giovedì 20 febbraio 2014

BOSNIA: UNA CRISI SENZA VIA D’USCITA?

Gli inviati di UE e USA a Sarajevo cercano di far ripartire il processo di integrazione europea

Di Marina Szikora
Le proteste in Bosnia-Erzegovina proseguono, anche se in modo molto meno chiassoso. La settimana scorsa, intellettuali e attivisti di diversi Paesi hanno mandato una lettera aperta di sostegno alle richieste dei cittadini che stanno protestando. Si tratta di scrittori, docenti universitari, economisti, filosofi e attivisti sia di paesi dell’Ue che dell’Europa sudorientale ma anche dell’oltre oceano. L’appello e’ stato pubblicato in contemporanea sul “New York Times”, sul britannico “Guardian”, sul webmagazine croato “Tportal”e, in Italia, sul “Manifesto”. A differenza di questo sostegno ai manifestanti della Federacija (l'entità croato-bosgnacca), nella Republika Srpska, l’entita’ a maggioranza serba, vi sono state delle “contro-manifestazioni” a sostegno del governo. A Bijeljina i manifestanti hanno perfino inneggiato all’ex generale serbo-bosniaco Ratko Mladić, attualemente sotto processo all’Aja in quanto uno dei principali criminali di guerra degli anni novanta. Secondo il presidente della RS, Milorad Dodik, le proteste sono un fenomeno dei musulmani bosniaci il cui vero obiettivo e’ quello di destabilizzare la RS. Questa tesi per molti nell’entita’ a maggioranza serba trova terra fertile e nonostante la poverta’ prevale ancora l’orgoglio nazionale. Mancare a questo sentimento significa essere considerati dei traditori, ma in realta’ i sintomi della crisi economica sono piu’ che presenti anche nella RS e altrettanto evidente sono la svendita del patrimonio pubblico e la disoccupazione.

A Sarajevo, intanto, sono quasi quotidiane le riunioni del ‘plenum dei cittadini’ nelle quali si cerca di articolare le richieste dei manifestanti, ma esse per ora sono sostanzialmente richieste di dimissioni delle autorità e di istituzione di nuovi governi cantonali formati da tecnici. Parallelamente la polizia della Federacija continua ad indagare sull'origine delle violenze di piazza giudicate del tutto ben organizzate. Secondo il capo della polizia della Federazione di Bosnia-Erzegovina, Dragan Lukač, e’ certo che tra la moltitudine di persone che hanno preso parte alle proteste ci fossero in maggioranza quelli che sono insoddisfatti della loro condizione economica, ma non sono loro, afferma Lukač, ad aver commesso reati. “Si tratta di una struttura del tutto diversa che e’ stata inserita tra la massa dei manifestanti, non per manifestare bensi’ con un obiettivo ben preciso di provocare incidenti”, ha precisato il capo della polizia bosniaca.

In missione ufficiale questa settimana in Bosnia-Erzegovina si e’ recato anche il commissario europeo all’Allargamento e alla politica di vicinato, Stefan Fuele. Al centro dei suoi incontri con i vertici del Paese ci sono le proteste e gli episodi di violenze, ma anche il problema che maggiormente sta al cuore a Bruxelles e la cui mancata soluzione ha del tutto bloccato il processo di integrazioni della Bosnia Erzegovina. Si tratta della ricerca di una soluzione che permetta l’allineamento del Paese alla sentenza Sejdić-Finci della Corte europea dei diritti umani. Come ribadito da Fuele, cio’ eliminera’ la discriminazione e significhera’ che la Bosnia-Erzegovina rispetta i suoi impegni. Con questo si potra’ procedure all’entrata in vigore dell’Accordo di stabilizzazione e associazione e alla finalizzazione del meccanismo di coordinamento per le questioni europee. Tutto cio’ portera’ alle circostanze di poter presentare una candidatura credibile per l’adesione all’Ue, ha sottolineato Fuele.

