lunedì 30 aprile 2012

SERBIA: UN "EFFETTO ITALIA" SULLE ELEZIONI

Domenica prossima la Serbia va alle urne per il rinnovo del parlamento, delle amministrazioni locali e l'elezione del nuovo presidente. Sarà un passaggio chiave per capire che direzione prenderanno nei prossimi anni non solo la Serbia, ma l'area ex jugoslava nel suo complesso, impegnata in una non facile ricostruzione socio-politica dopo le guerre degli anni '90 e avviata bene o male sul percorso dell'integrazione in una Unione Europea che non può chiuderle la porta in faccia, ma si trova a gestire forse il più difficile momento della sua storia. I fattori che pesano sulle elezioni del 6 maggio sono tanti: la crisi economica, la disillusione dei cittadini, il Kosovo, ma anche altri fattori come la presenza di investitori dall'estero, un campo in cui l'Italia gioca un ruolo di primo piano non solo con alcune delle nostre maggiori imprese, ma con una presenza massiccia di realtà imprenditoriali medio-piccole.

Scrive Cecilia Ferrara in un articolo pubblicato sul Venerdì di Repubblica di questa settimana che “il Paese è diventato un incredibile polo attrattivo per gli investimenti esteri ed in particolare italiani. Tanto che lo stesso Monti ha pensato bene di far visita a Belgrado, all'indomani della candidatura all'Ue, con una delegazione di ben otto ministri. E Marchionne ha inaugurato nei giorni scorsi lo stabilimento di Kragujevac, dove si produrrà la 500 L, facendo sapere che "per la Fiat il Paese è affidabile". Insomma Ivan "il terribile" Bogdanov, che interrompeva Italia-Serbia mostrando alle tv di tutto il mondo il dito medio, è un ricordo lontano”. E nella partita di domenica tra i tanti fattori che peseranno suklle decisioni di voto degli elettori, ci sarà anche l'effetto della presenza delle aziende italiane con i loro investimenti delocalizzati, a partire dalla Fiat.

Chi cercherà di raccogliere i frutti dei cambiamenti positivi compiuti dalla Serbia questi ultimi anni, spiega Cecilia Ferrara, sarà certamente il presidente della repubblica uscente (in carica dal 2004) Boris Tadic, leader del Partito Democratico (Ds) e leader serbo più amato dalle cancellerie occidentali. Principale sfidante ancora una volta, Tomislav Nikolic che nelle scorse tornate elettorali era il candidato ultra-nazionalista, del partito dei radicali ultranazionalisti il cui presidente, Vojislav Seselj, è imputato all'Aja per crimini di guerra. Dopo la sconfitta del 2008, Nikolic ha lasciato i radicali per fondare il Partito progressista serbo con la maggior parte dei membri del partito che hanno compreso che è meglio puntare sull'Europa. I nazionalisti anti-europei si sono intanto ridotti al lumicino e l'ago della bilancia, come quattro anni fa, sarà il partito che fu di Milosevic, il Partito socialista serbo di Ivica Dacic, attuale ministro della Giustizia, che potrebbe essere il nuovo primo ministro. Stando ai sondaggi si preannuncia comunque un risultato al fotofinish con un voto su cui peseranno molto la disillusione e lo scetticismo dei serbi verso l'intera loro classe politica, come mostra l'articolo citando varie voci, non solo di esperti e politologi.

Leggi qui l'articolo di Cecilia Ferrara sul Venerdì di Repubblica

sabato 28 aprile 2012

ELEZIONI IN SERBIA: PARTITI, SLOGAN E PROGRAMMI

Qui di seguito un nuovo articolo di Filip Stefanovic per Eastjournal.net sulle elezioni del 6 maggio in Serbia pubblicato ieri. Quello precedente lo si può leggere qui.

Illusioni: da una parte o dall'altra sempre al macello finisci

Cercando quante più informazioni possibili in merito alle prossime elezioni del 6 maggio, due cose balzano velocemente all’occhio:
  1. La campagna elettorale per le prossime legislative è molto tesa e combattuta;
  2. C’è una sostanziale mancanza programmatica che accomuna la maggior parte dei partiti, rendendo difficile stabilire delle rilevanti differenze d’intenti, almeno tra i candidati principali.
Due dei maggiori contendenti, il Partito Democratico (DS) di Boris Tadić e il Partito Socialista di Serbia (SPS) di Ivica Dačić, addirittura non hanno un programma ad hoc per le elezioni del 2012, rifacendosi semplicemente ai generali programmi di partito. Il Partito Progressista Serbo (SNS) di Toma Nikolić spicca in questo vuoto abissale, forte di un Libro bianco (Bela knjiga), sottotitolo “Con un programma verso i cambiamenti”, che sviscera in 20 punti i progetti per il paese (economia, investimenti, politica estera, Kosovo, UE, decentramento, politiche energetiche, agricole, sociali, della cultura e dello sport, e così via). Allo stesso modo, la coalizione Preokret! (Capovolgimento!) del Partito Liberal Democratico (LDP) e Movimento Serbo di Rinnovamento (SPO), parla di decentramento e autonomia della Vojvodina, azionariato delle grandi imprese pubbliche, rafforzamento del settore privato, e – unica tra i partiti in corsa – di un radicale mutamento della politica serba nei confronti del Kosovo, con il definitivo sganciamento e accettazione dell’indipendenza dell’ex provincia.
Il “capovolgimento!”, così come i “cambiamenti!” (Promene!), slogan favorito dal Partito Progressista, si riferiscono apertamente a un vulnus fondamentale della Serbia di Tadić: la dilagante corruzione e opacità delle istituzioni pubbliche, e l’importanza degli agganci di partito per trovare un posto di lavoro. Mentre la disoccupazione serba, complice la crisi globale, lievitava da un già sostanziale 16% al 23% nell’arco dell’ultimo triennio, la spesa pubblica (e l’indebitamento del paese), crescevano di pari passo per creare nuovi posti di lavoro nel settore pubblico, come miope ammortizzatore e creatore di consenso sociale. Allo stesso tempo, tali incarichi, dalle poltrone più pagate agli uffici, così come gli appalti ai privati, venivano conferiti perlopiù secondo gli appoggi politici di cui disponevano i singoli cittadini. In uno spot televisivo del Partito Progressista, una giovane ragazza si chiede: “Perché ho finito l’università se oggi si trova lavoro solo tramite il partito? Ciò deve finire!
Il Partito Socialista di Dačić, che dopo la svolta del 2008 presiede il ministero dell’interno, nel governo di coalizione postelettorale col Partito Democratico, punta ha costruirsi l’immagine di un partito europeo e di una sinistra moderna, improntata alla giustizia sociale senza rinunciare ad un’economia di mercato, e all’integrazione della Serbia nell’Unione Europea. Recentemente Dačić ha dichiarato che il voto all’SPS è un voto sicuro, in quanto sia che vincano i democratici, sia che vincano i progressisti, per formare una maggioranza di governo sarà necessario passare proprio da loro, dai socialisti. Una dichiarazione che dimostra spudoratamente il machiavellismo dei partiti, facilitato sia dalla genericità degli impegni programmatici, che dalla disponibilità dei principali leader a scendere a qualsiasi compromesso pur di ottenere il potere. Lo stesso machiavellismo che ha fatto sì che Boris Tadić per primo, come presidente della Serbia e del suo Partito democratico, si riappacificasse nel 2008, senza rendere conto né al paese né al suo elettorato, con il Partito socialista, colpevole e criminale protagonista dei più cupi anni della storia serba e regionale recente, il decennio 1990.
Il Partito Democratico, nonostante la indiscutibile prevalenza mediatica – innanzitutto televisiva – sugli avversari, dovrà affrontare una durissima prova. Al centro della sua campagna, “Lavoro. Investimenti. Sicurezza.” (Posao. Investicije. Sigurnost.), stanno la democratizzazione delle istituzioni, la volontà di risolvere pacificamente qualsiasi problema (chiaro il riferimento al Kosovo), l’accostamento all’Unione Europea. Purtroppo, Tadić ha già ampiamente dimostrato di aver fallito su tutti questi fronti, e la fiducia degli elettori, già estremamente bassa verso la classe politica nell’insieme, è naturalmente più consumata proprio nei confronti di chi ha detenuto il potere fino a oggi. La tattica del “sia Europa che Kosovo”, sbandierata a ogni passo dai democratici, è venuta a costare alla Serbia entrambe: la candidatura all’UE, agognata, rimandata e a stento ottenuta questa primavera, senza alcuna idea su quando partiranno realmente le negoziazioni per l’ingresso, e i continui, protratti scontri al confine kosovaro hanno fatto perdere ulteriori preziosi anni al paese, mentre la crisi economica dava il colpo di grazia ai progressi già conseguiti.
Più che gli esiti, perciò, ancora vaghi, è difficile prevedere anche solo le strade possibili che potrebbe imboccare la Serbia dopo le urne. Il rischio concreto, in realtà, è che nulla cambi, se non le sigle di governo.

venerdì 27 aprile 2012

CIPRO: PER L'ONU POSSIBILE UNA CONFERENZA INTERNAZIONALE

Il muro che divide le due parti di Cipro
L'inviato dell'Onu a Cipro, Alexander Downer, si è detto fiducioso in un progresso nei colloqui di riunificazione dell'isola in modo da organizzare un conferenza multilaterale la prossima estate, per "concludere la fase finale delle trattative". La scorsa settimana il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, aveva annunciato di voler rinunciare a una conferenza internazionale nel mese di maggio, vista la mancanza di progressi nelle trattative: l'obbiettivo delle Nazioni Unite è infatti quello di risolvere il conflitto prima che la Repubblica di Cipro (quella riconosciuta internazionalmente) assuma la presidenza di turno dell'Unione Europa, il 1° lulgio prossimo.

