domenica 28 febbraio 2010

COSE BUONE

E' domenica sera, sono al lavoro in radio e domani inizia una nuova (dura) settimana. E siccome inizia anche un nuovo mese che ci porterà alla primavera (sperando che quest'anno non tardi ad arrivare) non mi pare di buon auspicio - né per la primavera, né per la buona notte - chiudere la serata, la settimana ed il mese con i manifesti elettorali della Lega. Così vi propongo un libro che vi consiglio di comprare e di leggere, se non l'avete ancora fatto. Forse sono ancora off topic rispetto ai temi consueti di questo blog ma non credo più di tanto.

Il libro si intitola Il conto dell'ultima cena, l'ha scritto Moni Ovadia è pubblicato da Einaudi, ha 140 pagine e costa 16 euro.

E' un libro sulle cose buone: tra Vecchio e Nuovo Testamento, insegnamenti rabbinici, storielle ebraiche e ricette kasher Moni Ovadia scrive (ma si può benissimo dire parla) di cibo, e attraverso il cibo di saperi, di culture, le nostre e quelle altre che crediamo tali e sopriamo molto più vicine e nostre di quanto pensiamo. E' un libro sulla tolleranza e l'accettazione, la conoscenza e la condivisione: "un antidoto slow - come dicono le note di copertina - all'intolleranza e al tempo frenetico di oggi".

Si legge facilmente in un pomeriggio, magari in una domenica di pioggia in cui state a casa a poltrire. Leggetelo e poi, almeno per un po' di tempo, tenetelo sul comodino o portatelo con voi. E rileggetelo. E magari provate le ricette.

Il libro lo trovate qui e da molte altre parti su internet.

Moni Ovadia invece lo trovate qui.

COSE PADANE

Questo grazioso manifesto è apparso a Torino per sostenere la campagna elettorale del candidato del centro-destra alla presidenza della Regione Piemonte, Roberto Cota. I leghisti, com'è noto, sono tipi tosti, sostengono di avercelo duro e roba del genere. Ma forse Cota ha bisogno di un sostegno extra (una specie di Viagra elettorale?) per cercare di battere la candidata del centro-sinistra, la presidente uscente Mercedes Bresso e così la Lega ricorre all'ormai ben noto armamentario xenofobo e razzista a cui ci hanno abituato da anni. L'edizione torinese on-line di Repubblica informa dell'esistenza di altri slogan. Uno recita: "I nostri operai disoccupati e la sinistra spende 5 milioni per gli zingari". Ma non pensiate che l'invettiva riguardi solo gli stranieri. C'è un terzo maifesto con il disegno di un bel "picciotto" con coppola, baffi e lupara d'ordinanza che informa i bravi cittadini piemontesi che "La Lega Nord governa così: sottratti alla mafia 9 miliardi in 18 mesi". Scommettiamo che tra poco vedremo anche quelli contro extracomunitari e "negri"?

venerdì 26 febbraio 2010

COSE TURCHE

"Sventato golpe inTurchia". La notizia diffusasi lunedì scorso in breve ha fatto il giro del mondo diventando uno dei titoli di prima pagina sui giornali e nelle aperture dei telegiornali. In questi giorni gli esperti di cose turche e i commentatori di politica internazionale si sono interrogati su quello che da un po' di tempo sta accadendo a cavallo del Bosforo. In realtà la storia del golpe, così come è stata messa, è apparsa subito un po' esagerata per almeno due ragioni.
La prima è che la notizia non è nuova e risale ad almeno un mese fa, quando fu rivelata dal quotidiano Taraf. La seconda è che si riferisce ad un progetto di colpo di stato militare, vero o falso che sia, che risale al 2003. Però è vero che l'operazione che ha portato all'arresto di una cinquantina di presunti congiurati è per molti versi clamorosa dato che in manette sono finiti anche diversi alti gradi delle forze armate, qualcuno in pensione altri in servizio. Nel frattempo alcuni di questi sono stati rilasciati ma altri arresti di militari sono andati ad aggiungersi a quelli di lunedì.
Ce n'è abbastanza per domandarsi cosa succede in un Paese cruciale per gli equilibri e la stabilità di aree geopolitiche molto importanti come il Medio Oriente, il Caucaso e l'Asia minore. Un Paese, vale la pena di tenerlo sempre in mente, che fa parte della Nato (nella quale ha il secondo esercito più potente dopo gli Usa), ha in corso i negoziati per l'adesione all'Ue e rappresenta uno snodo fondamentale nel ridisegno delle rotte del petrolio e del gas.

Per fare il punto su quello che è successo in questi giorni segnalo la mia intervista a Marta Ottaviani, corrispondente di Avvenire e della Stampa da Istanbul. Nell'interista si parla anche del ruolo del quotidiano Taraf, non nuovo a rivelazioni clamorose sui militari e le trame golpiste, ma anche capace di critiche piuttosto dure al governo.

Il fatto è che il Paese, che da qualche tempo porta avanti una politica estera assai dinamica basata sulla dottrina della "profondità strategica" elaborata dall'attuale ministro degli Esteri, Davutoglu, all'insegna del motto "nessun problema con i nostri vicini" (e che qualcuno in Occidente ha definito "neo ottomana"), al suo interno sta vivendo da tempo un duro scontro tra la nuova classe dirigente islamico-moderata emersa attorno all'Akp, il partito del premier Erdogan, e l'establishment "kemalista" di cui i militari sono il caposaldo ed il principale pilastro.
In alcuni commenti usciti in questi giorni si parla dell'esistenza di due Turchie. Quella laica, rivolta all'Occidente, la Turchia moderna voluta da Kemal Ataturk i cui custodi sarebbero i militari opposta alla Turchia conservatrice, legata ai volori tradizionali e religiosi, che punta a diventare una potenza regionale, espressa a livello politico dall'Akp. Ma è una visione fuorviante non solo perché la realtà è assai più complessa, ma anche perché, come dice Marta Ottaviani nell'intervista, esiste pure una terza Turchia progressista, che vuole guardare al futuro, stanca di contrapposizioni che vorrebbe veder superate una volta per tutte.
Se non siamo, come qualcuno ha scritto, allo scontro finale tra governo e forze armate, tuttavia i clamorosi arresti di questi giorni segnalano che uno dei due "contendenti", il premier Erdogan, ha deciso di alzare il livello delle "provocazioni" per cercare di far venire i militari allo scoperto. Cosa che per altro l'attuale capo di stato maggiore generale Basbug per il momento evita di fare come mostra il basso profilo mantenuto in questi giorni. Un atteggiamento, questo, ben diverso da quello tenuto dal suo predecessore Buyakanit.
In questa situazione si affaccia l'ipotesi di elezioni anticipate rispetto alla scadenza naturale del 2011. E' una possibilità, ma sembra difficile che Erdogan, dopo il calo dei consensi che l'Akp ha registrato nelle amministrative di un anno fa, e dopo la fine dell'interlocuzione con il partito curdo, tra l'altro sciolto recentemente dalla magistratura, voglia correre il rischio concreto di trovarsi poi a dover dare vita ad un esecutivo di coalizione con i "kemalisti" del Chp o i nazionalisti del Mhp. E' assai più probabile, invece, che Erdogan sfrutti questo anno senza elezioni per ottenere la riforma della Costituzione.
L'obiettivo del premier - sul quale Bruxelles continua a puntare come garanzia di stabilità per portare a compimento le riforme necessarie all'adesione all'Ue - resta infatti quello di cambiare la Carta del 1982, figlia del golpe militare di due anni prima, per ridurre la "tutela" dei militari e della magistratura sul potere politico. In Parlamento però l'Akp non ha i voti sufficienti per un iter tranquillo. Erdogan sembra intenzionato, quindi, a giocare l'opzione del referendum cercando il consenso popolare presentando la riforma della Carta non come un attacco ai militari, che continuano a godere dei un elevato consenso tra l'opinione pubblica, ma come un passaggio necessario per l'approdo in Europa.
Se questo è lo scenario, gli avvenimenti di questi ultimi giorni letti in filigrana, consentono di avanzare un'ipotesi. Ovvero, che in realtà dietro le posizioni ufficiali sia in atto una sorta di negoziato tra governo e forze armate per trovare un compromesso sulla riforma costituzionale che metta ai margini i settori più oltranzisti delle forze armate e porti ad un accordo accettabile da entrambe le parti. A guardare bene l'ipotesi potrebbe apparire meno fantapolitica di quello che sembra.

giovedì 25 febbraio 2010

L'INTEGRAZIONE EUROPEA DEI BALCANI - 2

Qui di seguito il testo della corrispondenza di Marina Szikora per lo Speciale di Passaggio a Sud Est andato in onda mercoledì 24 febbraio a Radio Radicale e dedicato al processo di integrazione europea dei Balcani occidentali.

