbia e Kosovo
hanno dimostrato straordinario spirito di compromesso, con
l’obiettivo finale di entrare a far parte della famiglia europea.
Un rifiuto, o una risposta tardiva ai loro sforzi, potrebbe condurre
al fallimento dello storico accordo raggiunto grazie alla mediazione
dell’Ue. È in gioco la nostra credibilità, difficile da
guadagnare e facile da perdere. E solo attraverso politiche credibili
l’Europa sarà in grado di affrontare le prove che la attendono,
come la stabilità dei suoi vicini orientali e meridionali. Per
svolgere il suo ruolo internazionale, l’Unione Europea ha bisogno
di una rinnovata legittimità democratica e della fiducia dei suoi
cittadini. Oggi, progredire verso una "federazione leggera"
non è solo una coraggiosa opzione, ma anche un imperativo su cui
lavorare. Una Unione ipertrofica in campo monetario e fiscale, ma
debole in materia economica e sociale, ipotecata dai governi
nazionali in molti settori della politica estera e della sicurezza,
non sarà capace di far fronte alle sfide interne né di contribuire
ai futuri assetti internazionali. La domanda di Europa rimane forte
dentro e fuori l’Europa - se solo l’Europa sarà in grado di
rispondere e lo vorrà fare. In caso contrario, l’euroscetticismo
si nutrirà della frustrazione per le lentezze, i ritardi, le
ambiguità. In ultima analisi, l’Europa è chiamata a mandare un
messaggio convincente ai suoi cittadini. Se falliremo, dalle prossime
elezioni per il Parlamento Europeo potrebbe scaturire una maggioranza
di forze euroscettiche e populiste. Oggi, che viviamo tempi difficili
sul piano politico ed economico, non possiamo permettercelo.
Questa
è una settimana cruciale per l’Europa: si sovrappongono sfide interne
ed esterne. La crisi economica e finanziaria sta mettendo a dura prova
la capacità delle nostre comuni istituzioni di bilanciare rigore e
crescita, condizione indispensabile per affrontare il problema
fondamentale della disoccupazione. L’Europa non è solo lo spread. Una
Unione in buona salute deve anche guardare al di là dei propri confini,
perché il resto del mondo non sta fermo ad aspettare che i nostri
problemi interni siano risolti. L’Europa deve essere all’altezza delle
sue responsabilità, con particolare riguardo a due questioni che sono in
gioco in questi giorni. In primo luogo, la Turchia. L’Europa non può
sottrarsi alla propria responsabilità storica di scegliere tra miopia e
lungimiranza. Ci dispiace che alcune autorità turche, di fronte a
manifestazioni pacifiche, abbiano reagito in modo sproporzionato. E
tuttavia, le circostanze attuali devono infondere un rinnovato senso di
urgenza nel far progredire i negoziati dell’Ue con Ankara. Bisogna
coinvolgere in modo costruttivo le autorità turche, senza dare lezioni
ma neppure mostrando segni di cedimento sui valori fondamentali di
libertà e giustizia. Il continente europeo ha bisogno di una Turchia
pienamente democratica all’interno dei suoi confini, non al di fuori.
Questo è l’obiettivo da tenere in mente, e la Turchia - come l’ultimo
decennio della sua storia ha dimostrato necessita dei vincoli e dei
benefici che le derivano dall’ancoraggio con l’Europa, ora più che mai.
Non è il momento di chiudere le porte alla prospettiva europea della
Turchia, ma, al contrario, il tempo di rafforzarla. La decisione di ieri
del Consiglio Affari Generali dell’Unione Europea di riprendere i
negoziati di adesione a ottobre e aprire il capitolo sulle politiche
regionali è un segnale nella giusta direzione. Certo, se avessimo aperto
in passato il negoziato su temi quali i diritti fondamentali e la
giustizia, per esempio, oggi potremmo contare su una leva più efficace
nel nostro dialogo con le autorità turche. Se facessimo l’errore di
interrompere il processo di integrazione europea di Ankara, domani
avremmo un’Europa meno credibile sullo scenario internazionale. In
secondo luogo, il 27 e 28 giugno il Consiglio europeo si riunirà per
concordare una data precisa per l’avvio dei negoziati di adesione della
Serbia. Questa volta Belgrado ci guarda con particolare speranza. Anche a
Pristina, capitale del Kosovo, si nutrono grandi aspettative per
l’apertura dei negoziati per l’Accordo di Associazione e
Stabilizzazione. Spero vivamente che, di qui a pochi giorni, noi europei
saremo all’altezza della sfida, avendo fatto un ulteriore passo in
avanti sulla via dell’integrazione dei Balcani, senza la quale l’unico -
e certamente non auspicabile - risultato sarebbe il riemergere di
impulsi nazionalistici a Belgrado e Pristina. Rimandare le decisioni
potrebbe innescare una spirale negativa di sospetti e tensioni,
nonostante il gigantesco sforzo già fatto da tutte le parti.