L'isola di Cipro, com'è noto è divisa dal 1974, anno in cui un fallito golpe tentato dai nazionalisti greco-ciprioti tentò l'annessione alla Grecia provocando l'intervento militare di Ankara in difesa dei truco-ciprioti. I negoziati per la riunificazione dell'isola, con al creazione di una federazione tra la Repubblica di Cipro (Paese membro dell'Ue) e la Repubblica Turca di Cipro Nord, in corso da anni sotto l'egida delle Nazioni Unite, non hanno fino ad ora dato alcun risultato pratico dopo che nel 2004 i greco-ciprioti bocciarono in un referendum il piano proposto dall'allora segretario dell'Onu, Kofi Annan, che ers stato invece approvato dai turco-ciprioti proprio con la prospettiva dell'adesione all'Ue.

ELEZIONI IN SERBIA: PARTITI, CANDIDATI E PREVISIONI

Qui di seguito un articolo di Filip Stefanovic pubblicato ieri da Eastjournal.Net


Domenica 6 maggio si terranno sia le elezioni parlamentari che presidenziali in Serbia. Sono chiamati al voto 7.058.683 elettori iscritti alle liste, e secondo il più recente sondaggio del 23 aprile, dell’agenzia Faktor Plus, l’affluenza si attesterà attorno al 55%, di cui un 8% si dichiara ancora indeciso su chi votare, mentre l’1% opta per annullare la scheda. A contendersi la maggioranza del paese sono il Partito Democratico (DS – Demokratska Stranka) di Boris Tadić (28,3%), già presidente del paese dimessosi il 5 aprile scorso, e il Partito Progressista Serbo (SNS – Srpska Napredna Stranka), guidato da Toma Nikolić, al momento in testa con un margine di ben 5 punti (33,5%).

Segue, in ordine e con un notevole distacco, la coalizione guidata dal socialista Ivica Dačić (SPS – Socijalistička Parija Srbije), attuale ministro dell’interno nel governo di coalizione DS-SPS, che unisce al Partito Socialista di Serbia i minoritari Partito dei Pensionati Uniti Serbi (PUPS – Partija ujedinjenih penzionera Srbije) e Serbia Unica (JS – Jedinstvena Srbija), all’11,8%. A superare la soglia di sbarramento del 5% sarebbe anche la coalizione Preokret (“Capovolgimento”, al 6,2%), che unisce il Partito Liberal Democratico di Čedomir Jovanović (LDP – Liberalno Demokratska Stranka) ed il Movimento Serbo di Rinnovamento di Vuk Drašković (SPO – Srpski Pokret Obnove), che ad oggi detiene ancora solo quattro seggi parlamentari dei complessivi 250, il Partito Democratico di Serbia dell’ex presidente Vojislav Koštunica (DSS – Demokratska Stranka Srbije), al 5,7%, ed il Partito Radicale Serbo (SRS – Srpska Radikalna Stranka) di Vojislav Šešelj, oggi in custodia presso il tribunale internazionale dell’Aja, fermo al 5,5%. Le Regioni Unite di Serbia (URS – Ujedinjeni Regioni Srbije), dell’economista Mlađan Dinkić, già governatore della Banca Nazionale Serba dal 2000 al 2003, e successivamente ministro delle Finanze prima (2004-2006), dell’Economia e dello Sviluppo regionale poi (2007-2011), non dovrebbe superare lo sbarramento, attestandosi al 3,3%. Infine, i clerofascisti di Dveri, che a febbraio 2011 avevano annunciato la propria partecipazione indipendente alle elezioni, trasformando il proprio movimento in partito (sebbene essi preferiscano definirsi come “famiglia”), puntano all’1%.

Per quanto riguarda le presidenziali, il quadro cambia, sebbene non di molto: il testa a testa tra Boris Tadić (DS) e Toma Nikolić (SNS) è all’ultimo voto (rispettivamente 35,7% contro il 36,1%), un 11,3% per Ivica Dačić (SPS), 5,7% per Čedomir Jovanović (LDP), 4,5% per Vojislav Koštunica (DSS) e sotto il 3% l’unica candidata donna, la radicale Jadranka Šešelj (SRS).

Per concludere è interessante citare un’altra indagine, ad opera dell’agenzia Kliping, che confrontando i telegiornali nazionali nel periodo tra l’1 ed il 14 aprile ha rilevato come il secondo telegiornale della principale rete televisiva nazionale, RTS1, abbia dedicato uno spazio di gran lunga preponderante al partito del presidente Tadić, quasi doppio rispetto a quello di tutti gli altri candidati (1587 secondi contro, ad esempio, i 901 di Toma Nikolić, i 755 di Vojislav Koštunica e così via), rimarcando un notevole squilibrio nella possibilità di accesso equo ai media nazionali.

giovedì 26 aprile 2012

LE ELEZIONI IN SERBIA FANNO SALIRE LA FEBBRE IN KOSOVO

Di Marina Szikora [*]
Nel pieno della campagna elettorale in Serbia, e' sempre piu' alta la tensione in Kosovo. A Gračanica, lo scorso venerdi', la polizia kosovara ha arrestato il capo del comune serbo in Kosovo, Goran Arsić. Insieme ad Arsić e' stato fermato anche il membro della Croce rossa serba, Novica Živić tutto a causa, come ha spiegato il ministro degli interni kosovaro Bajram Redžepi, delle loro presunte minacce ad alcuni serbi a dover partecipare alle elezioni serbe. In caso contrario, questi serbi verrebbero arrestati nella prima occasione del loro ingresso in Serbia. Da precisare che i due rappresentanti serbi in Kosovo sono stati arrestati mentre assistivano ad una partita di calcio a Lipljani. Su richiesta della procura e' stata effettuata la perquisizione delle loro case. Secondo l'agenzia di stampa serba Beta, nella casa di Arsić e' stato trovato il timbro del Partito democratico e i materiali relativi alle scorse elezioni che la Serbia aveva svolto in Kosovo.

Il ministro serbo per il Kosovo e Metohija, Goran Bogdanović afferma per la B92 che il motivo di arresto di Goran Arsić e' quello di intimidire ulteriormente i serbi in Kosovo. "E' ultimo momento che l'Eulex reagisca perche' questi atti fanno ricordare sempre di piu' il 17 marzo 2004" ha avvertito Bogdanović. Secondo le sue valutazioni, l'avvicinamento delle elezioni in Serbia sta sempre piu' intensificando le tensioni e le violenze in Kosovo. Il ministro ha accusato Priština perche' ultimamente "arrestando, maltrattando e con una retorica conflittuale si stanno sollecitando le ambizioni degli estremisti albanesi a provocare violenze". Bogdanović ha avvertito che ci sono informazioni di serie preparazioni a Priština e per questo e' buono che ci sia una rafforzata presenza delle forze internazionali.

Otto anni fa, a marzo del 2004 sono esplosi i piu' grandi conflitti etnici in Kosovo dall'arrivo delle forze internazionali nella regione quando 19 civili avevano perso la loro vita. Oltre 900 persone furono arrestate, sono state distrutte o danneggiate circa 800 case e 35 chiese e monasteri ortodossi mentre alcune migliaia di serbi abbandonarono le loro case.

Il ministro Bogdanović ha rilevato che l'obiettivo della comunita' serba e' quello che anche gli albanesi vivano in pace, che come nei secoli precedenti i serbi e gli albanesi vivano gli uni accanto agli altri ma che in "situazioni quando vi sono tensioni e quando il conflitto pende in aria non si possono svolgere colloqui e risolvere questioni che sono di peso". "Dobbiamo andare nella direzione di riconciliazione e tolleranza, che tutte le comunita' etniche in Kosovo possano esprimere liberamente la loro volonta'" ha aggiunto Bogdanović ribadendo che "non va bene che le elezioni organizzate dallo stato serbo siano un motivo per innescare il conflitto". Ha valutato che la fonte di tutti i problemi sono i tentativi di integrazione forzata del nord del Kosovo nelle isituzioni kosovare. "La Serbia ha preso la decisione di non svolgere elezioni locali nella regione ma fara' tutto il possibile che le elezioni parlamentari e presidenziali si svolgano su tutto il territorio del Kosovo" ha precisato Bogdanović aggiungendo che sono in corso colloqui intensi non soltanto in Kosovo bensi' anche in Europa e nel mondo e che per questo motivo crede che queste elezioni alla fine avranno luogo anche in Kosovo.

Visto l'aumento delle tensioni in Kosovo, soprattutto in vista delle elezioni in Serbia, la Germania ha deciso di inviare in Kosovo, su richiesta urgente della NATO, le forze per l'urgente intervento, scrive in questi giorni il settimanale tedesco "Der Spiegel". Secondo le informazioni di questo giornale, a due settimane dalle elezioni in Serbia, la NATO teme nuove escalazioni al nord del Kosovo e Berlino avrebbe gia' risposto positivamente alla richiesta dell'Alleanza. In questo senso, la Germania mandera' 550 militari delle delle forze operative e come rafforzamento in Kosovo si dirigeranno anche circa 150 militari delle forze austriache. Dal prossimo primo maggio, le forze tedesche ORF dovrebbero nuovamente far parte della KFOR e il contingente e' composto da una unita' di difesa per la protezione dagli attacchi da armi atomiche, biologiche e chimiche.

Il comando della NATO a Potsdam, scrive 'Der Spiegel' ha valutato che vi esiste il pericolo di nuove escalazioni a causa delle attualmente inconciliabili posizioni tra Serbia e Kosovo relative all'organizzazione delle elezioni e a causa della gia' instabile situazione al nord del Kosovo. La valutazione e' che vi esiste un notevole pericolo di nuovi conflitti per tutto il Kosovo. Va precisato che attualmento in Kosovo sono stazionati 5.800 militari di cui 1.300 quelli tedeschi. Il ministro della difesa tedesco Thomas Maiziere ha valutato la situazione in Kosovo lo scorso febbraio come complessa e ha detto inimaginabile il ridimensionamento del numero di soldati della KFOR.

