giovedì 30 agosto 2012

ALPBACH 2012: L'EUROPA E' UN ESSERE VIVENTE, NON UNA MACCHINA

di Marina Szikora
Il presidente croato Ivo Josipović, domenica 26 e lunedi' 27 agosto ha partecipato al Forum europeo “Alpbach 2012” svoltosi nel Tirolo, in Austria. Nel suo intervento Josipović ha detto che l'Ue e' meno di tutto un progetto di politici e che essa appartiene alla gente ed ai popoli che devono partecipare nella sua costruzione. Il suo ospite austriaco, il presidente Heinz Fischer si e' opposto invece alla politica di risparmio senza crescita economica. Parlando della crisi che ha avvolto l'Ue e il resto del mondo, il presidente Josipović ha valutato che la crisi ha colpito particolarmente i giovani e si e' soffermato sul problema del deficit democratico emerso in Europa e sul problema del radicalismo ed estremismo. Ma non c'e' progresso senza ottimismo, ha detto il capo dello stato croato valutando che i tempi di crisi sono al tempo stesso tempi per le nuove occasioni. "L'Ue non e' una macchina, ma un essere vivente" ha detto Jospović aggiungendo che uno dei maggiori raggiungimenti dell'Unione e' la politica dell'allargamento. Josipović ha ricordato il cammino lungo e difficile della Croazia verso l'Ue ma ha anche aggiunto che l'obiettivo al quale abbiamo aspirato ci ha sollecitati ad una piu' decisa attuazione delle riforme. Proprio l'allargamento dell'Ue, ritiene Josipović, e' il nucleo del futuro e l'Ue e' il motore del rafforzamento della democrazia nei paesi candidati.

Per il presidente austriaco Heinz Fischer l'obiettivo e' la tutela del progetto europeo nel momento in cui, come ha sottolineato, si sentono sempre maggiori voci contro l'Ue: "non possiamo ripetere gli errori del passato tra la Prima e la Seconda guerra mondiale. Dal 2008 ci sono sempre piu' voci contro l'Unione. Le misure di risparmio sono importanti, ma dobbiamo sollecitare la crescita economica" ha avvertito Fischer rilevando il fatto che nell'Ue e' sempre maggiore l'abisso tra i ricchi ed i poveri e sempre piu' grandi le disuguaglianze. Fischer ritiene che uno dei problemi scottanti sono la disoccupazione dei giovani che potrebbe provocare in loro un allontanamento dal progetto europeo. In Europa, attualmente ci sono oltre 5,5 milioni di disoccupati che hanno meno di 25 anni, ha osservato il presidente austriaco. Ma si e' detto convinto nella forza dell'Ue che forse sembra piu' debole di quanto in effetti lo sia pero' e' meno indebitata rispetto agli Stati Uniti ed il Giappone. Va precisato che il Forum europeo di Alpbach si svolge dal lontano 1945, fondato da Otto Molden, figlio della poetessa croato-austriaca ed autrice dell'inno austriaco e pronipote del noto poeta croato Petar Preradović il quale fu attivo nel movimento della resistenza austriaca. Questo forum riunisce ogni anno circa 3000 persone provenienti da una cinquantina di paesi. Nel passato vi hanno partecipato molti nomi noti della politica europea e mondiale come ad esempio Martti Ahtisaari, Jacques Delors, Indira Ghandi, Ban Ki-moon, Helmut Kohl ed altri.

Ai margini della conferenza, il presidente croato Josipović ha ribadito che la Croazia appoggera' i paesi vicini nel loro avvicinamento all'Ue e tra l'altro che a loro saranno disponibili le esperienze croate e le conoscenze tecniche. Per l'agenzia di stampa austriaca APA, Josipović ha affermato che e' nell'interesse strategico della Croazia l'ingresso nell'Ue dei paesi vicini, nel contesto di sicurezza nonche' quello economico. Ha ricordato che molti cittadini croati hanno famiglia o amici in questi paesi, soprattutto in Bosnia Erzegovina ed in Serbia. Josipović ha fatto presente che la Croazia ha donato alla Serbia e alla Bosnia la traduzione dell'acquis europeo e che il Parlamento croato ha deciso che la Croazia non ostacolera' i paesi vicini nel loro cammino verso l'Ue. Come conseguenza di guerra, ha rilevato il presidente croato, esistono molti problemi aperti tra Croazia e Serbia, come ad esempio il confine sul Danubio, la questione delle persone scomparse, la persecuzione dei criminali di guerra, la questione delle proprieta'. Jospović ha detto che esistono veramente molte questioni ma ci sono stati dei successi anche se si e' ancora lontani dalle piene soluzioni. Nemmeno con la Bosnia Erzegovina le questioni aperte non sono tutte risolte, ad esempio la questione dei confini. Ma non si tratta di grandi problemi politici, ha osservato Jospović. Alla domanda se l'arrivo dell'ex ultranazionalista Tomislav Nikolić a capo dello stato serbo appesantira' o rendera' piu' facili le questioni bilaterali, Josipović ha risposto che bisogna aspettare che passi un po' di tempo.

"Abbiamo grande interesse per la soluzione di queste questioni nonche' per le buone relazioni con la Serbia, ma voi sapete che per noi la storia politica del presidente Nikolić e' un po' difficile e dopo essere stato eletto presidente, ha dato alcune dichiarazioni che non sono state d'aiuto. Il piu' importante e' che adesso e' pronto ad essere un politico diverso rispetto a quello che era negli anni 90" ha spiegato il presidente croato nell'intervista. L'agenzia austriaca APA ha ricordato anche la recentissima disputa tra il presidente Josipović e il deputato serbo in Croazia e presidente della Commissione esteri del Parlamento croato, Milorad Pupovac che attualmente non cessa di essere all'attenzione pubblica il Croazia. Josipović afferma di aver ricevuto critiche da parte di molti serbi in Croazia per conto di Pupovac e che la sua organizzazione ha occupato l'intero terreno politico e finanziario in Croazia destinato ai serbi. Josipović ha spiegato che tutti i cittadini serbi in Croazia devono avere le stesse possibilita' a partecipare nella politica e a utilizzare i loro diritti costituzionali di minoranze. Come membro dell'Ue la Croazia si concentrera' innanzi tutto sulle questioni economiche e sull'utilizzo dei mezzi europei in modo giusto, in primo luogo si tratta dell'agricoltura e delle infrastrutture, ha detto il presidente croato nell'intervista all'APA.

Il testo è la trascrizione di una parte della corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi a Radio Radicale

PASSAGGIO IN ONDA

E' on-line la puntata di Passaggio a Sud Est trasmessa da Radio Radicale il 30 agosto. La trasmissione è riascoltabile nella sezione "In Onda" del blog oppure, insieme a quelle precedenti, sul sito di Radio Radicale.

mercoledì 29 agosto 2012

YANKEE GO HOME! EUROPA CONTRO USA IN BOSNIA

Italia, Francia, Germania, Belgio e Svezia, lo scorso maggio hanno scritto un documento comune riservato che per la prima volta mette sotto accusa in modo netto l’operato dell’Alto rappresentante internazionale in Bosnia Erzegovina, Valentin Inzko, accusato di essere parzialmente succube degli interessi di Washington. Matteo Tacconi rivela i contenuti del testo elaborato dal quintetto. Qui di seguito l'articolo pubblicato oggi sul quotidiano Europa e su Osservatorio Balcani e Caucaso.

Valentin Inzko, Alto rappresentante internazionale in Bosnia Erzegovina

«Fuori gli americani da Sarajevo»
In un documento riservato l’Europa chiede più potere in Bosnia

Recessione nel 2013, grave siccità a causa dell’estate più calda degli ultimi centoventi anni e riapertura di vecchie vertenze di confine con la Croazia (due isolotti l’oggetto del contendere). Già così, le ultime dalla Bosnia sono quello che sono. Se aggiungiamo la possibile caduta del governo presieduto da Vjekoslav Bevanda, entrato in carica a gennaio dopo sedici mesi di vacuum, con tanto di primato belga sfiorato (540 giorni senza esecutivo), il quadro si complica assai. Per la cronaca, senza entrare nei dettagli: la causa del possibile tonfo è la solita e proverbiale litigiosità tra i partiti etnici rappresentativi dei tre principali gruppi del paese. Non stupisce, francamente. Musulmani, serbi e croati, belligeranti al tempo del conflitto civile, vivono adesso da separati in casa e negli ultimi anni il clima da “pace fredda” s’è persino approfondito. Il confronto è arenato, non si fanno neanche le più timide riforme e si bada esclusivamente a custodire il proprio, piccolo cortile.

Spetterebbe alla comunità internazionale dare la scossa, suggerire, scuotere. Già. Ma anche su questo fronte siamo al fermo immagine. Il fatto è che l’Alto rappresentante della comunità internazionale (Ohr) e il Rappresentante speciale dell’Unione europea (Eusr), i due soggetti che cogestiscono la transizione bosniaca verso la prospettiva euro-atlantica, vanno sempre meno d’accordo e ci si sta avvicinando a una possibile resa dei conti. Almeno a giudicare dai contenuti di un documento riservato che le diplomazie di Francia, Germania, Belgio, Svezia e Italia hanno elaborato lo scorso maggio e che hanno fatto circolare informalmente tra gli addetti ai lavori. La richiesta di questo non paper (in gergo diplomatico è il modo in cui si indica una bozza di proposta in vista di futuri accordi) è esplicita: dare ampi margini di manovra al rappresentante europeo e al soft power comunitario. In altri termini, si pretende che sia soprattutto l’Europa a farsi carico della Bosnia e che l’Ohr si faccia un po’ da parte. Non ci sarebbe nulla di nuovo, visto che si parla da tempo di tale evoluzione e s’avverte il bisogno di metterla al più presto in pratica. Se non che il non paper, di cui Europa è venuta in possesso, ha evidenziato per la prima volta tutta l’insofferenza europea – meglio, di una parte di Europa – nei confronti del cosiddetto “proconsole”, reputato come un fastidioso intralcio, che limita l’azione dell’Eusr e che risulta per giunta mantenuto in larga parte con i soldi europei.

Il testo è molto chiaro. Prima si menzionano i fallimenti dell’Ohr, «che non è stato capace di gestire con successo questioni chiave quali la formazione del governo o l’adozione del budget (si intende il bilancio dello stato bosniaco)». Poi si denuncia l’inefficienza di uno staff pesante, da 160 persone, sottolineando a seguire l’invasione di campo «in aree di chiara responsabilità europea» come giustizia, bilancio statale, acquis communautaire. Successivamente si denuncia che «nonostante tutto questo i paesi europei continuano a finanziare oltre il 53 per cento del budget dell’Ohr», sebbene quest’ultimo, accusato in sostanza di ostacolare gli europei, «non dà accesso alle strutture e alle attività necessarie per esercitare un’effettiva supervisione» sul suo funzionamento.
La conclusione, si deduce dal non paper, è che l’ufficio andrebbe chiuso o fortissimamente limitato nelle sue funzioni, con conseguente ampliamento dei poteri della missione europea. Tutto legittimo. Poco o nulla da dire sulla sostanza. Il problema, come rilevato da una fonte interpellata da Europa, è la forma. «Il documento è troppo emozionale. Sembra a tratti di sentire uno scolaro che si lamenta e questo non è molto serio, vista la situazione fragile della Bosnia. Il tema dei rapporti tra Ohr e Eusr, la responsabilità dell’Ue nel paese balcanico e la questione economica – alla fine è anche giusto che chi mette più risorse abbia più voce in capitolo – vanno discusse e anche in tempi brevi. Però in maniera seria e razionale», spiega la fonte. Non sarà facile. Ci sono in ballo gelosie, frustrazioni, equilibri delicati e competizione politica tra Europa e Stati Uniti, nonché tra gli stessi paesi comunitari.

