Hillary Clinton e Catherine Ashton |
Tour balcanico per il segretario di
stato Usa, Hillary Clinton, e per l'Alto rappresentante della
politica estera dell'Ue, Catherine Ashton, arrivate oggi a Sarajevo per la prima
tappa di una missione congiunta che prevede tappe anche in Serbia e
Kosovo con l'obiettivo di rilanciare il processo di integrazione
europea della regione. Nella capitale bosniaca, dove hanno
incontrato i tre membri della presidenza collegiale, nonché i
rappresentanti della Comunità internazionale, Ashton e Clinton hanno
sottolineato “l'urgente necessità che i partiti politici
servano l'interesse della popolazione e concordino le necessarie
riforme”, come aveva anticipato un portavoce del segretario di
Stato Usa alla vigilia della partenza. La Bosnia è bloccata delle
contrapposizioni etniche, divisa in due entità contrapposte -
Repubblika Srpska e Federazione di Bosnia Erzegovina,
croato-bosgnacca - collegate da deboli istituzioni centrali, il
rafforzamento delle quali è, invece, cruciale per l'adesione
all'Unione europea e alla Nato. L'attuale amministrazione Usa non fa
mistero della sua avversione per ogni ipotesi di separazione delle
due entità nate in seguito agli accordi di pace di Dayton del 1995:
mettere in discussione la sovranità della Bosnia Erzegovina “è
completamente inaccettabile”, ha detto infatti Hillary Clinton a
Sarajevo. “Pensiamo che l'integrazione nell'Unione europea e nella
Nato offrano a questo paese la via migliore verso la stabilità e la
prosperità”, ha detto Clinton in una conferenza stampa dopo
l'incontro con i tre membri croato, bosgnacco e serbo della
presidenza collegiale.
In Serbia, e in Kosovo, invece, Ashton
e Clinton vanno per ribadire che secondo Bruxelles e Washington la
soluzione per i due Paesi va costruita sugli accordi già raggiunti e
sull'avanzamento del dialogo ripreso nel 2011 con il patrocinio
dell'Ue. A Belgrado il segretario di Stato americano e l'Alto
rappresentante europeo incontrano il presidente Tomislav Nikolic ed
il premier Ivica Dacic per esprimere loro il pieno sostegno al
processo di normalizzazione delle relazioni tra Kosovo e Serbia. Una
visita, quella nella capitale serba, che si sbolge tra imponenti
misure di sicurezza dopo l'annuncio delle manifestazioni di protesta
dei gruppi della destra e degli ultranazionalisti del Partito
radicale serbo. Lo scorso marzo la Serbia ha ottenuto
lo status di Paese ufficialmente candidato all'adesione all'Unione
europea e attende ora che Bruxelles fissi una data di inizio dei
negoziati. L'obiettivo, inizialmente atteso per la fine dell'anno, è
stato rinviato ottobre a causa della mancata ripresa dei colloqui con
Pristina dopo l'interruzione dovuta alle elezioni serbe dello scorso
maggio che hanno segnato l'affermazione dei nazionalisti. Il recente
incontro tra il premier serbo Dacic e il suo omologo kosovaro, Hashim
Thaci, a Bruxelles alla presenza del capo della diplomazia Ue,
Catherine Ashton, ha sbloccato la situazione, ma se restano molte
questioni in sospeso, sia sull'agenda, sia sulla modalità dei
negoziati.
Se da una parte Belgrado è abbastanza
tranquilla che il processo di integrazione europea non sarà
condizionata dalla richiesta di riconoscere l'indipendenza del Kosovo
(anche perché l'Ue non ha una posizione ufficiale, visto che 5 dei
Paesi membri non la riconoscono), dall'altra parte Ashton e Clinton potrebbero avanzare la
richiesta di atti concreti di distensione come, per esempio, lo
smantellamento delle “strutture parallele” messe in piedi dai
serbi del Kosovo che non intendono riconoscere l'autorità di
Pristina. I Balcani occidentali sembrano dunque
tornare al centro dell’attenzione sia dell'Unione europea che degli
Stati Uniti, ma quanto questo interesse sia di nuovo prioritario per
l'agenda di politica estera di Bruxelles e di Washington è difficile
dirlo: da una parte, infatti, l'Ue è ancora ben lontana dall'uscire
da una crisi che sta mettendo a rischio il progetto stesso di unione
politica dell'Europa, dall'altra l'attuale Amministrazione Usa
potrebbe non essere più al suo posto da martedì prossimo e in ogni
caso, anche se Obama verrà rieletto per un secondo mandato,
difficilmente Hillary Clinton resterà alla segreteria di Stato.
Nonostante tutto ciò, il tour balcanico di questi giorni (Clinton si
recherà anche in Albania e Croazia) è sicuramente un fatto
rilevante.
Bruxelles non aveva nascosto il
disappunto per la vittoria delle forze conservatrici e nazionaliste
nelle elezioni parlamentari e presidenziali dello scorso maggio così
come non aveva fatto mancare il proprio sostegno all'ex presidente
Boris Tadic. Con il nuovo presidente Nikolic ed il nuovo governo di
coalizione fra conservatori nazionalisti e socialisti la Serbia
sembra avere assai smorzato l'indirizzo europeista che la passata
leadership riformista aveva posto come prima priorità del Paese. Più
volte sia Nikolic che il premier Dacic hanno dichiarato di essere
disposti a rinunciare all'Ue se la contropartita dovesse essere la
rinuncia al Kosovo. La crisi economica, che i serbi stanno subendo
assai pesantemente, ha deteriorato notevolmente la situazione. Il
richiamo identitario può essere sempre utile per far dimenticare
altri e più pressanti problemi. Tuttavia in Serbia aumentano le voci di
coloro che chiedono realismo e lungimiranza sulla questione del
Kosovo e dell'integrazione europea: non solo i liberaldemocratici di
Cedomir Jovanovic, da sempre favorevoli a rinunciare alla sovranità
sull'ex provincia, non solo l'ex presidente Boris Tadic, contrario a
riconoscere l'indipendenza del Kosovo, ma convinto della necessità
dell'adesione all'Ue, ora anche il leader del Movimento per il
rinnovamento serbo, l'ex ministro degli Esteri Vuk Draskovic, afferma
che “la Serbia deve iniziare a normalizzare le relazioni con il
Kosovo e stabilire stretti rapporti sia culturali, oltre che
economici”. Secondo Draskovic, per il grande valore storico e
culturale che ha per la Serbia il Kosovo “è un buon vicino di
casa” e c'è dunque la necessità di stabilire le migliori
relazioni possibili. “Noi non controlliamo il territorio da oltre
12 anni, ma c'è il modo di proteggere sia il popolo serbo, sia il
suo patrimonio storico e culturale”, ha affermato Draskovic ai
media serbi. Per questo, secondo l'ex ministro degli Esteri, è
interesse della Serbia accettare le richieste del Consiglio europeo
per normalizzare le relazioni con Pristina. “La Serbia è in
recessione economica, mentre il popolo è ingannato con le favole per
la sovranità e l'integrità territoriale”, ha affermato ancora
Draskovic.
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