Lunedi', il segretario generale della NATO, Anders Fogh Rasmussen, al Parlamento Europeo a Bruxelles ha dichiarato che la missione Eulex in Kosovo non e' preparata e attrezzata a sufficienza per svolgere i suoi compiti e ha illustrato che per tal motivo la NATO "deve assumersi la responsabilita' e svolgere i compiti che non sono stati previsti, soprattutto al nord del Kosovo". Rasmussen ha rilevato che e' necessaria una stretta collaborazione affinche' si possa garantire una vera divisione del lavoro tra la NATO e l'Ue. "Noi vorremo essere testimoni di un forte ruolo dell'Ue attraverso una forte Eulex" ha detto il segretario generale della NATO. A tal proposito si e' rivolto ai parlamentari eureopei con la speranza che essi possano influenzare affinche' l'Eulex sia dotata di mezzi appropriati. Precedentemente le fonti diplomatiche NATO avevano espresso critiche che la Kfor durante gli incidenti dell'anno scorso al nord del Kosovo dovevano occuparsi anche di compiti che riguardano la polizia e la sicurezza di cui il mandato non compete la Kfor bensi' l'Eulex. Per questo motivo si aspettano con grande attenzione l'esito della riorganizzazione dell'Eulex.

[*] Corrispondente di Radio Radicale. Il testo è tratto dalla corrispondenza per la puntata di Passaggio aSud Est andata in onda oggi.

ELEZIONI IN SERBIA: IL PROGRAMMA DI BORIS TADIĆ

Secondo i sondaggi il conservatore Toma Nikolic e il suo Partito progressista sono in testa rispetto al presidente uscente Tadic e al Partito democratico

Toma Nikolic e Boris Tadic sui manifesti elettorali per
le elezioni del 6 maggio in Serbia (Foto Afp)
Di Marina Szikora [*]
Il candidato alle prossime elezioni presidenziali in Serbia, il presidente dimissionario Boris Tadić, ha illustrato il suo piano presidenziale in cinque punti il cui principale obiettivo sarebbe la creazione di una Serbia economicamente sviluppata che nell'arco di cinque anni dovrebbe terminare i negoziati di adesione all'Ue. Parlando al tredicesimo forum di manager svoltosi a Belgrado la settimana scorsa, Tadić ha sottolineato che la Serbia nei prossimi cinque anni si trovera' davanti a grandi sfide e che per questo dovra' essere guidata da una persona che ha una strategia chiara dello sviluppo del Paese fino al 2017.

Il primo punto del piano presidenziale di Tadić riguarda appunto il processo delle integrazioni europee e prevede che i negoziati di adesione con l'Ue inizino entro la fine dell'anno e che come nel caso della Slovacchia terminino in cinque anni, il periodo in cui dovra' essere effettuato il processo di riforme in tutte le sfere della societa'. La Serbia aderisce al processo di eurointegrazione razionalmente, ha spiegato Tadić, e non viene condotta su emozioni bensi' sul principio dell'utilita' perche' questo e' il modo piu' facile e piu' efficace a garantire lo sviluppo desiderato.

Il secondo punto e' lo sviluppo economico basato sull'agricoltura, industrializzazione ed investimenti stranieri e soprattutto sull'esportazione. In termini numerici, la Serbia dovrebbe nei prossimi cinque anni raddoppiare la partecipazione dell'esportazione del prodotto interno lordo mentre i potenziali di esporto verranno aumentati investendo nell'agricoltura e standardizzazione della produzione nonche' attirando gli investimenti stranieri. Anche l'investimento nell'educazione, come terzo punto del piano di Tadić, e' uno degli elementi del risanamento economico della Serbia e il risultato dovrebbe essere il raddoppiamento del numero di persone con alta educazione nei prossimi cinque anni.

Il quarto punto del piano presidenziale prevede la conclusione della lotta contro il crimine organizzato attuando misure sistematiche per sradicare la corruzione mentre il quinto punto e' quello della soluzione del conflitto congelato in Kosovo in collaborazione con la comunita' internazionale. "Con una relazione attualmente concepita verso il Kosovo non possiamo andare avanti e per questo ho proposto un piano in quattro punti che non implica ne' la divisione ne' il riconoscimento" ha detto Tadić. Ha ricordato che questo plano prevede uno status sociale per il nord del Kosovo, uno status speciale per le chiese ed i monasteri serbi, un largo autogoverno locale e speciali garanzie di sicurezza per i serbi al sud del fiume Ibar nonche' la soluzione della questione del patrimonio serbo privato e statale confiscato.

Intanto, secondo le rilevazioni dell'agenzia Faktor plus, il Partito serbo progressista (Sns) guidato da Tomislav Nikolić, il maggiore partito di opposizione, sarebbe in testa rispetto all'attuale partito di maggioranza governativa di Boris Tadić, il Partito democratico (Ds). L'Sns avrebbe il 33,5 per cento dei voti contro il 28,3 per cento del Ds. Ma nell'umore nei cittadini prevalgono insoddisfazione e agitazione e quasi metà dell'elettorato ritene che i partiti politici conducano una campagna sporca, vale a dire negativa. Al terzo posto, sempre secondo lo stesso sondaggio, con l'11,8 per cento ci sarebbe il Partito socialista dell'attuale vice premier e ministro dell'Interno Ivica Dačić, e al quarto posto con il 6,2 per cento il Partito liberaldemocratico (Ldp) di Čedomir Jovanović. Sempre in base a questo sondaggio, anche alle presidenziali, il candidato del Sns, Tomislav Nikolić, vincerebbe con il 36,1 per cento delle preferenze contro Boris Tadić a cui andrebbero il 35,7 per cento dei voti.

[*] Corrispondente di Radio Radicale. Il testo è tratto dalla corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi.

PASSAGGIO IN ONDA

E' on-line la puntata di Passaggio a Sud Est trasmessa oggi da Radio Radicale.
La trasmissione è riascoltabile nella sezione "In Onda" del blog oppure, insieme a tutte quelle precedenti, sul sito di Radio Radicale.

mercoledì 25 aprile 2012

ORA E SEMPRE RESISTENZA

Oggi è il 25 aprile, festa della Liberazione. 67° anniversario della liberazione dal regime fascista e dall'occupazione nazista. E' importante ricordare la Liberazione e festeggiala. Scrivo proprio festeggiare e sarebbe bello vedere la gente ballare in piazza come in Francia per il 14 luglio. Anche perché, a giudicare da alcuni articoli apparsi oggi sui giornali e da certe affermazione che si acoltano ad ogni 25 aprile c'è ancora molto da liberare, soprattutto nella testa delle persone. E questo si può fare solo con la cultura, con la corretta informazione, con il confronto civile. E anche con la festa. Ora e sempre.

Ripubblico qui di seguito il post di Matteo Zola pubblicato oggi su Eastjournal.net
Buon 25 aprile a tutte e a tutti.


Oggi 25 aprile. Dalla Val d’Ossola alla Dalmazia, e c’era l’uomo di Odessa.
di Matteo Zola

Oggi è il 25 aprile, in Italia è la data in cui si festeggia la liberazione dal nazifascismo e la fine della Seconda guerra mondiale. Ricordo in un romanzo di Fenoglio, mi pare fosse Una questione privata, quando a un partigiano rosso l’autore fece dire: “adesso finiamo coi tedeschi, poi tocca a voi“. La frase era rivolta a un altro partigiano, azzurro mi pare, badogliano. O forse bianco, cattolico. Non so più.

Qualche anno fa con un amico facemmo un’escursione in montagna, nelle zone della Val d’Ossola dove sorse una delle prime repubbliche partigiane, nel 1944, liberando di fatto un vasto territorio alpino per circa quaranta giorni. Mi disse che suo nonno aveva combattuto su quei monti ma, a differenza dei molti che trovavamo sulle cime a guardare le valli, egli non trovò la morte in guerra così, dopo, fu costretto a lasciare quella terra di cui era originario per evitare ritorsioni dei rossi: “era un badogliano” – mi disse l’amico.

Ante Zemljiar, nato a Pago in Dalmazia, combatté nella resistenza jugoslava. Durante la Seconda guerra mondiale è più volte fatto prigioniero ed incarcerato sia dagli ustascia che dai carabinieri, ma sempre riuscendo a salvarsi. Finita la guerra, non si salvò dal carcere titino. Dopo un anno e mezzo di interrogatori, viene, per motivi ideologici, internato per quattro anni e mezzo nel famigerato campo dell’Isola Nuda (Goli Otok). “Per motivi ideologici“, l’assurdità del Novecento è tutta in questa accusa. Era poeta, Ante Zemljiar, e fece l’errore durante la resistenza di scrivere e sottoporre i suoi testi al Comitato centrale croato che lo bollò come “surrealista”, quindi “piccolo borghese”. Dopo la guerra l’accusa si tramutò in “dissidente“. Così nel 1949 arrivò il campo di prigionia, il più duro che ebbe a provare, disse Ante, e sì che ne aveva provati tanti. E’ morto nel 2004.

Ventitré giorni durò la libertà di Alba. Dalle colline scesero le brigate azzurre di Mauri, al secolo Enrico Martini, già maggiore degli alpini nel regio esercito, e praticamente da sole liberarono la città, benché coadiuvate dalle brigate di Giustizia e Libertà (i verdi, legati al partito d’azione e alla lezione di Rosselli) e Garibaldi (comunisti). Da monferrino di nascita e cultura, frequento assiduamente le colline di langa, e mi passo i venticinque aprile tra i bricchi e le sepolture, le osterie: a Neive un monumento recita, più o meno: “per difendere grande patria perduta, difesero la piccola patria fra i colli”. Vado a braccio, ma il senso è quello. Da monferrino, dicevo, cerco tra i colli l’antiretorica di chi resistenza ne fece anche tanta, col fucile, con la penna, con la fuga: Pavese, Fenoglio, Revelli, a volte vedo Ginzburg seduto su un muretto, come nella celebre foto.

Nato a Odessa, in Ucraina, il 4 aprile 1909, morto nel carcere di Regina Coeli a Roma il 5 febbraio 1944, letterato. Leone Ginzburg, di famiglia ebrea di origine russa ma naturalizzato italiano, ha studiato a Torino. Frequenta tutti quelli che stanno nella mia libreria: Pavese, Bobbio, Carlo Levi, Monti, a Parigi conosce Carlo Rosselli (socialdemocratico) e tornato a Torino, dove aveva ottenuto la libera docenza, rifiuta il giuramento al regime fascista. Viene licenziato. Era il 1934. Per fortuna a Torino c’era Giulio Einaudi e la sua casa editrice dove Leone lavorò fino al 1938, anno delle leggi razziali. Nel ’43 torna all’attività clandestina ma lo arrestano di nuovo. Finisce a Regina Coeli, braccio “tedesco”, e ci muore.