Washington, che vuole comunque mantenere una sua influenza in Bosnia, è contraria alla chiusura dell’Ohr, il cui numero due è sempre di nazionalità americana (al momento è Frederick Moore). Londra appoggia questo approccio, opponendosi al resto della pattuglia Ue e determinando così una spaccatura intra-comunitaria. Potrebbe essercene un’altra. Tra gli estensori del non paper, infatti, non figura l’Austria, uno dei paesi europei che in questo lungo dopoguerra hanno più investito, politicamente e finanziariamente, in Bosnia e in tutta l’area balcanica. L’attuale Alto rappresentante, tra l’altro, è l’austriaco Valentin Inzko. C’è da pensare che a Vienna non abbiano apprezzato del tutto il non paper. La cosa certa, comunque, è che mentre le diplomazia si danno battaglia la Bosnia scivola sempre più giù. L’ultimo esempio dell’immobilismo cronico del paese è la riforma “etnica” della Costituzione, che va fatta – ma ormai è chiaro non si farà – entro venerdì prossimo, il 31 agosto, secondo i termini stabiliti dall’Ue. Andrea Rossini, sull’Osservatorio Balcani e Caucaso, ha ricordato che la revisione della carta fondamentale si rende necessaria sulla base della sentenza con cui, nel 2009, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha accolto il ricorso presentato da Jakob Finci e Dervo Sejdic, rispettivamente esponenti delle comunità ebraica e rom della Bosnia.

I due si rivolsero ai togati comunitari allo scopo di denunciare come l’attuale assetto istituzionale, sancito dalla pace di Dayton del 1995, permetta soltanto ai membri dei “tre popoli costituenti” di candidarsi a cariche elettive, ponendo in essere una situazione di evidente apartheid. I partiti e i politici musulmani, serbi e croati non sono riusciti a sanarla. Quasi che c’era da aspettarselo, «considerato che la comunità internazionale – riflette la fonte – non offre il migliore degli esempi, divisa com’è al suo interno». D’altronde il non paper dello scorso maggio, vergato anche dai nostri diplomatici, l’ha ampiamente dimostrato.


EX JUGOSLAVIA: MANCA ALL'APPELLO QUASI META' DEGLI SCOMPARSI

Sono passati più di dieci anni dalla fine delle guerre balcaniche degli anni '90, ma "oltre 14.000 persone mancano all'appello nei paesi dell'ex Jugoslavia, quasi la metà del totale degli scomparsi". Lo denuncia Amnesty International in un rapporto diffuso alla vigilia della Giornata internazionale degli scomparsi, che si celebra ogni anno il 30 agosto. In dieci anni, tra il 1991 e il 2001, "34.700 persone scomparvero nei Balcani dopo essere state arrestate o catturate e la maggior parte delle loro famiglie aspetta ancora giustizia", dice Jezerca Tigani, vicedirettore del Programma Europa e Asia centrale dell'organizzazione umanitaria, e punta il dito contro i governi di Bosnia Erzegovina, Croazia, Macedonia, Montenegro, Serbia e Kosovo per "la costante mancanza di volontà politica" di chiudere questo doloroso capitolo. Qui di seguito il comunicato ufficiale. 


Giornata internazionale per gli scomparsi.
Migliaia di persone mancano all'appello dalle guerre dei Balcani

"Se solo sapessi dove si trova mio figlio Albion, se solo potessi dargli sepoltura e portare un fiore sulla sua tomba, mi sentirei meglio."
(Nesrete Kummova, il cui figlio dovrebbe essere stato trasportato dal Kosovo in Serbia e lì sepolto, nella guerra del 1999)

Oltre 14.000 persone mancano all'appello nei paesi dell'ex Jugoslavia, quasi la metà del totale degli scomparsi del decennio di guerre iniziato nel 1991. Lo denuncia un rapporto di Amnesty International, diffuso alla vigilia della Giornata internazionale degli scomparsi, che si celebra ogni anno il 30 agosto.
Tra il 1991 e il 2001, 34.700 persone scomparvero nei Balcani dopo essere state arrestate o catturate. La maggior parte delle loro famiglie aspetta ancora giustizia.
"Per loro, il capitolo delle sparizioni forzate non è chiuso e rimane una fonte quotidiana di dolore. Attendono ancora di conoscere il destino dei loro cari, continuano a cercare verità, giustizia e riparazione" - ha dichiarato Jezerca Tigani, vicedirettrice del Programma Europa e Asia centrale di Amnesty International.
"Le vittime delle sparizioni forzate nei paesi dell'ex Jugoslavia appartengono a tutti i gruppi etnici. Sono civili e soldati, donne e uomini, bambine e bambini. Le loro famiglie hanno il diritto di sapere la verità sulle circostanze della loro scomparsa, sul loro destino e sullo svolgimento e l'esito delle indagini. Per loro, il primo passo verso la giustizia è vedersi restituiti i corpi dei loro cari per la sepoltura. I governi devono assicurare che le vittime e le loro famiglie abbiano accesso alla giustizia e ricevano, senza ulteriori ritardi, un'adeguata e concreta riparazione per il danno che hanno subito" - ha aggiunto Tigani.
Il rapporto di Amnesty International descrive casi di sparizione forzata in Croazia, Bosnia ed Erzegovina, ex Repubblica jugoslava di Macedonia, Montenegro, Serbia e Kossovo. Tutti e sei i governi di questi paesi sono venuti meno all'obbligo legale internazionale di indagare e punire questi reati.
Alcuni responsabili, sottolinea Amnesty International, sono stati sottoposti alla giustizia del Tribunale penale internazionale per l'ex Jugoslavia, il cui mandato è però prossimo alla fine. I tribunali nazionali agiscono con lentezza.
"L'assenza di indagini e processi per le sparizioni forzate e i rapimenti resta un problema grave in tutti i Balcani. Il principale ostacolo al contrasto dell'impunità e alla consegna degli autori alla giustizia è la costante mancanza di volontà politica in tutti e sei i paesi" - ha affermato Tigani.
Delle 6406 persone scomparse nella guerra del 1991-1995 in Croazia, è stato possibile stabilire la sorte di 4084 di esse. Oltre 2300, 1735 delle quali di passaporto croato, risultano ancora scomparse. Nell'ultimo biennio è stata chiarita la situazione di soli 215 scomparsi. Oltre 900 resti umani devono essere ancora identificati.
Su una popolazione di tre milioni e 400mila abitanti, alla fine del conflitto della Bosnia ed Erzegovina erano scomparse 30.000 persone. La sorte di almeno 10.500 di loro, in larga parte musulmani bosniaci, resta sconosciuta. Le famiglie di oltre 7000 persone, deliberatamente e arbitrariamente uccise nel genocidio di Srebrenica del 1995, sono ancora in attesa di giustizia e riparazione. Molti dei presunti responsabili vivono fianco a fianco con le loro vittime e i familiari di queste ultime.

Per un decennio, dalla fine del conflitto del 2001 tra le forze di sicurezza macedoni e l'Esercito albanese di liberazione nazionale, le autorità non hanno indagato in modo efficace sulle sparizioni forzate. Resta un mistero il destino di almeno sei albanesi arrestati dalla polizia alle dipendenze del ministero dell'Interno macedone. I familiari degli scomparsi hanno fatto ricorso contro una legge del parlamento macedone del 2011 che, estendendo le norme della legge d'amnistia del 2002, ha posto fine alle indagini su quattro casi di crimini di guerra trasmessi dal Tribunale penale per l'ex Jugoslavia. Tra questi, la sparizione di 12 macedoni e un bulgaro, presumibilmente ad opera dell'Esercito albanese di liberazione nazionale.
Nel maggio 1992, 83 civili bosniaci in fuga dal conflitto della Bosnia ed Erzegovina, vennero arrestati in Montenegro e respinti alla frontiera per essere poi consegnati alle forze serbo bosniache. Si ritiene che 21 di loro siano stati uccisi in un campo di prigionia della Republika Srpska. La sorte di almeno altri 34 detenuti rimane sconosciuta. Nel marzo 2011, nove ex pubblici ufficiali sono stati prosciolti dall'accusa di crimini di guerra per la sparizione forzata dei profughi bosniaci, sul presupposto che nel 1992 non c'era alcun conflitto armato in Montenegro. Il verdetto è stato annullato in appello quest'anno e il processo è stato riaperto.
Durante la guerra del Kossovo del 1998-99 e nel periodo immediatamente successivo, si registrarono 3600 scomparsi, oltre 3000 dei quali albanesi vittime di sparizione forzata ad opera della polizia, dell'esercito e dei gruppi paramilitari serbi; la restante parte degli scomparsi, appartenente alle minoranze, soprattutto quella serba e quella rom, si presume sia stata catturata dai gruppi armati albanesi, tra cui l'Esercito di liberazione del Kossovo. Le famiglie di almeno 1797 scomparsi kossovari e serbi aspettano ancora che i corpi dei loro cari siano esumati, identificati e restituiti per la sepoltura. Anche quando ciò avviene, pochi dei responsabili vengono portati di fronte alla giustizia.


giovedì 23 agosto 2012

SEMPRE PIU' FRAGILE LA SOPRAVVIVENZA DELLA BOSNIA DI DAYTON

L'atteggiamento assunto dalla nuova leadership, che sembra voler considerare la Republika Srpska alla stregua di uno stato indipendente, mette in questione la stabilità della regione: lo dicono alcuni analisti politici in Serbia. I rappresentanti della società civile avvertono che la “statualità” della RS è un orientamento strategico di Belgrado. L'argomento è diventato centrale soprattutto dopo la visita ufficiale del leader serbo-bosniaco Milorad Dodik a Belgrado che prosegue la sua retorica contro la sopravvivenza della Bosnia Erzegovina così com'è stata configurata dagli accordi di pace di Dayton del 1995.  

Di Marina Szikora
Dopo che il presidente del Parlamento della Serbia Nebojša Stefanović aveva definito la Republika Srpska, l'entita' a maggioranza serba della Bosnia Erzegovina, "uno stato", la presidente del Comitato Helsinki per i diritti umani in Serbia, Sonja Biserko, in una intervista per la Deutsche Welle tedesca ha osservato che non si poteva aspettare nulla di diverso da un partito come il Partito serbo del progresso di cui Stefanović e' membro. "Sarebbe del tutto imprudente aspettarsi che il partito di Tomislav Nikolić cambi la sua posizione verso la regione balcanica dopo aver conquistato il potere in Serbia" afferma Sonja Biserko. Questo obiettivo, spiega lei, e' stato ideato ancora prima della guerra e per quanto riguarda un appoggio alla RS si sta lavorando in modo organizzato anche dopo l'Accordo di Dayton. Ne' durante la guerra ne' dopo la guerra la RS non poteva sopravvivere senza Belgrado. E' un prodotto di Belgrado e Belgrado non ci rinuncera' senza una forte pressione della comunita' internazionale, che purtroppo, in questo momento non c'e', dice Sonja Biserko. Il sociologo di Belgrado, Dušan Janjić non esclude la possibilita' che le dichiarazioni del neopresidente del Parlamento serbo, Stefanović siano il risultato di "una disattenzione e insufficiente esperienza politica". "La RS per molti politici in Serbia viene ritenuta come uno stato e questo e' un concetto con due possibili esiti. Secondo uno, la RS viene denominata apposta come stato a fin di difendere la sua posizione daytoniana, mentre l'altro implica la RS proprio come stato indipendente, fuori dalla BiH" afferma Janjić.