Croazia
Giovedi’ scorso, il COREPER, la Commissione di rappresentanti permanenti dell’Ue ha deciso di sbloccare il delicatissimo capitolo Giustizia e diritti fondamentali (23) del processo negoziale della Croazia con l’Ue e ha invitato Zagabria a presentare la posizione relativa a questo capitolo dando anche il segnale verde per l’apertura di due altri capitoli – Ambiente e Pesca. L’Olanda, ultimo tra i Paesi membri che poneva il veto sull’apertura del capitolo Giustizia, settimana scorsa aveva tolto formalmente le sue riserve. Fino alla prossima conferenza di adesione intergoverantiva, in programma il prossimo aprile, la Croazia dovrebbe mandare le sue posizioni negoziali su questo capitolo che e’ gia’ pronto dopodiche’ l’Ue inizia con l’elaborazione della propria posizione. Per quanto riguarda i capitoli Pesca e Ambiente, la Slovenia – altro paese che bloccava il processo negoziale della Croazia su questi due capitoli – ha tolto anch’essa le sue riserve. Il premier sloveno Borut Pahor ha dichiarato che Ljubljana ha deciso di sbloccare i capitoli Pesca e Ambiente dopo negoziati faticosi che sono durati due mesi e che hanno assicurato gli interessi nazionali sloveni. Va sottolineato che Ljubljana ha acconsentito l’apertura di questi capitoli “in base alle garanzie da parte della Croazia che Zagabria non attuera’ la sua legge sulla Zona di protezione ecologica e di pesca (ZERP) nell’Adriatico finche’ la corte di arbitrato non approvera’ la decisione sul confine marittimo e terrestre” ha detto Pahor. Il premier sloveno ha aggiunto che per sbloccare i due capitoli del processo di negoziati croati in questione, e’ stata necessaria molta agevolezza diplomatica e che le cose ora sono risolte. Ha rilevato che questo va a favore sia della Slovenia che dell’Ue ma anche della Croazia i cui negoziati adesso sono accelerati.
Il neocommissario europeo per l’Allargamento e la politica dei vicini, Stefan Fuele ha dichiarato a Zagabria giovedi’ scorso, dopo l’incontro con la premier croata Jadranka Kosor che la conclusione dei negoziati croati con l’Ue entro quest’anno e’ un obiettivo raggiungibile. “Esiste un piano ambizioso e ci sono ancora questioni importanti e sensibili che bisogna risolvere. Il Governo e’ dedicato a realizzare questo piano e esiste un definitivo impegno di questa Commissione” ha detto Fuele. In riferimento al capitolo Giustizia e Diritti fondamentali che per lungo tempo alcuni paesi dell’Ue tenevano bloccati, Fuele ha sottolineato che per quanto riguarda questa tematica non sono importanti soltanto le parole “ma anche l’impegno” della Croazia. Rivolgendosi ai giornalisti prima dell’incontro con il nuovo presidente croato Ivo Josipovic a fine della cerimonia dell’inaugurazione, Stefan Fuele ha detto che tramettera’ gli auguri a Josipovic da parte del presidente della Commissione europea, Jose Manuel Barroso che presto incontrera’ il nuovo presidente croato. Infatti, e’ previsto il primo viaggio di Josipovic all’estero, proprio a Bruxelles, in callendario il prossimo 4 e 5 marzo. Alla domanda dei giornalisti croati se sara’ un commissario duro come lo e’ stato Olli Rehn, il suo predecessore, Fuele ha risposto che sara’ un amico aperto e onesto ma anche duro se necessario.
In una lunga intervista alla TV di stato croata, il neocommissario europeo ha sottolineato l’importanza della soluzione del problema corruzione. Fuele ha salutato le mosse concrete del governo di Jadranka Kosor nella lotta alla corruzzione come un contributo positivo all’atmosfera nella societa’ croata. Ha sottolineato che sono aperti molti casi contro ex alti funzionari. “Un buon esempio a tutti i cittadini della Croazia che dimostra serieta’ del Governo e che non ci sono tabu’ nella lotta contro la corruzione” ha detto Fuele. Ha aggiunto che un certo numero di politici, probabilmente con ragione, hanno fatto sapere chiaramente che senza la nuova cornice, senza il nuovo accordo istituzionale sul governamento dell’Ue non si possono accogliere nuovi stati membri. “Accettando l’Accordo di Lisbona penso che abbiamo tolto questo ostacolo. Non sono certo se vi e’ anche scomparso lo scetticismo di alcuni Paesi membri. In questo senso, ci dobbiamo lavorare intensamente, non soltanto nell’Ue. Con la presidente del Governo abbiamo parlato anche del sostegno dell’opinione pubblica croata all’ingresso della Croazia nell’Ue. Sarebbe difficile convincere i cittadini dell’Ue se il livello di sostegno all’adesione in Croazia sia relativamente basso” ha detto il commissario europeo. Fuele ritiene che ne’ lui ne’ la Commissione Europea non devono limitare i paesi candidati con le date. “I Paesi dovrebbero stabilirle autonomamente con le loro ambizioni poiche’ devono soddisfare i loro compiti. Io sono qui per aiutarli. Ne abbiamo parlato anche in Croazia” ha detto Fuele. “L’allargamento non e’ soltanto un tema di discussione. Esso deve portare anche risultati concreti” ha sottolineato l’eurocommissario per l’Allargamento.

Serbia
La Repubblica Ceca sosterra’ la candidatura della Serbia alla piena adesione nell’Ue e si impegnera’ affinche sia accelerato l’accoglimento della sua richiesta, hanno promesso lunedi’ le autorita’ ceche alla delegazione della Commissione per la politica estera del Parlamento serbo. Una delegazione di parlametari serbi guidata dal presidente della Commissione, Dragoljub Micunovic ha incontrato a Praga i colleghi della Commissione per gli affari esteri della Camera di deputati del Parlamento ceco, il vicempresidente della Camera bassa, Lubomir Zaoralek e il vicepresidente del Senato Petar Pithartom, nonche’ i funzionari del governo e del ministero degli esteri della Repubblica Ceca. “La Repubblica Ceca si impegnera’ a velocizzare l’intero processo della candidatura della Serbia e fara’ di tutto per convincere anche gli altri nell’Ue affinche’ questo processo iniziasse al piu’ presto. La Repubblica Ceca – ha precisato Micunovic – ci offrira’ anche tutta la sua esperienza che aveva ottenuto durante il processo di integrazione all’Ue, vi sara’ uno scambio di esperti e diversi seminari”. Il parlamento Ceco ha accettato l’iniziativa del parlamento serbo di firmare un protocollo di collaborazione nonche’ la proposta di aumentare le borse di studio per gli studenti.
Sempre in connessione con le prospettive europee dei Balcani occidentali, il capo della diplomazia slovena, Samuel Žbogar ha dichiarato lunedi’ a Bruxelles che il presidente serbo Boris Tadić ha promesso di venire alla conferenza dei leader dell’Ue e dei capi di stato dei Balcani occidentali, prevista per il prossimo mese in Slovenia.
Žbogar ne ha pralato con il commissario all’allargamento Stefan Fuele alla riunione dei ministri degli esteri dell’Ue aggiungendo che e’ prevista anche la partecipazione del presidente kosovaro Fatmir Sejdiu a questa conferenza. Al vertice Eu-Balcani Occidentali che sta’ preparando la Slovenia – secondo le parole di Žbogar - sono invitati anche Hermann van Rompej, presidente del Consiglio europeo e Jose Luis Zapatero, premier della presidenza spagnola all’Ue. A causa degli impegni, alla conferenza non potra’ partecipare l’alta rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue Catherine Ashton. Il ministro degli esteri sloveno ha spiegato che l’obbiettivo di questo importante appuntamento e’ di elaborare una dichiarazione congiunta che verrebbe firmata dai leader dei Paesi dei Balcani occidentali in cui esprimerebbero la loro posizione e illustrerebbero la situazione in cui si trovano nonche’ “le loro aspirazioni e i loro impegni per attuare le riforme e realizzare una comune collaborazione”. “Questo sarebbe il messaggio dei leader dei Balcani occidentali all’Ue in vista della riunione che la Spagna sta’ preparando per il prossimo giugno” ha precisato Žbogar. La riunione dei capi di stato e di governo dei Balcani occidentali e dell’Ue a giugno dovrebbe svolgersi a Sarajevo, a dieci anni dopo la riunione di questo tipo che si era svolta a Zagabria.
Žbogar ha sottolineato quindi che il presidente serbo Boris Tadić ha promesso al premier sloveno Borut Pahor la sua partecipazione alla conferenza di marzo che si svolgera’ in Slovenia. Va ricordato qui che il capo dello stato serbo ha rinunciato di partecipare all’inaugurazione del neopresidente croato Ivo Josipovic proprio a causa della presenza del Kosovo, Fatmir Sejdiu che ha partecipato alla cerimonia del giuramento insieme a tutti gli altri capi di stato della regione.