Oggi è il 25 aprile, così ho cercato di parlar di casa nostra passando da est, e di dire che non solo rossa è stata la resistenza, ma che tutta ha egualmente resistito. Anche a sé stessa.

lunedì 23 aprile 2012

22 APRILE, IL GIORNO DEL RICORDO DELLE VITTIME DI JASENOVAC

“La dimenticanza e la negazione sono il più grande pericolo per la democrazia, la libertà e l’umanità e perciò non possiamo lasciar dimenticare cosa è stato Jasenovac”.

Memoriale delle vittime di Jasenovac
(Foto Petar Milosevic/Wikipedia)
di Nicola Dotto [*]
Donja Gradina, Jasenovac - Nella Repubblica serba di Bosnia e in Croazia si è celebrato ieri il “Giorno del ricordo” delle vittime del genocidio ustascia contro serbi, rom, ebrei e antifascisti di diverse nazionalità avvenuto durante la seconda guerra mondiale, dall’agosto del 1941 al 22 aprile del 1945, quando migliaia di persone furono uccise a causa della propria fede, nazionalità e appartenenza ideologica.

Dal parco monumentale di Donja Gradina, oggi in Repubblica serba di Bosnia, il più grande luogo d’esecuzione nel sistema del lager concentrazionario “Jasenovac” (100 km a sud-est di Zagabria, in Croazia) istituito nell’agosto del 1941 subito dopo la proclamazione dello stato indipendente croato di Pavelić, sono univoci i messaggi dei vertici politici croati e serbi presenti alle cerimonie nel sostenere che i crimini non si possono dimenticare o negare e che la pace deve essere difesa come il bene più grande.

Da Jasenovac il presidente croato Josipović, assicurando che la grande maggioranza dei croati sono oggi antifascisti e che in Croazia non passeranno mai più idee naziste e ustasce, ha avvertito però che nei libri scolastici in Croazia non è stata scritta la piena verità sulla seconda guerra mondiale e che da tragici avvenimenti come Jasenovac “spesso non si impara niente, anzi nuovamente ci sono dei movimenti che vorrebbero mettere in pericolo l’umanità, la libertà e la democrazia”, aggiungendo però che in Croazia c’è ormai “sufficiente intelligenza e ragionevolezza per evitare questa deriva”.

Il premier croato Zoran Milanović ha invece sottolineato come a Jasenovac il crimine non sia iniziato dal nulla e non sia stato frutto di un odio temporaneo, ma di “un processo lungo dove si è pianificata la morte”, aggiungendo che si deve dire apertamente che sono stati uccisi per la maggior parte serbi e poi ebrei, rom e croati antifascisti. “L’unica bandiera sotto la quale dobbiamo stare è quella di una Croazia democratica, libera e giusta e di una società aperta a tutti quelli che qui vogliono vivere”.

A Donja Gradina il presidente della Repubblica serba di Bosnia Milorad Dodik ha dichiarato che “ai crimini perpetrati a Jasenovac non è mai stato risposto nel modo che meriterebbero le vittime e bisogna oggi ristabilire la verità”, accusando poi il regime comunista jugoslavo che minimizzando le vittime appartenenti al popolo serbo è diventato complice del crimine. Secondo le sue parole, il popolo serbo anche in Europa deve essere accettato come popolo della pace, ma anche come un popolo che ha diritto alla sua identità e al suo stato, anche in Bosnia Erzegovina.

“Noi non vogliamo una Bosnia forte, noi sosteniamo che la Bosnia deve essere così come è stato deciso negli accordi di Dayton e tutte le altre acrobazie che hanno lo scopo di far diventare la Bosnia più forte e la Repubblica serba più debole non possono passare” ha aggiunto Dodik. “La Repubblica serba di Bosnia desidera far parte di una società civile che aumenti la pace e lo sviluppo e che viva in pace con gli altri popoli dei Balcani. Dobbiamo tutti insieme mostrare la nostra forza e grandezza, e onorare tutti i popoli che sono state vittime in questi luoghi, anche bosniaci e croati, cosicchè queste cose non si ripetano più”.

Anche il premier serbo Mirko Cvetković ha lanciato un messaggio da Donja Gradina augurandosi che le popolazioni dei Balcani facciano reciprocamente affidamento su loro stesse, sostenendo che la loro sopravvivenza sarà possibile solo se ci sarà più tolleranza. “Quello che ci è successo in passato non deve ritornare come un boomerang. Come persone dobbiamo perdonare ma non possiamo dimenticare” ha detto Cvetković durante la commemorazione alla quale hanno partecipato anche rappresentanti di Israele, il corpo diplomatico e organizzazioni internazionali di ebrei e rom. “Il futuro è in mano a quelli che meglio e più a lungo ricorderanno il passato. Questi crimini non possono essere dimenticati in una società civile basata su giuste norme morali e i colpevoli dei crimini non possono essere amnistiati”.

Il giorno del ricordo delle vittime del genocidio ustascia è stato istituito in occasione del tentativo di sfondamento delle barriere del lager “Jasenovac” (composto da 5 campi) da parte di due gruppi di circa mille prigionieri il 21 e 22 aprile 1945, dei quali solo un centinaio raggiunse la libertà. Quelli che rimasero dentro vennero uccisi e bruciati insieme agli edifici del campo. Secondo gli ultimi dati finora sono stati riconosciuti nomi e dati di circa 82.000 vittime di cui circa 20.00 bambini. Il conteggio totale del numero delle vittime varia da qualche decina di migliaia fino al milione, a seconda dell’appartenenza etnica, ed è ancora oggi oggetto di grosse polemiche etnico-politiche tra serbi e croati.

[*] Responsabile cultura dell'associazione culturale italiana Il Belpaese di Novi Sad. Insegnante all'Istituto di Cultura Italiano di Belgrado.

domenica 22 aprile 2012

SERBIA: IN VISTA DELLE ELEZIONI SALE LA TENSIONE IN KOSOVO

Di Marina Szikora
Nel pieno della campagna elettorale in Serbia, e' sempre piu' alta la tensione in Kosovo. Ieri, a Gračanica, la polizia kosovara ha arrestato il capo del comune serbo in Kosovo, Goran Arsić. Insieme ad Arsić e' stato fermato anche il membro della Croce rossa serba, Novica Živić tutto a causa, come ha spiegato il ministro degli interni kosovaro Bajram Redžepi, delle loro presunte minacce ad alcuni serbi a partecipare alle elezioni serbe. In caso contrario, questi serbi verrebbero arrestati nella prima occasione del loro ingresso in Serbia. Da precisare che i due rappresentanti serbi in Kosovo sono stati arrestati mentre assistivano ad una partita di calcio a Lipljani. Su richiesta della procura e' stata effettuata la perquisizione delle loro case. Secondo l'agenzia di stampa serba Beta, nella casa di Arsić e' stato trovato il timbro del Partito democratico e i materiali relativi alle scorse elezioni che la Serbia aveva svolto in Kosovo. Il ministro serbo per il Kosovo e Metohija, Goran Bogdanović afferma per la B92 che il motivo di arresto di Goran Arsić e' quello di intimidire ulteriormentie i serbi in Kosovo. "E' ultimo momento che l'Eulex reagisca perche' questi atti fanno ricordare sempre di piu' il 17 marzo 2004" ha avvertito Bogdanović. Secondo le sue valutazioni, l'avvicinamento delle elezioni in Serbia sta sempre piu' intensificando le tensioni e le violenze in Kosovo. Il ministro ha accusato Priština perche' ultimamente "arrestando, maltrattando e con una retorica conflittuale si stanno sollecitando le ambizioni degli estremisti albanesi a provocare violenze". Bogdanović ha avvertito che ci sono informazioni di serie preparazioni a Priština e per questo e' buono che ci sia una rafforzata presenza delle forze internazionali.

Otto anni fa, a marzo del 2004 sono esplosi i piu' grandi conflitti etnici in Kosovo dall'arrivo delle forze internazionali nella regione quando 19 civili avevano perso la vita. Oltre 900 persone furono arrestate, sono state distrutte o danneggiate circa 800 case e 35 chiese e monasteri ortodossi mentre alcune migliaia di serbi abbandonarono le loro case. Il ministro Bogdanović ha rilevato che l'obiettivo della comunita' serba e' quello che anche gli albanesi vivano in pace, che come nei secoli precedenti i serbi e gli albanesi vivano gli uni accanto agli altri ma che in "situazioni quando vi sono tensioni e quando il conflitto pende in aria non si possono svolgere colloqui e risolvere questioni che sono di peso". "Dobbiamo andare nella direzione di riconciliazione e tolleranza, che tutte le comunita' etniche in Kosovo possano esprimere liberamente la loro volonta'" ha aggiunto Bogdanović ribadendo che "non va bene che le elezioni organizzati dallo stato serbo siano un motivo per innescare il conflitto". Ha valutato che la fonte di tutti i problemi sono i tentativi di integrazione forzata del nord del Kosovo nelle isituzioni kosovare. "La Serbia ha preso la decisione di non svolgere elezioni locali nella regione ma fara' tutto il possibile che le elezioni parlamentari e presidenziali si svolgano su tutto il territorio del Kosovo" ha precisato Bogdanović aggiungendo che sono in corso colloqui intensi non soltanto in Kosovo bensi' anche in Europa e nel mondo e che per questo motivo crede che queste elezioni avranno luogo anche in Kosovo.

sabato 21 aprile 2012

KARADZIC E' RESPONSABILE PER SREBRENICA


Lo ha detto l'esperto militare Richard Butler al processo contro l'ex presidente della Republika Srpska

Qui di seguito una mia rielaborazione dell'articolo di Denis Dzidic per Balkan Investigative Reporting Network. Leggi qui l'articolo originale.