Nel frattempo, mentre si fa questo tipo di analisi, il presidente del Parlamento serbo, Nebojša Stafanović spiega che la sua dichiarazione non e' stata un lapsus ma che non deve nemmeno essere interpretata nel contesto di smantellamento dell'ordinamento di Dayton. Stefanović aggiunge che nessuno ha negato la posizione giuridica e politica della RS, mentre il termine 'stato' lo aveva menzionato come forma di espressione verbale senza voler attribuire alla RS uno status che questa entita' attualmente non gode. Ma questa "forma di espressione verbale" in BiH sveglia ricordi di tempi in cui, spiega il sociologo Dušan Janjić "la Serbia aveva apertamente appoggiato la RS militarmente ed economicamente". Vlastimir Mijović, analista politico serbo in BiH valuta per la Deutsche Welle che i serbi in BiH sono abituati che la Serbia quasi per 200 anni si stavano appropiando la Bosnia o almeno i bosniaci ortodossi e per questo motivo non sorprende il modo in cui si esprime il neo presidente del Parlamento serbo."La tattica e' cambiata, ma non i vecchi obiettivi della strategia serba. E' positivo che l'artiglieria tace, ma non tacioni le mali lingue dei politici e questo crea confusione tra le persone frustrate dalla vita difficile. In un certo momento, spiega Mijović, questo potrebbe trasformarsi da un incidente in qualcosa di molto piu' pericoloso, come ci insegnano le esperienze delle ultime guerre nei Balcani. 

Un'altro analista politico, Tanja Topić ritiene che la Serbia non ha mai cambiato fondamentalmente la sua relazione verso la BiH, in concreto nei confronti della RS. Questo ha conseguenze sconfigenti, soprattutto sul piano politico interno della BiH, spiega la Topić. Secondo Sonja Biserko, soni i media a creare l'opinione pubblica e in quelli della Serbia si scrive maggiormente che la RS e' parte della Serbia e che e' solo una questione di tempo quando essa si separera' dalla BiH.Srećko Latal, dell'International Crisis Group avverte che il trascuramento del vocabolario puo' portare ad ulteriori tensioni tra gli stati balcanici, in questo caso tra la BiH e la Serbia e che nella Serbia post elettorale non si sa ancora quale via potrebbe intraprendere la societa' con la nuova leadership politica. 

La retorica nazionalista di Milorad Dodik
In una intervista alla Radio e televisione della RS, il presidente di questa entita', Milorad Dodik afferma che la RS e' secondo tutti, tranne la posizione ignorante di alcuni, uno stato e che nella RS tutti la vivono cosi'. Il presidente della RS insiste che l'entita' a maggioranza serba e' per la BiH un "dover essere" ma che la RS rispetta l'Accordo di Dayton anche se non rimarra' l'unica a difenderlo. Dodik prosegue che la "BiH e' un paese impossibile nel senso che si e' rinunciato all'attuazione del documento di Dayton. Lo spirito di Dayton e' passato e adesso si e' entrati nella fase in cui praticamente nessuno vuole questo paese. Non lo vogliono ne' i bosgnacchi perche' se lo volessero, loro accetterebbero l'Accordo di Dayton". Il leader della RS ha detto inoltre che si impegna per una quanto piu' rapida possibile definizione degli obiettivi politici chiari del popolo serbo in generale, sottolineando che di questo ne ha parlato anche recentemente con il presidente della Serbia, Tomislav Nikolić. "Abbiamo concordato che dopo il 20 settembre a Banjaluka si svolgera' il Consiglio per l'attuazione dell'Accordo sulle relazioni speciali al cui ordine del giorno ci sara' anche questo tema" ha precisato il presidente della RS. Ha aggiunto che in quella occasione si dovrebbe esaminare la possibilita' di un comune lavoro di Belgrado e Banjaluka relativo alle questioni di Dayton, del Kosovo, della Chiesa ortodossa serba, della lingua e altre questioni importanti per gli interessi nazionali serbi.
 "Io non sono un serbo bosniaco e non credo che molta gente che vive qui accetta di essere serbi bosniaci. Sono semplicemente serbi. Noi apparteniamo ad un popolo che nei Balcani e' sparso sullo spazio di altri paesi e significatamente ridotto nel periodo della dissoluzione dell'ex Jugoslavia" ha detto Dodik. Il presidente della RS ha ripetuto che il suo partito, l'Alleanza dei socialdemocratici indipendenti non rinuncera' dall'iniziativa che chiede le dimissioni del ministro degli esteri della BiH, Zlatko Lagumdžija perche', come ha detto, Lagumdžija ha violato la Costituzione e le leggi. Questa e' la linea rossa oltre la quale sicuramente non permetteremo di passare. Appena riprendera' il lavoro del Parlamento solleveremo la questione delle dimissioni del ministro degli esteri, ha precisato Dodik. Ricordiamolo, Dodik insiste sulle dimissioni di Lagumdžija dopo che il ministro degli esteri della RS ha voltato a favore della risoluzione sulla Siria alle Nazioni Unite. 

Il testo è la trascrizione di parte della corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi a Radio Radicale


KOSOVO: IL RAPPORTO DI BAN KI-MOON ALLE NAZIONI UNITE

di Marina Szikora
Martedi' scorso, al Palazzo di vetro, il Consiglio di sicurezza dell'ONU ha esaminato il rapporto trimestrale del segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon sul Kosovo. Era presente anche il premier della Serbia, Ivica Dačić. Il segretario generale dell'ONU ha giudicato la situazione in Kosovo come relativamente tranquilla anche se continua ad essere fragile, con particolari preoccupazioni espresse per gli incidenti avvenuti dopo la celebrazione della festa serba di Vidovdan. Ban Ki-moon ha giudicato postivamente anche i progressi sulla questione delle persone scomparse: sono stati identificati i resti di nove persone, mentre di una persona si e' saputo che e' viva e che si trova all'estero. Tuttavia, sono ancora in tutto 1774 le persone scomparse. Il segretario generale ha salutato nel suo rapporto i risultati concreti del dialogo tra Belgrado e Priština ma si e' detto anche preoccupato a causa dei problemi relativi alla realizzazione di alcuni di essi. Va ricordato che Ban Ki-moon ha visitato Belgrado e Priština lo scorso 23 e 24 luglio, nell'ambito del suo tour balcanico e aveva sottolineato in quella occasione, appunto, l'importanza del dialogo tra le due parti, nonche' il raggiungimento della soluzione attraverso un compromesso.

Presente alla presentazione del rapporto anche il premier serbo Ivica Dačić, il quale ha detto che la soluzione dello status definitivo del Koso sara' una delle priorita' principali del suo governo ma che la Serbia non riconoscera' mai l'indipendenza unilateralmente proclamata del Kosovo. "Siamo pronti ad arrivare ad una soluzione pacifica e sostenibile attraverso i negoziati ed il dialogo, rispettando gli interessi legittimi sia degli albanesi che dei serbi e di tutti gli altri popoli che vivono in Kosovo", ha detto Dačić. Ha precisato pero' chiaramente che la Serbia mai e a nessuna condizione, implicitamente o esplicitamente, riconoscera' l'indipendenza che gli organi degli albanesi in Kosovo avevano proclamato unilateralmente poiche' non si tratta del risultato di reciproco accordo. Il premier serbo ha aggiunto che la Serbia sara' sempre unita quando si tratta di questa questione cruciale. Nel suo discorso alle Nazioni Unite ha rilevato altrettanto che lo status finale del Kosovo non e' ancora risolto, che il Consiglio di Sicurezza non ha approvato nessuna soluzione per lo status del Kosovo e che nemmeno gli stessi partecipanti al dialogo hanno accettato ancora alcuna soluzione globale. In base a questo, ha proseguito Dačić, la posizione della Serbia resta che il Kosovo non puo' accedere a nessuna organizzazione internazionale in cui la membership sia prerogativa degli stati sovrani. E' intenzione del nuovo governo in Serbia di attuare pero' tutto quello che finora e' stato concordato a condizione che Priština faccia lo stesso. Anche se il dialogo tecnico deve proseguire, questo non basta. La Serbia e' pronta al dialogo ad alto livello, ha detto Dačić.

Il premier serbo ha valutato che la riconfigurazione della missione civile europea Eulex non e' conforme alla risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza sul Kosovo. Si e' detto convinto che l'Ue deve continuare con gli sforzi che dal punto di vista dello status devono mantenersi neutrali e che e' necessario un maggiore impegno dell'Eulex. L' alternativa sarebbe che l'UNMIK, la missione delle Nazioni Unite consideri la possibilita' della propria ristrutturazione e di una sua maggiore presenza sempre in base alla risoluzione 1244. Facendo riferimento alla parte del rapporto del Segretario generale in cui si menzionano le minacce di sicurezza della comunita' serba in Kosovo, Dacic ha detto che nel rapporto sono indicati gli incidenti che fanno parte di una campagna orchestrata indirizzata ad impaurire i serbi del kosovo. "E' chiaro che l'obiettivo finale e' quello di una totale pulizia etnica dei serbi e la scomparsa del patrimoni culturale serbo", ha denunciato il premier nel suo intervento aggiungendo che la Serbia si aspetta che sia stabilita la piena verita' e che vengano puniti tutti i responsabili per il crimine di guerra contro i serbi in Kosovo alludendo alle indagini relative al traffico di organi umani in Kosovo. Dačić ha fatto appello affinche' il Consiglio di Sicurezza dia priorità ad una indagine indipendente e completa in merito a queste supposizioni.

Alla presentazione del rapporto trimestrale di Ban Ki-moon era presente anche il premier kosovaro Harshim Tacqi il quale ha rilevato che Priština e' impegnata per il proseguimento del dialogo con Belgrado in ogni momento e in tutte le occasioni ma che non si puo' mettere in questione l'integrita' territoriale del Kosovo. Tacqi ha detto che nel dialogo e' stato realizzato un avanzamento notevole e che sono stati firmati sette importanti accordi, ma che la maggior parte e' rimasta soltanto sulla carta, come ad esempio l'accordo sull'amministrazione integrata del confine e sulla rappresentanza regionale perche' la Serbia rifiuta la loro attuazione. "E' nostra priorita' la normalizzazione delle relazioni con la Serbia", ha spiegato il premier kosovaro e ha aggiunto che le relazioni tra la Serbia e il Kosovo sono il maggiore ostacolo per la stabilita' dei Balcani. Tacqui ha detto che le autorita' di Priština hanno compiuto un grande avanzamento per quanto riguarda l'integrazione dei serbi kosovari e che Priština e' dedicata all'integrazione di oltre 100.000 serbi nelle istituzioni in Kosovo. Tali risultati non si possono raggiungere pero' in tre comuni al nord del Kosovo dove 30.000 serbi sono controllati direttamente dal governo di Belgrado. "Dobbiamo insistere sullo stato di diritto in questa parte del Kosovo e sul ritiro delle forze illegali della Serbia", ha detto Tacqi. Ha aggiunto che il Kosovo prosegue a migliorare l'amministrazione pubblica in base alle raccomandazioni di Bruxelles e che il governo di Priština e' impegnato nella lotta contro la corruzione e criminalita' organizzata.