Montenegro
Il 2009 e’ stato un anno importante per i Balcani occidentali e per le relazioni dell’Ue con i Paesi della regione. Nel corso del 2009 e’ stato raggiunto un risultato positivo e pratico nella direzione di avvicinamento dei Balcani occidentali all’Ue. Per quanto rigurada il Montenegro, lo scorso anno e’ stato raggiunto un progresso per quanto riguarda la liberalizzazione dei visti e il processo di riforme e in questo senso Bruxelles ha riconosciuto il fattore di stabilitia’ e l’importanza del Montenegro in quanto partner nella regione. Quest’anno, Podgorica si aspetta ulteriore avanzamento, nonche’ il progresso dei paesi vicini nella stessa direzione, ha detto a Bruxelles il ministro degli esteri del Montenegro, Milan Rocen. “L’importante, non soltanto per il Montenegro ma per tutti noi che viviamo nei Balcani occidentali, e’ il fatto che con l’entrata in vigore dell’Accordo di Lisbona non venga piu’ messa in questione la politica dell’allargamento dell’Ue. Questo offre grande speranza e incorraggiamento a tutti noi che nei Balcani occidentali condividiamo obiettivi europei e euroatlantici comuni” ha detto Milan Rocen.
Da Podgorica arriva il messaggio che dal processo di eurointegrazione hanno imparato finora che tutto dipende da loro stessi, a partire dal rispetto delle procedure, delle norme e degli obblighi e che sulla via europea non ci sono scorciatoie. Il Montenegro, secondo le parole del suo ministro degli esteri, non e’ per questo appesantito da scadenze bensi’ dagli obblighi e compiti che conducono verso l’obiettivo finale che e’ l’ingresso nell’Ue.

Bosnia Erzegovina
Notizie poco incorraggianti arrivano invece dalla Bosnia Erzegovina. La BiH ha perso l'occasione di raggiungere gli altri paesi dei Balcani occidentali che si sforzano a diventare prossimi membri dell'Ue, afferma l'Alto rappresentante per la BiH, Valentin Inzko il cui mandato, secondo la decisione del Consiglio ministeriale Ue, e' stato riconfermato fino al prossimo 31 agosto. Inzko ritiene che le prossime elezioni politiche che si svolgeranno in ottobre in BiH sono molto importanti per il cammino europeo del Paese. «Nei prossimi quattro anni i quali, visto a lungo termine, saranno cruciali per la via verso l'Ue, la BiH necessita di leader politici che metteranno gli interessi dei cittadini della BiH al di sopra degli interessi personali e che avranno sufficente corraggio di prendere decisioni difficili e soluzioni di compromesso» ha detto Inzko in una itervista al quotidiano di Sarajevo 'Oslobodjenje'. L'Alto rappresentante per la BiH non e' ottimista quando si tratta di un progresso vicino nell'adempimento dei cinque obiettivi e delle due condizioni poste dal Comitato amministrativo del Consiglio per l'attuazione di pace in BiH. «Nei giorni scorsi ho avuto incontri con tutti i leader politici non ho sentito da loro nessuna proposta positiva ne' ho notato che le loro posizioni si sono riavvicinate» ha spiegato il diplomatico austriaco. Inzko ha ribadito che soluzioni imposte relative al patrimonio statale non ci saranno. «L'accordo deve essere raggiunto dal Consiglio di ministri della BiH, dai governi di entrambi entita' e del distretto di Brcko. Questo adesso e' il lavoro che loro devono compiere» ha sottolineato Valentin Inzko.

L'INTEGRAZIONE EUROPEA DEI BALCANI - 1

Qui di seguito il testo della corrispondenza di Artur Nura per lo Speciale di Passaggio a Sud Est andato in onda mercoledì 24 febbraio a Radio Radicale e dedicato al processo di integrazione europea dei Balcani occidentali.


Albania e Kosovo
E' giunta in Albania una delegazione dell'assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, nel quadro dei colloqui a favore della soluzione della crisi politica, quale viene considerato dagli opinionisti un esame europeo per Tirana. Come prima tappa, la delegazione ha incontrato il presidente Bamir Topi ed il capo dello Stato ha informato la delegazione di alcuni dei risultati più importanti dell'Albania sulla strada delle riforme dell'integrazione dell'Albania nell'Unione europea. Il presidente Topi ha sottolineato il fatto che l'attuazione degli standard dell'integrazione sono un obbligo, ma anche una necessità per lo Stato albanese al servizio degli interessi principali del popolo ed in funzione di un futuro sicuro e prospero europeo. In questo contesto, il capo dello Stato ha fornito anche una panoramica della situazione politica, ma l'attenzione principale in questa conversazione è stata concentrata sullo sviluppo dei colloqui del tavolo politico tra la maggioranza e l'opposizione, sotto la direzione del presidente della Repubblica. Dopo l'incontro con il presidente Bamir Topi, 10 delegati dell'assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa hanno incontrato anche il presidente del Parlamento Jozefina Topalli ed il primo ministro Sali Berisha. Topalli ha informato per il suo impegno istituzionale a comunicare con qualsiasi membro dell'opposizione, invitandoli a rispettare la Costituzione e il mandato nei confronti del popolo che li ha votati. Il premier Berisha, da parte sua, ha espresso la sua volontà e quella della coalizione di governo di discutere e trovare soluzioni a tutti i problemi bilaterali che riguardano il processo elettorale in Albania. La delegazione del Consiglio d'Europa ha incontrato anche il capo dell'opposizione Edi Rama ma al termine dell'incontro nessun comunicato stampa si e' stato rilasciato. Successivamente tutte le parti sia della delegazione del Consiglio d'Europa che i rappresentanti del governo e dell'opposizione si sono incontrati alla presidenza della repubblica, da cui purtroppo non e' uscito niente di concreto. La delegazione del Consiglio dEuropa ha lasciato Albania, soltanto suggerendo le vie possibili della soluzione.

Dobbiamo aggiungere che l'Alto Rappresentante dell'Unione europea per la politica estera, Catherine Ashton, nel suo tour nei Balcani, quando le è stato chiesto della situazione politica dell'Albania al riguardo dei passi fatti verso l'integrazione europea, ha risposto che non poteva rispondere al momento. E restando sul tour di Ashton nei Balcani dobbiamo informare che una conferenza internazionale sui Balcani occidentali si terrà alla fine di marzo in Slovenia, e noi dobbiamo aggiungere che questa tappa viene considerato come un passo di grande importanza per la regione. "L'obiettivo è che attraverso la conferenza chiediamo la soluzione di alcune questioni in sospeso nella regione", ha detto e il primo ministro della Slovenia, Borut Pahor, aggiungendo che alla riunione parteciperà anche il rappresentante per il Kosovo, che secondo lui sarà rappresentato in modo adeguato. Nonostante cinque paesi dell'Unione Europea non abbiano ancora riconosciuto l'indipendenza del Kosovo, la Ashton ritiene che vi sia un approccio unico dell'Unione Europea che il futuro del Kosovo sia nell'UE. L'Alto rappresentante UE, dopo un incontro con il primo ministro del Kosovo, Hashim Thaci, nella giornata di venerdì scorso, ha elogiato i risultati ottenuti nel Paese, sottolineando che comunque c'è ancora molto da fare. Secondo Ashton il suo lavoro è molto facile per lavorare in un modo collaborativo affinchè la missione Eulex continui a stare lì per fornire il supporto per lo sviluppo economico, per vedere il Kosovo come parte dell'Unione europea. L'Alto Rappresentante ha anche avvertito che le prossime settimane arriverà in Kosovo una squadra dell'Unione europea per fare delle valutazioni per il processo della liberalizzazione dei visti. Mentre il primo ministro Thaci ha espresso il pieno impegno del governo di Kosovo per la piena attuazione dei criteri democratici, precisando che sarà necessario elaborare prima una strategia per l'adesione nell'Unione europea. "Si può dire che il Kosovo è uno stato europeo, ha un futuro europeo e eseguiremo tutte le nostre responsabilità e condizioni, nonchè creeremo delle opportunità per muoverci in parallelo con altri paesi e popoli della regione per integrarsi nell'Unione europea", ha dichiarato Thaci. Ashton, in un'intervista al Financial Times, ha indicato il Kosovo come una delle principali sfide della politica estera dell'Unione Europea. Il quotidiano ha portato come esempio proprio il caso del Kosovo al riguardo delle limitazioni del nuovo capo degli affari esteri dell'UE, che dovrà fare i conti con il fatto che cinque membri dell'UE non hanno riconosciuto ancora il Kosovo indipendente. Invece Catherine Ashton ha ritenuto che le differenze sul riconoscimento dell'indipendenza del Kosovo ci sono, ma che esiste pieno consenso sul fatto che sono programmi indispensabili di assistenza che si formano in Kosovo.


Macedonia
Per quanto riguarda la Macedonia e la principale sua sfida al riguardo dell'integrazione europea, dobbiamo informare che l'europarlamentare sloveno Zoran Thaler, dopo la risoluzione approvata nel Parlamento europeo, ha affermato che le autorità di Skopje e Atene, cercheranno di superare la disputa sul nome e ritiene che la Macedonia verrà inserita nell'agenda di adesione all'UE. Thaler, relatore della risoluzione di Skopje, ha affermato che il documento ha fatto appello alle istituzioni europee e dell'Alto rappresentante per la politica estera Catherine Ashton, affinchè siano attive nel sostegno per superare la disputa sul nome sotto l'egida dell'ONU. Secondo Tahaler, quindi, è importante che la raccomandazione contenga una decisione molto chiara chiedendo che entro marzo sia adottata una decisione positiva per i colloqui con la Macedonia, come raccomandato dalla Commissione. Il vice ministro degli Esteri della Grecia, Dimitris Droutsas, in un'intervista ad un quotidiano tedesco, ha ribadito che la Grecia non è nemico della Macedonia. Egli ha sottolineato che la Grecia è interessata ad una soluzione del problema del nome di Macedonia, al contrario delle speculazioni diramate in territorio macedone sullo Stato greco. Droutsas ha dichiarato per questo giornale tedesco che il Governo di Skopje sta creando un quadro negativo della Grecia negli ultimi anni, pero che secondo lui e' il momento a spiegare al popolo del paese vicino che la Grecia non è un nemico. "La Grecia è un paese amico, che può essere veramente di supporto per Skopje sulla strada verso l'UE. Ma, prima dell'avvio dei negoziati, la questione del nome dovrebbe essere risolto", ha sottolineato Droutsas.


