martedì 25 dicembre 2012

AUGURI A TUTTI


Un altro anno faticoso e difficile sta per finire. Continuiamo a sperare che il prossimo, se proprio non ci porterà tutto quello che desideriamo, almeno sia un po' più sereno. Almeno è quello che vi auguriamo di tutto cuore.

Buone feste e felice anno nuovo



Happy new year
Heureuse nouvelle année
Feliz ano nuevo
Glückliches neues Jahr
Gezuar vitin e ri
Sretna nova godina
Srecno novo leto
Stastliva nova godina
Yeni yiliniz kutlu olsun
Srekna nova godina
An nou fericit
Sala we ya nu piroz be
Sena l-gdida kuntenti
Shnorhavor nor tari
Yeni iliniz mubarek
Chestita nova godina
Kalí hroniá
Bangi vasilica baxt
Shana tova
A gut yohr

Passaggio a Sud Est si prende qualche giorno di riposo. Torneremo on-line dal 7 gennaio 2013. Su Radio Radicale torneremo in onda a partire dal 11 gennaio. A presto.


giovedì 20 dicembre 2012

QUALE POLITICA DELLA SERBIA VERSO L'UNIONE EUROPEA?

Di Marina Szikora [*] 
La Serbia ha bisogno di una politica unica e stabile affinche' possa avanzare verso l'Unione Europea proteggendo pero' i propri interessi nazionali: lo ha detto il premier serbo Ivica Dačić da Bruxelles. Il dialogo tra Belgrado e Priština, i nuovi passi ed altri problemi nella realizzazione dell'accordo sulla comune amministrazione dei confini sono stati tra i temi di colloquio tra il capo della diplomazia europea, Catherine Aschton, ed il premier serbo la settimana scorsa a Bruxelles, scrivono i media serbi. La posizione della Serbia e' che fino al proseguimento del dialogo con Priština sulla questione doganale si deve attuare l'accordo raggiunto durante l'ultima tappa dei colloqui tra Belgrado e Priština, vale a dire che non ci siano i pagamenti doganali per la merce che si trasporta al nord del Kosovo. Dačić ha precisato che la Serbia insiste affinche' fino al 10 gennaio prossimo, quando proseguiranno i colloqui sulle tassi doganali e la decisione a chi andranno gli importi, non ci siano le tassi doganali per la mercie destinata al nord del Kosovo. "Devo dire che sono molto soddisfatto di come si discute sulla Serbia oggi a Bruxelles. Penso che la Serbia non ha mai avuto un tono piu' adeguato quando si parla del nostro Paese. Si e' aperta una possibilita' reale che la Serbia nei prossimi sei mesi, in base al parere che verra' espresso il prossimo marzo, inizi i negoziati di adesione all'Ue", ha detto Dačić. Secondo le sue parole, davanti alla Serbia vi e' una grande possibilita', ma se essa non viene sfruttata potrebbe seguire un blocco piuttosto lungo del cammino europeo della Serbia. Per tal motivo, Dačić invoca una politica unica e stabile che significa proseguire il cammino europeo, ma al tempo stesso proteggere gli interessi nazionali e statali.

Intanto, il presidente del Parlamento Europeo, il tedesco Martin Schultz, sottolinea che il nuovo governo della Serbia sta facendo molto affinche' siano evitate le tensioni relative alla questione Kosovo e questo merita riconoscimento, scrive il giornale serbo 'Večernje novosti'. Il presidente del PE rileva che le condizioni per l'ingresso della Serbia all'Ue sono definite chiaramente e sottolinea che adesso bisogna aspettare la prossima valutazione della Commissione europea prevista per la prossima primavera. Schultz valuta che il prossimo giugno, come un termine per iniziare i negoziati, non e' un obbiettivo impossibile. "Gia' in base all'ultima visita di Angela Merkel a Belgrado si poteva vedere che la Germania resta molto scettica per quanto riguarda l'avanzamento della Serbia. Naturalmente, vi e' il ruolo delle relazioni tra la Serbia ed il Kosovo. Secondo la mia opinione, il governo della Serbia non ha contribuito a maggiori tensioni. Ritengo che questo bisogna sottolinearlo", ha precisato Martin Schultz a 'Večernje novosti' e ha ammesso di essere stato anche lui all'inizio molto scettico a proposito del nuovo presidente Tomislav Nikolić e del nuovo governo serbo. Adesso pero', il presidente del PE ammette di essersi sbagliato. L'attuale governo tedesco continua pero' ad essere sospettoso, spiega Schultz, ma per quanto lo riguarda si aspetta il prossimo rapporto della Commissione europea sull'avanzamento e il rapporto del PE. Schultz rileva che adesso davanti alla Serbia vi e' un ruolo importante: essa puo' essere un fattore di stabilita' nella regione balcanica. Il ridimensionamento delle tensioni tra Kosovo e Serbia e' sempre un contributo in piu' a questo obbiettivo. Tuttavia, avverte il presidente del PE, le relazioni tra i due paesi restano estremamente delicate e difficili e ogni passo e ogni parola pronunciata rappresentano un rischio.

[*] Corrispondente di Radio Radicale. Il testo è tratto dalla puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi.


SERBIA: IL GOVERNO PROMETTE LOTTA ALLA CORRUZIONE SENZA RIGUARDI PER GLI INTOCCABILI

Il vicepremier serbo Aleksandar Vucic
Di Marina Szikora [*]
Il vicepremier serbo, Aleksandar Vučić, ha annunciato che nelle prossime settimane si vedra' e si capira' meglio che il Partito Democratico, l'ex partito di governo, "ha saccheggiato ed impoverito" la Serbia. Non esistono persone intoccabili e piu' forti della legge, ha rilevato Vučić in una intervista per l'emittente B92 aggiungendo di aver messo davanti al giudizio pubblico la sua intera carriera. Al centro delle indagini, ha annunciato il primo vicepremier serbo, si troveranno tra gli altri anche le persone che hanno decine e centinaia di milioni di euro. Per tale motivo questi si aspettano di rispondere all'attacco con "diverse campagne" ha detto Vučić spiegando che questa gente ha molti soldi e molti amici e per questo gli attacchi saranno sempre piu' forti e arriveranno da tutte le parti. Ma la lotta alla corruzione continuera' e questo sara' uno dei lavori piu' difficili in Serbia, collegato con molti rischi ma anche con la sfiducia dei cittadini viste le loro aspettative tradite nel passato, ha rilevato Vučić, presidente del Partito Serbo del Progresso. Si e' vantato del fatto che lui non e' comprabile da nessun politico o oligarca e non rinuncera' a perseguire i responsabili della corruzione.

Va detto che in questi giorni il Tribunale speciale serbo per la criminalita' organizzata ha deciso l'arresto e 30 giorni di stato di fermo per indagini al proprietario della Delta holding e uno dei serbi piu' ricchi e piu' potenti, Miroslav Mišković. Stesso destino per suo figlio Marko e altre cinque persone arrestate a causa di abusi e malversazioni nella privatizzazione delle ditte di trasporto e per appropriamento illegale di circa 30 milioni di euro. Il vicepremier serbo Aleksandar Vučić ha dichiarato che Mišković pagava certi politici mensilmente perfino di somme tra 30 e 50.000 euro ma non ha menzionato nessun nome. Ad una conferenza stampa, Vučić ha sottolineato che ci sono stati molti politici che senza dubbio e senza nasconderlo erano accanto a Mišković e non dalla parte dello stato e su queste basi attualmente sono in corso le indagini. Mišković accumulava il suo impero d'affari e la sua immensa ricchezza utilizzando la sua posizione privilegiata di cui godeva grazie ai suoi contatti con il regime di Slobodan Milošević, scrive il quotidiano serbo 'Blic'. 

[*] Corrispondente di Radio Radicale. Il testo è tratto dalla puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi.

 

ERGASTOLO PER ZDRAVKO TOLIMIR, BRACCIO DESTRO DI RATKO MLADIĆ

Zdravko Tolimir (a destra) con Mladic all'epoca della guerra
Di Marina Szikora [*] 
Arriva un'altra sentenza per il genocidio commesso in Bosnia Erzegovina: Zdravko Tolimir, braccio destro dell'ex generale serbo bosniaco imputato per crimini di guerra e contro l'umanita Ratko Mladić, e' stato condannato per le uccisioni e persecuzioni dei bosgnacchi musulmani di Srebrenica e Žepa alla pesante pena dell'ergastolo. Tolimir fu comandante di sicurezza dell'esercito della Republika Srpska e vice del generale Mladić. Se la sentenza di primo grado sara' confermata, la condanna a Zdravko Tolimir sara' la prima sentenza del Tribunale dell'Aja che conferma il genocidio non soltanto di Srebrenica ma anche di Žepa e, secondo alcune analisi, potrebbe essere molto importante anche per i processi che sono in corso contro Radovan Karadžić e Ratko Mladić.

L'uccisione dei tre rappresentanti militar-politici dei musulmani bosgnacchi a Žepa, Mehmed Hajrić, Amir Imamović e Avdo Palić, secondo il Tribunale dell'Aja rappresenta un crimine di genocidio poiche' doveva servire come esempio che non vi era speranza per la sopravvivenza della popolazione musulmana nell'enclave. Esma Palić, moglie dell'ucciso comandante dell'armata della BiH a Žepa, Avdo Palić, ritiene che la sentenza a Tolimir "e' aspettata e giusta" e ha commentato che collui che aveva ordinato la cattura e l'uccisione di suo marito e' forse piu' responsabile di quello che in effetti aveva commesso l'esecuzione su comando. "Festeggio non perche' Tolimir e' stato condannato all'ergastolo, ma perche' ha vinto la giustizia", ha detto Esma Palić. La presidente dell'associazione "Madri delle enclavi Srebrenica e Žepa", Munira Subašić, ritiene che Zdravko Tolimi sia uno dei maggiori responsabili per l'uccisione di 22 membri della sua famiglia. Munira Subašić ha seguito all'Aja la lettura della sentenza e ha commentato che la condanna a Tolimir e' una piccola consolazione per le vittime. Ha aggiunto pero' che la sentenza per genocidio e' importante perche' fara' parte della storia: "Quello che e' stato presentato in questo caso e' soltanto una piccola parte di tutto quello che noi abbiamo vissuto a Srebrenica nel 1995", ha concluso Munira Subašić.