L’apertura dei negoziati è fondamentale: dobbiamo decidere adesso. I
popoli di Serbia e Kosovo hanno dimostrato straordinario spirito di
compromesso, con l’obiettivo finale di entrare a far parte della
famiglia europea. Un rifiuto, o una risposta tardiva ai loro sforzi,
potrebbe condurre al fallimento dello storico accordo raggiunto grazie
alla mediazione dell’Ue. È in gioco la nostra credibilità, difficile da
guadagnare e facile da perdere. E solo attraverso politiche credibili
l’Europa sarà in grado di affrontare le prove che la attendono, come la
stabilità dei suoi vicini orientali e meridionali. Per svolgere il suo
ruolo internazionale, l’Unione Europea ha bisogno di una rinnovata
legittimità democratica e della fiducia dei suoi cittadini. Oggi,
progredire verso una "federazione leggera" non è solo una coraggiosa
opzione, ma anche un imperativo su cui lavorare. Una Unione ipertrofica
in campo monetario e fiscale, ma debole in materia economica e sociale,
ipotecata dai governi nazionali in molti settori della politica estera e
della sicurezza, non sarà capace di far fronte alle sfide interne né di
contribuire ai futuri assetti internazionali. La domanda di Europa
rimane forte dentro e fuori l’Europa - se solo l’Europa sarà in grado di
rispondere e lo vorrà fare. In caso contrario, l’euroscetticismo si
nutrirà della frustrazione per le lentezze, i ritardi, le ambiguità. In
ultima analisi, l’Europa è chiamata a mandare un messaggio convincente
ai suoi cittadini. Se falliremo, dalle prossime elezioni per il
Parlamento Europeo potrebbe scaturire una maggioranza di forze
euroscettiche e populiste. Oggi, che viviamo tempi difficili sul piano
politico ed economico, non possiamo permettercelo.
- See more at: http://www.radicali.it/rassegna-stampa/leuropa-non-soltanto-uno-spread#sthash.tgDHrsAm.dpuf
Questa
è una settimana cruciale per l’Europa: si sovrappongono sfide interne
ed esterne. La crisi economica e finanziaria sta mettendo a dura prova
la capacità delle nostre comuni istituzioni di bilanciare rigore e
crescita, condizione indispensabile per affrontare il problema
fondamentale della disoccupazione. L’Europa non è solo lo spread. Una
Unione in buona salute deve anche guardare al di là dei propri confini,
perché il resto del mondo non sta fermo ad aspettare che i nostri
problemi interni siano risolti. L’Europa deve essere all’altezza delle
sue responsabilità, con particolare riguardo a due questioni che sono in
gioco in questi giorni. In primo luogo, la Turchia. L’Europa non può
sottrarsi alla propria responsabilità storica di scegliere tra miopia e
lungimiranza. Ci dispiace che alcune autorità turche, di fronte a
manifestazioni pacifiche, abbiano reagito in modo sproporzionato. E
tuttavia, le circostanze attuali devono infondere un rinnovato senso di
urgenza nel far progredire i negoziati dell’Ue con Ankara. Bisogna
coinvolgere in modo costruttivo le autorità turche, senza dare lezioni
ma neppure mostrando segni di cedimento sui valori fondamentali di
libertà e giustizia. Il continente europeo ha bisogno di una Turchia
pienamente democratica all’interno dei suoi confini, non al di fuori.
Questo è l’obiettivo da tenere in mente, e la Turchia - come l’ultimo
decennio della sua storia ha dimostrato necessita dei vincoli e dei
benefici che le derivano dall’ancoraggio con l’Europa, ora più che mai.