Montenegro
Sul Montenegro, possiamo dire che il nuovo Commissario UE per l'Allargamento, Stephan Fuele, dovrebbe visitare il Montenegro all'inizio di marzo, nell'ambito del più ampio tour regionale nei Balcani. Secondo diversi mass media della regione i problemi certamente non mancano tra Montenegro e Ue, basti pensare alla criminalità, alle gravi condizioni dell'economia e anche alle relazioni dell'Unione Europea con tutta questa regione. Inoltre il Governo montenegrino utilizza tutti i mezzi a sua disposizione per presentarsi come l'unico partner credibile della UE. La cronologia delle nuove relazioni tra UE e Montenegro, inizia il 15 Ottobre del 2007, quando ufficialmente è stato firmato l'Accordo di stabilizzazione e associazione a Lussemburgo. Si è scoperto dopo che la richiesta di candidatura non poteva essere accettata dal Consiglio della UE, perché una parte dei membri aveva riserve sul Montenegro. Ma oggi non e piu' come allora, e secondo diversi opinionisti del Montenegro, non c'è alcuna ragione logica per bloccare il Montenegro anche se c'e' ancora tutto da vedere.

PASSAGGIO SPECIALE - L'integrazione europea dei Balcani

Questa settimana lo Speciale di Passaggio a Sud Est, andato in onda mercoledì 24 febbraio alle 23,30 su Radio Radicale, è dedicato al processo di integrazione europea dei Balcani occidentali. La trasmissione propone in rapida sintesi la situazione dei sette Paesi interessati che, a livello diverso, sono comunque coinvolti nel processo di integrazione nell'Ue.

Il 2009 è stato un anno importante per l'integrazione europea dei Balcani occidentali: la regione ha fatto dei passi avanti e Bruxelles ha rinnovato l'obiettivo dell'integrazione per tutta la regione, anche se i diversi Paesi presentano situazioni e problemi diversi. Significativo il fatto che il nuovo Alto rappresentante per la politica estera dell'Ue, Catherine Ashton, ha scelto proprio i Balcani (per la precisione Bosnia, Serbia e Kosovo) per la sua prima missione in questa veste. Inoltre Bruxelles ha datovia libera alla Slovenia per organizzare una conferenza internazionale sui balcani occidentali che si terrà a Lubiana alla fine i marzo.

Anche per il 2010 si prevede, dunque, che permangano buone prospettive per l'intera regione, soprattutto per Croazia e Serbia e in parte anche per il Montenegro. Non mancano però le situazioni critiche come quella del Kosovo e, soprattutto, quella della Bosnia Erzegovina. Per la Macedonia si spera di riuscire finalmente a superare la querelle con la Grecia per la questione del nome e di sbloccare l'apertura del negoziato di adesione, mentre l'Albania deve risolvere la sua crisi politica interna che ha messo in stallo il processo delle riforme.

Il programma è curato e condotto da Roberto Spagnoli con la collaborazione di Marina Szikora e Artur Nura.

Ascolta lo Speciale Passaggio a Sud Est del 24 febbraio

mercoledì 24 febbraio 2010

SUL PRESUNTO TENTATIVO DI GOLPE IN TURCHIA

Fanno discutere in Turchia e fuori le decine di arresti eccellenti per il progetto di un golpe militare che nel 2003 avrebbe dovuto rovesciare il governo islamico-moderato di Recep Tayyip Erdogan. Forse non fu un tentativo di golpe o forse sì. I commenti di opinionisti e analisti confermano la polarizzazione del Paese.
Il caso non è comunque una novità da quando è stata portata alla luce l'esistenza dell'organizzazione segreta Ergenekon, definita, non senza motivo, la "gladio turca", viste le varie analogie con l'organizzazione segreta italiana. Di certo l'operazione di questi giorni è un nuovo episodio dello scontro durissimo che dura da anni tra militari e governo dell'Akp.

Sul tema segnalo l'intervista per Radio Radicale a Ekrem Eddy Guzeldere, analista presso la sede di Istanbul dell'European Stability Initiative (tenete conto che è stata realizzata ieri, prima che fosse reso pubblico il comunicato delle forze armate che parla di una "situazione grave" nel Paese.

Ascolta l'intervista sul sito di Radio Radicale

martedì 23 febbraio 2010

SUL GOLPE IN TURCHIA MOLTI DUBBI E UNA SOLA CERTEZZA: PROSEGUE LO SCONTRO TRA GOVERNO E ESTABLISHMENT KEMALISTA

I magistrati che indagano sul presunto golpe militare in Turchia hanno cominciato gli interrogatori di 51 ufficiali militari, tra cui gli ex capi di Stato maggiore di esercito e marina, sospettati di aver preso parte al complotto - denominata "Operazione Balyoz" (martello) - che secondo le accuse puntava a rovesciare il governo islamico-moderato del premier Erdogan con una vera e propria strategia della tensione. L'operazione di polizia ha arroventato di nuovo la lotta di potere tra l'establishment kemalista e l'attuale governo che conta ancora un forte consenso elettorale (anche se ridimensionato rispetto al grande successo delle elezioni del 2007).

Il quotidiano Taraf, che in gennaio aveva per primo denunciato il presunto piano golpista ordito nel 2003, oggi gioca con le parole e titola "Il martello più pesante sulla tutela militare", mentre Today's Zaman afferma che l'operazione è partita dopo che esperti hanno stabilito che alcuni documenti, oggetto di una fuga di notizie, erano autentici. Il governo ha smentito che l'operazione abbia moventi politici o sia stata architettata per tacitare i critici del governo, ma questo è proprio ciò che invece sostengono le opposizioni e anche diversi analisti. Ed è quello che si legge oggi anche in molti commenti pubblicati sulla stampa italiana.

Marco Guidi, sul Messaggero, scrive che "l'impressione è che un tentativo di sovvertire la vita politica turca esista davvero, ma che gli islamici l'abbiano lasciato andare avanti per poi colpire duramente", visto che "la storica posizione dei militari come guardiani della politica è indebolita e Erdogan e il suo Akp si possono mostrare come i veri tutori della democrazia". Livio Caputo sul Giornale ritiene che "è lecito dubitare che, in questo ultimo caso, la minaccia fosse veramente consistente, perché nessuno degli arrestati occupava posizioni chiave nella gerarchia militare" e che "i fermi di ieri sembrano piuttosto l'ultimo capitolo della faida che da sempre contrappone il governo del premier Erdogan alle forze laiche e nazionaliste".

Sempre sul Giornale, Gian Micalessin sottolinea che "la verità più nascosta è il cui prodest". Bisogna capire cioè "se quella retata di militari sia veramente una brillante operazione, scattata appena in tempo per sventare un golpe ai danni degli islamici moderati" oppure "una montatura del governo per ridimensionare il potere dei pasha, la potente casta dei generali sospettati di muovere le leve dei poteri forti". In entrambi i casi, scrive Micalessin, "c'è del marcio da vendere". Antonio Ferrari, sul Corriere della Sera, se da una parte ritiene quello del golpe militare come nell'80 uno scenario improponibile, dall'altra sostiene che "quanto è accaduto ieri in Turchia dimostra che lo scontro tra laici e islamici moderati è giunto a una svolta pericolosa". E se "un tempo nessuno avrebbe dubitato della serietà della retata", oggi la situazione è diversa: la Turchia è spaccata in due e "siamo alla resa dei conti tra le due anime del Paese".

Più scettico Carlo Panella su Libero: "Non convince l'accusa di un golpe [...] innanzi tutto perché quando i generali turchi hanno voluto fare un golpe l'hanno sempre fatto e chi stava al governo se n'è accorto solo il giorno dopo". Panella conclude che "è forte il sospetto che Ergenekon ed il suo progettato golpe sia una montatura architettata, o favorita, dall'Akp di Erdogan per eliminare pretestuosamente l'opposizione laica, così come sono fortissime le preoccupazioni per la stessa tenuta del quadro democratico in Turchia". Per lo storico turco Erol Ozkoray, studioso dei colpi di stato militari nel suo Paese, sentito da Marta Ottaviani per La Stampa, "la ragione sta nel mezzo". Ovvero, "Erdogan fa bene a volere ridimensionare il ruolo dei militari e della magistratura, ma è la persona meno indicata per portare a termine questo progetto". Per cui, "chi teme una progressiva islamizzazione del Paese adesso non ha tutti i torti".

Drastico il giudizio del Sole 24 Ore che in un breve commento intitolato "Il vicolo cieco della Turchia", a proposito di "presunto golpe e svolta islamica", parla senza mezzi termini di "ultima trovata del premier turco", annunciata "per alzare lo scontro con la componente laica del paese". Il quotidiano giudica l'operazione di ieri "solo il pretesto per screditare l'opposizione laica rappresentata dal baluardo delle forze armate" e ritiene che il "gioco al rialzo" di Erdogan per ottenere la riforma della Costituzione "rischa di portare la Turchia su una strada senza uscita". "La svolta ottomana preoccupa molto", aggiunge il Sole secondo cui "se ad ogni passo avanti per l'ingresso nell'Unione Europea ne corrispondono un paio indietro, il cammino si fa arduo". Insomma, "una Turchia europea gioverebbe alla Turchia ed all'Europa, ma non ad ogni costo".