Per quanto riguarda le reazioni nella Republika Srpska, il presidente del Parlamento dell'entita' a maggioranza serba della Bosnia Erzegovina, Igor Radojčić, ha giudicato che la condanna all'ergastolo suscita l'idea che si usino due pesi e due misure quando si prendano in considerazione le recenti sentenze pronunciate nei confronti dei generali croati Ante Gotovina e Mladen Markač, nonche' quella all'ex comandante dell'esercito kosovaro, Ramush Haradinaj. Il direttore del Centro per le indagini sui crimini di guerra della Republika Srpska, Janko Velimirović, ritiene che si debba aiutare Tolimir nel processo d'appello affinche' "siano negate le qualifiche indicate nel processo di primo grado". Per Velimirović il problema riguarda la parte della sentenza in cui si parla "di associazione per commettere genocidio". L'avvocato Krstan Simić ritiene invece che "la sentenza a Tolimir e' anche una sentenza a Ratko Mladić", poiche' il verdetto indica Tolimir come "la lunga mano, le orecchie e gli occhi del generale Mladić".



[*] Corrispondente di Radio Radicale. Il testo è tratto dalla puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi.

Errata corrige: per errore in trasmissione è stata indicata quella contro Tolimir come sentenza definitiva, mentre si tratta della sentenza di primo grado, come correttamente risportato nella corrispondenza.

LA SLOVENIA POTREBBE OSTACOLARE L'INGRESSO DELLA CROAZIA NELL'UE?

Di Marina Szikora [*]
Alla fine del vertice dei capi di Stato e di governo dell'Unione Europea, la settimana scorsa a Bruxelles, il ministro degli esteri sloveno, Karl Erjavec, ha dichiarato che vi è la possibilita' che la Slovenia non ratifichi l'accordo di adesione della Croazia all'Ue entro il 1 luglio 2013, quando e' previsto l'ingresso della Croazia nell'Ue. Come riportato dai media sloveni, Erjavec ha detto che proporra' al governo di Ljubljana di prolungare il mandato all'esperto sloveno nella commissione che si occupa della questione aperta della Ljubljanska banka, Franc Arhar, fino alla fine dell'anno prossimo. Erjavec spera che fino ad allora Arhar, insieme al suo collega croato, l'esperto Zdravko Rogić, avra' tempo sufficiente per trovare una comune soluzione della questione bilaterale. Erjavec ritiene che il problema dovrebbe essere risolto in base all'accordo di Vienna del 2001. Il ministro sloveno ha ribadito l'appoggiare al veloce ingresso della Croazia nell'Ue, ma si aspetta che prima siano risolte tutte le questioni aperte che potrebbero disturbare le relazioni tra gli stati. Erjavec ha quindi avvertito che la Slovenia potrebbe non ratificare l'accordo di adesione croato finche' Zagabria non soddisferà i suoi obblighi. Dall'altra parte, sempre da Bruxelles, il premier croato, Zoran Milanović, ha detto che secondo la sua opinione la questione della ratifica e' una questione risolta: "Ci aspettiamo che tutti soddisfino i propri obblighi come la Croazia ha adempiuto i suoi. Non possiamo costringere nessuno”, ha detto Milanović, “In fin dei conti, se qualcuno vuole puo' ricattarci, ma abbiamo visto dalla recente storia che una tale politica alla fine e' sempre perdente".

[*] Corrispondente di Radio Radicale. Il testo è tratto dalla puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi.


PASSAGGIO IN ONDA

E' on-line la puntata di Passaggio a Sud Est trasmessa da Radio Radicale oggi 20 dicembre. La trasmissione è ascoltabile nella sezione "In Onda" del blog oppure, insieme a quelle precedenti, sul sito di Radio Radicale.

martedì 18 dicembre 2012

LE RELAZIONI TRA ITALIA E ALBANIA

Intervista all'ambasciatore Massimo Gaiani

L'ambasciatore Massimo Gaiani
Lunga intervista di Artur Nura per Radio Radicale all'ambasciatore italiano a Tirana, in cui si parla delle relazioni tra Italia e il Paese delle Aquile, dell'integrazione europea dell'Albania e del sostegno dell'Italia in questo non facile processo. Il discorso si allarga alla questione dell'integrazione europea della Turchia, della sua politica estera attuale e del suo ruolo nei Balcani. Nell'intervista si parla inoltre del forte sentimento nazionale degli albanesi, diverso però dal nazionalismo e aperto all'integrazione internazionale, alla luce delle polemiche sollevate dalla proposta del premier Sali Berisha di dare il passaporto a tutti gli albanesi ovunque essi vivano. E ancora, le relazioni culturali tra Italia e Albania, la presenza della cultura italiana in Albania, l'influenza passata e attuale delle nostre televisioni.

L'intervista è ascoltabile direttamente qui



lunedì 17 dicembre 2012

COME LA GRECIA? E COM'E' LA GRECIA?

Uno Speciale di Passaggio a Sud Est

La trasmissione, andata in onda venerdì 14 dicembre, fa il punto sulla Grecia all'indomani del via libera dell'Eurogruppo alla nuova tranche di aiuti internazionali. La situazione politica del Paese, il futuro del governo, i nuovi soggetti e i nuovi leader che si affacciano sulla scena. Ma anche le condizioni di vita della popolazione, le possibilità di uscita dalla crisi e il prezzo che sta costando. Un capitolo è dedicato al fenomeno "Alba Dorata": la minacciosa (e resistibile) penetrazione della formazione estremista di destra nella società e tra i giovani.
"Come la Grecia" è stato il tormentone che per molto tempo ha accompagnato il dibattito sulla situazione italiana fino alle dimissioni del governo Berlusconi. Nel programma si parla infine delle analogie e delle differenze con l'Italia dopo le due elezioni anticipate della scorsa primavera in Grecia, dopo il governo Monti e a poche settimane dalle elezioni in Italia.
Nello Speciale gli interventi di Elisabetta Casalotti, giornalista e corrispondente da Atene, Georgia Manzi, giornalista, scrittrice e blogger, Gilda Lyghounis, corrispondente di Osservatorio Balcani e Caucaso, Dimitri Deliolanes, corrispondente dall'Italia della radiotelevisione pubblica greca. 

Ascolta direttamente qui lo Speciale "Come la Grecia? Com'è la Grecia?"





giovedì 13 dicembre 2012

LE RELAZIONI TRA CROAZIA E SERBIA ALLA RICERCA DI NUOVI EQUILIBRI

Certe dichiarazioni del neo presidente serbo Tomislav Nikolic, dopo il disgelo che aveva caratterizzato la presidenza di Boris Tadic, unite alle recenti sentenze del Tribunale internazionale per l'ex Jugoslavia e ai problemi sempre aperti, rischiano di raffreddare i rapporti tra Belgrado e Zagabria, ma le diplomazie dei due Paesi sono al lavoro. Qui di seguito il testo di Marina Szikora tratto dalla puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi a Radio Radicale.

Il presidente croato Ivo Josipovic ospite dell'emittente serba B92
La sentenza di assoluzione del Tribunale dell'Aja ai generali croati Ante Gotovina e Mladen Markač non diminuisce la necessita' di processare i crimini di guerra, ha detto anche il presidente croato Ivo Josipović in una lunga intervista per la tv serba B92. Per quanto riguarda incontri con i colleghi serbi, in questo caso con il presidente della Serbia Tomislav Nikolić, Josipović ha detto che si tratta di un presidente legittimamente eletto e che in Croazia e' rispettato in quanto tale, ma allo stato attuale si dimostrano certe posizioni per le quali e' difficile aspettarsi il ruolo simbolico che questi incontri dovrebbero avere, sia in Croazia che in Serbia. C'e' da chiedersi se un possibile incontro tra di due presidenti possa produrre un livello di consenso politico necessario perche' l'incontro possa soddisfare la sua funzione, ha osservato il presidente croato. Alle insistenti domande del giornalista serbo sui crimini di guerra contro i serbi, il capo dello stato croato ha confermato che in Croazia non vi e' ancora nessuna sentenza definitiva contro i crimini commessi durante e dopo l'operazione militare 'Tempesta'. La Croazia, ha precisato Josipović, iniziera' ad occuparsi di questi crimini appena ricevera' le prove dal Tribunale dell'Aja.

Il presidente croato ha valutato che ogni societa' deve attraversare la sua catarsi e riconoscere quello che vi e' stato di buono nella politica e no, che ne' per i croati ne' per i serbi e' opportuno litigare poiche' per entrambi i paesi le buone relazioni sono fondamentali. Commentando la sua valutazione ancora di prima, secondo la quale non e' arrivato ancora il tempo per incontrarsi con il suo collega serbo, Jospović ha voluto ricordare che i suoi precedenti incontri con l'ex presidente serbo Boris Tadić hanno avuto sempre "un livello molto simbolico e si sono basati sul fatto che c'era una buona parte di comprendere comunemente il passato ma soprattutto il futuro". Al tempo stesso, Josipović si e' detto convinto che adesso "la porta non e' chiusa" e ha indicato che le recentissime dichiarazioni del premier serbo Ivica Dačić sono incoraggianti. Josipović si e' riferito alle dichiarazioni di Dačić il quale giorni fa ha detto di non volere che si crei il ghiaccio che poi dovranno sciogliere le future generazioni. Il presidente croato ha ribadito di aver collaborato bene con l'ex presidente Boris Tadić e ha confermato che i due sono rimasti in contatto ma si tratta oggi di contatti personali, da amici. Secondo il presidente croato sono arrivati i tempi in cui la gente in Serbia si dovrebbe chiedere perche' i loro soldati si sono trovati in Croazia? Perche' i soldati, i carri armati e gli aerei dalla Serbia si sono recati in Croazia? Si tratta – e' dell'opinione Ivo Josipović – di una questione che fa parte della necessaria catarsi che la Serbia deve passare.