[*] Il testo è trascritto dalla corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi a Radio Radicale


PASSAGGIO IN ONDA

E' on-line la puntata di Passaggio a Sud Est trasmessa oggi da Radio Radicale. La trasmissione è riascoltabile nella sezione "In Onda" del blog oppure, insieme a quelle precedenti, sul sito di Radio Radicale.

sabato 18 agosto 2012

VIAGGIO A YUGOLAND

Oggi è sabato, siamo ancora in agosto, quindi in piena estate, travolti dal caldo di questi giorni. Insomma l'atmosfera è ancora più o meno quella delle vacanze. Io invece sto al lavoro e quindi per chi è in ferie o per chi sta per partire, ma anche per tutti gli altri ecco un altro invito alla lettura. Un consiglio che è anche una riparazione perché il testo in questione mi era stato segnalato qualche tempo fa, ma l'email si era persa nella corrispondenza (eh sì, anche la posta elettronica si perde nei meandri virtuali del nostro pc, come quella cartacea resta sepolta nei cassetti).
Il libro in questione (copertina qui a fianco) è Yugoland. In viaggio per i Balcani di Andrea Aragona, che si auto descrive come "viaggiatore eco-sostenibile" e membro del consiglio nazionale di Legambiente oltre che laureato in storia. Andrea ha anche un blog con il quale invia qualche cartolina dalla ex-Jugoslavia "che tanto ex forse poi non è...".
La casa editrice Becco Giallo, specializzata nella progettazione e pubblicazione di fumetti di impegno civile, definisce il libro "guida contro-turistica ad un paese che (forse) non c'è più, costruita sul campo con testi, foto e disegni" (dell'artista Gabriele Gamberini).
Recita la scheda sul libro sul sito internet dell'editore: "Dagli ultranazionalisti serbi al più grande (e selvaggio) Festival della Tromba del mondo, dalla guardia del corpo del Maresciallo Tito che si reinventa produttore di Rakija (la temibile grappa balcanica) alla statua di Rocky eretta in segno di ambigua prosperità occidentale, Yugofobici contro Yugonostalgici, truffe e bassi espedienti di frontiera. Vignettisti resistenti, redazioni di giornali che prendono misteriosamente fuoco, la vera storia degli elefanti di Brijuni (la residenza del Maresciallo Tito). Tutto questo (e molto altro ancora) è Yugoland. Istria, Slovenia, Croazia, Serbia, Bosnia, Montenegro, Macedonia e ritorno. Belgrado, Zagabria, Sarajevo, Mostar, Skopje conosciute e vissute in auto, in bici, a piedi".
Il libro ha anche una prefazione di Luka Zanoni, in cui il direttore della testata giornalistica di Osservatorio Balcani e Caucaso tra l'altro scrive: "Questo libro è un invito a partire. Come un taccuino pieno di tasche dove infilare gli indirizzi raccolti per strada, i pezzi di vita attraversata, le foto rubate, le matite, gli acquerelli. Buon viaggio a tutti". E buona lattura.


venerdì 17 agosto 2012

MONTENEGRO: LA PARTITA A TRE CON RUSSIA E UNIONE EUROPEA

Di Riccardo De Mutiis
La genesi delle relazioni russo-montenegrine, sebbene propiziata dal comune credo ortodosso, ha una matrice essenzialmente politica: infatti si colloca nell’Ottocento quando il Montenegro cerca di affrancarsi dalla sottomissione all’Impero Ottomano, guadagnandosi in tal modo la simpatia della Russia degli Zar, secolare nemico dei turchi nella lotta per il predominio nei Balcani. E l’amicizia tra i due paesi trovava eco anche nella letteratura russa, se è vero che un personaggio tolstoiano, il conte Vronskij dell’Anna Karenina, va a combattere a fianco dei serbi e dei montenegrini nella loro lotta per ottenere l’indipendenza da Bisanzio. Solidissimi poi erano i rapporti tra gli zar Romanov ed il gospoda Nikola Petrovic, sovrano e padre dell’indipendenza del Montenegro, le cui figlie studiavano a San Pietroburgo. E lo stesso Nikola, quando gli chiedevano di quante truppe egli disponesse, era solito rispondere che lui e suo cugino lo Zar avevano un esercito di un milione e cinquemila uomini, sottacendo però che un milione di questi erano russi e facendo comunque intendere, con quella risposta, di potere disporre in qualunque momento dell’aiuto russo. Ed in effetti proprio la Russia si atteggiava in sede diplomatica a protettrice dei montenegrini, ottenendo che l’indipendenza conquistata sul campo di battaglia dall’esercito di Nikola venisse riconosciuta dalle grandi potenze. Il legame con i Romanov venne poi puntualmente onorato da Nikola Petrovic durante la prima guerra mondiale, che vide Russia e Montenegro alleate ed ebbe per entrambe, nonostante la vittoria della coalizione di cui facevano parte, lo stesso amaro epilogo: la Russia subì dolorose amputazioni territoriali ed il Montenegro perse la propria indipendenza, i rispettivi sovrani persero il trono ed uno di essi, lo zar Nikola II, addirittura la vita. Dal 1945, con la scomparsa dello stato montenegrino, assorbito dalla Jugoslavia, cessarono anche i rapporti tra i due Paesi, che ripresero in un contesto completamente diverso quando il Paese delle Montagne Nere riacquistò l’indipendenza.

Le relazioni, che nel periodo precedente la prima guerra mondiale avevano avuto natura esclusivamente politica, hanno assunto, recentemente, una dimensione nuova. Infatti alla connessione politica si aggiunge quella, prima sconosciuta, di natura economica. L’ impatto russo sull’economia montenegrina è evidenziato in modo emblematico dal sito internet della compagnia di bandiera Montenegro Airlines, le cui informazioni sono disponibili, oltre che nella lingua locale ed in inglese, anche in russo, a significare l‘importanza del flusso di viaggiatori tra Mosca e Podgorica. Passando dal web all’urbanistica l’impronta russa rimane costante: è sufficiente recarsi a Podgorica per accorgersi della costruzione di un nuovo ponte sulla Moraca, costruito con fondi provenienti da una fondazione russa e per tale ragione chiamato Moskovje. Se si passa poi sul piano della economia sostanziale la misura della penetrazione russa in Montenegro è rivelata non solo dai massicci investimenti nel settore turistico-ricettivo sulla Budvanska rivijera, ma soprattutto dall’attività di Oleg Deripaska, magnate russo noto anche per il legame con Putin, il quale ha acquistato, tramite società di cui è azionista di maggioranza, le due più importanti aziende montenegrine, ossia il cosiddetto Kap di Podgorica (Kombinat Aluminijuma Podgorica) e la Zeljezara, fabbrica di acciaio di Niksic. Ed è stata soprattutto l’ acquisizione del Kap a destare interesse, dato che questa azienda copriva da sola il 70% delle esportazioni montenegrine e generava anche un indotto di notevoli proporzioni.

Le due operazioni a cui si è fatto riferimento vennero perfezionate negli anni 2005-2006, e quindi nel periodo immediatamente precedente la proclamazione dell’ indipendenza del Montenegro, avvenuta nel novembre 2006: all’epoca tuttavia Podgorica godeva già di una sostanziale autonomia politica all‘interno dell’Unione di Serbia e Montenegro, il soggetto politico che nel 2003 era succeduto alla Jugoslavia. Insomma, dal 2005 fino al 2008, il legame tra Podgorica e Mosca era saldissimo, come ai tempi di Nikola Petrovic e Nikola Romanov: l’acquisizione dei più importanti complessi produttivi del Montenegro da parte di un tycoon del calibro di Deripaska e soprattutto il legame tra questi ed il presidente russo Putin non lasciavano alcun dubbio circa il fatto che la penetrazione economica era vista con favore, se non addirittura pianificata, dal Cremlino. In un simile quadro le aperture del governo montenegrino all’Europa, ed in particolare le dichiarazioni del primo ministro Milo Djukanovic di aspirare all’ingresso nell’Unione Europea, apparivano solo opportunistiche e poco credibili. Ma, di lì a qualche anno, l’evoluzione del contesto socioeconomico montenegrino e della politica internazionale del governo di Djukanovic smentivano quegli analisti che vedevano nello stato adriatico una colonia politica ed economica di Mosca, e rivalutavano in qualche misura le precedenti proteste di autonomia sullo scenario europeo di Podgorica.

Sono diversi, e tra loro intimamente connessi, gli elementi sintomatici della presa di distanza del governo montenegrino nei confronti del gigante russo. In primis non si può negare che da qualche anno a questa parte la politica estera del Montenegro appare, diversamente dal passato, non appiattita sulle posizioni di Mosca, come ha dimostrato nel 2008 il caso della proclamazione d’indipendenza del Kosovo, che non veniva accettata dalla Russia per non creare un precedente che poteva essere preso a paradigma dalla Cecenia e dalle altre entità substatali o etniche con ambizioni separatiste presenti sul proprio territorio. Ci si aspettava che anche il Montenegro, stato di recente indipendenza e non ancora pienamente emancipato sul piano internazionale, seguisse la linea del suo potente partner russo e quindi non riconoscesse il nuovo stato kosovaro. Ma Djukanovic procedette al riconoscimento del Kosovo: la decisione non venne ovviamente accolta favorevolmente dal Cremlino, ma venne commentata con soddisfazione dagli stati membri dell’Unione Europea , i quali nella grande maggioranza avevano a loro volta riconosciuto il Kosovo e temevano che lo scivolamento del Montenegro nella sfera economica russa fosse solo il prologo del sorgere di una sudditanza anche politica nei confronti di Mosca. E al raffreddamento dei rapporti politici tra i due paesi si aggiungeva, parliamo sempre dell’arco temporale 2008 -2011, anche il peggioramento dei rapporti tra gli investitori russi ed i loro interlocutori montenegrini. Entrambe le acquisizioni di Deripaska, infatti, non si sono rivelate felici né per lui, né per il governo di Podgorica, se è vero che le contestazioni reciproche hanno avuto ripercussioni giudiziarie, ed anche alcune operazioni immobiliari che coinvolgevano altri imprenditori russi hanno suscitato l’attenzione della magistratura locale. A ciò si aggiunga, last but not least, che il legame tra Deripaska e Putin, e quindi la connessione tra economia e politica russa sul versante montenegrino, sembra essere venuto meno, se è vero che nel giugno 2009 a Pikalevo l’ex uomo del KGB ha umiliato pubblicamente l’oligarca, e tale presa di distanza fa presagire che cesserà di sovvenzionarlo attraverso generosi aiuti di stato. E senza i finanziamenti statali la presa di Deripaska sull’economia montenegrina è fatalmente destinata a scemare.

Al declino dell’intesa politico-economica con la Russia e Montenegro ha fatto da contrappeso, come accade spesso nei rapporti internazionali, la nascita di una diversa relationship, quella tra l’Unione Europea e la repubblica adriatica a cui è stato conferito nel dicembre 2011 lo status di Paese candidato all’ingresso nell’Europa allargata. L’ impegno con cui il governo montenegrino sta cercando di adempiere gli obblighi impostigli da Bruxelles fa presagire che la ex repubblica federata jugoslava sarà, dopo l’imminente ingresso della Croazia, il ventinovesimo membro dell’Unione Europea. Ma la prospettiva dell’ integrazione europea non deve fare ritenere che l’ultrasecolare rapporto tra il Montenegro e la Russia sia definitivamente tramontato. Al contrario, la presenza russa nel tessuto socio economico montenegrino, sicuramente mitigata a causa del declino di Deripaska, ma pur sempre notevole e di gran lunga prevalente sulle altre economie straniere operanti sul territorio, farà del paese adriatico, se e quando entrerà nell’Unione Europea, un unicum nella grande famiglia di Bruxelles. Si tratterrebbe infatti dell’unico stato membro il cui settore economico subisce l’ impatto determinante di investitori estranei alle grandi democrazie occidentali. Dunque un cavallo di Troia, o di Mosca , all’interno dell’Unione? Difficile rispondere, visto che dalla fine della guerra fredda gli scenari della geopolitica sono in continua evoluzione. L’unica certezza è che sui rapporti russo-montenegrini inciderà la variabile europea.Partita a tre, dunque, Mosca-Podgorica-Bruxelles, l’esito è tutto da scoprire. 