E proprio di Turchia ed Europa scrive Enzo Bettiza sulla Stampa, notando prima di tutto che lo "scaltro manovriero" Erdogan ha dato l'annuncio dell'operazione di polizia contro i presunti golpisti durante la visita ufficiale in Spagna, presidente di turno dell'UE, perché "tra i diversi tavoli sui quali abilmente Erdogan punta le sue carte, quello europeo ha un posto preminente". Secondo Bettiza il premier turco "ha di fatto lanciato all'Europa una sfida o meglio l'enigma di un concetto ossimorico: se voi europeo volete davvero europeizzare la Turchia dovete condannare l'europeismo militarizzato ed eversivo degli stati maggiori e solidarizzare con l'europeismo evoluzionista e progressivo degli islamici moderati e non violenti".

lunedì 22 febbraio 2010

TENTATO COLPO DI STATO IN TURCHIA, MA E' VERO GOLPE?

Sventato un colpo di stato militare in Turchia, quaranta persone fermate. Lo ha annunciato oggi il premier Recep Tayyip Erdogan, in visita in Spagna. L’indagine dovrebbe essere nata dalle rivelazioni del quotidiano Taraf che lo scorso gennaio aveva scritto dell’esistenza di un piano per rovesciare il governo denominato "Balyoz" (martello). Il progetto golpista potrebbe a sua volta essere ricollegabile a "Ergenekon", l'organizzazione segreta che ha come obiettivo la destabilizzazione del Paese e il rovesciamento del governo islamico-moderato dell'Akp e nella quale sarebbero coinvolti ambienti militari, settori deviati dei servizi segreti, elementi nazionalisti, giornalisti e malavitosi, il cosiddetto "stato profondo".

Tra le persone finite in manette oggi ci sono altissimi ufficiali dell’esercito turco, alcuni dei quali vengono definiti «pasha», un titolo onorifico dei tempi dell’impero ottomano. Tra gli arrestati ci sono l’ex vice capo di stato maggiore generale Ergin Saygun, l’ex capo di stato maggiore dell’aeronautica generale Ibrahim Firtina e il capo ammiraglio della Marina Ozden Ormek oltre a due alti gradi militari in pensione: il generale Cetin Dogan e il generale Suha Tanyrli. Firtina e Ornek erano già stati interrogati in passato nell’ambito dell’inchiesta su Ergenekon. Da segnalare inoltre il fermo di Ozden Ornek, autore di alcuni controversi diari usciti nel 2004 che parlavano di un golpe in preparazione da parte di quattro alti ufficiali dell'esercito.

I golpisti, secondo l’accusa, avrebbero avuto l'intenzione di attuare una vera e propria strategia della tensione con una serie di attentati a moschee che avrebbero dovuto spingere i fedeli a manifestazioni violente. Per destabilizzare ulteriormente il quadro politico si sarebbe dovuto poi provocare un incidente aereo con la Grecia per compromettere anche la politica internazionale del governo. Obiettivo di tutta l’operazione: giustificare un intervento in difesa dello Stato da parte delle forze armate che non hanno esitato a rovesciare almeno quattro governi dal 1960 ad oggi. Dall’avvento al governo di Erdogan, nel 2002, non sono mancate insofferenze e tensioni anche gravi tra i militari e il nuovo establishment. Il capo di Stato maggiore, il generale Ilker Basbug, intanto ha annullato un viaggio ufficiale in Egitto a riprova che la situazione è seria.

Erdogan da parte sua per ora non ha fornito molti dettagli sull'operazione della polizia i cui contorni, come accade sempre in questi casi, restano vaghi, mentre il ministro dell’Interno Besir Atalay, in Spagna col premier, si è limitato a dichiarare di stare seguendo "da vicino" gli sviluppi della vicenda. Non si è tenuto, invece il vicepremier Bulent Arinc che, parlando alla CNN-Turk, ha rilasciato dichiarazioni entusiaste dicendo che non avrebbe "mai sognato" che si potesse avverare quanto sta accadendo e che "le cose andranno meglio quando coloro che non hanno mai pagato per i loro comportamenti cominceranno a pagare". C'è però chi non ci sta e denuncia l'ennesimo tentativo del governo dell'Akp di intimidire e ridurre al silenzio l’opposizione. Alcuni analisti sostengono che la notizia sarebbe una montatura per far riguadagnare consensi al governo in un momento di crisi.

Altri ancora fanno notare che il tentato e mancato golpe avrebbe dovuto avvenire tra il 2002 e il 2003. Perché l’attuale governo turco sceglie di denunciare la minaccia adesso, a sette anni dai fatti? Perché è ancora pericolosa? O per colpire l'immagine dei militari? O per preparare il terreno ad una riforma costituzionale, per altro chiesta anche dall'Ue, che sottragga alle forze armate il compito della difesa della costituzione?

Considerando molte cose accadute negli ultimi mesi verrebbe da chiedersi se alla base dell'operazione di oggi non possa esserci addirittura una sorta di accordo tra governo e forze armate per gestire il ridisegno del potere imposto dalle riforme richieste per l'ingresso nell'Unione europea. Oppure se non si tratti di un "ballon d'essai" per saggiare umori, reazioni e capacità di resistenza dell'establishment militare. Queste ipotesi sanno però un po' troppo di fantapolitica. Certo, se i militari decideranno in un modo o nell'altro di non reagire sarà un segno che in Turchia molte cose stanno cambiando e che sta forse finendo l'anomalia che aveva portato le forze armate a detenere (ed esercitare) una tutela sulle istituzioni civili in nome della difesa della laicità e dell'eredità kemalista.

TWO YEARS ON, KOSOVO ALBANIANS MORE SOBER ABOUT THEIR INDEPENDENCE

From The Gallup Balkan Monitor

February 17th 2010
On the second anniversary of Kosovo’s declaration of independence from Serbia, a look at the latest Gallup Balkan Monitor results showed Kosovo Albanians as being less positive toward independence. Seventy-five percent of Kosovo Albanians said independence was a good thing, down from 93% who said so in 2008. One in five Kosovo Albanians said they did not have an opinion. Furthermore, 80% of Kosovo Serbs believed that independence was a bad thing, statistically unchanged since 2008.
Despite being less positive that Kosovo’s independence was a good thing, almost half (48%) of Kosovo Albanians said things in the country were going in a good direction. Hardly any Kosovo Serbs agreed with that (2% vs. 86% who disagreed). The proportion of Kosovo Albanians who said the country was going in a good direction is among the highest in the Western Balkan region. Some of the lowest proportions were seen in Croatia (8%), Bosnia and Herzegovina (16%), and Serbia (21%).
Looking to the future, a large majority of Kosovo Albanians and Serbs said they would not be ready to accept a division of Kosovo with the Serbian territory joining Serbia as part of the final peace settlement. Such a solution would not be acceptable to 94% of Kosovo Albanians and 82% of Kosovo Serbs. More than 1 in 10 Kosovo Serbs (12%) said they could accept such a division.
While 65 United Nations member states have recognized Kosovo’s independence, 80% of Kosovo Serbs said Serbia would never accept this. Furthermore, almost two-thirds (64%) of Serbian respondents said Serbia would never recognize such independence.

PASSAGGIO IN ONDA

Passaggio a Sud Est è in onda il sabato alle 22,30 su Radio Radicale


Il sommario della puntata del
20 febbraio 2010

 
Kosovo: la situazione a due anni dall'indipendenza, con un'intervista all'ambasciatore italiano a Pristina Michael L. Giffoni
Croazia: l'insediamento ufficiale del terzo presidente Ivo Josipovic
 
Gli altri argomenti riguardano:
l'integrazione europea dei Balcani (con la missione dell'alto rappresentante europeo Catherine Ashton a Sarajevo, Belgrado e Pristina), gli sviluppi della crisi politica in Albania, i sospetti sull'uso irregolare dei fondi europei in Macedonia e gli sviluppi della disputa sul nome con la Grecia. Di Kosovo si parla anche a proposito della ripresa del processo ad Albin Kurti, leader del movimente "Vetevendosje" (Autodeterminazione) per le manifestazioni del 2007.
 
La trasmissione è curata e condotta da Roberto Spagnoli con la collaborazione di Marina Szikora e Artur Nura.

Tutte le puntate sono riascoltabili sul sito di Radio Radicale.

sabato 20 febbraio 2010

LA MAFIA SERBA E IL TRAFFICO DI COCAINA

Comprare cocaina in Sud America direttamente dai cartelli produttori, occuparsi del trasferimento in Europa e rivenderla alle organizzazioni che ne controllano il commercio nel Vecchio Continente: un'agenzia di servizi organizzata, efficiente che si assume buona parte dei rischi ed offre così prezzi competitivi. E' questo modo che le organizzazioni criminali serbe stanno acquisendo un ruolo sempre più importante nel traffico internazionale di droga, insieme a quelle montenegrine. Ma mentre in Serbia è emersa progressivamente la volontà politica di combattere le organizzazioni criminali, anche con strumenti legislativi e procedurali (come per esempio la legge sulla confisca dei beni mafiosi studiata in collaborazione con l'Italia e che sta dando i primi risultati concreti), la situazione del Montenegro resta ancora opaca, mentre la collaborazione delle autorità resta scarsa. Le indagini su uno scandalo scoppiato di recente su un traffico di stupefacenti stanno scuotendo pesantemente il sistema istituzionale montenegrino, in primo luogo polizia e sistema finanziario, mettendo a rischio la credibilità dello Stato.