Per quanto riguarda gli altri processi per crimini di guerra contro i serbi, il presidente croato ha precisato che attualmente in Croazia sono in corso 104 processi contro le persone del mondo militare e politico, finora sono state condannate 30 persone di cui tre generali a pene carcerarie di lunghi anni. Sono altrettanta in corso diverse indagini. "L'impegno a condannare e punire tutti i crimini e' assoluto" ha rilevato Josipović e ha espresso speranza che su questo piano si collaborera' con la Serbia. Sul numero dei profughi serbi, il capo dello stato croato ha detto che dalla Serbia sono ritornate in Croazia 94.000 persone. Ha aggiunto i dati di circa 180.000 case ristrutturate di cui il circa 35 percento sono quelle dei profughi serbi, mentre 6.700 richieste sono ancora irrisolte. Come grande impegno, ha sottolineato Josipović, resta quello di scoprire il destino delle persone scomparse: "Per me ogni vittima civile e' completamente uguale. Noi oggi in Croazia stiamo cercando circa 1.700 persone, la meta' sono serbi e croati... quindi il compito e l'interesse e' uguale. Il dolore e' uguale per la madre serba che quella croata di non conoscere la tomba del proprio figlio" ha rilevato Josipović.


Si prepara il terreno per l'incontro tra i premier croato e serbo
Il primo vicepresidente del governo croato e ministro degli esteri, Vesna Pusić, partecipando settimana scorsa alla 19a riunione del Consiglio ministeriale dell'OSCE a Dublino ha affermato che riunioni di questo tipo senza dubbio aiutano lo scambio di opinioni ed esperienze ma per la stabilizzazione della regione balcanica e' valido sempre lo stesso vecchio principio: nessuno ti puo' aiutare se non ti aiuti da solo. Pusić ha precisato che la situazione nella regione dipende innanzitutto dal senso di responsabilita' e dal lavoro degli attori regionali: “Se siamo in grado di fare un passo avanti ed assumerci la responsabilita' per la nostra parte d'Europa, allora anche questo tipo di riunioni, incontri e comunicazioni tra i ministri degli altri paesi e in generale dell'OSCE, hanno senso”, ha valutato Vesna Pusić. Ai margini di questa riunione, la ministro croata ha parlato con il suo collega serbo Ivan Mrkić. Tema principale del colloquio e' stata la continuazione della collaborazione, vale a dire come ristabilire le relazioni dopo che esse sono state compromesse dalle ultime sentenze dell'Aja. "La Croazia nel suo avanzamento verso l'Ue ha avuto la piena collaborazione con il Tribunale dell'Aja come condizione inevitabile. L'intero caso concreto e' durato sette anni e mezzo e abbiamo collaborato pienamente. Ritengo che i nostri vicini non possono criticare la Croazia bensi' il Consiglio di Sicurezza o le Nazioni Unite in quanto fondatori del Tribunale" ha detto Vesna Pusić.

L'incontro Pusić – Mrkić e' stato valutato da entrambi i ministri come utile e come un primo passo che nel vicino futuro potrebbe portare all'incontro dei due premier, quello croato Zoran Milanović e quello serbo Ivica Dačić. Di una data concreta dell'incontro non si e' ancora parlato. Il ministro serbo, cosi' un comunicato del Ministero degli esteri ed affari europei croato, ha dichiarato che bisogna tener presente quello che avvicina i due paesi e che la Serbia e la Croazia devono sviluppare le migliori relazioni possibili considerando l'interesse delle future generazioni. Parlando della sentenza di assoluzione dei generali Ante Gotovina e Mladen Markač, la ministro Pusić ha ripetuto che la Croazia ha pienamente rispettato le procedure istituzionali in quanto precondizione per l'adesione all'Ue. "Gotovina e Markač sono innocenti e non sono responsabili di crimini di guerra il che non significa che crimini di guerra non ci sono stati e che non esistono persone responsabili", ha aggiunto Pusić rilevando che quelli che non sono soddisfatti del lavoro del Tribunale devono lamentarsi presso il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che ha istituito il Tribunale che giudica i crimini commessi in ex Jugoslavia o presso lo stesso Tribunale invece di criticare la Croazia.


LA SERBIA RESTA SENZA UNA DATA DI INIZIO DEI NEGOZIATI DI ADESIONE ALL'UE

di Marina Szikora , corrispondente di Radio Radicale 
La Serbia non avra' ancora una data per l'inizio dei negoziati con l'Ue anche se questo, secondo le aspettative di Belgrado, e' stato il risultato atteso per questa settimana alla riunione del Consiglio europeo. Il consiglio dei capi delle diplomazie dell'Ue, senza riuscire ad essere unanime sul caso della Serbia, ha deciso che Belgrado avra' una data per l'inizio dei negoziati entro la fine del giugno 2013, quindi durante la presidenza irlandese, ma solo se ci sara' un avanzamento nella normalizzazione delle relazioni con Priština. Il Consiglio ne decidera' la prossima primavera e se valutera' che vi e' stato raggiunto un progresso, la Serbia avra' la data per l'inizio dei negoziati con l'Ue entro il prossimo giugno. Stessa decisione riguarda l'inizio dei negoziati sull'Accordo di stabilizzazione e associazione del Kosovo. La capo della diplomazia cipriota, attuale presidenza dell'Ue, ha detto che non si tratta di una data bensi' di una scadenza. Va precisato che la riunione dei ministri europei e' stata brevemente interrotta a causa delle consultazioni sulla Macedonia poiche' la Grecia e la Bulgaria si oppongono all'apertura dei negoziati di adesione per Skopje. Il ministro degli esteri bulgaro, Nikolaj Mladenov ha dichiarato che in Macedonia si conduce "una campagna antibulgara" e che i cittadini macedoni che si sentono bulgari vengono discriminati. La Grecia invece chiede alle autorita' di Skopje di accettare l'accordo con Atene relativo al contenzioso sul nome della Macedonia.

Quanto alla data per l'inizio dei negoziati con la Serbia, la Germania resta il paese piu' riservato con la spiegazione che sono necessari risultati il piu' possibile palpabili per quanto riguarda la stabilizzazione delle relazioni tra Belgrado e Priština e soprattutto che le autorita' serbe devono iniziare il ritiro della loro presenza al nord del Kosovo. Siccome la Spagna ed altri quattro membri dell'Ue non riconoscono il Kosovo indipendente, vogliono che dalle conclusioni sia tolto tutto quello che potrebbe implicare l'accettazione della "statalita'", vale a dire il riconoscimento dell'indipendenza del Kosovo. Secondo le informazioni mediatiche, l'Italia e l'Austria sono tra i paesi che si impegnano maggiormente per il piu' veloce ottenimento di una data d'inizio dei negoziati con la Serbia. Comunque vada, Belgrado dovra' impegnarsi ancora molto sul suo cammino verso l'ingresso nell'Ue. La Croazia ritiene che la Serbia dovrebbe ottenere una cornice di tempo per l'inizio dei negoziati, ha dichiarato a Bruxelles la ministro degli esteri e affari europei croata Vesna Pusić e ha aggiunto che i paesi vicini devono appoggiare l'avanzamento della Serbia verso l'Ue. Pusić ha sottolineato che oltre agli alti criteri sono importanti anche i messaggi politici positivi. "E' sempre d'aiuto se si va con i messaggi politici positivi, se si vuole aiutare l'elite politica proeuropea e favorevole alle riforme", ha detto Vesna Pusić. In relazione alle vittime dell'operazione militare 'Tempesta' la ministro croata ha rilevato che "la giustizia deve essere soddisfatta da tutte le parti e nel caso di ogni vittima" e a tal proposito l'unico modo e' il rispetto delle procedure istituzionali. Pusić ha aggiunto che la Croazia e la Serbia vogliono iniziare a funzionare in quei segmenti in cui lo e' piu' facile e dopo si passera' alle cose piu' difficili. Ha aggiunto che la Croazia ha passato 12 anni nel processo delle riforme europee e deve avere la comunicazione con tutti i paesi della regione e deve capirne l'importanza.

Il Consiglio per gli affari generali dell'Ue ha salutato martedi' nelle sue conclusioni l'avanzamento della Croazia nella preparazione del suo ingresso nell'Ue e ha invitato Zagabria di concentrarsi sui dieci compiti che la Commissione europea ha identificato nel suo ultimo rapporto sul monitoraggio. Si tratta dei settori della competizione di mercato, giustizia e diritti fondamentali, liberta' e sicurezza. Le conclusioni del consiglio dei ministri verranno confermate dai capi di stato e governo dei 28 che si riuniscono il 13 e 14 dicembre. I ministri hanno ricordato inoltre alla promessa della Croazia che le questioni bilaterali non possono ostacolare il processo dei paesi candidati. Si aspetta che Zagabria continui il suo ruolo attivo relativo alla collaborazione regionale nei Balcani Occidentali. Il Consiglio sollecita la Croazia di continuare a risolvere tutte le questioni bilaterali aperte, incluse quelle della successione. Sono necessari altrettanto ulteriori sforzi relativi all'impunita' dei crimini di guerra il che implica processi aperti e piena collaborazione con il Tribunale internazionale per l'ex Jugoslavia.

[*] Il testo è tratto dalla puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi a Radio Radicale 

 

PASSAGGIO IN ONDA

E' on-line la puntata di Passaggio a Sud Est trasmessa da Radio Radicale oggi 13 dicembre. La trasmissione è ascoltabile nella sezione "In Onda" del blog oppure, insieme a quelle precedenti, sul sito di Radio Radicale.

domenica 9 dicembre 2012

CORRUPTION PERCEPTION INDEX 2012: EUROPA SUD ORIENTALE ANCORA INSUFFICIENTE

Cipro e Slovenia sono i Paesi meno corrotti tra quelli dell'Europa sud orientale, mentre la maglia nera va a Kosovo e Albania. Tutti gli altri non fanno comunque una gran bella figura, ma sono in buona compagnia perché insieme a loro c'è qualche Paese che in teoria dovrebbe essere più “evoluto”, come l'Italia. Sono i dati che emergono dal Corruption Perception Index 2012, l’Indice di percezione della corruzione che classifica più di 180 Paesi del mondo per verificare il livello di corruzione nel settore pubblico, elaborato da Transparency International e presentato in Italia lo scorso mercoledì 5 dicembre a Milano. La classifica riflette il livello di corruzione percepito da imprenditori ed esperti: il valore 100 indica la maggiore pulizia nelle attività d’impresa, mentre al contrario lo 0 indica il massimo di corruzione.