Riccardo De Mutiis è esperto di relazioni internazionali, in particolare sotto il profilo giuridico, e analista della realtà balcanica. Ha partecipato a varie missioni patrocinate da istituzioni internazionali.

giovedì 16 agosto 2012

UE, STEFAN FUELE: IL BLOCCO DELL'ALLARGAMENTO SAREBBE UN ERRORE ENORME

Di Marina Szikora
Nell'intervista per il sito Internet europeo EurActiv, il commissario europeo all'Allargamento, Stefan Fuele ha valutato che il blocco del processo di allargamento dell'Ue sarebbe "un errore enorme". Si e' detto convinto che la Serbia realizzera' l'avanzamento nelle relazioni con il Kosovo il che ha qualificato come "un problema fondamentale sulla via verso l'apertura dei negoziati di adesione" di Belgrado con l'Ue. Feule ha detto di non dubitare che questa sara' una delle priorita' del nuovo governo serbo e ha ricordato che il Consiglio europeo ancora lo scorso dicembre aveva stabilito le misure che la Serbia deve attuare. Nelle conclusioni del Cosiglio e' stato indicato che la Serbia deve continuare il dialogo con Priština e realizzare la normalizzazione delle relazioni con il Kosovo a fin di poter ottenere la data dell'inizio dei negoziati. Il Consiglio ne decidera' nuovamente al vertice a fine di quest'anno.

Stefan Fuele ha espresso ottimismo quando si tratta della prospettiva europea di tutti i Balcani Occidentali, soprattutto per quanto riguarda la Croazia e il Montenegro i due paesi che hanno maggiormente avanzato sulla via europea. La Croazia, si aspetta che aderisca all'Ue il primo luglio 2013 mentre il Montenegro ha ottenuto il via ai negoziati di adesione all'inizio di quest'estate. Il commissario all'allargamento ha rilevato che non c'e' stanchezza nelle riforme e nel processo di allargamento come i media sbagliatamente scrivono ed informano. Secondo Fuele, il Montenegro ne e' il buon esempio. Ha indicato che l'intenzione di nove paesi di aderire all'Ue nonostante l'attuale crisi e' la prova della loro fiducia nell'Unione. Ha ammesso che l'Ue attualmente ha "seri problemi" ma che per questo non dovrebbe in nessun modo girarsi a se stessa, trascurando i vicini e fermando il processo di allargamento. "Sarebbe un errore enorme e un prezzo molto alto per l'Ue" ha sottolineato Fuele.

Per quanto riguarda la questione prioritaria delle relazioni tra Belgrado e Priština, citando fonti del governo serbo, il quotidiano di Belgrado 'Blic' scrive che il Governo della Serbia nei prossimi giorni molto probabilmente cambiera' la decisione della non partecipazione dei rappresentanti della Serbia ai forum regionali ai quali partecipano anche rappresentanti di Priština. Su questo modello, spiega 'Blic', stanno lavorando insieme la vicepresidente del governo serbo incaricata per le integrazioni europee, Suzana Grubješić e il capo dell'Ufficio per le integrazioni europee, Milan Pajević. Questo modello acconsentirebbe ai rappresentanti serbi di partecipare alle conferenze internazionali senza riconoscere il Kosovo e senza il precedente insistere della parte serba che il cartellino davanti ai rappresentanti di Priština avesse accanto al nome Kosovo anche un asterisco e il commento che "questo nome non influisce sulla posizione relativa allo status, conforme alla Risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza dell'ONU e il parere della Corte internazionale della giustizia sulla dichiarazione di indipendenza del Kosovo".

La conclusione di tutti i governi e' che la non partecipazione ai forum internazionali rappresenta soltanto una perdita per la Serbia, poiche' vi e' presente la voce dell'altra parte, cioe' quella kosovara. Si prevede quindi che la partecipazione dei rappresentanti serbi ai forum includa anche il messaggio che cio' non significa il riconoscimento del Kosovo, spiegano le fonti governative a 'Blic'. Nel comunicato dall'Ufficio del presidente, a seguito degli incontri di Tomislav Nikolić con gli ambasciatori austriaco e tedesco che finiscono il loro mandato in Serbia, si citano le parole del presidente della Serbia che il nuovo team di negoziatori serbo assumera' la piena responsabilita' nella soluzione della situazione in Kosovo. Il presidente ha detto anche che i negoziati tra Belgrado e Priština saranno alzati ad "un livello piu' alto".

Il testo fa parte della corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi a RadioRadicale

BOSNIA: DODIK RIACCENDE LA RETORICA NAZIONALISTA “GRAN SERBA”

Milorad Dodik
Di Marina Szikora
Nei giorni scorsi, abbastanza attenzione nella regione ha suscitato la visita ufficiale del presidente dell'entita' a maggioranza serba in Bosnia Erzegovina, della Repubblika Srpska, Milorad Dodik a Belgrado per incontrare il presidente Tomislav Nikolić. Gia' in vista di questo incontro, Dodik aveva dichiarato di credere che questo incontro sara' un buon incontro sulla collaborazione internazionale e sulle questioni aperte nonche' sull'attivazione del lavoro del cosidetto Consiglio per l'implementazione dell'accordo relativo alle relazioni speciali e parallele tra la RS e la Serbia. "Sono convinto che le relazioni saranno ancora migliori e di qualita'" ha sottolineato Dodik.Va ricordato che oltre al presidente del Montenegro, Filip Vujanović, Milorad Dodik e' stato l'unico alto funzionario della regione balcanica che aveva partecipato all'inaugurazione del presidente Tomislav Nikolić. Da allora, va altrettanto detto, il presidente della RS ha visitato la Serbia tre volte ma i colloqui al piu' alto livello con il presidente Nikolić finora non si sono svolti. Milorad Dodik, in vista delle elezioni presidenziali in Serbia, aveva appoggiato apertamente il candidato Boris Tadić il che nei singoli circoli politici in Serbia e nella RS e' stato commentato come un gesto 'inopportuno'.

"La Bosnia Erzegovina e' in crisi permanente, il che dimostra la sua incapacita' a sopravvivere... Essa esiste soltanto perche' la comunita' internazionale sta mantenendo l'illusione del suo funzionamento" ha dichiarato Dodik dopo il suo incontro con Nikolić. Il presidente della RS ha valutato che e' arrivato il tempo in cui l'alto rappresentante della comunita' internazionale in BiH dovrebbe presentare il rapporto sul suo lavoro a tutti i firmatari dell'Accordo di Dayton poiche' questo, ha detto, e' previsto dall'Anex 10 dell'Accordo firmato nel 1995. Parlando del recente voto del ministro degli esteri della BiH, Zlatko Lagumdžija alle Nazioni Unite a favore della risoluzione sulla Siria, Dodik ha detto che con questo il ministro ha violato la Costituzione della BiH e per tal motivo dovrebbe dimettersi. "Lagumdžija ha violato la Costituzione della BiH e l'accordo tra i partiti raggiunto per la formazione del Consiglio dei ministri". Dodik ha precisato che il suo partito sollevera' in parlamento la questione della destituzione del ministro degli esteri Lagumdžija. Per quanto riguarda il Kosovo, il leader della RS ha spiegato che la RS e la Serbia hanno la stessa posizione relativa all'indipendenza del Kosovo e lavoreranno insieme per migliorare la situazione del popolo serbo in Kosovo.

Gli analisti concordano che con le sue dichiarazioni di aperto sostegno a Boris Tadić durante la campagna presidenziale in Serbia, Dodik ha commesso un errore. Cosi' Đorđe Tomić afferma che il centro del potere politico cambia dipendentemente dal fatto chi si trova a governare. Il prezzo di creare tensioni nelle relazioni e custodire vecchie offese nonche' mantenere situazioni di gelo tra i due presidenti non sarebbero buone per la regione, afferma questo analista politico. Comunque sia, alcuni analisti in Serbia ritengono che su Dodik in Serbia attualmente non esiste quell'alta opinione come lo e' stato durante il mandato di Boris Tadić. Secondo Ivan Šijaković il presidente della RS si e' rasserenato a malapena con il fatto che Tadić aveva perso le elezioni: "tuttavia, naturalmente, come uomo abile e anche per motivi personali, a causa delle ricchezze che possiede in Serbia, Dodik trova il modo per comunicare con il presidente Nikolić anche se e' noto che lui non ha una opinione particolarmente buona su Dodik, le sue posizioni ed i suoi comportamenti" afferma questo esperto politico. Se e' da giudicare dalle dichiarazioni di Milorad Dodik a seguito del suo incontro con Nikolić la settimana scorsa a Belgrado, le relazioni tra la RS e Belgrado, sono almeno per adesso riconciliate poiche' il presidente della RS ha detto che tra la RS e la Serbia non ci sono questioni aperte. Dodik ha aggiunto di rispettare il fatto che Nikolić e' stato legittimamente eletto presidente della Serbia e ha espresso aspettative che insieme potranno creare e concordare le posizioni relative allo status politico del popolo serbo sia in Kosovo che in BiH.

Nell'intervista per il giornale di Belgrado "Večernje novosti", Milorad Dodik afferma che e' arrivato il tempo per i serbi di riunirsi. Dobbiamo dare le risposte comuni per i problemi che riguardano il popolo serbo – dal Kosovo fino al Montenegro e la Croazia, ha detto il presidente della RS. Raccontando il suo colloquio con il presidente della Serbia Nikolić e gli obiettivi delineati, Dodik ha detto che i serbi necessitano di una politica serba comune per l'intera regione. Abbiamo concordato, ha detto, che collaboreremo di piu' nei settori dell'educazione, cultura, sport ed economia. A fine settembre organizzeremo una riunione del Consiglio congiunto a Banja Luka al quale parteciperanno anche il presidente Nikolić ed il premier Ivica Dačić. Allora elaboreremo la nuova mappa relativa alle nostre relazioni, ha spiegato Dodik.

Il testo fa parte della corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi a RadioRadicale

CRIMINI DI GUERRA: RADOVAN KARADŽIĆ CHIEDE UN NUOVO PROCESSO

Di Marina Szikora
L'ex leader politico dei serbi bosniaci, Radovan Karadžić, attualmente sotto processo al Tribunale dell'Aja, ha chiesto lunedi' un nuovo processo perche' accusa la Procura di essere in ritardo con la consegna dei documenti che lo assolverebbero dalla colpa. Lo ha fatto sapere lo stesso Tribunale dell'Aja che giudica i crimini commessi in ex Jugoslavia. L'ex presidente della RS e leader del Partito democratico serbo nonche' comandante supremo dell'esercito dei serbi bosniaci all'epoca della guerra in ex Jugoslavia, ricordiamolo, e' accusato di genocidio, crimini contro l'umanita' e violazione delle leggi di guerra in Bosnia Erzegovina dal 1992 al 1995, nel corso della sanguinosa guerra in cui morirono circa 100.000 persone, mentre 2,2 milioni di persone sono state traslocate. A Karadžić viene particolarmente addossata la colpa del massacro di 8.000 uomini e ragazzi di Srebrenica nel luglio 1995, il piu' grave massacro in Europa dalla Seconda guerra mondiale.
Adesso, il famigerato leader dei serbi bosniaci, Radovan Karadžić chiede un nuovo processo e aggiunge che questa sarebbe l'unica soluzione affinche' il processo possa essere giusto. Nella sua richiesta si legge che "ha subito danni perche' e' il suo diritto di essere a conoscenza dei documenti della Procura sin dall'inizio e non di conoscerli soltanto nel corso del processo".
La Procura dell'Aja all'inizio di luglio aveva presentato ricorso alla decisione del consiglio di primo grado secondo la quale non ci sarebbero sufficienti prove che le forze serbe sotto la guida di Radovan Karadžić avrebbero commesso il genocidio nei comuni di Bratunac, Foča, Ključ, Prijedor, Sanski Most, Vlasenica e Zvornik. In questo modo, Karadžić e' assolto dalle accuse di genocidio in alcune localita' della BiH me continua ad essere accusato di genocidio a Srebrenica nel 1995.
Va detto anche che il processo a Karadžić e' stato rimandato piu' volte a fin di mettrlo a conoscenza dei documenti in questione.
L'atto di accusa contro Karadžić e' stato sollevato ancora nel lontano 25 luglio 1995 ma la sua latitanza e' durata per ben 13 anni. Karadžić si trova nel carcere di Scheveningen dal 30 luglio 2008 mentre il processo e' iniziato il 26 ottobre 2009. Lo scorso 4 maggio e' terminata la presentazione degli elementi dell'atto di accusa e il prossimo 16 ottobre si dovrebbe iniziare con la presentazione delle prove contro l'imputato che si e' dichiarato non colpevole e si difende da solo.