Sull'argomento segnalo un'intervista che ho fatto a Cecilia Ferrara, corrispondente di Osservatorio Balcani e Caucaso da Belgrado, nella quale traccia una mappa della criminalità organizzata serba e montenegrina e della sua evoluzione dagli anni delle guerre jugoslave, del potere di Milosevic e del famigerato comandante Arkan, ai primi anni dopo la caduta della dittatura, con il predominio del "clan di Zemun" e l'assassinio del premier democratico Zoran Djindjic, fino alla realtà attuale fatta di una galassia di gruppi strutturati come una holding criminale in ascesa nel mercato illegale della cocaina. L'intervista è è andata in onda in diretta nel Notiziario Antiproibizionista di Radio Radicale del 15 febbraio 2010.

Ascolta l'intervista a Cecilia Ferrara

venerdì 19 febbraio 2010

CIPRO NORD, I RADICALI: BENE LA MEDIAZIONE DELL'ITALIA. ROMA CONCEDA UNO STATUS COME QUELLO DI TAIWAN

"Esiste una finestra di opportunità" per un accordo di riunificazione di Cipro "che non va persa". Lo ha detto tre giorni fa il presidente della repubblica di Cipro Nord Mehmet Ali Talat, nel corso di una conferenza svoltasi presso l'Istituto Affari Internazionali (Iai), a Roma. Talat ha ricordato che il 18 aprile si terrano le elezioni presidenziali a Cipro Nord e che in vista di quella data è necessaria una soluzione per l'isola divisa in due dal 1974. I negoziati tra greco-ciprioti e turco-ciprioti in corso dalla fine del 2008 nelle ultime settimane si sono intensificati, ma se entro aprile non si giungerà a un accordo la finestra di opportunità verrà fortemente limitata e anche dovesse essere rieletto, ha detto Talat, "non potrò negoziare all'infinito, si arriverà comunque a una stagnazione". Il fatto è che Talat ha bisogno di chiudere un accordo accettabile da spendere in campaga elettorale per cercare di battere i nazionalisti che hanno già vinto le politiche dello scorso anno ed è favorita nei sondaggi. E' però vero che la destra che guida l'attuale governo è meno disposta a cercare un compromesso per la riunificazione. Per questo Talat chiede "l'aiuto della comunità internazionale, perché una soluzione è nell'interesse di tutti".

Spiegando i passi avanti fatti finora nell'ambito dei negoziati con il presidente greco-cipriota Dimitris Christofias, Talat ha spiegato che su questioni come governance e condivisione del potere, economia e affari Ue, l'intesa è quasi raggiunta, anche se ha ammesso che su questioni cruciali come la restituzione delle proprietà ai profughi e la presenza delle truppe turche sull'isola molto resta amcora da fare. Quello delle proprietà resta il capitolo più difficile condiziona tutti gli altri. I greco-ciprioti chiedono la completa restituzione degli immobili di cui erano proprietari nel nord prima dell'intervento militare turco nel 1974 e portano a loro sostegno alcune sentenze internazionali. "Queste sentenze influenzano negativamente i negoziati, perché sono del tutto discriminatorie per i turco-ciprioti", ha detto Talat secondo il quale "queste sono questioni che non si decidono con le sentenze". Ma sia la Corte europea per i diritti dell'uomo che alcuni tribunali britannici hanno più volte affermato la legittimità delle sentenze pronunciate a Cipro Sud a favore della restituzione delle terre ai greco-ciprioti. Talat sostiene però che quelle sentenze ignorano il fatto che i tribunali del sud non prendono in esame le richieste dei turco-ciprioti ritenendo che esse potranno essere prese in considerazione solo dopo la riunificazione.

Talat respinge l'ipotesi che Cipro possa essere definitivamente divisa in due stati, entrambi riconosciuti a livello internazionale, perché mentre "per l'opinione pubblica del nord è un'ipotesi possibile, i cittadini del sud non lo accetterebbero mai". Il presidente di Cipro Nord si è detto comunque ottimista sulla possibilita' di giungere a una soluzione in tempo utile, "perche' i fattori internazionali sono tutti a favore", anche se "bisogna lavorare duro" ed "essere disposti al compromesso, perche' nessuna delle due parti può avere tutto". Per questo, a suo giudizio, "serve una leadership forte per difendere il compromesso dalle forze contrarie, tra cui anche alcuni esponenti del mio governo". Talat ha annunciato l'intenzione di chiedere aiuto all'Italia "che puo' agire come un attore imparziale". Secondo Talat, nell'ambito dell'Unione Europea, "Paesi come Italia e Germania, che hanno anche ottimi rapporti con Turchia e Grecia, possono giocare un ruolo importante" per arrivare ad una soluzione accettabile, ma ha precisato che per il successo dei negoziati serve "un'azione congiunta" nell'ambito dell'Ue.

L'intenzione di Talat di chiedere la mediazione italiana ha suscitato una reazione positiva da parte dei parlamentari Radicali Marco Perduca e Maurizio Turco secondo i quali "un primo segnale che la Farnesina potrebbe dare sarebbe quello di riconoscere alla rappresentanza della Repubblica Turca di Cipro Nord uno status come quello che da anni viene garantito a Taiwan". Per gli esponenti Radicali, il riconoscimento di tale status sarebbe "un gesto concreto a sostegno di chi da anni ha intrapreso il cammino del dialogo per garantire i diritti civili e politici della comunita' turco-cipriota su basi politiche e di pieno rispetto delle recenti decisioni delle Nazioni unite". Ricordo che da qualche hanno sia Turco che Perduca sono in possesso della cittadinanza turco-cipriota.

giovedì 18 febbraio 2010

PER RAGIONARE SUL FUTURO DEL KOSOVO E DEI BALCANI

Segnalo due interessanti articoli che fanno il punto sulla situazione politico-diplomatica della questione del Kosovo e propongono delle riflessioni  e delle indicazioni per ragionare intorno al futuro possibile di tutta la regione balcanica.

Il primo è un articolo di Ian Bancroft pubblicato dal Guardian intitolato EU divisions over Kosovo get deeper. Ian Bancroft è co-fondatore di TransConflict, un'organizzazione che si occupa di progetti di trasformazione dei conflitti in tutti i Balcani occidentali.


Il secondo articolo è di Pietro Paolo Proto, esperto di cooperazione internazionale che ha lavorato per il ministero degli Esteri e per il Centro Studi di Politica Internazionale, è intitolato La tormentata strada del Kosovo verso l’Ue ed è disponibile sulla rivista on-line AffarInternazionali.

Ringrazio Beppe per avermeli segnalati attraverso il suo blog.

CONFERENZA SUI BALCANI: IL PRIMO SCOGLIO SI CHIAMA KOSOVO

E' iniziato a Sarajevo il tour balcanico dell'Alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza, Catherine Ashton, che ha scelto i Balcani (e segnatamente un paese, la Bosnia Erzegovina, con una situazione interna molto delicata) come destinazione della sua prima visita ufficiale in Europa. Dopo Sarajevo la Ashton si recherà a Belgrado dove incontrerà i rappresentati delle Ong serbe più attive prima di incontrare il premier Mirko Cvektovic e poi il presidente della repubblica, Boris Tadic. Il "ministro degli Esteri europeo" concluderà poi il suo viaggio a Pristina, capitale del Kosovo. Sarajevo, Belgrado e Pristina, un trittico significativo, in coincidenza con l'insediamento del nuovo presidente croato a Zagabria, per dire che "le porte dell'Ue sono aperte ai Paesi della regione", come ha anticipato lei stessa in una intervista pubblicata dal quotidiano serbo, Vecernje Novosti, dopo che all'inizio del suo aveva definito i Balcani occidentali una "priorità della politica estera Ue". E proprio in quest'ottica, alla vigilia della sua partenza, la Ashton ha dato l'ok all'iniziativa del premier sloveno, Borut Pahor, di organizzare in marzo una Conferenza sulle prospettive europee dei Balcani insieme a Consiglio d'Europa e Commissione Europea: sarebbe la prima volta dopo 18 anni che i rappresentanti di tutti i Paesi dell'area tornano a riunirsi intorno allo stesso tavolo per discutere del futo della regione.
 