I paesi meno corrotti del mondo sono Nuova Zelanda, Danimarca e Finlandia, primi a pari merito nella classifica generale 2012 con un indice di 90. All’estremo della lista i peggiori posti al mondo quanto a corruzione sono l’Afghanistan, la Corea del Nord e la Somalia, anche loro tutti a pari merito a 174. Per quanto riguarda l'Europa sud orientale e balcanica, il Paese più virtuoso è la Repubblica di Cipro, che si piazza al 29° posto davanti alla Slovenia al 37° e a Malta in 43° posizione. Seguono, nell'ordine, Turchia (54), Croazia (62), Romania (66), Macedonia (69), Bosnia Erzegovina (in 72a posizione insieme all'Italia), Bulgaria e Montenegro (75), Serbia (80), Grecia e Moldavia (94). Chiudono questa classifica nella classifica, come dicevo, il Kosovo al 105° posto e l'Albania al 113°. I Paesi dell'Europa sud orientale e balcanica, dunque, in maggioranza non raggiungono la sufficienza.

La corruzione, l'opacità del mercato, la scarsa integrità dei funzionari pubblici, la debolezza dei controlli, non sono solo una questione di moralità e di eticità di chi ha responsabilità di governo della cosa pubblica a tutti i livelli, ma mimano la credibilità stessa di un Paese, allontanano gli investimenti, inquinano il mercato e finiscono per avere un impatto devastante sull'economia e quindi sullo sviluppo. Nella attuale situazione è facile possa instaurarsi un meccanismo perverso per cui la povertà aumenta le occasioni di corruzione che a loro volta ingenerano nuova povertà, in un circolo vizioso sempre più difficile da scardinare. Non a caso lo studio di Transparency International nota che la corruzione colpisce particolarmente nei Paesi che più risentono dalla crisi economica e finanziaria. E' possibile però spezzare la spirale del malaffare affermando sempre più i diritti di cittadinanza e che i cittadini per primi si sentano protagonisti del contrasto alla corruzione.

Il Corruption Perception Index 2012 è stato calcolato da Transparency International sui dati forniti da istituzioni internazionali come il World Economic Forum, Freedom House, la Economist Intelligence Unit, l'Institute for Management Development, la Bertelsmann Foundation e le agenzie di analisi IHS Global Insight e Political Risk Services. Il CPI 2012 non è confrontabile con quelli precedenti perché l’indice è stato totalmente rinnovato elaborando un nuovo metodo di calcolo. 

E' possibile scaricare il nuovo indice ed altro materiale dal sito di Transparency International Italia

Precisazione
Nella fretta ho fatto un po' di confusione.
Al secondo paragrafo il numero 174 attribuito a Afghanistan, Nord Corea e Somalia si riferisce alla posizione in classifica, cioè l'ultima, e non all'indice del CPI essendo appunto 100 il massimo positivo.
Allo stesso modo, i numeri attribuiti ai Paesi citati si riferiscono tutti alla loro posizione nella classifica di Transparency International e non al loro inidice di corruzione.


giovedì 6 dicembre 2012

LE SENTENZE DELL'AJA SPINGONO LA SERBIA VERSO LA RUSSIA

Da Mosca in arrivo investimenti nelle infrastrutture, le banche russe offrono ai serbi conti correnti in rubli e il favore per l'Ue è ai minimi storici

Di Marina Szikora, corrispondente di Radio Radicale
La sentenza di assoluzione definitiva per i generali croati Ante Gotovina e Mladen Markač, pronunciata dal Tribunale dell'Aja che giudica i crimini di guerra in ex Jugoslavia, era prevedibile poiche' sia nel loro caso, come in quello analogo dell'ex comandante dell'Uck ed ex premier kosovaro Ramush Haradinaj, si tratta dei tentativi problematici dell'ex procuratore capo del Tpi, Carla del Ponte, di condannare i rappresentanti di tutti i gruppi etnici, ha dichiarato Geoffrey Nice, altro ex procuratore dell'Aja e stretto collaboratore della Del Ponte. Secondo Nice, le sentenze di assoluzione in un certo modo sono la conferma dell'obiettivita' del Tribunale e dovrebbe invece preoccupare se tutti gli imputati fossero stati condannati. In una intervista al quotidiano di Sarajevo 'Dnevni avaz', Nice ha ricordato che anche l'ex presidente serbo Milan Milutinović e' stato assolto, ma questo fatto e' passato a Priština senza una grande attenzione mediatica. Commentando il caso di Gotovina e Markač, Nice ha detto che semplicemente non sono stati trovati elementi sufficienti per una condanna, poiche' la procura ha commesso degli errori fondamentali. Per il Tpi e' ormai troppo tardi per provare a correggere tutte le irregolarita' che sono conseguenza del mandato di otto anni di Carla del Ponte, ha concluso Geoffrey Nice.

Dopo l'assoluzione di Ramush Haradinaj, Bruxelles ha invitato la Serbia ed il Kosovo a continuare il processo di riconciliazione e non permettere che il passato incida sul loro futuro. Le sentenze, secondo gli analisti, hanno però contribuito al rafforzamento del nazionalismo. Il portavoce del commissario europeo Peter Stano, ha dichiarato alla Deutsche Welle che "la Commissione europea e' informata della sentenza del Tribunale dell'Aja nel caso di Ramush Haradinaj ma non commenta le sentenze. La Commissione ribadisce pero' il suo appoggio a tutte le parti e ai suoi partner nella regione al fine di proseguire con la riconciliazione e il rafforzamento delle relazioni di buon vicinato". Dal Parlamento europeo è arrivato l'appello alle autorita' e alla societa' civile in Serbia di guardare al futuro per il benessere del Paese e dei suoi cittadini. Naturalmente, bisogna continuare ad occuparsi della questione degli scomparsi e delle vittime della guerra, ma è necessario che prosegua il dialogo tra Serbia e Kosovo che e' iniziato bene, ha detto la relatrice del PE per il Kosovo, Ulrike Lunachek. Il relatore per la Serbia, l'europarlamentare sloveno Jelko Kacin, non ha voluto commentare le sentenze dell'Aja ma ha osservato che ormai sono definitive ed evidentemente non sono state trovate prove sufficienti. Il principale messaggio in questo momento, ha rilevato Kacin, e' che i paesi nella regione - e qui si intende sia la Serbia che il Kosovo - devono lavorare fermamente alla riconciliazione e alla collaborazione. Cio' significa che bisogna dare anche una risposta chiara a tutti quelli che ancora stanno cercando i loro scomparsi perche' questa e' l'unica via che porta verso il futuro, ha concluso.

Intanto in Serbia mentre da una parte cresce la rabbia a causa dell'assoluzione di Haradinaj, Gotovina e Markač, dall'altra il favore all'ingresso nell'Ue è sceso ai minimi storici. Al tempo stesso, dalla Russia, paese tradizionalmente amico, arrivano crediti per il rinnovamento delle infrastrutture, in particolare per le ferrovie, mentre nel paese, secondo quanto scrivono i media croati, circola anche valuta russa. Alcuni giorni fa, il presidente del Consiglio nazionale serbo per la collaborazione con il Tribunale dell'Aja, Rasim Ljajić, commentando la sentenza sul caso Haradinaj, ha detto che l'opinione pubblica serba ha il diritto ad essere infuriata. Dopo lo shock che ha provocato l'assoluzione di Gotovina e Markač, la liberazione di Haradinaj e' stata soltanto il sale sulla ferita e ha fatto emergere nuovamente le frustrazioni che fanno crescere la convinzione che il Tribunale dell'Aja sia stato istituito soltanto per condannare i serbi. Cosi' mentre cresce l'avversione nei confronti dell'Occidente, l'influenza della Russia si fa sempre piu' forte. Secondo l'opinione di molti esperti, il principale motivo del riavvicinamento di Belgrado a Mosca sta negli investimenti: la Serbia, infatti, ha urgentemente bisogno di aiuti per esempio per la ristrutturazione della disastrata rete ferroviaria. Il ministro delle finanze russo ha dichiarato che la Russia ha approvato un credito alla Serbia di 800 milioni di euro per un periodo di cinque anni ad un interesse del 4,1%. Il credito servira' alla costruzione di nuove linee ferroviarie e alla ristrutturazione di quelle già esistenti. Le compagnie russe saranno rappresentate al 70% rispetto al 30 percento di quelle serbe.

Per quanto riguarda la valuta russa, la Volksbank in Serbia ha offerto la possibilita' di transazioni finanziarie in rubli. I clienti potranno inoltre aprire i conti in rubli e anche le opzioni di risparmio potranno essere in valuta russa. Dopo la visita del presidente Tomislav Nikolić a Mosca, lo scorso settembre, molti interpretano le nuove iniziative come un segno che l'opzione europea sta passando in secondo piano. Per quanto riguarda il Kosovo, le analisi politiche confermano che la Serbia continua a portare avanti la politica "Sia il Kosovo che l'Ue", anche se lo stesso vicepresidente del governo serbo, Aleksandar Vučić, ha ammesso che ogni soluzione relativa al Kosovo sara' dolorosa. Se il Consiglio europeo, il prossimo 10 dicembre, valutera' che la Serbia rispetta gli accordi con Priština, si potrebbe immaginare l'inizio dei negoziati di adesione nella prima meta' del 2013, ma questo sara' possibile soltanto se Belgrado applicherà tutti gli accordi firmati finora con Priština.

[*] Il testo è tratto dalla corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in ondail 6 dicembre a Radio Radicale


SLOVENIA: LA CRISI ECONOMICA E POLITICA SCATENA LE PROTESTE IN TUTTO IL PAESE

Di Marina Szikora, corrispondente di Radio Radicale 
La settimana scorsa le principali citta' della Slovenia sono diventate veri centri di protesta. La capitale Ljubljana sembrava un campo di battaglia. All'inizio pareva che ci sarebbero state manifestazioni pacifiche, una specie di "festival di democrazia" hanno scritto i media nella vicina Croazia, manifestazioni in segno di protesta contro il governo di Janez Janša. Invece, nelle ore serali, per le strade di Ljubljana e' scoppiata una vera guerra, ha scritto il quotidiano di Zagabria 'Večernji list'. Circa cinquecento violenti hanno attaccato la polizia davanti al Parlamento sloveno gettando sassi e fiaccole. La polizia ha risposto con lacrimogeni e con getti d'acqua. Secondo le informazioni del quotidiano di Ljubljana 'Delo' sono state arrestate 30 persone, feriti 15 poliziotti di cui due in maniera piuttosto grave. Il numero di feriti tra i cittadini non e' stato riportato. La manifestazione e' stata indetta da un gruppo nato su Facebook di opposizione al premier Janša. I manifestanti ritengono che la Slovenia non sia uno stato di diritto e che il premier rappresenti il Paese soltanto simbolicamente. "Per una pianta di marijuana si va in prigione, mentre il premier rifiuta di presentarsi in tribunale come se si trattasse di un invito al caffe", si e' lamentata una studentessa di Ljubljana. Secondo i manifestanti, politici, giudici, sindacalisti, sono tutti responsabili per la situazione nel paese. Gridavano "Ladri! Dimissione del governo! Andatevene!". Tutto e' iniziato ancora prima, quando la miccia dell'insoddisfazione si e' accesa a Maribor e poi diffusa in tutta la Slovenia, contro la corruzione, il clientelismo, la poverta' che hanno portato la gente in piazza. Dopo Maribor, e' seguita la capitale Ljubljana: non solo le proteste contro il premier Janša, ma anche contro il sindaco Zoran Janković, nonche' contro i candidati alle presidenziali, Danilo Tuerk e Borut Pahor. Infine le manifestazioni si sono estese anche alle citta' di Koper, Novo Mesto, Velenje, Trbovlje, Nova Gorica ed Ajdovščina.