Ratko Mladic e Radovan Karadzic
all'epoca della guerra in Bosnia
L'esperto militare ed ex ufficiale Richard Butler, che ha preparato un rapporto sulla catena di comando all'interno dell'esercito serbo-bosniaco durante il conflitto del 1992-95, al processo in corso al Tribunale internazionale per l'ex Jugoslavia, ha affermato che Radovan Karadzic era “al vertice” di quella catena come “comandante supremo delle forze armate della Republika Srpska” e come tale ebbe dunque una conoscenza dettagliata degli eventi di Srebrenica. Nel marzo 1995, ha dichiarato Butler, Karadzic inviò una direttiva alle forze armate ordinando di “creare una situazione insopportabile di totale incertezza” per i bosgnacchi di Srebrenica, privandoli di ogni speranza di sopravvivere all'interno dell'enclave.

Karadzic è sotto processo all'Aja con l'accusa del genocidio di più di 7000 bosgnacchi compiuto dall'esercito serbo-bosniaco nei giorni che seguirono l'occupazione di Srebrenica, l'11 luglio 1995. L'ex presidente della Republika Srpska, è anche accusato della persecuzione dei croato-bosniaci in tutta la Bosnia, del terrore inflitto ai civili di Sarajevo durante l'assedio e della presa in ostaggio di “caschi blu” dell'Onu tra il 1992 e il 1995. “Come comandante supremo, Karadzic non si limitò a ricevere informazioni sulle attività dell'esercito, ma ebbe e utilizzò la possibilità di chiamare direttamente i comandanti sul campo al fine di ottenere nuove informazioni e impartire disposizioni. Ha avuto un ruolo diretto in questo processo”, ha detto ancora Butler. Karadzic, da parte sua, durante l'esame incrociato ha affermato che nella primavera del 1993, e quindi prima degli eventi di Srebrenica, le forze armate bosgnacche attaccarono i villaggi serbi circostanti Zepa e Gorazde nonostante le due località fossero state dichiarate zone protette dalle Nazioni Unite, e uccisero civili a Podrinje.

Secondo Butler, l'ordine di sparare a migliaia di bosgnacchi di Srebrenica dopo la caduta della città doveva provenire dal vertice della catena di comando delle forze armate della Republika Srpska. L'ordine, ha affermato Butler, fu impartito dal comandante dell'esercito serbo-bosniaco, Ratko Mladic, e fu trasmesso lungo la catena di comando come qualsiasi altro ordine, nonostante il fatto che fosse “evidentemente illegale”. “Nessuno lo mise in discussione. L'ordine fu eseguito. Se prescindiamo dalla sua illegittimità, la catena di comando militare funzionò come avrebbe dovuto”, ha detto Butler. Mladic è accusato di genocidio, crimini contro l'umanità e violazione delle leggi e delle consuetudini di guerra in Bosnia-Erzegovina. Il processo a Radovan Karadzic davanti al Tribunale internazionale per l'ex Jugoslavia inizierà il 14 maggio. Il processo a Radovan Karadzic continuerà lunedì 23 aprile.

venerdì 20 aprile 2012

TURCHIA: IL SISTEMA GIUDIZIARIO DI FRONTE AL CASO DI PINAR SELEK

"Il caso Pinar Selek e i problemi della giustizia in Turchia": questo il semplice ma significativo titolo di un dibattito internazionale che si è svolto a Strasburgo il 18 aprile. L'incontro è stato organizzato per iniziativa della Turkey origin Citizens' Union of Associations (RACORT) e delle sue componenti Intercultural Citizens' Movement at Strasbourg (ASTU), Turkey origin Citizens' Association at Paris, Turkish Workers Association etz'de Moselle e L'ACORT. Sono intervenuti l'avvocato di Pınar Selek, Akın Atalay, il padre di Pınar Selek, anche lui avvocato, Alp Selek, i giornalisti e scrittori Oral Calislar e Karin Karakaşlı, il professore di filosofia e saggista Zeynep Direk, l'avvocato Martin Pradel della Fédération Internationale des Droits de l'Hommela presidente del Comitato Diritti umani del Parlamento europeo Barbara Lauchbihler e il president della Commissione parlamentare congiunta P.E-Turchia Hélène Flautre.

Leggi qui l'articolo sul dibattito pubblicato sul sito di Bianet (in inglese)



Pinar Selek, sociologa e scrittrice, fu arrestata una prima volta nel 1998 con l'accusa di complicità con il Pkk e per questo anche torturata dicono i suoi sostenitori. Prosciolta nel 2000 e liberata, è stata nuovamente incriminata e processata nel 2006 e 2011 e ogni volta prosciolta. Ora è nuovamente sotto processo, Come ho già scritto in un precedente post sul suo caso, indipendentemente da come la si pensi sulla questione curda, sul Pkk e sulla politica dell'attuale governo Erdogan, è importante ragionare sullo stato della democrazia in Turchia, sulla situazione del suo sistema giudiziario e sulla tutela dei diritti fondamentali. Soprattutto se, come noi, si è a favore con convizione della sua adesione all'Unione europea.

giovedì 19 aprile 2012

CROAZIA: LA GRAVE SITUAZIONE DEL SISTEMA PENITENZIARIO

Di Marina Szikora [*]
In questi giorni il sito croato tportal.hr ha pubblicato un articolo allarmante sulla situazione nelle carceri croate. Nei penitenziari in Croazia, secondo i dati del Ministero di giustizia si trovano 2.269 detenuti e nelle carceri 2.823 detenuti. I maggiori penitenziari sono quelli di Glina e di Zagabria. Secondo i dati del difensore civico, uno dei piu' piccoli penitenziari, quello di Karlovac e' il piu' affollato – perfino il 220 percento. Il totale sistema carcerario e' affollato attualmente del 135 percento. In un rapporto del 2011 del difensore civico e' stato rilevato il problema della difusione dell'epatite C tra i detenuti a causa delle non cure o del rinvio di trattamento medico. Nel carcere di Zara, durante il controllo 15 detenuti sono stati trovati che dormono per terra, a Karlovac in una cella di 26,33 metri quadrati si trovano 10 letti e un materasso. Invece di sei, ci sono 11 persone detenute. In alcuni casi, la doccia e' permessa una volta alla settimana d'inverno e due volte alla settimana d'estate.

La scorsa estate i detenuti del carcere nella citta' di Gospić, per paura di essere loro sospeso il privilegio di avere un fine settimana libero o di poter uscire in citta', non hanno osato protestare o scioperare ma attraverso le loro famiglie e i media hanno tentato di allarmare l'opinione pubblica a causa delle violazioni dei loro diritti umani. Al quotidiano 'Slobodna Dalmacija' hanno denunciato brutali maltrattamenti da parte della polizia penitenziaria e in particolare hanno espresso preoccupazione per un detenuto a cui e' stato negato un importante intervento agli occhi. Fino ad una settimana fa, scrive il sito croato, sembrava che i detenuti del carcere di Dubrovnik fossero insoddisfatti come di consueto a causa dell'affollamento delle carceri e delle insufficienti cure mediche ma alla fine e' uscito fuori che le loro testimonianze potrebbero portare dietro alle sbarre perfino l'amministrazione carceraria. I detenuti, ma anche il personale del carcere di Dubrovnik, hanno inviato una lettera all'Ufficio per la corruzione e criminalita' organizzata (USKOK) in cui in 27 punti affermano che il direttore del carcere sta attuando una propria legge arrichendosi a danno dei detenuti, sfruttandoli e maltrattandoli. Secondo il quotidiano 'Jutarnji list' il direttore del carcere costringe i detenuti a riparargli parti della sua barca a vele e a ristrutturargli la casa pagando loro con un solo pacco di sigarette. I detenuti affermano che il direttore in modo sadico provoca attacchi di epilessia dei singoli detenuti malati, trasferisce i malati di polmoni nelle aree per fumatori e punisce i detenuti con l'isolamento costringendo loro a stare nella cella con detenuti accusati di violenze sessuali. A questa orrenda lettera anonima avrebbe reagito il Ministero della giustizia e la Direzione per il sistema penitenziario e avrebbero formato una commissione di inchiesta che lo scorso marzo avrebbe effettuato un controllo nel carcere di Dubrovnik. I risultati sono attesi in questa settimana e un altro controllo e' previsto dall'Ufficio del difensore civico.

Sulle pagine della Corte Costituzionale, scrive tportal.hr sono state trovate dieci sentenze della Corte europea per i diritti umani a favore dei detenuti. Si pone la domanda, conclude il sito croato, se le carceri croate svolgono il loro compito sociale, se sono in grado di riabilitare i detenuti oppure sono soltanto uno dei luoghi di corruzione in cui si coltiva la criminalita'?

[*] Corrispondente di Radio Radicale. Il testo è tratto dalla puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi.

A BRATISLAVA LA CONFERENZA GLOBSEC 2012 CON GAŠPAROVIĆ, JOSIPOVIĆ E TUERK


Di Marina Szikora [*]
La settimana scorsa, a Bratislava si e' svolta la conferenza GLOBSEC, una riunione internazionale ormai tradizionale sulle questioni globali di sicurezza e di politica che ha riunito, questa volta nella capitale slovacca, l'élite politica, diplomatica e scientifica che in due giorni di conferenza hanno discusso del futuro euro-atlantico dell'Europa sudorientale e dell'Ucraina, della crisi della zona euro, dello sviluppo delle vicende in Medio Oriente e nel sud Mediterraneo dopo la Primavera araba. I piu' alti rappresentanti a questa riunione sono stati il padrone di casa, il presidente slovacco Ivan Gašparovič, il suo ospite croato, il presidente Ivo Josipović e quello sloveno, Danilo Tuerk. I tre presidenti si promettono impegnati per il rafforzamento della cooperazione tra i loro paesi, paesi di simili esperienze politiche, ex repubbliche comuniste che in quanto stati indipendenti sono diventati membri delle integrazioni europee ed euro-atlantiche. I tre capi di stato ritengono che con capacita' congiunte, reciproco sostegno nelle integrazioni comuni e formulando interessi comuni si puo' rafforzare la voce dell'Europa centrale nelle alleanze europee e transatlantiche.