Il testo fa parte della corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi a RadioRadicale

PASSAGGIO IN ONDA

E' on-line la puntata di Passaggio a Sud Est trasmessa oggi da Radio Radicale. La trasmissione è riascoltabile nella sezione "In Onda" del blog oppure, insieme a quelle precedenti, sul sito di Radio Radicale.

mercoledì 15 agosto 2012

BUON FERRAGOSTO

A chi è in vacanza, a chi ci deve andare, a chi ci è già andato, a chi non ci andrà, a chi come me oggi è al lavoro voglio augurare buon Ferragosto con un libro per me miracoloso e fondamentale: Breviario mediterraneo di Predrag Matvejevic.
Su questo trattato "geopoetico" è già stato detto molto e non ho niente da aggiungere di particolare, se non che la mia copia è ormai piena di sottolineature, commenti e note personali. In realtà non l'ho mai letto completamente, da cima a fondo. Di solito, in momenti particolari, lo porto con me, lo apro a caso e mi lascio portare dalla lettura fino a dove ho voglia di arrivare. Certe pagine le ho lette e rilette, certe altre non le ho ancora nemmeno sfogliate. Forse sbaglio, ma non riesco a trovare altro modo di leggere questo testo rivelatore. So che altri non la pensano così e lo giudicano prolisso o presuntuoso o inutile, ma è giusto. I libri non son un obbligo, ma una scelta.
Vi auguro di leggerlo oggi verso il tramonto in riva al mare, un po' lontanti dalla pazza folla, quando l'aria tiepida della sera vi lascia sulla pelle un po' di sale e l'odore delle onde. E se invece siete in montagna, magari nel silenzio di un alpeggio, vi auguro che, come l'Ismaele di Melville, sentiate anche voi il richiamo che spinge l'acqua a scendere verso il mare. E che con l'aiuto del Breviario, scopriate che il Mediterraneo non è una barriera, ma un territorio da percorrere e scoprire, che non ha mai diviso le sue genti, ma nel corso dei secoli semmai le ha mescolate in una rete infinita di relazioni e opposizioni, alleanze e conquiste, guerre e paci, tragedie e gioie.
Buon Ferragosto.


giovedì 9 agosto 2012

LA CROAZIA HA CELEBRATO LA GIORNATA DELLA VITTORIA

Il 17° anniversario dall'Operazione “Tempesta” segnato come sempre dalle polemiche, ma anche da qualche importante novità

Di Marina Szikora [*]
Sono passati 17 anni dall'operazione militare lampo croata 'Tempesta' con la quale in meno di 48 ore le forze militari croati avevano liberato oltre 80 percento del suo territorio occupato – la cosidetta autoproclamata SAO Krajina dei ribelli serbi in Croazia. Il 5 agosto 1995, dopo tanto tempo e' stata nuovamente alzata la bandiera croata sulla fortezza di Knin. Il 4 agosto 1995 mattina e' iniziata una delle azioni militari piu' conosciute dell'esercito croato – 'la Tempesta'. Gia' il giorno dopo, nell'allora occupata Knin, sono entrate le prime forze militari croate. Esattamente a mezzogiorno l'allora presidente croato, Franjo Tuđman ha comunicato ai cittadini la notizia che Knin e' stata liberata. Va ricordato che questo territorio della Croazia era occupato per 4 lunghi anni, governato dai serbi ribelli e dal loro cosidetto premier della Krajina, Milan Babić. All'epoca Babić richiedeva che la situazione sia risolta in modo tale che il governo croato e il ministero degli interni ammettano il loro errore e di ritirare non soltanto le unita' speciali bensi' anche i rappresentanti delle forze di ordine. Dopo Knin, a velocita' di lampo sono stati liberati altri luoghi: Benkovac, Vrlika, Kijevo, Drniš, Gračac e Lovinac. Dopo quattro anni la Dalmazia non era piu' tagliata dal resto della Croazia. L'operazione Tempesta ha liberato oltre 10 mila kilometri quadrati di territorio in soli quattro giorni. Va anche detto che fuggendo davanti alle forze croate, i rappresentanti della cosidetta SAO Krajina, per vendetta attacavano i civili ad Osijek, Zara e Sibenico. La Tempesta significo' anche l'annegamento definitivo del sogno di Slobodan Milošević sulla Grande Serbia, scrive il portale della radio e televisione statale croata HTV e aggiunge che gia' l'anno seguente anche Belgrado, costretto ad affrontare il riconoscimento internazionale dei confini croati, dovette riconoscere l'indipendenza croata. Per tutti questi motivi, il 5 agosto per la Croazia rappresenta una delle date piu' importanti della storia recente e il Parlamento croato ha proclamato questa giornata come Giornata del ringraziamento della patria.

La cerimonia principale per celebrare il 17esimo anniversario della liberazione della Croazia con l'operazione Tempesta si e' svolta domenica a Knin e vi hanno partecipato le massime cariche dello stato: il presidente Ivo Josipović, il premier Zoran Milanović e il vicepresidente del Parlamento, coprendo l'incarico di presidente del Parlamento, Josip Leko. Tutti hanno espresso la loro gratitudine e ringraziamento ai difensori croati che nella guerra di difesa hanno contribuito alla vittoria per la Croazia indipendente. "La Costituzione mi ha dato la posizione di essere comandante supremo delle forze armate croate e percio' mi sento umile, sento rispetto e orgoglio di essere comandate di questo esercito vittorioso" ha detto il presidente Josipović nel suo intervento a Knin. "La Croazia dopo la vittoria nella guerra deve vincere anche nella pace – superare le difficolta' economiche, garantire i diritti umani, liberta' religiose e nazionali nonche' la prosperita' di tutti i cittadini" ha aggiunto il capo dello stato croato rilevando che vincere nella pace significa tendere anche la mano ai nostri concittadini di nazionalita' serba, riconoscere le loro vittime e rendere loro omaggio. Sempre a Knin, il premier croato Zoran Milanović ha detto che "questa festa non la celebriamo a fin di godere le angosce altrui e per gustare i dolori atrui che altrettanto ci sono stati. Anche questo e' umano e bisogna riconoscerlo. Dobbiamo invece trarre da noi stessi il migliore" ha sottolineato Milanović. "La nostra guerra e' stata giusta, di difesa, umana. I confini croati li difenderemo sempre, sapendo quali sono, cosi' come lo aveva fatto ogni governo croato dal 1990" ha detto il premier. Il 5 agosto viene anche celebrato come Giornata dei difensori croati. Va ricordato che nell'operazione 'Tempesta' morirono 174 soldati croati e oltre 1400 furono feriti.

Dall'altra parte, i media serbi ricordano che nell'azione dell'esercito croato scomparirono 2000 persone e furono caccciati via dalle loro case circa 220.000 serbi. Ma rilevano altrettanto che quest'anno i vertici croati in occasione della celebrazione della Giornata della vittoria e della Giornata dei difensori croati non hanno menzionato gli imputati dell'Aja Ante Gotovina, Markač e Čermak ma hanno menzionato le vittime serbe e la necessita' che esse siano riconosciute. I media serbi riportano le parole del premier Milanović il quale, tra l'altro, ha detto che la Croazia e' padrone del proprio destino e che non ci sono piu' scuse o colpevoli a Belgrado o a Budapest. Quest'anno pero', un altra novita'. Alla cerimonia del 17-esimo anniversario della 'Tempesta', presente anche il presidente del Forum democratico serbo, Veljko Džakula. Per la prima volta quindi, la partecipazione di un rappresentante dei serbi in Croazia dopo aver ricevuto l'invito informale del presidente croato Ivo Josipović. Nessun dubbio che l'arrivo di Džakula a Knin ha suscitato grande attenzione anche se sia i ministri che l'opposizione croata nelle loro dichiarazioni sono stati cauti. Lo stesso rappresentante serbo ha detto che il messaggio della sua presenza a Knin e' simbolico vale a dire che vuole rendere omaggio a tutti gli uccisi e a tutte le vittime della 'Tempesta'. La legittimita' della 'Tempesta' ha rilevato Džakula, cosi' come e' grande in voi, cosi' sara' grande anche presso gli altri quando pero' le vittime avranno la loro vera pieta'. Secondo la sua opinione, alla ceremonia di Knin doveva esserci il rappresentante della minoranza serba nel Parlamento croato e presidente del maggiore partito serbo in Croazia, Milorad Pupovac.Secondo il ministro della difesa croato Ante Kotromanović, la celebrazione della 'Tempesta' e' aperta a tutti, se verranno a rendere omaggio e se diranno che si e' trattato di una azione di liberazione. Allora tutti sono i benvenuti, ha concluso il ministro croato, all'epoca lui stesso combattente.

[*] Corrispondente di Radio Radicale. Il testo è tratto dalla puntata di Passaggio a Sud Est del 9 agosto.

CROAZIA-SERBIA: A QUANDO L'INCONTRO TRA JOSIPOVIĆ E NIKOLIĆ?

Di Marina Szikora
Adesso che si e' anche insediato il nuovo governo serbo guidato dal socialista Ivica Dačić e ben avviate le attivita' del presidente della Serbia, Tomislav Nikolić, prendono spazio i temi relativi ai rapporti nella regione e in particolare quelli con i paesi vicina. Ricordiamolo, con l'inizio della presidenza croata di Ivo Josipović, due anni e mezzo fa, le relazioni tra Croazia e Serbia hanno avuto uno slancio positivo con diverse attivita' dei due presidenti, Ivo Josipović e il suo ex collega serbo, Boris Tadić nel segno del miglioramento delle relazioni nella regione e l'indispensabilie riconciliazione tra Croazia e Serbia ma non solo. L'elezione di Tomislav Nikolić a presidente della Serbia, ex ultranazionalista radicale serbo e a suo tempo il vice dell'imputato dell'Aja Vojislav Šešelj, sembrano aver provocato grandi perplessita' e passi indietro rispetto alla menzionata direzione. Ben presente ancora la retorica estremista degli anni novanta di Nikolić nonche' dichiarazioni provocanti e sgarbate tutt'ora, relative a Srebrenica e Vukovar che almeno per adesso, hanno chiuso le porte riaperte dal suo predecessore Tadić. In questi giorni pero' il presidente Nikolić afferma per il quotidiano di Belgrado 'Danas' di essere pronto ad incontrare il presidente croato Ivo Josipović. Parlando della collaborazione regionale e di stati nella regione che finora aveva visitato e che intende visitare prossimamente, Nikolić ha annunciato che presto dovrebbe incontrare ufficialmente il presidente Josipović, che e' pronto a venire appena e dove il presidente croato lo invitera'. Va ricordato che subito dopo aver assunto l'incarico di presidente della Serbia, lo scorso 31 maggio, Nikolić aveva sottolineato che lui non e' di quelli che viaggiano tanto per viaggiare e che certi incontri devono essere utili per la Serbia.

