Ma il premier Erdogan accusa il partito curdo di fomentare le proteste d'accordo con il Pkk
Lo sciopero della fame che, da due mesi, stanno
portando avanti quasi settecento curdi e turchi detenuti in 37 carceri di
tutta la Turchia sembra finalmente sul punto di ottenere qualche
risultato. Ieri il governo di Ankara ha aperto alla possibilità di
usare la lingua curda nei processi da parte degli imputati, richiesta
che fa parte del pacchetto di rivendicazioni alla base della
protesta. Tra le richieste c'è anche quella del miglioramento delle
condizioni di detenzione loro e la fine dell'isolamento per Abdullal
Ocalan, leader del Pkk, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan,
detenuto da anni nell'isola di Imrali, in mezzo al mar di Marmara.
Lunedì sera, al termine del consiglio
dei ministri, il vicepremier e portavoce del governo, Bulent Arinc,
ha spiegato che il premier Recep Tayyip Erdogan ha incaricato il
ministro della Giustizia, Sadullah Ergin, di studiare l'abolizione
della normativa che non permette agli imputati di difendersi nella
loro lingua madre. Il vicepremier ha aggiunto che il governo intende
cambiare la normativa per ragioni umanitarie e non in risposta alle
richieste dei detenuti. Arinc si è poi rivolto direttamente ai
detenuti in sciopero sciopero della fame assicurando che la Turchia
“conosce bene” le loro richieste che avete fatto e sottolineando
che governo e Parlamento sono le istituzioni a cui vanno indirizzate:
“Ci aspettiamo che non turbiate ulteriormente le vostre famiglie o
noi. La nostra aspettativa è che interrompiate lo sciopero della
fame”.
Sabato scorso Erdogan, parlando al
congresso annuale del suo partito, l'Akp (Partito per la giustizia e lo sviluppo), che celebrava
il decennale dell'arrivo al potere, aveva avvertito i detenuti in
sciopero della fame di non trasformare la loro protesta in una
“estorsione”. Nel frattempo la polizia utilizzava gas lacrimogeni
e idranti per disperdere i manifestanti curdi che avevano lanciavato
pietre e molotov durante una manifestazione nella città di
Diyarbakir in sostengo dello sciopero dei detenuti, nel sudest del
paese, durante la quale almeno 20 manifestanti sono stati arrestati.
Durante il suo tradizionale discorso
del martedì al gruppo parlamentare dell'Akp, Erdogan ha attaccato
duramente il Bdp, il Partito curdo per la democrazia e la pace
presente nel parlamento turco, accusandolo di aver fomentato le
proteste dei detenuti insieme al Pkk. “Sostengono la necrofilia;
forzare le persone che stanno già pagando un prezzo a praticare lo
sciopero della fame è proprio un'ingiustizia”, ha affermato il
premier aggiungendo che il partito dovrebbe chiedere ai detenuti di
interrompere lo sciopero, per non entrare “nei giochi di sangue”
della formazione politica curda.
La dirigenza del Bdp, da parte sua, da
una parte sembra voler ignorare le parole di Erdogan preferendo
invece cogliere l'apertura del vice premier. Ahmet Turk, ex
segretario del Dtp, il Partito curdo per la società democratica
chiuso dalla magistratura nel 2008 sostituito poi dal Bdp, si è
limitato a definire “preziose” le parole di Arinc aggiungendo di
attendersi ora passi concreti.
Intanto, a Roma, una
delegazione di rifugiati politici curdi presenti in Italia nel corso
di un presidio tenuto davanti alla Camera è stata
ricevuta dal senatore Pietro Marcenaro, presidente della Commissione
per i diritti umani del Senato e dall'onorevole Furio Colombo,
presidente del Comitato per i Diritti Umani della Camera, ai quali hanno consegnato un dossier aggiornato sulla
drammatica situazione dei detenuti in
sciopero della fame a oltranza. I
rifugiati hanno chiesto che l'Italia si mobiliti e faccia pressione sul
governo di Ankara che, dicono, continua a ignorare le legittime richieste del
popolo curdo e prosegue la repressione di ogni dissenso.
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