Venerdi' scorso, dopo l'annuncio che si sarebbe manifestato nelle menzionate citta', il presidente uscente Danilo Tuerk aveva dichiarato che il premier Janša tentava di impaurire i manifestanti e ha avvertito sul pericolo dello stato autoritario. Tuerk ha denunciato il proseguimento della politica di intimidazione del premier Janša rilevando che le manifestazioni sono garantite dalla costituzione e che sarebbero trascorse pacificamente e dignitosamente. Tuerk si era appellato affinche' i politici dessero ascolto responsabilmente ai messaggi dei manifestanti, rilevando che bisogna ostacolare le violenze. Va detto anche che prima di quanto accaduto, Janez Janša aveva diffuso un messaggio video molto drammatico in cui avvertiva che "la Slovenia a causa della crisi e del blocco politico si trova nella situazione in cui la piazza potrebbe accendere un unico fiammifero", alludendo anche chiaramente al fatto, che secondo lui, le manifestazioni indette via Facebook erano una specie di appoggio al presidente uscente Danilo Tuerk affinche' potesse eventualmente ricuperare il grande vantaggio del suo sfidante Borut Pahor affermando cosi' anche la sua contrapposizione al governo e alle sue misure economiche. Per tal motivo Janša ha chiamato i suoi sostenitori a votare l'ex premier Borut Pahor perche' ha espresso maggiore comprensione verso la politica delle riforme del governo e alla stabilizzazione finanziaria.

Quale che sia stato la retroscena di queste vicende, che non poco hanno sconvolto la Slovenia, domenica scorsa si e' tenuto il secondo turno delle elezioni presidenziali. Il clima generale ha contribuito sicuramente alla bassa affluenza alle urne, ma con un vantaggio clamoroso ha vinto l'ex premier Borut Pahor: l'unico nella storia del Paese dall'indipendenza del 1991 ad aver ricoperto l'incarico di presidente del Parlamento, capo del governo e ora, infine, capo dello Stato. Pahor ha vinto con il 67,44% dei voti rispetto al presidente uscente, Danilo Tuerk, il quale ha ottenuto il 32,56%. "Questa vittoria e' un messaggio che nonostante le grandi difficolta' di cui siamo testimoni deve esistere una via di uscita e questa uscita dobbiamo e vogliamo trovarla insieme", ha detto Pahor dopo la vittoria aggiungendo che quando le cittadine e i cittadini sloveni vinceranno questa crisi, e questo accadra', tornera' quella fiducia in sé stessi che si sentiva quando nacque lo Stato sloveno. "La stella slovena splendera' nel cielo", ha promesso il nuovo presidente. Durante la campagna elettorale si e' parlato molto del fatto che dietro le quinte della politica slovena, decidano i cosiddetti "zii del retroscena", una teoria che molto spesso e' stata ribadita dallo stesso premier Janez Janša anche se i loro nomi si fanno raramente. Pahor stesso aveva denunciato nella sua campagna che il suo governo era stato rovesciato appunto da questi "zii del retroscena": un'accusa che molti hanno interpretato come rivolta al suo ex maestro Milan Kučan, primo presidente della Slovenia e politico di vecchio stampo.

Dopo la breve tregua per il voto e' poi riesplosa una nuova ondata di proteste: circa 10 mila persone si sono riunite lunedi' nel centro della citta' di Maribor per chiedere le dimissioni del sindaco, accusandolo di corruzione. Davanti all'ufficio comunale i manifestanti hanno lanciato grosse pietre rompendo i vetri. Il bilancio e' stato di 60 persone fermate e sei poliziotti feriti. Lo stesso giorno, alcune migliaia di manifestanti, soprattutto giovani, hanno marciato in segno di protesta per il centro di Ljubljana. Il corteo si è via via ingrossato fino a raggiungere la cifra di 10 mila persone che hanno protestato contro il sindaco Zoran Janković e contro il governo di Janez Janša. La polizia aveva in precedenza chiuso le strade che conducevano verso il Parlamento e la sede del governo. Manifestazioni si sono svolte anche a Celje, Velenje ed in altre citta' slovene. I manifestanti hanno gridato slogan contro gli attuali politici, compreso il premier Janez Janša. La polizia ha avvertito che tra i manifestanti si sono infiltrati anche gruppi estremisti e hooligans che hanno attaccato i poliziotti aumentando cosi' il rischio di violenze sia nei confronti della polizia che nei confronti dei manifestanti pacifici.

[*] Il testo è tratto dalla corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sud Est di Radio Radicale del 6 dicembre 


PASSAGGIO IN ONDA

E' on-line la puntata di Passaggio a Sud Est trasmessa da Radio Radicale oggi 6 dicembre. La trasmissione è ascoltabile nella sezione "In Onda" del blog oppure, insieme a quelle precedenti, sul sito di Radio Radicale.

mercoledì 5 dicembre 2012

RACCONTA L'EUROPA ALL'EUROPA

Un progetto promosso da Osservatorio Balcani e Caucaso insieme a molti partner per raccontare l'Europa allargata dei cittadini che risponde alla crisi con un nuovo impegno


Parte il progetto europeo Racconta l'Europa all'Europa. Un anno di appuntamenti sul web, nei cinema, nelle radio, nelle scuole, all'università e in eventi pubblici in Italia, Slovenia, Spagna e Bulgaria per parlare e raccontare dell'Europa allargata, dell'Europa dei cittadini, dell'Europa che risponde alla crisi con una nuova, forte progettualità politica. Il progetto, cofinanziato dall'Unione Europea, è promosso da Osservatorio Balcani e Caucaso insieme a molti partner tra cui Radio Radicale. Gli otto paesi candidati e potenzialmente candidati all'adesione all'Unione Europea saranno protagonisti di una serie di puntata speciali della trasmissione “Passaggio a sud-est”, curata da Roberto Spagnoli e realizzate insieme a OBC che andranno in onda tra gennaio e marzo 2013.

Il progetto Racconta l'Europa all'Europa vuole darecontributo al dibattito sul futuro del nostro continente. Insieme all'analisi sulla politica e sullo status di avanzamento delle riforme, racconterà l'Europa costruita dai cittadini e dalla società civile impegnati in difesa dei diritti umani, a sostegno dell'ambiente e di un nuovo modello di sviluppo sostenibile e aprirà finestre sulla ricchezza culturale e naturalistica di questi paesi per favorire un turismo basato sulla valorizzazione delle risorse locali.Chiunque potrà contribuire postando commenti, condividendo contenuti sui social network, seguendo le trasmissioni, inviando diari di viaggio, fotografie, intervenendo ai dibattiti online e facendo passa parola, per dare voce all'Europa in cui crediamo e speriamo.



lunedì 3 dicembre 2012

GRECIA: UNITA' SPECIALI DELLA POLIZIA PER CONTRASTARE LA VIOLENZA RAZZISTA

La Grecia travolta dalla crisi economica si trova a fare i conti con la crescita dell'intolleranza e degli attacchi razzisti, di cui molto spesso sono responsabili militanti dal partito di ultradestra “Alba Dorata”. Ne sono vittima i tanti migranti che, come avviene anche da noi, arrivano in Grecia con la speranza di proseguire per i Paesi del Nordeuropa, ma anche quelli che vivono e lavorano nel Paese. Gli attacchi rischiano di coinvolgere chiunque, a causa del suo aspetto fisico, possa apparire come un immigrato agli occhi degli estremisti xenofobi. Lo scorso 16 novembre, l'ambasciata statunitense ad Atene ha avvertito i suoi concittadini, specie quelli di origine asiatica, mediorientale , ispanica o africana, del rischio di attacchi razzisti.

Che la situazione sia seria e rischi di sfuggire al controllo lo dimostra la decisione dell polizia greca di dotersi di unità speciali contro le violenze a sfondo razzista. Queste nuove unità, dopo il vialibera del Consiglio di Stato, verranno costituite prima di tutto ad Atene e Salonicco. Chiunque sia vittima di violenze razziste potrà sporgere denuncia personalmente, tramite un legale di fiducia o anche in forma anonima. Il ministro degli Interni, Nikos Dendias, ha anche annunciato la prossima attivazione di una linea telefonica dedicata.

Le iniziative del governo sono senz'altro opportune, anche se viene da domandarsi quanto potranno essere efficaci se alle ultime elezioni quasi la metà dei poliziotti hanno votato proprio per “Alba Dorata” che stando ai sondaggi più recenti è ormai il terzo partito greco. Non solo: da qualche tempo, negli ambienti della sinistra giovanile più radicale, c'è allarme che la polizia possa passare nomi e indirizzi delle persone fermate ai militanti di “Alba Dorata”. Diversi arrestati a seguito delle manifestazioni di queste ultime settimane hanno raccontatodi essere aver ricevuto minacce del genere. La polizia ha smentito, ma la paura resta.