E qui, però, sorgono i problemi. Della conferenza si comincia appena a discutere che subito, infatti, emerge la questione del Kosovo che ieri ha festeggiato il secondo anniversario dell'indipendenza, ma ancora non è riconosciuto dalla Bosnia, dalla Serbia e da cinque dei 27 Paesi dell'Ue, tra cui la Spagna, attuale presidente di turno. Il primo ministro sloveno Borut Pahor ha assicurato che Pristina "sarà rappresentata in maniera adeguata", espressione diplomatica che rivela la prima seria difficoltà organizzativa. Dato che per ora non è stato precisato cosa significhi "rappresentanza adeguata" dei delegati kosovari, si preannuncia un difficile negoziato per definire un livello di rappresentanza dei delegati di Pristina che possa risultare accettabile ad entrambe le parti. La posizione serba, infatti, è chiara: se i rappresentanti kosovari parteciperanno alla Conferenza a titolo personale o come parte della missione Unmik (la missione Onu in Kosovo) o della Kfor (il contingente militare multinazionale della Nato), Belgrado non porrà obiezioni. Non potrà invece accettare che i delegati di Pristina siano accolti come rappresentanti di un’entità statale che la Serbia non accetta di riconoscere. E una conferenza internazionale sul futuro dei Balcani che si svolgesse senza la Serbia, oltre ad essere impensabile, non avrebbe nessun senso.

CROAZIA: JOSIPOVIC DA OGGI E' PRESIDENTE

La Croazia ha da oggi ufficialmente il suo terzo presidente dall'indipendenza del 1991. Ivo Josipovic, candidato socialdemocratico eletto al ballottaggio dello scorso 10 gennaio con il 60% dei consensi che inizia il suo mandato in coabitazione con il governo conservatore guidato da Jadranka Kosor. I due devono portare il Paese fuori dalla grave crisi economica che l'ha pesantemente colpito, con un Pil calato di circa il 6% nel 2009 e un tasso di disoccupazione che sfiora il 17%, il più alto da tre anni a questa parte. Altro fondamentale obiettivo è l'ingresso nell'Unione Europea entro il 2012. Adesione all'UE e lotta dura alla corruzione sono le priorità assolute del cinquantaduenne giurista e compositore di musica classica che eredita la guida della Croazia dopo i due mandati consecutivi di Stjepan Mesic.

La cerimonia di insediamento è iniziata oggi a mezzogiorno nella storica piazza di San Marco a Zagabria. Il palco, dominato da un'onda blu con il sombolo nazionale, la bandiera croata e quella dell’UE, è stato ideato dal famoso scenografo Ivica Propadalo che ha spiegato ai giornalisti che l’idea conduttrice e’ stata quella che Ivo Josipovic e’ un presidente nuovo e diverso, cioè "un vento nuovo, qualcosa di nuovo nello Stato croato". Significativa la scritta sul tavolo sul quale il Josipovic ha firmato il giuramento:.la frase in latino "Obliti privatorvm pvblica curate" che si trova nel Palazzo ducale a Dubrovnik e che significa "dimentica il privato, lavora per il comune". Sul palco anche quattrocento amarillis bianchi che sembavano crescere dalla scena, come un campo di fiori.

Un migliaio le personalità presenti alla cerimonia, tra cui dieci capi di stato: i presidenti di Ungheria, Albania, Slovenia, Polonia, Macedonia, Kosovo, Montenegro, Bulgaria e Slovacchia nonche’ il presidente di turno della presidenza tripartita della Bosnia Erzegovina. La Commissione europea era rappresentata dal commissario all'allargamento Stefan Fuele, mentre la Spagna, presidente di Turno dell'UE era rappresentata da Francisco Javier Roja Garcia. E ancora per gli Stati Uniti il vice di Hillary Clinton, Jacob Law, per la Cina il ministro per la Cultura, Cai Wu, per la Svezia il ministro degli Esteri Carl Bildt, per la Francia il segretario di stato per gli Affari europei, Pierre Lelluche. L'Italia era rappresentata dal ministro delle Politiche comunitarie, Andrea Ronchi, che ha formulato al nuovo presidente i migliori auguri di buon lavoro e parlando con i giornalisti ha spiegato di essere "convinto che il percorso di integrazione europea della Croazia e di tutti i Balcani Occidentali rappresenterà un passaggio fondamentale per la stabilità nella regione".

Nel suo primo discorso da nuovo capo dello stato, Josipovic ha sottolineato l'importanza di un'azione politica che rispetti i valori di giustizia e uguaglianza, i diritti umani e quelli delle minoranze e porti avanti con convinzione la lotta a corruzione e criminalità organizzata. Il nuovo presidente ha sottolineato l'importanza di mantenere buoni rapporti con i paesi vicini, che sono presupposti per la pace, la stabilità e la sicurezza. "Questa è la mia priorità", ha detto. La comunità internazionale attende dal nuovo presidente croato un nuovo slancio per la normalizzazione dei rapporti con la Serbia, ritenuto dall'UE un passaggio chiave nel quadro della stabilizzazione dei Balcani occidentali. Ma su questo aspetto cruciale proprio oggi c'è stato il primo intoppo. La notizia del giorno, infatti, è senz'altro l'assenza del presidente serbo Boris Tadic che ha deciso di disertare la cerimonia di insediamento di Josipovic dopo la conferma della partecipazione di Fatmir Sejdiu, presidente del Kosovo, la cui indipendenza è stata riconosciuta da Zagabria, ma a cui Belgrado si oppone duramente in tutte le sedi politiche e diplomatiche.

"Mi dispiace che il presidente Boris Tadic non abbia voluto venire: penso che sia un'occasione persa per iniziare al più presto il dialogo”, ha detto il neo presidente croato in una intervista all’agenzia serba FoNet. Josipovic ha tenuto comunque a precisare di non considerare il rifiuto di Tadic un atto di ostilità né verso la Croazia, né verso di lui personalmente. Josipovic giudica questa decisione un'aspetto della politica serba che però non è detto che sia ragionevole e che porti dei risultati. Il nuovo pesidente croato ha sottolineato comunque che si tratta di un affare della Serbia in cui non vuole interferire e tende una mano a Belgrado esprimendo la speranza di poter incontrare Tadic al più presto affinché le diverse posizioni della Serbia e della Croazia sul Kosovo non influenzino le future relazioni bilaterali. Josipovic ha sottolineato che l'attuale generazione di politici non ha il diritto di lasciare in eredità alle prossime problemi aperti che devono invece essere risolti.


Dal sito di Radio Radicale
Intervista al presidente croato Ivo Josipovic
L'intervista è stata realizzata il 12 gennaio scorso subito dopo l'elezione

Intervista a Dijana Plestina
Dijana Plestina insegna scienze politiche negli Usa, è consulente del ministero degli Esteri croato (si occupa in particolare del problema delle mine antiuomo) ed è la vedova di Ivica Racan, ex premier, leader socialdemocratico, protagonista dell'indipendenza della transizione democratica e dell'integrazione europea della Croazia

[Collaborazione di Marina Szikora]

IL KOSOVO IN CERCA DI UNO STATUS INTERNAZIONALE

Di Artur Nura
Corrispondente di Radio Radicale. Il testo che segue è la trascrizione di una parte della corrispondenza per la puntata del 17 febbraio dello Speciale di Passaggio a Sud Est dedicato ai due anni di indipendenza del Kosovo

Il Kosovo celebra oggi [ieri 17 febbraio per chi legge, n.d.r.] i due anni dalla proclamazione d'indipendenza dalla Serbia in una situazione di incertezza e precarieta', con la crisi economica che si fa sentire in modo sempre piu' pesante, però con un entusiasmo tradizionale sia della politica che della societa kosovara. In realta' tutti attendono il verdetto della Corte internazionale di giustizia, alla quale la Serbia ha chiesto di pronunciarsi sulla legittimita' dell'indipendenza proclamata unilateralmente da Pristina il 17 febbraio 2008: ma oggi 17 febbraio 2010 si festeggia sia a Prishtina che a Tirana, Tetovo ed altrove in territori albanesi.
Dall’altro canto dobbiamo anche informare che in occasione del secondo anniversario di indipendenza del Kosovo, il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha già inviato al suo omologo del Kosovo Fatmir Sejdiu un messaggio di augurio. "In nome del popolo americano, mi congratulo con lei e con i cittadini del Kosovo per il secondo anniversario di indipendenza. Desidero congratularmi con il popolo del Kosovo per il progresso nella costruzione di una società democratica, pacifica e multietnica", scrive nel suo messaggio Obama. Inoltre, il presidente Obama nel suo augurio esprime apprezzamento e sostegno per il Kosovo, per i passi necessari verso le aspirazioni euroatlantiche precisando. "In questo 17 febbraio, vi porgo i miei auguri, esprimendo la mia fiducia nella continuazione e nel rafforzamento dell'amicizia e della collaborazione tra i nostri due Paesi”.
Invece, l’ex Segretario di Stato Americano, Madeleine Albright, in una sua dichiarazione ha affermato che il suo maggiore successo nella sua carriera diplomatica è stata "l'aver messo fine all’epurazione etnica in Kosovo, e di conseguenza aver dato a libertà a questo paese". Secondo i media Albanesi Albright ha dichiarato: "Se volete sapere ciò che considero di più importante nella mia carriera come Segretario di Stato Americano, penso che essa sia la sospensione dell’epurazione etnica in Kosovo". "Inizialmente sono stati fatti dei tentativi perché la situazione venisse risolta in via diplomatica sotto l'ombrello delle Nazioni Unite. La questione è stata discussa anche con i colleghi russi. Alla fine ci siamo rivolti alla NATO, mediante l'attuazione di un'operazione di successo e oggi il popolo del Kosovo, vive libero”, ha concluso le sue dichiarazione l’ex segretario di stato USA.