Il presidente slovacco Ivan Gašparovič si e' detto particolarmente felice che i partecipanti alla conferenza, i suoi colleghi Josipović e Tuerk, i quali "sano benissimo di che cosa si tratta poiche' ricordano ancora vivamentee le paure per la sicurezza delle loro famiglie e cittadini". Gašparovič ha sottolineato che la NATO non risolve tutte le questioni della sicurezza mondiale, soprattutto non quelle del mondo moderno quali il terrorismo e il cyber criminale e ha invitato al dibattito sulla riduzione delle ambizioni militari dell'Alleanza al prossimo vertice di Chicago. Anche il presidente Josipović ha ricordato il concetto della "difesa intelligente"(smart defence) promossa dalla NATO nel suo nuovo concetto strategico che implica l'associazione dei potenziali di difesa dei paesi alleati, soprattutto nel periodo del ridimensionamento del bilancio militare dovuto alla crisi economica. Il presidente croato ritiene inoltre che la sicurezza oggi non si basa esclusivamente sulla capacita' militare, bensi' sullo stato di diritto, disciplina finanziaria, tutela dell'ambiente e sulla sicurezza di ogni singolo individuo.

Oltre ai tre presidenti alla conferenza GLOBSEC hanno partecipato anche i ministri degli esteri e della difesa di alcuni paesi europei, esperti di politica estera e rilevanti diplomatici da entrambi le parti dell'Atlantico. Come scrivono i media, si e' trattato dell'ultima grande riunione in vista del vertice NATO a Chicago che si svolgera' il prossimo maggio e quindi il GLOBSEC e' stata un'occasione per aprire le questioni chiave che domineranno il prossimo summit dell'Alleanza Nordatlantica.

Il sito ufficiale della conferenza GLOBSEC

[*] Corrispondente di Radio Radicale. Il testo è tratto dalla puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi a Radio Radicale

PASSAGGIO IN ONDA

E' on-line la puntata di Passaggio a Sud Est trasmessa oggi da Radio Radicale.
La trasmissione è riascoltabile nella sezione "In Onda" del blog oppure, insieme a tutte quelle precedenti, sul sito di Radio Radicale.

mercoledì 18 aprile 2012

SERBIA: NIENTE ELEZIONI LOCALI IN KOSOVO E METOHIJA

Di Nicola Dotto [*]
Dovidjenja Kosovo. Ciao ciao Kosovo. Ormai sembra chiaro a tutti che il governo dovrà rinunciare (e ufficiosamente lo ha già fatto) alle sacre terre kosovare e che piano piano la sua ex-provincia diventerà uno Stato sovrano a tutti gli effetti. Nonostante le smentite dei politici le ultime notizie che arrivano da questo fazzoletto di terra benedetta non fanno altro che confermarne il lento ma inesorabile processo di allontanamento e totale indipendenza dal governo centrale di Belgrado e dalla forza internazionale ancora presente nel territorio.

E' ufficiale: non ci saranno le elezioni locali in Kosmet (Kosovo e Metohija)
Kosovska Mitrovica. In Kosovo e Metohija non saranno organizzate le elezioni locali del 6 maggio, ma sarà possibile solo votare per il candidato premier e per i rappresentanti parlamentari, secondo quanto dichiarato a “Politika” da Goran Bogdanović, ministro serbo per il Kosovo e Metohija, il quale spiega di aver ricevuto da UNMIK una risposta negativa in relazione alle elezioni e che in accordo con la Risoluzione ONU 1244 le stesse non saranno quindi organizzate: “Abbiamo ricevuto una risposta negativa da UNMIK e non vogliamo violare la risoluzione ONU 1244 e mettere in pericolo i Serbi che vivono a sud del fiume Ibar. La non organizzazione delle elezioni non significa che le istituzioni serbe lasceranno il Kosovo, come successe durante il periodo 1999-2008 nel quale le elezioni locali non vennero organizzate ma le istituzioni serbe rimasero nella provincia. Mi appello ai dirigenti dei comuni di Zubni Potok e Zvečan in quanto non vengano organizzate le elezioni neanche in questi due comuni del nord”.
Dello stesso avviso anche l’attuale presidente vicario della Serbia (dopo le dimissioni anticipate di Tadić), Slavica Đukić Dejanović, la quale sostiene che la non organizzazione delle elezioni locali non significa affatto la sparizione delle istituzioni serbe nella provincia: “Negli ultimi 15 anni abbiamo avuto solo una tornata elettorale in Kosovo, 4 anni fa. Anche quando non ci sono state elezioni locali lo Stato serbo ha avuto comunque modo di funzionare attraverso gli organi temporanei nella gestione del governo locale”.
Lo stesso Bogdanović aggiunge infine che sempre in accordo con la Risoluzione ONU 1244, dopo le elezioni, si siederà ad un tavolo con il nuovo governo e con i rappresentanti UNMIK per cercare di affidar loro l’organizzazione delle elezioni locali in Kosovo. Con la presa di posizione di Bogdanović non sono però d’accordo né i serbi kosovari del nord né quelli del centro che credono che questa decisione “evidenzi una politica anti-statale e che non sia legalmente in accordo con la Costituzione e le leggi serbe”. Contro anche i rappresentati comunali dei due comuni del nord chiamati in causa dal ministro, Zvečan i Zubni Potok, che si dichiarano invece pronti per le elezioni e sostengono che tutto sarà organizzato in accordo con la Costituzione e la legge serba e nullo sarà il pericolo per i serbi a sud del fiume Ibar, in quanto “nessuno impedì a Pristina di organizzare le elezioni in comuni a maggioranza albanese nel centro del Kosovo” e quindi non c’è ora motivo di temere il contrario.

La polizia kosovara proteggerà il monastero di Devič al posto della forza internazionale Kfor
Il direttore generale della polizia kosovara Nehat Tači ha sottoscritto a Kosovska Mitrovica un accordo trilaterale con i rappresentati di Eulex e Kfor in relazione alla protezione del monastero di Devič da parte della polizia kosovara. Come riportato, l’accordo sarà attuato in base ai doveri e agli obblighi che sorgono quando si tratta di tutela e conservazione di siti culturali e religiosi. Tutte le parti firmatarie sono d’accordo che sarà trasferita l’autorità dalla Kfor alla polizia kosovara che “si è dimostrata pronta ad assumersi la responsabilità per la protezione e la conservazione del monastero”.
Il monastero di Devič, che si trova in un bosco attraversato dal fiume Drenica, 5 chilometri a sud di Srbica (Kosovo centrale), venne bruciato durante i disordini scoppiati nel 2004 da parte dei kosovari albanesi ed è stato ora parzialmente restaurato. Fu costruito dal despota Đurađ Branković intorno al 1434 come segno di ringraziamento alla Vergine (Devica in serbo) per la guarigione della figlia e da questa ne prende il nome.
Non è però dello stesso avviso il vescovo della zona, Teodosije, il quale ha dichiarato in serata all’agenzia “Tanjug” di aver ricevuto rassicurazioni dal comando Kfor che “la forza di protezione internazionale rimarrà presso il monastero e la sicurezza e protezione dello stesso non sarà in pericolo”, aggiungendo che i soldati della Kfor saranno ancora presenti insieme alla polizia kosovara e ci resteranno a lungo, anche se la stessa polizia afferma di averne preso la totale responsabilità della conservazione.

[*] Responsabile cultura dell'associazione culturale italiana Il Belpaese di Novi Sad. Insegnante all'Istituto di Cultura Italiano di Belgrado.

ELEZIONI IN SERBIA: I PARTITI, I LEADER E LA LORO PROPAGANDA

Riceviamo e volentieri pubblichiamo il post seguente dedicato alla campagna elettorale in corso in Serbia in vista delle elezioni presidenziali, parlamentari e locali del prossimo 6 maggio. L'autore è Riccardo De Mutiis, esperto di relazioni internazionali, particolarmente sotto il profilo giuridico, conoscitore della realtà serba e di quella balcanica più in generale anche per aver partecipato a diverse missioni di carattere politico patrocinate da istituzioni internazionali.
Clima elettorale, a Belgrado ed in tutta la Serbia, in vista delle consultazioni del 6 maggio 2012 ed è interessante osservare le modalità e le strategie con cui i diversi partiti cercano di fare presa sull‘elettorato.
Il governo uscente, una coalizione guidata dal Partito democratico (Ds, Demotratska stranka), che fa dell’ingresso nell’Unione Europea il suo cavallo di battaglia, è sfidato da una opposizione in cui è particolarmente forte la componente nazionalista, con le sue due anime, quella più radicale del Partito progressista serbo (Sns, Srpska naprdena stranka) di Toma Nikolic, e quella moderata del Partito democratico serbo (Dss ,Demotratska srpska stranka) guidato dall’ex premier Vojislav Kostunica, entrambe critiche nei confronti della prospettiva europeista.
Integrazione europea dunque, ma anche destino del Kosovo e situazione economica: questi i temi su cui i diversi partiti si confrontano.
Boris Tadic, presidente della repubblica serba e leader del Ds, è il politico che ha investito più degli altri sugli spot televisivi, trasmessi specialmente su B92, emittente accusata dall’opposizione di essere filogovernativa ma particolarmente seguita ed influente in Serbia, probabilmente a causa della dote morale che acquisì durante il periodo della dittatura di Milosevic, in cui fu sostanzialmente l’unica voce di dissenso nei confronti del regime.
Europeista convinto, Tadic punta nella sua campagna elettorale sul lavoro e sugli investimenti ("Posao i investicije") ed uno degli spot televisivi è girato nella fabbrica Fiat di Kragujevac, dove si vede il presidente serbo che osserva la costruzione di una Fiat 500: in effetti il governo serbo ha attratto molti investitori stranieri ed in particolare italiani (il distretto delle calze di nylon del mantovano si è trasferito in blocco nella zona di Valjevo), convinti dagli incentivi fiscali, dal basso costo della manodopera e dai contributi economici elargiti dal governo.
Altro personaggio presente in televisione, anche se meno di Tadic, è Cedomir Jovanovic, leader del Partito liberaldemocratico (Ldp, Liberalno demokratska stranka) e considerato da alcuni l'erede di Zoran Djindjic, l’ex leader del Ds assassinato nel 2003, al quale è accomunato dalla convinzione che il futuro della Serbia è nell’Unione Europea. Jovanovic è l’ unico leader serbo che, senza perifrasi, afferma che la Serbia deve rinunciare ad ogni pretesa sul Kosovo e concentrarsi appunto sull‘integrazione europea, e proprio la perentorietà delle sue prese di posizione lo hanno indotto a fare della verità ("Istina") la parola d’ordine della sua strategia elettorale.
La campagna elettorale dell’opposizione, condotta più sui muri delle città che nelle televisioni, tende a demonizzare ed a screditare gli avversari attraverso immagini e slogans suggestivi, particolarmente adatti al proprio elettorato, che è concentrato nelle zone rurali, tradizionalista, particolarmente colpito dalla crisi economica, meno istruito e più anziano di quello cittadino.
Sintomatico, in questo senso, è il manifesto, diffusissimo, in cui si cerca di attribuire al governo la responsabilità della situazione economica, accompagnando la fotografia di Tadic ed altri politici con la frase “Oni zive lepo, a ti?” (cioè “Loro vivono bene, ma tu?”).
Sulla stessa linea il manifesto con cui si accusa Tadic di non avere saputo risolvere nessuno dei problemi che affliggono la Serbia, tra cui corruzione e destino del Kosovo ("Korrupcjia i pitanje Kosova"): tesi peraltro ingiusta, dato che qualche risultato, almeno in termini di lotta alla corruzione, l’attuale governo lo ha ottenuto, se è vero che con la consegna di Ratko Mladic al Tribunale dell’Aja ha dimostrato inequivocabilmente di avere rotto la rete di connivenza e complicità all‘interno delle istituzioni che aveva impedito l’arresto dello stesso Mladic per più di dieci anni.
Sullo sfondo, non poteva mancare in Serbia, un'istanza autonomista, quella della Vojvodina, che reclama lo status di repubblica federata all‘interno dello Stato serbo e lamenta che i suoi problemi vengono presi in considerazione solo nell’imminenza delle competizioni elettorali: emblematico al riguardo è lo slogan “Vojvodina uvek se voli, i kada nisu izbori” (ovvero “La Vojvodina si ama sempre, non solo quando ci sono le elezioni”).
La competizione elettorale, come si intuisce dalle schermaglie iniziali, si prospetta interessante.