Anche perché nei reparti speciali della polizia ci sarebbero membri di “Alba Dorata”. Anzi, sarebbero proprio loro che, in tenuta paramilitare, aggrediscono i venditori ambulanti irregolari, controllano i documenti agli immigrati e si scontrano in piazza con gli anarchici gridando slogan neo-nazisti. Ma nella polizia c'è omertà e non si conosce nemmeno il numero esatto degli iscritti ad “Alba Dorata”, tanto meno l'identità degli appartenenti alla sua “ala militare”. Questa almeno la denuncia che viene dal giornalista greco Dimitri Psarras, autore del volume “La bibbia nera dell'Alba Dorata”, chenell'articolo di Fabio Sindici su La Stampa del 1° dicembre parla dei finanziamenti forniti dai grandi armatori e afferma che una parte della destra parlamentare sarebbe pronta ad allearsi con il partito guidato da Michaloliakos.


SLOVENIA: L'EX PREMIER BORUT PAHOR E' IL NUOVO PRESIDENTE

Borut Pahor è il nuovo presidente della Slovenia, il quarto dall'indipendenza del 1991. L'ex premier socialdemocratico, con oltre il 67% dei voti, ha battuto con ampio margine al ballottaggio il presidente uscente Danilo Tuerk, fermatosi al 32,5%, confermando il successo del primo turno. Stando alle prime analisi del voto, Pahor ha ottenuto non solo i voti del suo partito, ma anche quelli della “Lista dei cittadini”, espressione della coalizione di governo di centro-destra, facendo fruttare, evidentemente, il suo sostegno alle impopolari misure di austerità del governo. Il dato più significativo che emerge da queste preidenziali è però la scarsa affluenza alle urne: ieri è andato a votare poco meno del 42% degli sloveni, la percentuale più bassa dall'indipendenza del Paese, inferiore anche a quella già bassa del 48% registrata al primo turno. Sarà anche vero che in Sovenia quella del presidente della repubblica è una carica senza grandi poteri reali, ma nell'attuale grave crisi che il Paese sta attraversando il dato dell'affluenza alle urne assume un valore significativo.

Secondo gli osservatori la vittoria di Pahor sarebbe stata favorita proprio dalla scarsa partecipazione al voto alla fine di una campagna elettorale piuttosto scialba che non ha offerto particolari spunti di interesse, ma che è stata segnata da proteste e anche scontri di piazza a causa della situazione del Paese. Pahor, nonostante la sua appartenenza socialdemocratica, si è schierato a favore delle misure di austerity introdotte dal governo di centrodestra di Janez Jansa, che erano state osteggiate invece dall'ormai ex presidente, liberale Tuerk. Una crisi economica che si accompagna ad una crisi di credibilità della classe politica e dalle accuse di corruzione rivolte al governo.“Questa vittoria è solo l'inizio di una nuova speranza, di un nuovo tempo”, ha detto Pahor, quando già gli exit poll lo davano in vantaggio, parlando di “un messaggio forte per tutti i politici sloveni sul fatto che servono collaborazione e unità per risolvere le difficoltà economiche". E di collaborazione e unità ce ne vorranno molte in un Paese che da fiore all'occhiello dell'allargamento Ue, vede ora la propria economia attraversare una grave recessione che ha provocato una contrazione del Pil di oltre l'8 per cento dal 2009.


domenica 2 dicembre 2012

IL RICONOSCIMENTO PALESTINESE ALL'ONU E' COMINCIATO DAL KOSOVO

Foto AP / Mohammed Ballas
Il 29 novembre l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha votato a larghissima maggioranza l'ammissione dell'Autorità nazionale palestinese come “non membro osservatore” al Palazzo di vetro. Credo sia stata una decisione giusta: certo imperfetta e criticabile, come ogni cosa, ma opportuna e ormai inevitabile. Sono convinto che Israele abbia il diritto di difendere la propria esistenza e la propria sovranità, concetti che forse nessuno metterebbe in discussione se si parlasse, che so, del Venezuela, del Togo o della Turchia, ma che nel caso dello Stato ebraico divengono sempre oggetto di sottili distinguo, magari da parte di chi poi non appare particolarmente scandalizzato dalle dichiarazioni di qualche capo di Stato che ne invoca la distruzione o propone la deportazione dei suoi abitanti in Alaska. Altro è, naturalmente, il giudizio che di volta in volta si dà sull'operato del governo di Tel Aviv.

Credo che quanto è successo al Palazzo di vetro sia giusto e opportuno e che chi da noi ha criticato il voto dell'Assemblea generale non capisca che il voto del 29 novembre offre delle opportunità e toglie qualche alibi. Un alibi da smascherare è certamente quello degli oltranzisti arabi e dei loro amici che lamentavano, strumentalmente, la mancanza di riconoscimento internazionale per il popolo palestinese. Un paravento dietro al quale sempre meno si possono nascondere anche i governanti palestinesi. Un'opportunità è quella di poter riprendere le trattative alla ricerca di un accordo di pace (che notoriamente si fa con i nemici, cioè quelli che ti hanno sparato addosso fino ad un momento prima). Per questo credo che sbagli chi sostiene, come per esempio Fiamma Nirenstein sul Giornale di ieri che Israele se ne dovrebbe uscire dell'Onu. Per andare dove? Israele è abituata all'isolamento e saprà resistere, ha scritto, ma è di questo che hanno bisogno gli israeliani e gli ebrei di tutto il mondo? Segnalo, a questo proposito, l'interessante intervento di ieri su Europa di Matteo Mecacci (deputato radicale, presidente del Comitato Diritti umani dell'Osce).

Non voglio insegnare niente a nessuno, ma Nirenstein e gli altri che in questi giorni hanno scritto cose simili, potrebbero ricordare, come ha fatto il grande direttore d'orchestra Daniel Barenboim, in un intervento sul Corriere della Sera, che (coincidenze della storia) il 29 novembre del 1947, proprio l'Onu, con il “Piano di partizione della Palestina”, stabilì la divisione del territorio in modo che arabi ed ebrei potessero convivere in due Stati. La decisione fu accolta con gioia dagli ebrei e respinta dagli arabi che diedero il via all'interminabile serie di conflitti che ancora non si è conclusa. Il voto del 29 novembre 2012 all'Onu è un'opportunità per la pace: non so se l'ultima, ma certo sarebbe un errore lasciarla cadere. Il governo israeliano può pure pensare di isolarsi illudendosi che il Paese possa bastare a sé stesso, ma, a mio modesto avviso, farebbe meglio a cogliere il momento e, invece di costruire nuovi insediamenti a Gerusalemme Est e in Cisgiordania (con quale legittimità?), offrire di riprendere la trattativa isolando e smascherando chi non propone altro che la distruzione dello Stato ebraico.

Il riconoscimento dell'Anp all'Onu, però, non è una questione che possa essere circoscritta all'ambito mediorientale, ma finirà per avere conseguenze anche in altre questioni molto delicate e complesse: per esempio in quella dei curdi. Sempre ieri, Mimmo Candito su La Stampa faceva notare che “se sono in 5 milioni i palestinesi che hanno ottenuto un primo riconoscimento delle loro attese, i curdi – che sono 25 milioni – trovano nel voto dell'Onu ragioni ancora più forti per rinnovare la loro rivendicazione d'una patria che sia anche uno Stato”. La questione curda, ricordava Candito, investe frontiere, vicende nazionali e governi diversi dato che i curdi, infatti, sono divisi tra Turchia, Siria, Iran e Iraq, ma il problema è che “frantumare le storie politiche di questi paesi per ricompattarle in un unico nuovo spazio omogeneo che dovrebbe avere il nome appunto di Kurdistan sarebbe per la storia di quell'area più distruttivo di una gigantesca bomba atomica […] un sisma che allargherebbe la sua sconvolgente onda d'urto in ogni angolo del pianeta”.

L'indubbio successo colto dai palestinesi alle Nazioni Unite è dunque destinato, secondo Candito, ad avere delle ricadute “sull'intera cosmogonia dei nazionalismi riaccesi nella crisi identitaria provocata dalle fratture della mondializzazione”, dalla questione degli armeni al Tibet, dal conflitto in Kashmir ai Paesi baschi, fino all'indipendentismo catalano. Citando la “geostrategia delle emozioni” di Moisi seguita allo “scontro delle civiltà” di Huntigton, Candito ricorda che i processi della storia subiscono spesso spinte che provocano conseguenze imprevedibili. Seguendo questo ragionamento, la mia personale impressione è che il punto di inizio possa esser ricercato in Kosovo e nell'indipendenza dichiarata dai kosovari albanesi, sostenuti da Usa e da parte dell'Ue, poi legittimata dalla Corte di giustizia dell'Onu. Ci hanno spiegato che quello dell'indipendenza kosovara era un caso “sui generis”, ma era evidente che non poteva essere così. Non ha provocato la serie di disastri geopolitici a catena che molti autorevoli analisti avevano preconizzato con un po' troppa approssimazione, ma ha messo in moto trasformazioni le cui conseguenze non sono state previste. E non avrebbero potuto esserlo, perché “i processi della storia non sono segnati solo dalla razionalità”. Sarà bene che non ce ne dimentichiamo.


venerdì 30 novembre 2012

L'ALBANIA E L'EUROPA: INTERVISTA ALL'AMBASCIATORE ETTORE SEQUI

Intervista di Artur Nura per Radio Radicale al rappresentante dell'Unione Europea a Tirana

L'ambasciatore dell'UE a Tirana, Ettore Sequi
Mercoledì 28 l'Albania ha festeggiato il centenario della sua indipendenza nazionale. Una ricorrenza celebrata in tutto il Paese, in Kosovo e nei territori dei Balcani dove sono presenti comunità albanesi, in Macedonia, Montenegro e nel sud della Serbia. Una festa segnata però da luci e ombre, da contestazioni, come in Kosovo, polemiche politiche, come nella stessa Albania dove l'opposizione ha disertato le cerimonie ufficiali, e qualche tensione etnica come im Macedonia. Una ricorrenza che, come ho scritto nel post pubblicato per l'occasione, ha anche mostrato i problemi di un Paese che si è lasciato alle spalle l'epoca della dittatura comunista e ha cercato di consolidare le sue istituzioni democratiche, ma in cui la transizione non sembra ancora del tutto conclusa. Un Paese travagliato da tre anni dalla dura contrapposizione tra la maggioranza di centro-destra che sostiene il governo guidato dal leader del Partito democratico, Sali Berisha, e l'opposizione  di centro-sinistra con in testa l'ex sindaco di Tirana, Edi Rama, leader del Partito socialista. Uno scontro che impedisce l'approvazione di alcune riforme richieste dall'Unione Europea bloccando così il processo di integrazione. Ed è in questo clima che si va verso le elezioni parlamentari fissate per il giugno del 2013.

