di Marina Szikora
Il testo è la trascrizione della corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi a Radio Radicale
Lo scorso venerdi', come ancora se ne discute, al vertice del Consiglio europeo di Bruxelles la crisi della zona euro ha raggiunto una crisi storica dell'Ue e nonostante dibattiti e tentativi di oltreppasarla, continua a mancare una soluzione definitiva. I paesi dell'Ue sono divisi in diversi gruppi con interessi, desideri e necessita' diverse. In quest'atmosfera, lo scorso 9 dicembre, sempre a Bruxelles, vi e' stata anche una notizia positiva che ad un certo punto potrebbe rappresentare una goccia di ottimismo che il tutto non e' ancora perso e che certi impegni e sforzi verso gli obblighi europei possono condurre alla conclusione di un cammino di successo. La bella notizia riguarda la Croazia e la cerimonia solenne della firma del Trattato di adesione della Croazia all'Ue alla cui hanno partecipato tutti i capi di stato o governo dei 27, tranne quello della Francia che ha preferito affidare il compito di mettere la firma sui due grandi libri al ministro per l'Europa. Un momento storico per la Croazia che ha dovuto passare un cammino lungo, faticoso e molto richiedente del processo di negoziati con l'Unione, durati oltre sei anni. Il documento firmato dai 27 a nome della Croazia e' stato firmato dal presidente Ivo Josipović e dalla premier uscente Jadranka Kosor e specifica la data del primo luglio 2013 in quanto data dell'ingresso di Zagabria a pieno titolo nell'Ue. Un momento quindi storico, ma vista la situazione globale dell'atmosfera europea, e' chiaro che in Croazia, che vive tempi di profondissima crisi economica e dell'incertezza verso il suo futuro, e' capibile che la buona notizia da Bruxelles non ha destato quell'entusiasmo che il successo europeo croato avrebbe dovuto destare.
Questa Croazia, dopo il voto del 4 dicembre ha deciso comunque per notevoli cambiamenti: con la vittoria netta della coalizione dei quattro partiti di sinistra guidati dal Partito socialdemcoratico del futuro premier Zoran Milanović i cittadini della Croazia hanno espresso il loro disaccordo e rifiuto nei confronti del potere dell'Unione democratica croata durato 8 anni e che ha visto il Paese coinvolto in numerosi scandali di corruzione e di abuso del potere, che innanzitutto cadono sulle spalle dell'ex premier Ivo Sanader ma anche di diversi altri nomi della piu' alta politica ed imprenditoria croata. Dopo che i risultati delle elezioni sono diventati del tutto definitivi, vale a dire che e' scaduto anche il termine per i ricorsi, ieri il Presidente Josipović ha affidato il mandato per la composizione del nuovo governo a Zoran Milanović il quale e' stato proposto dai vincitori elettorali, cioe' dai leader della coalizione vincente. Il governo di Zoran Milanović con il suo programma deve adesso ottenere il sostegno del Parlamento e il capo dello stato ha annunciato che la sessione costitutiva del Sabor croato verra' da lui convocata per la prossima settimana. Il futuro premier Milanović ha dichiarato che questo mandato e' un obbligo: "Ci aspetta un grande lavoro, dobbiamo tirare fuori la Croazia dalla crisi, e l'unico modo per uscire dalla crisi e' la crescita economica. Ci aspettano anche cambiamenti del sistema che negli ultimi anni ha fatto perdere la fiducia e questo e' il nostro secondo se forse non il piu' importante compito" ha detto Milanović. Ha aggiunto che la sua intenzione e' quella di far diventare la Croazia un paese piccolo ma sicuro nel quale e' molto importante che i politici si accordino sugli obiettivi fondamentali. Milanović ha promesso infine che lavorera' affinche' il maggior numero dei cittadini esca al referendum sull'adesione della Croazia all'Ue e voti per il 'Si'' perche' si tratta dell'interesse della Croazia.
La firma del trattato di adesione della Croazia all'Ue, nonostante tutto e' una buona notizia per l'Europa e per tutti quelli che hanno gli stessi obiettivi. Tuttavia, per la regione balcanica il destino, il futuro, l'orientamento, anche se si continua a dire che come primario e' quello delle integrazioni europee, sara' ancora una grande incertezza e una attesa senza traguardi concreti che sicuramente avra' implicazioni sullo scenario politico interno dei singoli paesi della regione. La Serbia i cui cittadini oggi sono sempre piu' delusi e richiedenti di sicurezza esistenziale, invece di ottenere lo status di candidato, cosa che ancora alcuni mesi fa si dava per scontata, come sappiamo ha dovuto subire il rinvio della decisione del Consiglio europeo fino a fine febbraio per poter poi, se tutto andra' come richiesto dall'Ue, ottenere lo status di candidato all'adesione a marzo del 2012. L'obbligo principale riguarda la soluzione della delicatissima questione Kosovo e il rispetto di quanto accordato nel dialogo che e' in corso tra Belgrado e Priština con l'intermediazione dell'Ue. Con la decisione che e' piuttosto una non decisione dell'Ue, c'e' il grave rischio che la forte delusione dei cittadini serbi porti verso il consolidamento delle forze politiche antieuropee e nazionaliste e che l'attuale potere di Boris Tadić che si afferma essere proeuropeo e che al suo centro ha come obiettivo l'integrazione europea, rischia di essere sconfitto dal suo principale oppositore, il nazionalista Tomislav Nikolić.