martedì 17 aprile 2012

MACEDONIA: RESTA ALTA LA TENSIONE DOPO LA STRAGE

Se c'è qualcuno che ha interesse a far esplodere le tensioni etniche e politiche in Macedonia probabilmente in queste ore è al lavoro. In ogni caso l'Unione Europea farebbe bene a intervenire rapidamente perché un'altro focolaio di tensioni nei Balcani non serve a nessuno.

16 aprile: hooligans scortati dalla polizia nel centro di Skopje
(Foto REUTERS/Ognen Teofilovski)
Di Marina Szikora
Che la Macedonia sta bollendo lo dimostrano anche i disordini avvenuti ieri sera quando alcune centinaia di giovani, soprattutto gruppi di tifosi, hanno protestato nel centro di Skopje dopo l'uccisone di cinque cittadini macedoni. Quella che doveva essere una manifestazione pacifica si e' trasformata in uno scontro tra giovani e forze di polizia. Gli hooligans hanno lanciavto sassi contro i poliziotti che vietavano loro l'ingresso nel quatriere della Stara Čaršija (Città Vecchia), la zona dove si trovano molti negozi di proprieta' di albanesi.
I manifestanti scandivano slogan come "Macedonia pura" e altri messaggi nazionalisti. Ieri sera Skopje e' diventata una citta' assediata dalla polizia. Il sito macedone portal Plus Info scrive che tra 500 e 1000 giovani armati di sassi e con il volto coperto hnano marciato per il centro di Skopje. Non sono stati risparmiati nemmeno i giornalisti: uno e' stato colpito alla testa, mentre ad un fotoreporter hanno cercato di portar via la videocamera. Una ventina di poliziotti sono stati attaccati con sassi e altri oggetti raccolti per la strada. La polizia ha risposto caricando con i manganelli i manifestanti piu' violenti. Sono stati attaccati anche dei negozi e automobili della polizia.

SERBIA: UNDICI CANDIDATI PER LA PRESIDENZA DELLA REPUBBLICA

Elezioni presidenziali in Serbia:
l'ennesima sfida tra Tadic e Nikolic
Il termine per la presentazione delle candidature alle elezioni presidenziali in Serbia e' scaduto domenica scorsa a mezzanotte: la Commissione elettorale finora ha confermato 11 delle 12 presentate. Confermati il presidente della repubblica uscente e leader del Partito Democratico, Boris Tadić, e Tomislav Nikolić, il leader del maggiore partito di opposizione, il Partito progressista serbo, di ispirazione conservatrice, nato da una scissione del Partito radicale serbo dell'ultranazionalista Vojislav Šešelj. Tadić e Nikolić restano i due principali sfidanti: alle elezioni del prossimo 6 maggio si sfideranno per la terza volta.

Alla competizione sono state ammesse, inoltre, le candidature del presidente del Partito liberaldemocratico, Čedomir Jovanović, e del presidente del Partito socialista serbo e attuale ministro degli Interni, Ivica Dačić. In corsa anche il candidato delle Regioni unite della Serbia e attuale ministro della Salute Zoran, Stanković, l'ex premier nazionalista moderato Vojislav Koštunica, il presidente della Lega degli ungheresi di Vojvodina, Ištvan Pastor, nonche' il presidente del Movimento dei lavoratori e contadini Zoran Dragišić. I radicali ultranazionalisti saranno rappresentanti dalla moglie del capo, ancora sotto processo all'Aja per crimini di guerra, Jadranka Šešelj. Confermata anche la candidatura del capo della comunita' islamica in Serbia Muamer Zukorlić.

Secondo gli ultimi sondaggi dell'agenzia Faktor Plus, in questo momento Boris Tadić ha il sostegno del 35,8% dei cittadini, Toma Nikolić il 35,7 %: una differenza praticamente insesistente. Al terzo posto, con l'11,2 % c'e' il ministro degli interni Ivica Dačić, che saputo dare un taglio al passato del partito che fu di Slobodan Milosevic accettando di entrare nel governo filoeuropeista con il partito democratico di Tadić.
Al quarto posto, con il 5,6% Čedo Jovanović, unico leader politico che accetta apertamente l'indipendenza del Kosovo, seguito da Vojislav Koštunica con il 4 % delle preferenze.

Con la collaborazione di Marina Szikora

lunedì 16 aprile 2012

LA MACEDONIA ANCORA SOTTO SHOCK DOPO LA STRAGE DEL VENERDI' SANTO

Si temono violenze interetniche mentre le autorità indagano per scoprire gli autori dell'assassinio di quattro ragazzi e di un pescatore 
di Marina Szikora
L'assassinio dei quattro ragazzi che amavano pescare ha scioccato la Macedonia. Questo paese, ricorda il quotidiano di Zagabria "Večernji list", nel 2001 ha vissuto un conflitto interetnico che duro' sei mesi, ma mai prima era accaduto un crimine di questo tipo. Sono stati uccisi Aleksandar Nakojevski, Cvetančo Acevski, Kire Tričkovski e Filip Slavkovski, ragazzi di 18 e 20 anni e Borće Stevkovski, un pescatore di 45 anni che pero' non e' stato nella loro compagnia. Erano ragazzi tranquilli che amavano pescare. Filip si preparava per festeggiare l'esame di maturita'. Nel comune di Butel, da dove provengono le vittime, e' stato proclamato un giorno di lutto. "Tristezza e costernazione si sentono in tutta la Macedonia. L'opinione pubblica e' sconvolta e scioccata", scrive 'Večernji list".


"Una cosa del genere non e' accaduta nemmeno nel 2001. Quello che all'epoca avevamo chiamato guerra, e' stato in qualche modo isolato, mentre adesso l'impressione e' che non sei sicuro da nessuna parte. Adesso abbiamo molta paura, non mi sento sicuro da nessuna parte", dice Frosina Dimovska di Skopje. Gli abitanti del villaggio di Radišani hanno bloccato le strade chiedendo in questo modo alle autorita' di trovare al piu' presto gli esecutori, ma vogliono anche dimostrare la loro intenzione di farsi giustizia da soli se le istituzioni non faranno il loro dovere. Hanno rimosso le barricate sabato a mezzogiorno solo per far passare il corteo funebre fino al cimitero locale dove sono stati sepolti tre dei giovani uccisi. C'era una folla grande di tutti quelli che sono venuti a congedarsi dalle vittime.

Anche se la polizia non sa ancora quali sono stati i motivi ne' l'appartenenza etnica degli assassini, alcuni giovani con i quali i giornalisti avevano parlato, scrive il quotidiano croato, ritengono che gli esecutori siano di nazionalita' albanese. Circa 150 albanesi che vivono nel vicino villaggio di Ljuboten sono rimasti a Skopje perche' avrebbero dovuto passare per Radišani dove gli abitanti avevano bloccato la strada. Sembra che alcuni macedoni avessero perfino incitato alla vendetta contro il villaggio albanese e che per questo motivo sono in stato di fermo.

Molte sono le speculazioni in questi momenti di attesa e di tensione. Quello che si sa e' che i quattro giovani sono stati uccisi da distanza ravvicinata e che i loro corpi sono stati trovati uno accanto all'altro. Secondo i referti della polizia, sul luogo del delitto c'erano prioettili di tre tipi diverse di armi da fuoco il che farebbe dedurre che contro i ragazzi avrebbe sparato un gruppo di assassini. Il ministero degli Interni macedone non esclude che possa trattarsi di persone arrivate dall'estero.

ELEZIONI IN SERBIA: L'OSCE PUO' AIUTARE I SERBI DEL KOSOVO

Matteo Mecacci, deputato Radicale eletto nel Pd, presidente della Commissione Democrazia, diritti umani e questioni umanitarie dell'Assemnblea parlamentare dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, ritienere che il dialogo in corso tra la comunità internazionale e Belgrado in merito alla partecipazione dei serbi del Kosovo alle elezioni serbe del 6 maggio prossimo, condurrà ad un accordo e ha aggiunto che l'Osce potrà assistere i serbi nella rivendicazione del loro diritto di voto. Mecacci è stato incaricato di coordinare la missione internazionale di osservazione dell'Osce.