In occasione del centenario dell'indipendenza, Artur Nura ha realizzato per Radio Radicale una lunga intervista con il rappresentante dell'Unione Europea a Tirana, l'ambasciatore Ettore Sequi, diplomatico italiano di lungo corso. Nella conversazione l'ambasciatore dell'UE parla della situazione nel Paese e dei rapporti con la politica locale e dunque delle difficoltà ma anche dell'importanza del processo di integrazione europea dell'Albania. In questa prospettiva è assai importante il dialogo  che proprio la rappresentanza europea a Tirana ha promosso con intellettuali, giornalisti e analisti politici albanesi sul futuro del Paese e la sua integrazione nell'UE. Una serie di incontri e di scambi di idee inaugurati da un faccia a faccia con il grande scrittore Ismail Kadare. Nell'intervista l'ambasciatore Sequi parla anche della sua personale esperienza diplomatica, in particolare in Afghanistan, e dei contatti che nel corso degli anni  ha avuto modo di avere con il Partito Radicale Transnazionale e, in particolare, con Emma Bonino.

L'intervista è ascoltabile direttamente qui




GRECIA: L'ACCORDO ALL'EUROGRUPPO E' UNA BOCCATA D'ARIA MA I PROBLEMI RESTANO TANTI

Martedì scorso, dopo una lunga trattativa e una maratona negoziale durata 13 ore, i ministri delle Finanze dell'Eurogruppo, alla loro terza riunione in un mese, hanno trovato l'accordo per il salvataggio della Grecia che si vedrà ridurre il proprio debito e riceverà un nuovo prestito di quasi 44 miliardi di euro. Come ho scritto in un post precedente, non è però tutto oro quello che luccica. Occorrerà del tempo per vedere se le cose miglioreranno, mentre la crisi resta molto grave, il panorama politico piuttosto complicato e le tensioni sociali sono pronte a riesplodere in ogni momento in una situazione in cui la povertà colpisce vasti strati della popolazione. Preoccupa anche il consenso cresciuto attorno ad "Alba dorata", il partito dell'ultradestra razzista e xenofoba che guadagna consensi, grazie anche a iniziative di assistenza rivolte ai cittadini più disagiati, e nei sondaggi è attualmente dato al terzo posto nelle preferenze degli elettori dopo Syriza (Sinistra radicale) e Nea Demokratia, il partito del premier Antonis Samaras. Il quale, dopo il raggiungimento dell'accordo a Bruxelles, ha detto però che "comincia un giorno nuovo per tutti i greci". L'impressione è però che, anche se la Grecia può prendere una boccata d'aria, ancora per diverso tempo i suoi cittadini dovranno strungere la cinghia e che le lacrime e sangue da versare non sono ancora finite. Ma intanto come si sono svegliati i greci, il giorno dopo? L'ho chiesto a Elisabetta Casalotti nell'intervista per Radio Radicale andata in onda ieri nella puntata di Passaggio a Sud Est e che potete ascoltare direttamente qui




giovedì 29 novembre 2012

I MEDIA IN SERBIA SULL'ASSOLUZIONE DI ANTE GOTOVINA E MLADEN MARKAC


La sentenza di assoluzione definitiva emessa dal Tribunale internazionale per l'ex Jugoslavia nei confronti degli ex generali croati Ante Gotovina e Mladen Markac, accusati dei crimini di guerra e contro l'umanità compiuti durante l'Operazione Tempesta che portò alla riconquista della Kraijna, condannati in primo grado a pesanti pene detentive, ha suscitato dure reazioni in Serbia che però non sono andate al di là delle prevedibili dichiarazioni delle maggiori autorità di Belgrado. La gran parte dell'opinione pubblica serba, pur non condividendo, con tutta probabilità, la decisione dei giudici dell'Aja, non si è fatta coinvolgere dalle proteste dei gruppi ultranazionalisti. Qui di seguito un breve resoconto di Riccardo De Mutiis su come soprattutto i media serbi hanno commentato la notizia.

La Corte d’appello del Tribunale penale per l’ex Yugoslavia, come è noto, ha assolto i generali croati Gotovina e Markac dai crimini loro ascritti contro la popolazione serba della Kraijna, con un verdetto di stretta misura (3 voti a 2): il confronto in camera di consiglio deve essere stato duro e serrato se uno dei giudici, Fausto Pocar, di gran lunga il più autorevole del collegio giudicante, ha espresso pubblicamente il suo dissenso dalla decisione, affermando che la stessa contraddice ogni principio di giustizia. Ci si potrebbe addentrare su questioni giuridiche, quali quella delle lacune procedurali dei giudizi che si svolgono all’Aja o quella della insufficienza, a livello internazionale, delle norme incriminatrici poche e generiche. Ci si potrebbe soffermare sulle modalità di composizione delle giurie, le quali, in nome del principio della rappresentanza di tutte le nazioni nei vari organismi, prevedono in molti casi la partecipazione di magistrati che, a causa della loro provenienza e quindi della natura dei procedimenti che trattano nel loro Paese, non hanno alcuna familiarità con i casi giudicati all’Aja: è paradigmatico, in questo senso l’inserimento nel collegio che ha giudicato gli appelli proposti da Gotovina e Markac, di un magistrato giamaicano, Patrick Robinson. E’ tuttavia impossibile, allo stato attuale, procedere ad una corretta ed approfondita esegesi della sentenza d’appello e ciò in quanto la stessa richiederebbe la conoscenza di tutti gli atti processuali. Si preferisce quindi esaminare la questione sotto una diversa angolazione e cioè si intende concentrare l’attenzione sul modo in cui in Serbia è stata vissuta e commentata la sentenza della Corte d’appello dell’Aja.

La reazione serba alla sentenza è stata naturalmente di segno negativo, ma a Belgrado ha dato particolarmente fastidio anche l’enfasi con cui la vicenda è stata vissuta in Croazia. Il collegamento televisivo in diretta con L’Aja per la lettura della sentenza, il tappeto steso ai piedi dei due generali al loro arrivo all’ aeroporto di Zagabria, il loro ricevimento ufficiale da parte del presidente Josipovic e la messa di ringraziamento celebrata nella cattedrale gotica della capitale hanno, in un certo senso, acuito la frustrazione dei serbi per una sentenza che essi sentono come profondamente ingiusta. Allo stesso modo, le immagini trasmesse dalla televisione pubblica croata, in particolare il ringraziamento pubblico tributato a Gotovina e Markac in Trg Jelacic, con i reduci della guerra di liberazione in tuta mimetica, non hanno aiutato ad abbassare il livello di tensione. I politici serbi, con il Presidente Nikolic in testa, parlano di una sentenza politica e sottolineano come essa renda più problematici i rapporti con la Comunità Internazionale ed il cammino della Serbia verso l’integrazione europea. Merita tuttavia di essere evidenziata la presa di posizione del primo ministro Dacic, il quale, dando ancora una volta prova di quel pragmatismo che gli ha consentito di essere nominato a capo dell'esecutivo nonostante il suo partito non raggiunga nemmeno il 16% dei voti, ha affermato, dopo avere anch’egli criticato la sentenza, che la stessa va accettata, è un fatto compiuto su cui la Serbia non può incidere e bisogna quindi guardare avanti. La reazione popolare nei confronti della sentenza non è andata al di là di un generale dissenso e della solita bandiera croata data alle fiamme e non deve ingannare l'imponente spiegamento di forze dell’ordine disposto dalle autorità a Belgrado per la giornata di sabato 17 novembre: più che per controllare le manifestazioni di protesta contro la sentenza, i militari erano presenti per gestire l’ordine pubblico in occasione del derby calcistico tra Partizan e Crvena Zvezda (Stella Rossa).

Ovviamente i media, è il loro mestiere, si sono gettati sulla notizia. L’organo di stampa che ha seguito con maggiore attenzione l’evento è stata Prva srpska televiziia, l’emittente privata che, con Al Jazeera Balkans, rappresenta sicuramente la novità più interessante del panorama televisivo dei Paesi dell’ex Yugoslavia. Prva televiziia, infatti, per diversi giorni ha effettuato un collegamento permanente con il suo corrispondente all’Aja, alternando, in un cocktail ben riuscito, le impressioni di coloro che si trovavano nella città olandese, testimoni e giornalisti, con gli interventi degli ospiti dello studio belgradese. Di particolare effetto, poi, è stato il titolo che l’emittente ha dato alla trasmissione, Oluja Harska (La tempesta dell’Aja), espressione particolarmente indovinata perché da un lato evidenzia l’effetto, tempestoso, che è seguito in Serbia alla sentenza e dall’altro richiama il nome in codice dell’operazione militare croata, appunto Oluja, a cui presero parte Gotovina e Markac. E’ poi da sottolineare che i media serbi hanno dato particolarmente rilievo alle dichiarazioni di una loro nemica storica, Carla Del Ponte, la quale aveva sostenuto vittoriosamente, in qualità di procuratrice, l’accusa nel giudizio di primo grado e si è detta particolarmente sorpresa dell'esito del giudizio d’appello. Per finire, può essere interessante sottolineare l’esagerazione con cui alcuni quotidiani hanno cavalcato l'evento, facendo presagire conseguenze del tutto irreali. E’ il caso del montenegrino Blic, secondo cui la sentenza avrebbe potuto generare disordini anche nell’ambito sportivo e preannunciava probabili scontri tra la tifoseria del Cibona di Zagabria e quella della Crvena Zvezda di Belgrado nel match in programma a Zagabria il 25 novembre per la Alba liga di basket (il campionato che riunisce le migliori formazioni dei Paesi della ex Jugoslavia). Il giornale parlava infatti di partita ad alto rischio (“visok rizik”) e di una tifoseria serba che si stava preparando a rispondere alle provocazioni croate basate sull’assoluzione dei due generali (“za zvezda sprema odgovoris na provokacija generalima”). Inutile dire che l’incontro di basket si è svolto in modo del tutto normale e non si sono verificati i disordini profetizzati da Blic.

Riccardo De Mutiis, esperto di relazioni internazionali, conoscitore della realtà balcanica anche per aver partecipato a diverse missioni patrocinate da istituzioni internazionali. Passaggio a Sud Est ha già pubblicato diversi suoi pezzi: per ritrovarli utilizzare il motore di ricerca interno del blog (vedi nella colonna a destra) usando come chiave di ricerca il nome dell'autore.  