Non è il momento di chiudere le porte alla prospettiva europea della
Turchia, ma, al contrario, il tempo di rafforzarla. La decisione di ieri
del Consiglio Affari Generali dell’Unione Europea di riprendere i
negoziati di adesione a ottobre e aprire il capitolo sulle politiche
regionali è un segnale nella giusta direzione. Certo, se avessimo aperto
in passato il negoziato su temi quali i diritti fondamentali e la
giustizia, per esempio, oggi potremmo contare su una leva più efficace
nel nostro dialogo con le autorità turche. Se facessimo l’errore di
interrompere il processo di integrazione europea di Ankara, domani
avremmo un’Europa meno credibile sullo scenario internazionale. In
secondo luogo, il 27 e 28 giugno il Consiglio europeo si riunirà per
concordare una data precisa per l’avvio dei negoziati di adesione della
Serbia. Questa volta Belgrado ci guarda con particolare speranza. Anche a
Pristina, capitale del Kosovo, si nutrono grandi aspettative per
l’apertura dei negoziati per l’Accordo di Associazione e
Stabilizzazione. Spero vivamente che, di qui a pochi giorni, noi europei
saremo all’altezza della sfida, avendo fatto un ulteriore passo in
avanti sulla via dell’integrazione dei Balcani, senza la quale l’unico -
e certamente non auspicabile - risultato sarebbe il riemergere di
impulsi nazionalistici a Belgrado e Pristina. Rimandare le decisioni
potrebbe innescare una spirale negativa di sospetti e tensioni,
nonostante il gigantesco sforzo già fatto da tutte le parti.
L’apertura dei negoziati è fondamentale: dobbiamo decidere adesso. I
popoli di Serbia e Kosovo hanno dimostrato straordinario spirito di
compromesso, con l’obiettivo finale di entrare a far parte della
famiglia europea. Un rifiuto, o una risposta tardiva ai loro sforzi,
potrebbe condurre al fallimento dello storico accordo raggiunto grazie
alla mediazione dell’Ue. È in gioco la nostra credibilità, difficile da
guadagnare e facile da perdere. E solo attraverso politiche credibili
l’Europa sarà in grado di affrontare le prove che la attendono, come la
stabilità dei suoi vicini orientali e meridionali. Per svolgere il suo
ruolo internazionale, l’Unione Europea ha bisogno di una rinnovata
legittimità democratica e della fiducia dei suoi cittadini. Oggi,
progredire verso una "federazione leggera" non è solo una coraggiosa
opzione, ma anche un imperativo su cui lavorare. Una Unione ipertrofica
in campo monetario e fiscale, ma debole in materia economica e sociale,
ipotecata dai governi nazionali in molti settori della politica estera e
della sicurezza, non sarà capace di far fronte alle sfide interne né di
contribuire ai futuri assetti internazionali. La domanda di Europa
rimane forte dentro e fuori l’Europa - se solo l’Europa sarà in grado di
rispondere e lo vorrà fare. In caso contrario, l’euroscetticismo si
nutrirà della frustrazione per le lentezze, i ritardi, le ambiguità. In
ultima analisi, l’Europa è chiamata a mandare un messaggio convincente
ai suoi cittadini. Se falliremo, dalle prossime elezioni per il
Parlamento Europeo potrebbe scaturire una maggioranza di forze
euroscettiche e populiste. Oggi, che viviamo tempi difficili sul piano
politico ed economico, non possiamo permettercelo.
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Questa
è una settimana cruciale per l’Europa: si sovrappongono sfide interne
ed esterne. La crisi economica e finanziaria sta mettendo a dura prova
la capacità delle nostre comuni istituzioni di bilanciare rigore e
crescita, condizione indispensabile per affrontare il problema
fondamentale della disoccupazione. L’Europa non è solo lo spread. Una
Unione in buona salute deve anche guardare al di là dei propri confini,
perché il resto del mondo non sta fermo ad aspettare che i nostri
problemi interni siano risolti. L’Europa deve essere all’altezza delle
sue responsabilità, con particolare riguardo a due questioni che sono in
gioco in questi giorni. In primo luogo, la Turchia. L’Europa non può
sottrarsi alla propria responsabilità storica di scegliere tra miopia e
lungimiranza. Ci dispiace che alcune autorità turche, di fronte a
manifestazioni pacifiche, abbiano reagito in modo sproporzionato. E
tuttavia, le circostanze attuali devono infondere un rinnovato senso di
urgenza nel far progredire i negoziati dell’Ue con Ankara. Bisogna
coinvolgere in modo costruttivo le autorità turche, senza dare lezioni
ma neppure mostrando segni di cedimento sui valori fondamentali di
libertà e giustizia. Il continente europeo ha bisogno di una Turchia
pienamente democratica all’interno dei suoi confini, non al di fuori.
