Intervista a Francesco Martino di Osservatorio Balcani e Caucaso
(Foto Stevo Vasiljevic / Reuters)
Il 14 ottobre scorso, con qualche mese di anticipo, si è votato in Montenegro per il
rinnovo del Parlamento. Come anticipato dai sondaggi della vigilia, le urne hanno assegnato l'ennesima vittoria a Milo Djukanovic, padre e padrone (per qualcuno anche "padrino") della patria fin dai tempi della dissoluzione della Jugoslavia, che ha sempre mantenuto il suo potere anche quando non ha ricoperto incarichi istituzionali. La novità è che però Djukanovic quasta volta non ha ottenuto la maggioranza assoluta, nonostante il 45% dei voti e un aumento dei consensi rispetto all'ultima consultazione, compensata però dall'aumento del numero dei votanti. Il buon successo
di "Montenegro positivo" e del Fronte democratico di Miograd Lekic, ex ambsciatore jugoslavo in Italia ed ex ministro degli Esteri,
l'opposizione cerca ora di affermare una nuova presenza sulla scena
politica. Intanto resta cruciale il ruolo dei partiti delle minoranze etniche per la
formazione del nuovo governo che dovrà condurre i negoziati per
l'adesione all'Ue la cui apertura è prevista nei prossimi mesi. La prospettiva dell'integrazione europea
gode per altrodi largo consenso sia tra i partiti, sia tra l'opinione pubblica: più
complicata, invece, la questione dell'adesione alla Nato che non gode di analogo consenso e sulla quale le forze politiche hanno posizioni più diversificate. Un'altra questione cruciale è quella dei traffici illeciti che vedono il Montenegro rappresentare, non da oggi, un vero e proprio "hub" sulle rotte balcaniche della criminalità organizzata.Una questione che ha investito lo stesso Milo Djukanovic, oggetto qualche anno fa di inchieste delle procure di Napoli e Bari per il contrabbando di sigarette. Inchieste poi cadute anche a causa del suo ruolo istituzionale ma che non hanno diradato le ombre su Djukanovic, tanto che proprio per questo, nonostante la vittoria elettorale, potrebbe rinunciare al premierato per non procurare imbarazzi al negoziato con Bruxelles che si preannuncia comunque non facile. Intanto il
Paese fa i conti con la crisi economica globale che fa sentire i suoi effetti dopo il boom degli anni immediatamente seguiti alla fine della federazione con la Serbia nel 2006. Ascolta qui l'intervista per Radio Radicale
Nessun commento:
Posta un commento