DOPO L'ASSOLUZIONE DI GOTOVINA E MARKAČ CONTINUANO LE POLEMICHE E LE DICHIARAZIONI PREOCCUPANTI

Belgrado: protesta contro il Tpi (Foto Ap/Darko Vojinovic)

Di Marina Szikora, corrispondente di Radio Radicale
Dopo la sentenza del Tribunale internazionale per l'ex Jugoslavia dell'Aja che ha assolto i generali croati, Ante Gotovina e Mladen Markač da ogni responsabilita' per i crimini di guerra commessi durante l'operazione Tempesta, non cessano le analisi i commenti e le reazioni relativi alla questione. In questi giorni si sono potute leggere anche le dichiarazioni di Nataša Kandić, direttrice del Humanitarian Law Center di Belgrado, importante organizzazione non governativa, e prestigiosa esponente della lotta per i diritti umani in Serbia. A proposito della sentenza ai generali croati che in Serbia ha provocato reazioni politico-emotive, Nataša Kandić ha ricordato che il Tribunale dell'Aja ha pronunciato molte sentenze che in Serbia, tranne che nei circoli estremisti, non hanno causato particolari reazioni. Si e' aspettata, dice Kandić, reazioni anche piu' forti a Belgrado, da manifestazioni fino alla rottura delle relazioni con la Croazia. Ma secondo Kandić, le reazioni politiche sono state comunque controllate e secondo lei questo ha a che fare con il fatto di chi si trova al potere, vale a dire quelli che sono responsabili per l'inizio della guerra e di quello che nel corso di questa guerra e' accaduto. Sono responsabili, ha detto Kandić, di 12.000 vittime in Croazia, 10.500 in Kosovo e 95.000 in Bosnia Erzegovina e ha aggiunto che nella Republika Srpska le formazioni militari non avrebbero potuto commettere cosi' tanti crimini se non ci fosse stata la partecipazione della Serbia. Oggi al potere in Serbia ci sono i responsabili della difficile eredita' del passato e per questo la loro reazione e' piu' modesta di quella che poteva portare la Serbia nel caos e limitare notevolmente le relazioni regionali, ha dichiarato la direttrice del HLC. Nataša Kandić ha menzionato anche i nuovi atti di accusa per crimini di guerra in Croazia che il procuratore serbo per i crimini di guerra, Vladimir Vukčević ha annunciato subito dopo le sentenze dell'Aja. Secondo Kandić si tratta di incriminazioni assolutamente politiche.

Al contrario di quanto dichiarato da Nataša Kandić, le rezioni piu' dure da Belgrado si sono potute sentire proprio in questi giorni quando uno forse si aspettava piu' calma a mente fredda. Prima le dichiarazioni domenica scorsa pronunciate durante la liturgia ortodossa a Belgrado da parte del capo della chiesa ortodossa serba, il patriarca Irinej. "Con la senteza di assoluzione ai generali croati il Tribunale dell'Aja ha tolto la maschera e mostrato finalemtne che si tratta di un tribunale politico, a cui mancano le principali norme giuridiche ed etiche, il cui obiettivo e' quello di proclamare innocenti i colpevoli mentre le vittime innocenti diventano colpevoli" ha detto Irinej celebrando la liturgia nella principale chiesa ortodossa di Belgrado dedicata alle vittime serbe degli anni novanta. Il patriarca serbo ritiene che le sentenze hanno compromesso la giustizia e la legge e che si tratta di interessi dei potenti di questo mondo e di questo tempo. Secondo le sue parole, per la logica del Tribunale dell'Aja nessuno deve rispondere di 200.000 persone cacciate via dalle loro case e di migliaia di persone uccise. Ad ascoltarlo in chiesa anche il premier serbo Ivica Dačić, il suo vice, Aleksandar Vučić, il presidente del Parlamento serbo Nebojša Stefanović, ministri, deputati e altri rappresentanti delle istituzioni statali. Come riportato dai media serbi, il patriarca Irinej ha detto anche che la Serbia rispetta l'Europa e vuole esserne parte, ma non a prezzo di rinunciare alla sua terra santa, il Kosovo. Il capo della chiesa ortodossa serba ha raccomandato quindi ai vertici serbi di realizzare relazioni piu' strette possibili con la Russia, con il "grande popolo fratello slavo, con il quale esiste un legame di sangue e di fede". "Loro sono il nostro sostegno e speranza e sono stati con noi ogni qualvolta ne abbiamo avuto bisogno, oggi abbiamo bisogno di loro piu' che mai" ha rilevato Irinej.

In risposta a quanto afferamto dal patriarca Irinej, il premier serbo Ivica Dačić ha detto invece che oggi e' sicuro che l'attuale potere non consegnera' il Kosovo, ne' tradira' il paese, ma la Serbia adesso non e' nella situazione di tenersi il Kosovo poiche' il Kosovo e' gia' stato rapito. Commentando inoltre le raccomandazioni del patriarca serbo di rifiutare l'ingresso nell'Ue se cio' comporta il rinunciamento al Kosovo, Dačić ha rilevato che la Serbia puo' dire di non voler aderire all'Ue ma nemmeno allora il Kosovo non le verra' restituito. "Noi siamo riusciti a tornare al tavolo dei negoziati e sarebbe completamente sbagliato abbandonarlo adesso" ha detto il premier serbo. "La Serbia va verso l'Ue, questa e' la nostra scelta perche' e' buono per i cittadini della Serbia" ha ribadito Dačić. Il premier serbo ha aggiunto che le buone relazioni con la Russia sono la priiorita' ma esse si devono appena rafforzare e costruire a fin di utilizzare l'autorita' della Federazione Russa. Per quanto riguarda l'azione militare croata Tempesta, in sintonia con il patriarca ortodosso serbo, Dačić e' dell'opinione che si tratti "di uno dei piu' grandi crimini dopo la Seconda guerra mondiale" in cui sono state cacciate via dalle loro case 200.000 persone e oltre migliaia di uccisi ma ha indicato che la collaborazione con il Tribunale dell'Aja sara' continuata. La sentenza di assoluzione a Gotovina e Markač, ha detto Dačić, e' "uno schiaffo e suicidio" e ha rilevato che i procuratori dell'Aja, Serge Brammertz e l'ex procuratore capo Carla del Ponte hanno parlato di questa sentenza "con una dosi di inaccettabilita'". Dačić ha aggiunto che la Serbia appoggera' tutte le attivita' per trovare il modo legale che possa condananre i crimini contro i serbi ed ha sottolineato che sarebbe meglio se i generali croati fossero stati condannati almeno ad un giorno di carcere piuttosto che essere assolti.

Il culmine delle accuse serbe è arrivato con le dichirazioni del presidente della Serbia Tomislav Nikolić. In una intervista per il giornale 'Kurir' rilasciata lunedi' Nikolić afferma che le relazioni con la Croazia "paese che festeggia il suo crimine" non vanno bene e il recente appello del generale Ante Gotovina ai serbi profughi di ritornare in Croazia ha qualificato come cinici. Nikolić ha precisato di aver avuto grandi progetti per stabilire con la Croazia e la BiH buone relazioni ma adesso la situazione con la Croazia non va bene. Ha accusato il presidente croato Josipvić di "aver aspettato questa sentenza e adesso vuole il dialogo: io in quanto presidente del popolo che aveva commesso crimini e lui come presidente del popolo che non e' condannato di nulla". Evidentemente, ha aggiunto Nikolić, con un paese che glorifica i suoi crimini non potete collaborare sinceramente, apertamente e cordialmente. Per quanto riguarda l'invito di Gotovina ai serbi profughi di tornare in Croazia, il capo dello stato serbo oltre a giudicarlo cinico si e' chiesto se Gotovina forse vuole radunare i serbi per poterli nuovamente cacciare via e uccidere? "Oso dire – e' questo il modo di comprendere la verita', Dio e giustizia dei due popoli – quello serbo e quello croato?" ha detto Nikolić paragonando la posizione serba e croata verso i crimini. "Il popolo croato e' sulla via sbagliata, un popolo che forse oggi fucilerebbe i suoi individui che direbbero – fermatevi, si e' trattato di crimine" ha proseguito Nikolić rilevando che non va bene che l'Ue non ha voluto appesantire la Croazia con la sentenza contro i generali nel momento del vicino ingresso del Paese nell'Ue. Infine, il presidente serbo ha osservato che e' "maleducato tenere la Serbia da parte e accogliere invece la Croazia nell'Ue".

"Non posso assolutamente credere che tali dichiarazioni arrivano dal politico a capo di un paese che vuole essere europeo" ha replicato subito il presidente croato Ivo Josipović. "La Croazia si impegna per la riconciliazione e costantemente abbassa la palla per terra, ma Nikolić evidentemente vede diversamente la situazione. Queste prese di posizione non contribuiscono a buone relazioni e alla riconciliazione. La Croazia non cedera' ad un tale isterismo" ha detto fermamente Ivo Josipović in replica al presidente della Serbia. A causa di tali dichiarazioni di Nikolić, Josipović valuta che c'e' poco spazio per ritirare le accuse per genocidio presentate davanti alla Corte di giustizia. Per quanto riguarda l'osservazione di Nikolić che sarebbe maleducato accogliere la Croazia nell'Ue, Josipović ha replicato che "per fortuna su questo non decide Nikolić bensi' l'Ue e la decisione sara' positiva". Nel caso di Gotovina e Markač il Tribunale dell'Aja ha constatato che queste due persone non sono responsabili per crimini di guerra commessi durante la guerra in Croazia e che nell'operazione Tempesta non si e' trattato di una impresa criminale congiunta. Sia il presidente croato che il comunicato del Ministero degli esteri e affari europei croato, rilasciato a proposito delle dichiarazioni del presidente Nikolić, ribadiscono che cio' non significa negare i crimini che gli individui hanno commesso sul territorio croato, sia dalla parte croata che quella serba. Gli alti esponenti croati avevano sottolineato che né i crimini, ne' i responsabili hanno nazionalita', anzi e' vero il contrario: ogni autore di crimini, nonostante la nazionalita', verra' punito per cio' che ha commesso.  

[*] Il testo è tratto dalla corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sud est andata in onda oggi a Radio Radicale