Questo è l’obiettivo da tenere in mente, e la Turchia - come l’ultimo
decennio della sua storia ha dimostrato necessita dei vincoli e dei
benefici che le derivano dall’ancoraggio con l’Europa, ora più che mai.
Non è il momento di chiudere le porte alla prospettiva europea della
Turchia, ma, al contrario, il tempo di rafforzarla. La decisione di ieri
del Consiglio Affari Generali dell’Unione Europea di riprendere i
negoziati di adesione a ottobre e aprire il capitolo sulle politiche
regionali è un segnale nella giusta direzione. Certo, se avessimo aperto
in passato il negoziato su temi quali i diritti fondamentali e la
giustizia, per esempio, oggi potremmo contare su una leva più efficace
nel nostro dialogo con le autorità turche. Se facessimo l’errore di
interrompere il processo di integrazione europea di Ankara, domani
avremmo un’Europa meno credibile sullo scenario internazionale. In
secondo luogo, il 27 e 28 giugno il Consiglio europeo si riunirà per
concordare una data precisa per l’avvio dei negoziati di adesione della
Serbia. Questa volta Belgrado ci guarda con particolare speranza. Anche a
Pristina, capitale del Kosovo, si nutrono grandi aspettative per
l’apertura dei negoziati per l’Accordo di Associazione e
Stabilizzazione. Spero vivamente che, di qui a pochi giorni, noi europei
saremo all’altezza della sfida, avendo fatto un ulteriore passo in
avanti sulla via dell’integrazione dei Balcani, senza la quale l’unico -
e certamente non auspicabile - risultato sarebbe il riemergere di
impulsi nazionalistici a Belgrado e Pristina. Rimandare le decisioni
potrebbe innescare una spirale negativa di sospetti e tensioni,
nonostante il gigantesco sforzo già fatto da tutte le parti.
L’apertura dei negoziati è fondamentale: dobbiamo decidere adesso. I
popoli di Serbia e Kosovo hanno dimostrato straordinario spirito di
compromesso, con l’obiettivo finale di entrare a far parte della
famiglia europea. Un rifiuto, o una risposta tardiva ai loro sforzi,
potrebbe condurre al fallimento dello storico accordo raggiunto grazie
alla mediazione dell’Ue. È in gioco la nostra credibilità, difficile da
guadagnare e facile da perdere. E solo attraverso politiche credibili
l’Europa sarà in grado di affrontare le prove che la attendono, come la
stabilità dei suoi vicini orientali e meridionali. Per svolgere il suo
ruolo internazionale, l’Unione Europea ha bisogno di una rinnovata
legittimità democratica e della fiducia dei suoi cittadini. Oggi,
progredire verso una "federazione leggera" non è solo una coraggiosa
opzione, ma anche un imperativo su cui lavorare. Una Unione ipertrofica
in campo monetario e fiscale, ma debole in materia economica e sociale,
ipotecata dai governi nazionali in molti settori della politica estera e
della sicurezza, non sarà capace di far fronte alle sfide interne né di
contribuire ai futuri assetti internazionali. La domanda di Europa
rimane forte dentro e fuori l’Europa - se solo l’Europa sarà in grado di
rispondere e lo vorrà fare. In caso contrario, l’euroscetticismo si
nutrirà della frustrazione per le lentezze, i ritardi, le ambiguità. In
ultima analisi, l’Europa è chiamata a mandare un messaggio convincente
ai suoi cittadini. Se falliremo, dalle prossime elezioni per il
Parlamento Europeo potrebbe scaturire una maggioranza di forze
euroscettiche e populiste. Oggi, che viviamo tempi difficili sul piano
politico ed economico, non possiamo permettercelo.
- See more at: http://www.radicali.it/rassegna-stampa/leuropa-non-soltanto-uno-spread#sthash.tgDHrsAm.dpuf