Va detto che questa volta, la missione in Bosnia-Erzegovina non e’ stata soltanto quella dell’UE ma affiancata anche dalla rappresentanza americana. Infatti, agli incontri con i leader dei partiti politici della Bosnia-Erzegovina oltre al commissario europeo Fuele vi ha partecipato anche il sottosegretario americano per le questioni europee ed euroasiatiche, Hoyt Brian Yee. Il diplomatico americano ha in precedenza incontrato separatamente i tre membri della presidenza tripartita bosniaca. Gli interlocutori hanno concordato che e’ legittima l’insoddisfazione dei cittadini a causa della grave situazione socio-economica nonche’ della lentezza del sistema giudiziario quando si tratta di processi relativi alla criminalita’ economica e alla corruzione, e’ stato comunicato dall’Ufficio dell’attuale presidente a rotazione Željko Komšić. Il rappresentante americano ha sottolineato che il suo Paese appoggia il diritto dei cittadini ad esprimere le loro frustrazioni ed aspettative, ma al tempo stesso condannano ogni tipo di violenze. Ha aggiunto che gli Stati Uniti nonche’ l’intera comunita’ internazionale riterranno responsabili quei leader politici i quali tenteranno di utilizzare le proteste dei cittadini per promuovere interessi personali e per sollecitare le tensioni etniche.

Quello piu’ importante pero’, la riunione maratona durata quasi dieci ore in cui hanno partecipato i presidenti dei maggiori partiti politici, Zlatko Lagumdžija, Milorad Dodik, Fahrudin Radončić, Mladen Bosić, Bakir Izetbegović, Dragan Čović e Martin Raguž con Fuele e Hoyt Brian Yee si e’ conclusa senza successo e senza il raggiungimento della soluzione relativa al caso Sejdić Finci. Come spiegato da Fahrudin Radončić, un tale esito blocca seriamente la via europea della Bosnia-Erzegovina e i suoi cittadini questo non lo hanno meritato. Radončić e’ dell’opinione che ci sara’ ancora una occasione per risolvere una questione strategica cosi’ grande e che richiede da tutti grande tolleranza e compromesso. “Non abbiamo utilizzato l’enorme sforzo del commissario Fuele. Cruciale in tutto questo e’ stata la mancanza di volonta’ politica di tutti noi” ha precisato Martin Raguž, il rappresentante croato. Per precisare, la decisione della Corte europea con la sentenza Sejdić-Finci ha stabilito la necessita’ da parte della BiH di apportare modifiche alla propria Costituzione nel senso di una maggiore tutela dei diritti di rappresentanza politica delle minoranze ma anche dei popoli costituenti e soprattutto una modifica dell’attuale legge elettorale.

Il commissario europeo Štefan Fuele ha qualificato questa riunione come deludente e ha sottolineato che il suo impegno per risolvere la questione della sentenza della Corte europea per i diritti umani con questo si e’ conclusa. Adesso e’ giunto il momento che le istituzioni della Bosnia-Erzegovina si facciano carico di questa iniziativa. In questo momento, la Bosnia viola i suoi obblighi internazionali ed e’ vergognoso per i politici che il loro paese si trova in una tale situazione, ha detto Fuele. “Questo non e’ stato un mio fallimento! Questo e’ un fallimento dei politici bosniaci. Essi non sono riusciti ad utilizzare la capacita’ ed i servizi che l’UE ha messo a loro disposizione” ha sottolineato il commissario europeo all’Allargamento. Tuttavia, ha precisato Fuele, la fine del suo impegno non significa che le istituzioni dell’Ue hanno rinunciato ad occuparsi della Bosnia-Erzegovina e ha annunciato l’impegno del Consiglio europeo e del Consiglio per gli affari esteri dell’UE. Quanto alle proteste dei cittadini, Fuele ha rilevato che va bene che i cittadini bosniaci hanno preso dignitosamente l’iniziativa nelle loro mani facendo richieste ragionevoli al potere. Il sistema politico deve essere piu’ responsabile verso i cittadini e le loro richieste che riguardano le condizioni per un aumento di posti di lavoro e un sistema giudiziario piu’ efficace. “Mi appello ai politici di non ignorare la voce dei cittadini” ha concluso il rappresentante dell’UE.

Il testo è tratto dalla trascrizione della corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda il 20 febbraio a Radio Radicale.

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