Miodrag Lekic (Foto Mara Babovic) |
Il Montenegro va alle urne oggi per le
elezioni anticipate di sei mesi rispetto alla scadenza naturale della
legislatura. Circa mezzo milione di montenegrini sono chiamati a
scegliere i propri rappresentanti tra cinque partiti, sette
coalizioni e un movimento civico, per eleggere un parlamento con un
"mandato pieno" nei prossimi quattro anni in cui il Paese
sarà impegnato nei negoziati di adesione con l'Unione europea aperti
ufficialmente lo scorso giugno. E' la nona elezione parlamentare
dalla fine del regime jugoslavo a partito unico, la terza dalla
dichiarazione di indipendenza dalla Serbia nel 2006.
La consultazione si svolge a pochi
giorni dalla pubblicazione del rapporto annuale della Commissione
europea sul processo di integrazione dei Paesi che sono in lista di
attesa per l'adesione all'Ue. Nella sua “pagella” Bruxelles ha
esortato il Montenegro a compiere progressi soprattutto in materia di
lotta alla corruzione e al crimine organizzato, il solito punto
dolente di un Paese crocevia di tanti traffici illegali
internazionali che si muovono sulla cosiddetta “rotta balcanica”.
Un Paese che fa anche i conti con la crisi economica seguita
alla crescita sostenuta registrata nel triennio 2006-2009,
immediatamente dopo l'indipendenza da Belgrado. I
contraccolpi della crisi internazionale hanno sgonfiato la bolla
immobiliare, trainata dal turismo, e fatto crollare gli investimenti
esteri, con un debito pubblico cresciuto fino all'attuale quota del
58% del Pil e un tasso di disoccupazione che sfiora il 20%. Lo scorso
anno si è registrata una crescita del Pil del 2,7%, ma le previsioni
per il 2012 non vanno oltre lo 0,5%, nonostante il buon andamento
della recente stagione turistica.
In una realtà in cui la classe
politica, come fanno notare diversi analisti, si mostra incapace di
proporre qualcosa di nuovo, le elezioni di oggi non dovrebbero
portare particolari novità. Secondo la previsioni, infatti, la vittoria andrà,
come al solito, al Partito democratico dei socialisti (Dps), a cui i
sondaggi attribuiscono il 47% dei voti, guidato da Milo Djukanovic,
“padre della patria” ma anche politico dalle discutibili
frequentazioni e dai traffici poco chiari. Lo stesso nei confronti
del quale la magistratura di Bari sollevò pesanti accuse di
associazione mafiosa e contrabbando internazionale, a cui scampò
solo grazie all'immunità diplomatica. Djukanovic è anche l'unico leader
balcanico rimasto ininterrottamente al potere dopo il crollo della
Jugoslavia. Anche dopo le dimissioni “a sorpresa” a fine 2010
(era al suo quinto mandato da premier): “Sono stato al potere per
20 anni, sono state create le condizioni per un mio passo indietro”,
disse dopo che il Montenegro ottenne la candidatura ufficiale
all'adesione Ue, ma la sua leadership è rimasta intatta.
La pessima reputazione internazionale
del Montenegro in materia di legalità è il principale argomento con
cui l'opposizione ha tentato di erodere il consenso di cui continua a
godere Djukanovic, ma i partiti dell'opposizione di centro-destra, riuniti in una coalizione denominata “Fronte
democratico”, sono dati dai sondaggi al 40%. La loro speranza è che il
partito di Djukanovic non vada oltre la maggioranza relativa di 81
seggi nel parlamento di Podgorica. A meno che il leader del “Fronte”,
Miodrag Lekic, non riesca a compiere il miracolo. E qualche
possibilità potrebbe averla se Djukanovic ha cercato di liquidare
l'avversario accusandolo di essere una proiezione serba in terra
montenegrina. In realtà le cose non stanno così, come spiega Matteo
Tacconi in un ritratto pubblicato su Osservatorio Balcani e Caucaso.
Lekić, ex ministro degli Esteri ed ex ambasciatore jugoslavo in
Italia durante la guerra del Kosovo e nel primo periodo del dopo
Milosevic, docente alla Sapienza e alla Luiss di Roma, semplicemente
pensa che il Montenegro non possa non dialogare, commerciare e fare
accordi con la Serbia, così come ritiene che il rapporto speciale
tra Podgorica e Belgrado debba allargarsi a tutta l’area balcanica.
Lekić, scrive Tacconi, a suo tempo jugoslavista convinto, continua a
pensare che l’esperienza jugoslava abbia lasciato un'eredità che
le leadership della regione debbano cogliere e valorizzare dopo la
lunga parentesi segnata dalle piccole autarchie balcaniche. Sarà lui l'anti-Djukanovic?
Alcune mie interviste a Miodrag Lekic per Radio Radicale realizzate qualche anno fa a proposito della questione del Kosovo
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