"Tenendo conto della politica che il presidente Nikolić aveva sollecitato negli anni novanta e le sue recenti dichiarazioni relative a Vukovar e Srebrenica, l'incontro dei due presidenti e' possibile quando il presidente Nikolić dimostrera' chiaramente di aver cambiato il suo atteggiamento verso i paesi vicini" si legge nel comunicato rilasciato dall'Ufficio del presidente Ivo Josipović a proposito dell'argomento. In ogni caso, il capo dello stato croato "saluta il desiderio del presidente Nikolić che anche con incontri bilaterali continui la politica di riconciliazione e di relazioni di buon vicinato" si fa sapere dall'Ufficio di Josipović. Il quotidiano serbo 'Blic' pubblica l'opinione del professore della Facolta' di scienze politiche di Belgrado ed analista politico serbo, Predrag Simić il quale ritiene che non bisogna aspettarsi un incotro dei dui presidente in tempi rapidi poiche' ne' l'uno ne' l'altro non otterebbero nulla sul piano interno. Simić ha aggiunto che un incontro Josipović-Nikolić entro l'anno sarebbe una vera sorpresa. Proprio come Bruxelles, scrive 'Blic', anche Zagabria si aspetta le prime mosse del presidente e del nuovo governo serbo. Boris Tadić e' stato un partner di Josipović e adesso la Croazia e la Serbia attraversano una fase di blocco nei rapporti. Ci vorra' del tempo per Nikolić a portare le relazioni dei due paesi ad un minimum positivo, queste relazioni per adesso non peggiorano, afferma Simić nell'intervista a 'Blic'. Ritiene che per Nikolić l'esame principale sara' il Kosovo e che in base a questo le cose saranno piu' chiare sia per Bruxelles che per Zagabria. Simić valuta che la Croazia adesso non fara' sicuramente nulla per compromettere le relazioni tra la Serbia e la Croazia poiche' si trova sulla soglia dell'ingresso nell'Ue e non fara' nulla che potrebbe gettare ombra alla sua adesione. E' sicuro che nemmeno Nikolić ne' Aleksandar Vučić non compieranno provocazioni perche' non e' nemmeno nel loro interesse, conclude l'analista serbo Predrag Simić.

[*] Corrispondente di Radio Radicale. Il testo è tratto dalla puntata di Passaggio a Sud Est del 9 agosto.


QUALE SARA' LA POLITICA ESTERA DEL NEOMINISTRO SERBO?

Di marina Szikora [*]
Il neoministro degli esteri serbo Ivan Mrkić in una intervista al giornale serbo 'Novosti' ha parlato dei principali obiettivi della politica estera della Serbia e degli sforzi per salvaguardare la sua strategia. Il capo della diplomazia serba ha espresso speranza per quanto riguarda un accordo sul ritiro delle accuse per genocidio davanti alla Corte internazionale di giustizia dell'Aja. Mrkić ha sottolineato che il nuovo governo ha grande entusiasmo, vuole migliorare la situazione in molti settori, innanzitutto rafforzare l'economia, la posizione estera e migliorare la collaborazione con i fattori internazionali chiave. La salvaguardia del Kosovo e ottenere la data dell'inizio di negoziati con l'Ue restano gli obiettivi del nuovo governo serbo, come anche lo sviluppo delle relazioni con i paesi vicini e il rafforzamento delle relazioni economiche con tutti i patner. Si proseguira' sulla stessa via, ha assicurato il ministro, forse soltanto con passi diversi. L'Europa non richiede dalla Serbia di riconoscere il Kosovo il che significa che si comprende la posizione serba, assicura Mrkić. Il ministro degli esteri serbo sottolinea anche che bisogna essere consapevoli della necessita' di un consenso politico e sociale piu' largo possibile per quanto riguarda la questione Kosovo e come proseguire nel futuro.

Per quanto riguarda le relazioni con i vicini, il ministro parla anche della possibilita' di raggiungere un accordo relativo al ritiro delle accuse davanti alla Corte internazionale di giustizia e indica che sia dall'una che dall'altra parte matura la consapevolezza che bisogna costruire qualcosa che servira' veramente a togliere il peso dalle prossime generazioni. Ha detto di aver gia' parlato con la sua collega croata Vesna Pusić e che presto dovrebbe seguire anche un loro incontro. Va detto che secondo i media serbi, la nomina di Ivan Mrkić alla carica di ministro degli esteri serbo e' stata la piu' grande sorpresa. Anche se senza appartenenza partitica, i media lo criticano per due dei suoi incarichi: quello del capo gabinetto di Dobrica Ćosić e di ambasciatore in Cipro durante il regime di Slobodan Milošević. Mrkić avrebbe proveduto per il trasferimento dei soldi da Belgrado in Cipro e lo si qualificava come "custode del tesoro di Milošević". A queste critiche, per 'Novosti', il neoministro degli esteri serbo ha risposto che dopo aver iniziato il suo lavoro diplomatico, prima era uno di Tito, poi di Milošević, dopo di Koštunica, Drašković, Tadić, Jeremić...Molto probabilmente piu' di tutti, era uno di Ćosić. Adesso e' di Nikolić. Ha aggiuto che ci sono molte menzogne relative all'epoca di Milošević e semplicemente non vuole occuparsene.

Quando il nuovo ministro serbo precisa di essere piu' di tutto un seguace di Dobrica Ćosić, bosogna pecisare anche in poche parole chi e' questo personaggio. Ćosić e' scrittore serbo ma molto piu' conosciuto come teorico nazionalista serbo spesso nominato "il padre della nazione". E' nato nel 1921. Nel 1989 Ćosić e il suo amico Jovan Rašković organizzano politicamente i serbi in Croazia nel Partito democratico serbo e l'anno successivo, Ćosić fonda il Partito democratico serbo anche in BiH e riesce a farne diventare leader Radovan Karadžić. Dopo la dissoluzione dell'ex Jugoslavia, nel 1992 Slobodan Milošević convince Ćosić a diventare il primo presidente della Repubblica socialista della Jugoslavia, all'epoca composta da Serbia e Montenegro. Ne rimane alla presidenza fino al 1993 quando, dopo i contrasti con Milošević viene destituito da entrambe le camere del parlamento jugoslavo. Ćosić comunque continua a lottare contro il regime di Milošević e nel 2000 diventa membro dell'organizzazione "Otpor" dichiarando pero' dopo che non ne avrebbe mai preso parte se avesse saputo che l'organizzazione fosse stata finanziata dall'estero. Da diversi anni, Ćosić si impegna per la divisione del Kosovo e aveva scritto che l'ex premier serbo Zoran Đinđić aveva accolto la sua proposta ma la sua uccisione, secondo Ćosić, interruppe questo piano.

Tornando all'intervista del nuovo ministro degli esteri serbo, la sua collega croata, Vesna Pusić valuta positivamente le dichiarazioni di Mrkić che riguardano la possibilita' di un accordo tra Croazia e Serbia relativo al ritiro reciproco delle accuse per genocidio. Questa e' la prima reazione positiva esplicita alla nostra iniziativa dall'inizio di quest'anno, quando abbiamo detto di essere pronti al dialogo sulle accuse a condizione che siano trovate soluzioni per le quattro questioni chiave, ha detto Vesna Pusić. La ministro croata ha ricordato che le quattro condizioni per il ritiro delle accuse sono la questione dei 1100 scomparsi, la restituzione del patrimonio artistico saccheggiato, la questione degli accusati per crimini di guerra e infine la questione degli imputati per crimini di guerra e il loro processamento. Anche secondo il presidente Josipović l'accordo e' sempre possibile, ma prima bisogna adempiere tutte le condizioni di cui in Croazia, come ha detto, si e' parlato molto. Se vengono realizzati gli obiettivi per i quali ci sono le accuse, allora le accuse non hanno piu' senso, ha detto il presidente croato rilevando che non siamo pero' ancora arrivati a questa fase e che in questo momento e' troppo presto per parlarne.

[*] Corrispondente di Radio Radicale. Il testo è tratto dalla puntata di Passaggio a Sud Est del 9 agosto.

mercoledì 8 agosto 2012

KANDIC: RICORDARE A NIKOLIC LE SUE GRANDI RESPOSABILITA' PER LA RICONCILIAZIONE

La scorsa settimana, il quotidiano Press ha scritto che il presidente serbo Tomislav Nikolic potrebbe guidare in prima persona i negoziati con il Kosovo che dovrebbero riprendere dopo pausa estiva. Il giornale citava fonti della presidenza secondo le quali "Nikolic non si sottrarrà alla responsabilità". Secondo quanto riportava Press il capo dello stato sarebbe "pronto a parlare con i rappresentanti delle autorità temporanee in Kosovo, ma la precondizione è di raggiungere prima il consenso degli attori rilevanti in Serbia, i partiti parlamentari, la società civile e i rappresentati della Chiesa serbo ortodossa (Sps) e dei serbi del Kosovo". Nell'opinione della nuova leadership di Belgrado, il dialogo con Pristina, condotto con la mediazione dell'Unione Europea e finora ristretto a questioni "tecniche", dovrebbe essere elevato ad un livello "politico" con il coinvolgimento anche delle Nazioni Unite. Il progetto serbo, che ha già incassato l'appoggio della Russia, richiederebbe il coinvolgimento diretto delle più alte autorità statali, come appunto il presidente della repubblica.

Portare il dialogo ad un livello politico e coinvolgere direttamente l'Onu, significa infatti porre sul tavolo la questione più spinosa, finora esclusa delle trattative per espresso accordo tra le parti: ovvero quella dello status politico del Nord del Kosovo, in cui la maggioranza serba è rimasta fedele a Belgrado e si rifiuta di accettare l'indipendenza dichiarata dagli albanesi nel 2008 e l'autorità di Pristina. Secondo le fonti citate da Press, il piano serbo sarebbe quello di "lasciare che il presidente [Nikolic] si occupi direttamente del Kosovo, mentre il primo ministro [Dacic] sarà più concentrato sulle questioni dell'euro-integrazione e sulla soluzione dei problemi economici e locali". Anche perché difficilmente le autorità di Pristina potrebbero accettare di trattare con il neo premier serbo Ivica Dacic che tutti in Kosovo ricordano come il giovane politico cresciuto al fianco di Slobodan Milosevic.

Nataša Kandić, storica e autorevole esponente del movimento di difesa dei diritti umani in Serbia e grande oppositrice del regime di Milošević, in una recente intervista a Monitor Online parla della situazione in Serbia dopo le recenti elezioni politiche e presidenziali e afferma tra l'altro la necessità di ricordare instancabilmente al presidente Nikolić quali sono le aspettative e i suoi obblighi al fine di una vera riconciliazione nella regione. "Per i serbi che vivono in Kosovo, dice ad un certo punto Natasa Kandic, la Serbia deve avere buoni rapporti con le istituzioni kosovare ... Il nuovo presidente della Serbia ha annunciato un cambiamento delle relazioni. Ha detto di volere un incontro formale con la presidente del Kosovo. Questo sarà un grande evento, sia per i serbi che per gli albanesi. Se ci saranno buoni rapporti, il riconoscimento del Kosovo si potrebbe mettere anche in un contesto positivo al fine di una vita migliore per i serbi".

Qui di seguito l'intervista di Monitor a Natasa Kandic. 
La traduzione per Passaggio a Sud Est e dì Marina Szikora.


Nikolić potrebbe riconoscere il Kosovo 
di Nastasja Radovic

MONITOR: Da anni Lei ha „monitorato“ la collaborazione delle autorita’ jugoslave e serbe con il Tribunale dell’Aja. Come valuta i risultati dell’ultimo governo guidato dal Partito Democratico, durante il quale sono stati estradati al carcere dell’Aja Radovan Karadžić i Ratko Mladić? Poteva accadere anche prima e perche’ non e’ accaduto?

