sabato 30 novembre 2013

LA TURCHIA E LE TENTAZIONI AUTORITARIE DI ERDOGAN

Dalla dura repressione di "Occupy Gezi" alle intercettazioni illegali di giornalisti da parte dei servi segreti

Da www.thetimes.co.uk
Almeno 3,6 milioni di persone hanno partecipato alle grandi proteste anti-governative di giugno e luglio in Turchia, partite dalla difesa del Gezi Park di Istanbul e presto indirizzata contro la deriva islamica ed autoritaria del premier Recep Tayyip Erdogan,. Lo riporta un rapporto dei servizi di sicurezza e intelligence pubblicato lunedì scorso dal quotidiano Milliyet. Il documento precisa che fra maggio e luglio si sono svolte 5500 manifestazioni in tutto il paese: solo la provincia di Bayburt, sul Mar Nero, è rimasta estranea alle proteste. Il rapporto della polizia stima inoltre che durante gli scontri sarebbero stati provocati danni per 139 milioni di lire turche (51 milioni di euro). Lo studio traccia anche un “profilo demografico” dei manifestanti sulla base dei dati personali degli arrestati che conferma come il movimento “Occupy Gezi” sia stato animato dai giovani, per la maggior parte laureati e con un reddito basso (meno di 1000 lire turche pari a 370 euro circa): oltre l'80% dei partecipanti aveva meno di 30 anni e oltre la metà fra i 18 e i 25. Dei 5500 arrestati (190 dei quali sono ancora in carcere), metà erano donne e più di tre quarti erano appartenenti alla comunità alevita, una minoranza culturale e religiosa che conta circa 10 milioni di aderenti che praticano un Islam piuttosto eterodosso e liberale e da sempre subiscono pesanti discriminazioni e che sono stati in prima linea nelle proteste. Questi dati hanno provocato la reazione del Partito repubblicano del popolo (principale formazione dell'opposizione ed erede diretto della tradizione kemalista): “Il governo ha creato per caso una ufficio per la schedatura? Come è possibile dire con certezza che il 78% sono aleviti?”, ha chiesto polemicamente il vicesegretario Sezgin Tanrikulu.

Dopo le caldissime giornate di giugno e luglio le manifestazioni sono finite, a parte una brevissima fiammata a settembre, ma gli arresti e i processi contro chi è sceso in piazza continuano. I provvedimenti giudiziari riguardano anche membri delle forze dell'ordine per omicidio. Le proteste della scorsa estate, infatti, sono costate la vita a cinque manifestanti sono morti, mentre ci sono stati 4320 feriti, alcuni dei quali in modo molto grave, mentre altri hanno riportato danni permanenti. Stando all'ordine dei medici, inoltre, i manifestanti feriti sono stati oltre 8mila. La dura repressione decisa dal governo del premier Recep Tayyip Erdogan ha suscitato una pioggia di critiche da tutto il mondo. Ultima in ordine di tempo la condanna giunta in settimana dal Consiglio d'Europa: quanto avvenuto a maggio e giugno scorsi evidenzia ancora una volta il duraturo e sistematico problema dell'insufficiente rispetto dei diritti umani da parte della polizia turca, ha dettoil commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa, Nils Muiznieks, nel rapporto pubblicato martedì 26 e basato sulla visita condotta all'inizio di luglio. Il commissario chiede quindi una revisione delle leggi che regolano il diritto a manifestare, giudicate troppo restrittive.

Nei giorni scorsi è arrivata anche la notizia, riportata dall'edizione online del quotidiano di Ankara Zaman, che il Consiglio Supremo dei Giudici e dei Procuratori ha deciso di avviare una inchiesta dopo che i telefoni di diversi giornalisti sono stati intercettati dai servizi segreti del Mit, che avevano chiesto l'autorizzazione della magistratura usando falsi nomi. Secondo il giornale, diversi giornalisti dell'autorevole quotidiano indipendente Taraf, critico nei confronti del governo del premier Erdogan, fra cui il direttore Ahmet Altan, il vicedirettore Yasmin Congar e alcuni editorialisti, sarebbero stati spiati fra il 2008 e il 2009 dal Mit. Stando Cumhuriyet, altra testata di opposizione, le intercettazioni sarebbero state approvate da Erdogan, cui é considerato vicino il direttore dei servizi segreti Hakan Fidan. Le intercettazioni sarebbero state autorizzate regolarmente da un magistrato, ma secondo il quotidiano Radikal la documentazione presentata dal Mit alla magistratura non indicava i nomi dei giornalisti, ma false generalità di presunti cittadini arabi. I numeri di telefono da sorvegliare erano invece quelli dei cronisti di Taraf. Il presidente della Prima camera del Consiglio Supremo dei Giudici e dei Procuratori, Ibrahim Okur, citato da Radikal, ha confermato l'avvio di una inchiesta precisando che “perfino il Mit non può nascondere informazioni alla giustizia. Non può cancellare i nomi veri delle persone e inviare alla corte nomi falsi”.

Nessun commento:

Posta un commento