Infatti, la prima conseguenza di quanto e' stato deciso venerdi' scorso a Bruxelles, sono le dimissioni del vicepresidente del governo serbo, incaricato per le integrazioni europee, Božidar Đelić il quale ha giustificato la sua decisione con l'insuccesso di Belgrado rispetto a quello che si aspettava. In piu', Tomislav Nikolić, presidente del Partito serbo del progresso, il partito che Nikolić ha fondato dopo essersi allontanato dall'ultranazionalista Partito radicale serbo di Vojislav Šešelj, che attualmente e' sotto processo al Tribunale dell'Aja, addossa la colpa dell'insuccesso europeo al presidente Tadić e dice che la sua delusione relativa alla decisione di Bruxelles non e' indirizzata all'Ue ne' ai cittadini della Serbia ma che la massima colpa va sul conto del presidente della Serbia. Per Nikolić il rinvio dell'attribuzione dello status di candidato in effetti e' un rifiuto e secondo la sua opinione "le conseguenze le sentiranno i cittadini della Serbia mentre il governo continuera' a lavorare sotto il controllo del presidente Tadić". Nikolić afferma inoltre che non accetterebbe mai che il Kosovo abbia i suoi rappresentanti ufficiali nei forum regionali perche' "rispetta la Costituzione della Serbia".
Trovandosi a Trieste, il presidente serbo Boris Tadić, ai giornalisti italiani ha detto di sperare che la Serbia a marzo otterra' lo status di candidato ma se anche allora la decisone sara' rimandata, non rinuncera' comunque dal suo orientamento strategico proeuropeo. Rispondendo alle domande sul collegamento della via europea della Serbia e il problema con il Kosovo, Tadić ha rilevato che Belgrado e' aperta alla ricerca della soluzione per il Kosovo che possa accontentare entrambe le parti ma che non si puo' andare sotto il limite che mette a repenataglio l'integrita' territoriale della Serbia. "Potete immaginare qualche parte dell'Italia che proclami l'indipendenza e dopo questa parte venga riconosciuta da alcuni stati? Questo provocherebbe subito una instabilita' interna. Il Kosovo e' la culla del nostro paese ed e' molto importante per la nostra identita' poiche' li' ci sono i nostri monasteri medievali e questa questione naturalmente desta in Serbia di volta in volta delle scosse" ha detto Tadić aggiungendo che Belgrado cerca soluzioni che saranno sostenibili e accettabili per tutte e due le parti. Ha ribadito che la Serbia non riconoscera' l'indipendenza del Kosovo ma che in questa cornice e' possibile trovare la soluzione per le quattro questioni chiave: come proteggere la popolazione serba al sud del fiume Ibar, come salvaguardare il patrimonio statale e privato serbo nonche' i luoghi sacri della cultura e religione serba e trovare uno status speciale per i serbi al nord del Kosovo. Domandato se la decisione del Consiglio Ue di rinviare la decisione sullo status di candidato rafforzera' in Serbia le forze della destra, il presidente serbo ha detto di capire le preoccupazioni dell'Ue che e' stufa di conflitti e non vuole che la Serbia ne diventi membro importando un conflitto irrisolto. "Ma sono convinto che con la politica proeuropea anche alle prossime elezioni ripeteremo i risultati dell'ottobre 2000 quando abbiamo sconfitto le forze politiche nazionaliste che avevano tentato di allontanarci dall'Ue" ha risposto Tadić.
Sul sito della 'Deutsche Welle' che si occupa di sviluppi politici in Europa sudorientale, in particolare in ex Jugoslavia, un articolo firmato da Ivica Petrović di Belgrado racconta che la delusione e in qualche senso la rabbia sono soltanto alcune delle emozioni presso l'opinione pubblica serba dopo la decisione del Consiglio europeo. Una moltitudine di reazioni emotive e meno emotive hanno invaso i media serbi in cui i politici adesso cercano, ognuno a modo suo, di consolare in qualche modo l'opinione pubblica a causa delle notizie negative arrivate da Bruxelles. Tuttavi, scrive l'articolo, ci sono ancora abbastanza voci che avvertono che questa non e' la fine delle integrazioni europee della Serbia e che la Serbia continuera' questo processo. Jelena Milić, direttrice del Centro per gli studi euroatlantici di Belgrado, osserva che "la palla ora e' nel cortile di Belgrado, o piu' precisamente nel cortile del Partito democratico" e ritiene che in questo senso, anche il piano Ahtisaari come anche la proposta di Carl Bilt e' il massimo che la Serbia ed i serbi al nord del Kosovo potrebbero ottenere nelle date condizioni. "Penso che non c'e' molto spazio per includere i serbia al nord del Kosovo come terza parte. Penso che questo fa parte ancora delle competenze e degli accordi tra Belgrado e Priština e la comunita' internazionale. La Serbia deve capire che quanto adesso le viene offerto e che altrettanto sara' difficile realizzare, puo' scapparci se ci dimostriamo testardi e irrazionali" e' dell'opinione questa osservatrice della politica serba.