KANDIĆ: Entrambi sono sotto processo e questo per le vittime e per ostacolare nuovi crimini e’ importante. Sinceramente, nessun governo in Serbia non ha guardato agli imputati serbi come a delle persone non grate sul proprio territorio. Le istituzioni statali gli avevano protetti in diversi modi. Mladić e’ stato protetto dall’esercito jugoslavo, poi dall’esercito della Serbia, poi ancora dagli ufficiali leali, infine dai famigliari a conoscenza e con l’aiuto dei piu’ alti rappresentanti delle istituzioni statali. Karadžić teneva lezioni pubbliche, svolgeva la sua professione, frequentava i caffe’ – tutto questo non sarebbe stato possibile senza la conoscenza e la protezione di quei rappresentanti delle istituzioni statali che avevano deciso proprio sulla lunghezza della sua liberta’ e del momento della sua estradizione al Tribunale dell’Aja. Sono certa che sono pochi quelli che avevano creduto alle istituzioni della Serbia che Karadžić e Mladić sono stati scoperti casualmente e che sono stati molto efficaci nella latitanza. Tutte le autorita’ della Serbia hanno lo stesso rapporto verso l’ICTY: nessuno mai aveva parlato pubblicamente di crimini di cui gli imputati vengono accusati e quando sotto forte pressione arrestavano gli imputati, lo presentavano come una cosa tecnica, che non ha nulla a che fare con il genocidio e con altri gravi crimini di guerra.

MONITOR: Che ne pensa della richiesta del procuratore Serge Brammertz di indagare sui retroscena degli aiutanti degli imputati dell’Aja?

KANDIĆ: La questione degli aiutanti e’ una questione di responsabilita’ delle istituzioni statali. Per questo Brammertz ci insiste, ma le indagini non porteranno da nessuna parte. Alla fine risultera’ che Mladić e Karadžić erano molto abili a nascondersi e che sempre riuscivano a sfuggire ai servizi segreti.

MONITOR: Le famiglie delle vittime dei crimini di Lovas sono insoddisfatte con le sentenze misurate per questo crimine mentre la procura serba ne e’ soddisfatta. Lei ha rappresentato le famiglie delle vittime di crimini di guerra. Come vivono loro oggi le loro perdite, cosa si aspettano dalla giustizia?

KANDIĆ: Il processo per i crimini di guerra a Lovas, in Croazia, e’ uno dei rari processi in cui le famiglie delle vittime e il potere locale di Lovas ne hanno una opinione buona. Il processo e’ stato condotto dal giudice Olivera Anđelković che non aveva fatto nessuno sbaglio, il che i famigliari delle vittime hanno apprezzato molto. Il processo e’ durato 4 anni e in questo tempo le famiglie delle vittime che avevano seguito il processo hanno imparato a seguire il lavoro dei giudici e dei procuratori. Durante la lettura della sentenza, circa 40 membri delle famiglie e le autorita’ di Lovas volevano con applauso manifestare il loro sostegno al giudice – qualcuno ha applaudito, poi si e’ fermato e nessuno osava applaudire perche’ non sapeva se cio’ era lecito in aula. Nessuno mai aveva espresso parole cosi’ pesanti per conti degli ufficiali dell’esercito jugoslavo (JNA) come, giustamente, lo aveva fatto il giudice Anđelković. Lei ha qualificato le loro testimonianze in aula come vergognose. Non si e’ risparmiata nemmeno le parole relative alla Procura, ricordando che in veste di testimoni si sono presentati molti ufficiali e volontari che meritano il loro posto sul banco degli imputati. Ha detto chiaramente che l’atto di accusa e’ selettivo, che la Procura aveva protetto gli alti ufficiali. E’ normale che i famigliari hanno critiche per quanto riguarda l’altezza delle singole pene carcerarie. Nemmeno quella piu’ alta, a 20 anni, cosi’ come previsto dalla legge, non e’ giusta. 

MONITOR: Aveva un grande conflitto con Tomislav Nikolić per quanto riguarda gli indizi che lui partecipo’ nei crimini di guerra. Nikolić per questo le ha fatto causa. Lo separate dalla sua attuale agenda politica?

KANDIĆ: Nikolić non e’ la mia scelta politica, ma e’ un fatto che tutti dobbiamo rispettare, ha vinto le elezioni regolari. All’inizio della campagna elettorale, quando i media governativi avevano condotto la campagna per Boris Tadić, alla domanda dei giornalisti che ne penso di Nikolić, avevo detto che Nikolić e’ diventato accettabile per l’Ue e che non e’ piu’ un politico sconveniente. Oltre al fatto che io Nikolić personalmente non l’avrei votato, sinceramente, non avrei votato nemmeno Tadić. E’ una grande delusione. Ha firmato con il Partito socialista serbo la Dichiarazione sulla riconciliazione storica come se questo partito avesse rotto con la politica di Milošević. Durante la campagna elettorale, Ivica Dačić (lider socialista, ndt.) arrestava gli albanesi per capriccio politico, minacciava con il ritorno dell’esercito in Kosovo, andava a chiedere consigli al dittatore Putin… E’ Tadić che ce l’aveva lasciato in eredita’.

MONITOR: E Nikolić? 

KANDIĆ: il presidente Nikolić ha detto ieri che non salutara’ il premier kosovaro Hashim Taci, perche’ presumibilmente accusato di crimini contro i serbi. Al tempo stesso dimentica il proprio passato. Il presidente del suo partito, l’ultranazionalista Partito radicale serbo e’ imputato per crimini contro l’umanita’. Nikolić aveva riunito migliaia di volontari per la guerra contro la Croazia. La storia di Antin non e’ stata inventata da me. Ho detto pubblicamente che ci sono informazioni che nel 1991 si trovo’ ad Antin quando furono uccisi 50 croati e che ci sono indizi che alcuni morirono da mano sua. Mi sono riferita alle informazioni che avevo ottenuto dall’eminente deputato del Parlamento della Serbia e uno dei stretti collaboratori di Zoran Đinđić nonche’ dal testimone che nell’ufficio del Fondo del diritto umanitario, e successivamente presso il procuratore per i crimini di guerra, Vladimir Vukčević, aveva raccontato di essere stato ad Antin quando arrivo’ Tomislav Nikolić con i volontari, nell’ottobre 1991. Affermava che durante la cena i radicali chiedevano a Nikolić di mostrare il suo rapporto verso i croati, e lo avevano mandato alla vicina casa croata da dove, di seguito, si sentirono gli spari. Secondo questo testimone, Nikolić fu accolto con congratulazioni. Il giorno dopo, sempre secondo queste testimonianze, dalla casa furono tirati fuori i corpi di due coniugi anziani. Il testimone chiedeva per la sua testimonianza dal procuratore Vukčević di poter essere trasferito con la sua famiglia in un paese terzo che il procuratore, in quel momento, non poteva garantirgli. Nikolić espose denuncia nei miei confronti per calunnia. Il processo si svolse davanti al Quinto tribunale comunale di Zemun. La corte chiamo’ il testimone ma non accetto’ la mia proposta di essere ascoltato come testimone da parte del procuratore per crimini di guerra. Il testimone si presento’ in camicia da carcerato. Affermava di non avermi mai visto. Era una situazione strana. In aula c’erano il testimone, T. Nikolić, il suo rappresentante, io, senza difesa. Il testimone era evidentemente preparato. Il Tribunale comunale prese la decisone che il mio era un delitto per calunnia. Il Tribunale di Belgrado annullo’ la sentenza, riavvio’ il processo ma nel frattempo il caso e’ andato in prescrizione.

MONITOR: Questa storia e’ finita? 

KANDIĆ: Il presidente della Serbia deve chiarire la sua relazione con Antin. I media in Croazia per giorni, dopo la sua elezione, avevano scritto delle vittime di Antin e il suo coinvolgimento. Dall’altra parte, non bisogna dimenticare che il portavoce del Ministero degli interni croato nel 2005, all’epoca della storia pubblica relativa ad Antin, aveva detto che il Ministero degli interni non ha i dati relativi al coinvolgimento di Nikolić nelle uccisioni ad Antin. Ma il fatto e’ che nel 1991 il Ministero degli interni della Croazia non aveva il controllo sul territorio di Antin e che non ci sono sopravvissuti che potrebbero essere testimoni di qualsiasi uccisione ad Antin. Cio’ significa che le prove dei crimini non si trovano in Croazia bensi’ in Serbia.
In questo senso il presidente della Serbia potrebbe aiutare, potrebbe ordinare agli organi statali di compiere indagini ed identificare i perpetratori dei crimini. Se fara’ cosi’, si guadagnera’ la fiducia e il rispetto dell’opinione pubblica in Croazia ma anche nell’intera regione. Per quanto mi riguarda, io accetto un Tribunale indipendente e non politico. Il presidente Nikolić ha detto dopo le elezioni che le posizione che aveva sostenuto nel passato non lo obbligano piu’, che e’ importante quello che dice oggi come capo dello stato. Io vorrei che lui rompesse pubblicamente con le sue attivita’ politiche durante le guerre. Visto che ha iniziato in modo tollerante come presidente della Serbia, direi che lo potrebbe fare.

MONITOR: In Serbia sono arrivate delegazioni diplomatiche di Hillary Clinton e si afferma che l’obiettivo non e’ quello di influire sulla formazione del nuovo governo bensi’ sulla politica relativa al Kosovo. Come vede Lei la prospettiva delle relazioni tra Serbia e Kosovo? 

KANDIĆ: Per i serbi che vivono in Kosovo, la Serbia deve avere buoni rapporti con le istituzioni kosovare. Sono stati persi anni a nome della difesa del principio territoriale che aveva portato la Serbia alla decisione internazionale del bombardamento. Il nuovo presidente della Serbia ha annunciato un cambiamento delle relazioni. Ha detto di volere un incontro formale con la presidente del Kosovo. Questo sara’ un grande evento, sia per i serbi che per gli albanesi. Se ci saranno buoni rapporti, il riconoscimento del Kosovo si potrebbe mettere anche in un contesto positivo – „a fin di una vita migliore per i serbi“.

MONITOR: Da Tadić ha ottenuto il sostegno per l’iniziativa REKOM. Lei ha delle aspettative nell’ambito di questa iniziativa anche dal nuovo governo in Serbia i cui rappresentanti erano „parte del problema“ degli anni 90? 

KANDIĆ: Ho paura che quando si tratta di Dačić, lui ha giocato troppo imitando „Slobo“ e che da lui non possiamo aspettarci un riesame critico della politica di Milošević. Nikolić puo’ giocare un rulo importante nell’affrontare il pasato, proprio come qualcuno che aveva contribuito all’euforia nazionale che si era trasformata nel male verso gli altri.
Credo profondamente nella necessita’ di fondare una Commissione regionale che si occuperebbe di vittime e crimini di guerra, nominando tutte le vittime e quindi chiedero’ sostegno anche al nuovo presidente della Serbia. Personalmente, mi aspettavo di piu’ da Boris Tadić, nel senso di un maggiore sostegno, ma lui non e’ nemmeno venuto alla presentazione del primo libro sulla memoria del Kosovo, dedicato a tutte le vittime. Questo libro e’ finora il piu’ grande argomento del perche’ abbiamo bisogno di REKOM.

MONITOR: Come ha vissuto gli attacchi all’iniziativa „il voto con le schede bianche“? 

KANDIĆ: L’attacco alle „schede bianche“ si e’ trasformato in un attacco contro gli intelettuali „disobbedienti“. Subito dopo la proclamazione della sconfitta elettorale di Boris Tadić ci sono state gravi accuse nei confronti di Vesna Pešić – risultava colpevole per la sconfitta di Tadić e le imputano di aver reso possibile la vittoria di Nikolić. E’ ridicolo perche’ lei aveva solo posto la questione del risultato del governamento di Boris Tadić. Il nostro problema e’ che non si parla di risultati e lei proprio su questo ha avuto un forte appoggio civile. E’ importante per il nuovo presidente sapere che dovra’ presentare pubblicamente i conti relativi ai risultati.