“L'OSCE non affronterà la questione del riconoscimento o non riconoscimento del Kosovo. Il ruolo che possiamo svolgere e il contributo che possiamo offrire riguardano la sostanza – garantire alle persone il diritto di voto", ha affermato il coordinatore speciale per le elezioni in Serbia, facendo seguito alla richiesta avanzata mercoledì dal ministro per il Kosovo e Metohija, Goran Bogdanovic, affinché l'Osce offra assistenza per lo svolgimento delle elezioni. Le autorità di Pristina concordano sul fatto che l'Osce organizzi le elezioni parlamentari e presidenziali indette da Belgrado, ma esorta altresì l'Osce ad organizzare le elezioni locali indette da Pristina nel nord, secondo quanto riportato in precedenza dalla stampa di Pristina.

In merito al ruolo dell'OSCE nel processo elettorale in Serbia, Mecacci, che si è recato a Belgrado per una visita di due giorni, ha affermato che gli osservatori dell'organizzazione seguiranno la campagna elettorale e analizzeranno sia i resoconti dei media che le decisioni emesse dalla commissione elettorale. Inoltre, il giorno delle elezioni, 50 gruppi composti da membri dell'Assemblea parlamentare dell'OSCE e del Consiglio d'Europa si recheranno in varie parti della Serbia al fine di controllare lo svolgimento delle elezioni.

In merito alla presidenza di turno dell'OSCE che nel 2015 toccherà alla Serbia, Mecacci ha dichiarato: “Presiedere una tale organizzazione sarà per la Serbia un'occasione per dimostrare che i suoi politici sono responsabili e capaci di guidare organizzazioni internazionali, soprattutto se si considera che l'Osce si occupa di cooperazione nel settore della sicurezza e dei diritti dell'uomo. Ritengo che questa straordinaria occasione permetterà alla Serbia di essere considerata come merita, ovvero parte della famiglia europea".

SIRIA: L'ONU RICORDI LA LEZIONE JUGOSLAVA

Assad non può essere parte della soluzione così come non poteva esserlo Milosevic

"Questo è ciò che chiamo un lavoro pulito"
(Michel Kichka, 2012 / http://en.kichka.com)

Dichiarazione di Marco Perduca, senatore Radicale eletto nelle liste del Pd

"Sono passati quasi vent'anni ma pare che la storia dell'inazione politica internazionale di fronte ai massacri di civili sia destinata a ripetersi. I negoziati e le aperture di credito al regime di Assad ricordano sempre di piu' quanto fu concesso, in termini di fiducia e di reazioni rallentate se non in alcuni casi di spudorata vicinanza politica come quella dei comunisti e leghisti italiani, al sanguinario Milosevic. La stessa ricerca del consenso all'interno del Consiglio di Sicurezza che caratterizzo' gli anni Novanta sui Balcani rischia di produrre altrettante migliai di morti in Siria. Le proteste dei siriani iniziate oltre un anno fa hanno avuto, proprio come in Tunisia, una caratterizzazione sinceramente e spiccatamente nonviolenta, solo l'inerzia colla quale la comunita' internazionale ha risposto alle brutali repressioni delle armate di Assad hanno favorito la creazione di un esercito di liberazione che, chiaramente, ha "autorizzato" un ulteriore inasprimento della repressione da parte del regime di Damasco.

Oggi il Consiglio di Sicurezza deve votare l'invio di una missione di osservatori da inviare in Siria, proprio come varie missioni furono inviate dall'Onu nei Balcani 15-20 anni fa - buon ultima quella che in Kosovo non s'accorse dell'eccidio di Rachak nel gennaio del 1999, a cui fece seguito la convocazione di una conferenza di pace con Milosevic a Rambouillet, salvo di li' a qualche settimana dar ordine alla NATO di bombardare la Serbia.

In occasione della Libia, e per repressioni molto minori, si e' voluto praticare la cosiddetta "responsabilita' di proteggere" i civili dai loro governi; anche in Siria occorre ri-prendere in considerazione l'applicazione di questo principio che e' universale e che, se ben articolato, puo; riuscire a mettere Russia e Cina di fronte alle loro responsabilita' di connivenza con quel regime sanguinario il cui capo non puo' essere seriamente preso in considerazione come attore della ricerca della soluzione essendo la causa della tirannia che gli Assad hanno istaurato in Siria da quasi mezzo secolo.

domenica 15 aprile 2012

GRECIA: PASQUA MAGRA IN ATTESA DEL VOTO

In attesa di andare a votare - le elezioni anticipare sono state finalmente fissate per il 6 maggio - i greci festeggiano oggi la Pasqua che per loro è importante come per noi lo è il Natale. La tradizione vuole che si passi la giornata di festa in famiglia attorno alla tavola dopo aver assistito alla messa di mezzanotte. Quest'anno però la Pasqua è senz'altro assai povera, dopo quattro anni di recessione e con la grave crisi economica che ha messo il Paese alle corde riducendo molta gente sul lastrico. Che la situazione sia pesante lo indica il ridotto numero di greci che hanno deciso di lasciare i loro luoghi di abitazione per riunirsi ai parenti in altre località in questo periodo di festa perché costa anche spostarsi in nave o in auto, ma soprattutto il calo degli acquisti di generi alimentari nonostante gli ingredienti per il tradizionale pranzo pasquale quest'anno costino meno rispetto all'anno scorso. Stando a un sondaggio condotto dal Centro per la protezione del consumatore (Kepka) quest'anno una famiglia per il pranzo pasquale ha speso fra i 75 e i 156 euro. Il calcolo si basa sulla preparazione di un pranzo per 8-10 persone composto da "maghiritsa" (un brodo di interiora d'agnello come antipasto), due primi fra i quali il "kleftiko", tradizionale agnello arrosto allo spiedo oppure al forno, "tsoureki" (pane dolce), le tradizionali uova sode con il guscio colorato di rosso, dolci, frutta e ouzo, il liquore nazionale a base di anice. Sulla base dei prezzi registrati nei mercati di Salonicco (seconda città della Grecia), la Kepka aveva esortato i consumatori a girare molti negozi e confrontare i prezzi prima di fare acquisti. I commercianti, da parte loro, già nei giorni scorso avevano detto di aspettarsi un calo sensibile del loro volume d'affari.

Intanto, dopo giorni e giorni di discussioni e di ipotesi, finalmente è stata decisa la data delle elezioni legislative anticipate: i greci andranno alle urne il 6 maggio prossimo. La Grecia è dunque ufficialmente in campagna elettorale con i partiti al lavoro per completare le liste dei candidati. L'operazione, però, sembra abbastanza complicata visto che, come ha detto al Financial Times un vecchio esponente di Nea Demokratia (il principale partito di centro-destra), "il numero dei probabili candidati per i due partiti maggiori, soprattutto in provincia, è stato ridotto; professionisti rispettabili e validi dirigenti governativi respingono le proposte". I toni del confronto fra Evanghelos Venizelos, leader del socialista Pasok, e Antonis Samaras, di Nea Demokratia, hanno però già cominciato a salire, nonostante sostengano insieme l'attuale governo di unità nazionale guidato da Lucas Papademos, così come con tutta probabilità si troveranno a dover governare insieme anche dopo il 6 maggio. Il leader di Nea Demokratia chiede agli elettori una maggioranza che gli consenta di poter governare "con le mani libere" e Venizelos accusa il rivale "di voler diventare a tutti i costi primo ministro e onnipotente" glissando sulle responsabilità del suo partito e del governo di Costas Karamanlis del quale lo stesso Samaras faceva parte. Venizelos per il momento con il 18% di consensi personali supera Samaras attestato al 15%. Il problema per entrambi è che i loro due partiti, che si sono alternati alla guida del Paese dal 1974, anno della caduta della dittatura dei colonnelli fino ad oggi, registrano un netto calo di consensi. Secondo un sondaggio condotto dalla Gpo per conto della stazione televisiva Mega, Nea Demokratia e Pasok al momento insieme superano di poco il 32%, mentre alle elezioni del 2009 i loro voti superarono complessivamente il 77%.

Per il momento l'esito del voto resta incerto. Il calo dei due partiti maggiori e il rafforzamento dei partiti di sinistra e di quelli contrari al programma di risanamento imposto dai creditori internazionali e portato avanti dal governo di unità nazionale, rende difficile fare previsioni. Secondo un sondaggio pubblicato dal quotidiano Kathimerini, oltre la metà degli elettori pensa che nessun partito riuscirà ad ottenere la maggioranza e sarà dunque necessario ricorrere ad un nuovo governo di coalizione, mentre solo il 17% degli intervistati scommette su un governo monocolore. Per quel che riguarda i singoli partiti al momento è sempre in testa Nea Demokratia, con il 19% delle preferenze ( che perde il 3% rispetto alla rilevazione di due settimane fa), seguita dal Pasok con il 14% (-1% rspetto a due settimane fa, crollato rispetto al successo del 2009, ma pur sempre in ripresa rispetto al magro 8% di due mesi fa). A sinistra si segnala il testa a testa tra Syriza (13% dei voti), comunisti e Sinistra Democratica (12%). A destra il nuovo partito dei "Greci Indipendenti", nato da una scissione di ND, raccoglie al momento l'11%, mentre gli estremisti di “Alba Dorata” avrebbero il 5% (sufficiente per entrare in Parlamento). In calo, invece, l'altra formazione di estrema destra, il Laos, attualmente parte del governo di unità nazionale, ferma al 3% come gli ecologisti.

Buona Pasqua alla Grecia e a tutti i greci.


Al mercato, pochi giorni prima della Pasqua ortodossa:
“Che fate a Pasqua?”.
“A Pasqua? Non lo sai che siamo l’agnello d’Europa? A Pasqua ci sgozzano”.

La battuta è tratta da Prima Linea, il blog di Georgia Manzi che ringrazio.