Ricordando ancora una volta che non hanno ancora riconosciuto il Kosovo indipendente Spagna, Romania, Grecia, Slovacchia e Cipro dobbiamo sottolinerare che Belgrado, appoggiata dalla Russia - alleato storico della Serbia - si rifiuta di riconoscere l'indipendenza e continua a considerare il Kosovo una sua provincia meridionale. Secondo una sua analisi portata dalla rivista britannica “The Economist: quale cita fonti diplomatiche di alcuni paesi dei Balcani, come Kosovo, Bulgaria e Macedonia, risulta che la Russia potrebbe costruire una base militare in Serbia, proprio al confine con il Kosovo. Sull'installazione di una base dell'esercito russo in Serbia, si sono circolati speculazioni sin dalla visita del presidente Dmitri Medvedev a Belgrado, nell'autunno dell'anno scorso, ma fonti del Ministero della Difesa russo hano respinto allora tali dichiarazioni, pur confermando che è stata esaminata la possibilità di creare un centro russo-serbo per il coordinamento logistico per le emergenze a Nis.
L'Economist nel riportare tali osservazioni, ripete più volte le parole dei rappresentanti della NATO, che non sembrano preoccuparsi della presenza russa a Nis, ma l'analista britannico continua a collegare la cooperazione serbo-russa, con il "sentimento nazionalistico" serbo, perchè non intende rinunciare al Kosovo, nonostante Stati Uniti e UE invitano a mettere da parte tale retorica. Dobbiamo anche aggiungere che nei mesi scorsi, il Kosovo e' divenuto membro del Fondo monetario internazionale (Fmi), e della Banca mondiale, ma l'obiettivo ultimo di entrare a far parte dell'Onu sembra ancora lontano, certo con la posizione di Belgrado che e' destinata a condizionare ogni decisione al riguardo.

''Il Kosovo non entrera' mai a far parte delle Nazioni Unite senza il consenso della Serbia'', ha detto qualche giorno fa il presidente serbo Boris Tadic! Pero dall’altro canto, sembra che secondo Prishtina sul questo campo difficile potrebbe aiutare molto anche la Turchia, specialmente al riguardo dei Peasi Islamici membri dell’ONU. In effetti, su invito del suo omologo Abdullah Gul, il Presidente del Kosovo, Fatmir Sejdiu, si è recato in Turchia per una due-giorni di visita ufficiale. I Presidenti Gul e Sejdiu, hanno tenuto un incontro e successivamente una conferenza stampa congiunta. Entrambi i Presidenti hanno definito i rapporti tra i due paesi come eccellenti, in forza dei quali Gul ha promesso un impegno continuo nel sostegno di Pristina nella strada verso l'integrazione europea riconoscimento internazionale, visti i progressi compiuti dal Kosovo dopo l'indipendenza. "I popoli dei nostri due paesi hanno una piena solidarietà l'uno con l'altro. Siamo a favore dell'inserimento del Kosovo in tutte le organizzazioni internazionali di cui noi già siamo parte e continueremo a farlo sempre, con una lobbying ovunque e costante per il riconoscimento dell’indipendenza della Repubblica di Kosovo", ha affermato Gul.
Stando alle relazioni di Belgrado e Tirana al confronto Prishtina, dobbiamo aggiungere che Tirana da tutti viene considerato da sempre come un moderatore razionale nella regione, pur non nascondendo il sotengo al riguardo del Kosovo indipendente. Il Vice Primo Ministro e Ministro degli Affari Esteri Ilir Meta, ha tenuto di recente un incontro con il Vice ministro degli Affari Esteri del Kosovo, Vlora Citaku. Gli sviluppi in Kosovo e nella regione, le prestazioni del processo di riconoscimento del Paese, l'aiuto e il sostegno per il consolidamento delle sue istituzioni, i processi di integrazione euroatlantiche e le relazioni bilaterali tra Pristina e Tirana, sono stati i principali argomenti al centro dei colloqui.
Meta ha confermato a Citaku che il governo albanese è impegnato a portare avanti il processo di riconoscimento dell'indipendenza del Kosovo, e che farà tutto ciò che è in suo potere per garantire la partecipazione del Kosovo in tutti i forum ed i progetti di cooperazione regionale. "La Repubblica del Kosovo ha percorso in un tempo molto breve una strada che ha lasciato forti tracce nel fondamento di questo paese e che si riflette anche nel riconoscimento internazionale e nel progresso delle istituzioni del Kosovo", ha detto Meta.

Sembra che tali passi di Tirana non piacciano a Belgrado. Al Forum Economico per gli investimenti nel Sud Est Europeo a Verona, al quale ha partecipato anche il ministro albanese dell'Economia, del Commercio e dell'Energia, Dritan Prifti. Egli nel suo discorso, ha definito il Kosovo come un paese attraente per gli investitori stranieri, suscitando così lo sdegno del Ministro serbo del Commercio, Slobodan Milosavljevic. Quest’ultimo ha interrotto l'intervento di Prifti, chiedendo di leggere una dichiarazione ufficiale nella quale chiede il rispetto della risoluzione 1244 delle Nazioni Unite.
Invece parlare della situazione interna del Kosovo e le prese di posizioni di Tirana dobbiamo informare che secondo il Ministro della Difesa, Arben Imami a nome del governo albanese nel corso della riunione di oggi con il Presidente del Kosovo, Fatmir Sejdiu ha dichiarato che con la creazione di strutture parallele da parte di Belgrado, nel Nord del Kosovo, si sta cercando di ostacolare l'operato della NATO nel paese. Il Ministro Imami e il presidente Sejdiu hanno discusso a lungo della questione della sicurezza e della stabilità in Kosovo, considerato dagli esponenti internazionali come una storia di successo. Imami ha detto che l'Albania sosterrà con tutte le sue forze l’integrazione del Kosovo nelle organizzazioni regionali come primo passo a seguito della sua integrazione euro-atlantica. Il ministro Imami ha presentato al presidente Sejdiu anche il contributo che il governo albanese fornirà per le Forze di Sicurezza del Kosovo, che sarà concretizzato con un accordo che sarà firmato domani dal ministro Imami e dal Ministro della FSK, Fehmi Mujota.
E per concludere e stare questa volte alle dure polemiche tra Pristina e Belgrado, dobbiamo aggiungere che si sono rese ancora più difficili dall'avvicendarsi dei nuovi piani di "integrazione" della regione del nord del Kosovo. Il Presidente del Parlamento del Kosovo, Jakup Krasniqi, ha infatti avvertito Belgrado che "gli albanesi di Presevo e Bujanovac sono pronti ad unirsi al Kosovo, se i serbi nel nord del Kosovo pensano di chiedere la secessione". "Se una parte dei serbi non è pronto a vivere nella parte settentrionale e pensano di poter frammentare il Kosovo, allora gli albanesi della valle di Presevo sono pronti ad aderire al Kosovo", ha detto Krasniqi per i media di Pristina.

DISCRIMINATI E INQUINATI: LA CONDIZIONE DEI ROM DEL KOSOVO

Avvelenati dai residui industriali, nel mirino della polizia, discriminati, senza diritti: prima vittime del conflitto tra serbi e albanesi, poi dell'Europa che li scaccia e del governo di Pristina che se li deve riprendere. E' la situazione dei rom del Kosovo rifugiati a Mitrovica descritta da Alberto D'Argenio in un lungo articolo pubblicato dal Manifesto il 14 febbraio. D'Argenio ha intervistato anche Thomas Hammarberg, commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa, che senza mezzi termini descrive la situazione dei rom nei campi di Mitrovica "uno scandalo internazionale". Già un anno fa Hammarberg aveva compiuto una missione in Kosovo per valutare la situazione e aveva lanciato l'allarme. Ora, dopo un nuovo severo rapporto, lo ripete, ma l'Europa ha ben altro di cui occuparsi in questo momento.

Leggi l'articolo di Alberto D'Argenio sul Manifesto

Leggi l'intervista a Thomas Hammarberg

mercoledì 17 febbraio 2010

KOSOVO: L'INDIPENDENZA VISTA DALLA GERMANIA E DAGLI ESPERTI KOSOVARI

Di Marina Szikora
Corrispondente di Radio Radicale. Il testo che segue è la trascrizione di una parte della corrispondenza per la puntata del 17 febbraio dello Speciale di Passaggio a Sud Est dedicato ai due anni di indipendenza del Kosovo

A due anni dalla proclamazione dell’indipendenza del Kosovo, sulla legalita’ di questo atto unilaterale di Pristina, la cui indipendenza ad oggi riconoscono soltanto 65 Stati membri delle Nazioni Unite, per la radio tedesca Deutsche Welle, Bahri Cani ha intervistato Christian Tomuschat, professore emeritus dell’Universita’ Humboldt di Berlino, esperto di diritto internazionale. Secondo Tomuschat la decisione sulla proclamazione dell’indipendenza e’ stata una decisione dei kosovari ed e’, secondo la sua opinione, una decisione del tutto capibile poiche’ i kosovari vivevano in circostanze particolari. Innanzitutto a causa della repressione delle forze jugoslave e in piu’ per il fatto che il Kosovo per anni si trovava sotto l’amministrazione internazionale che comunque “non era ideale”.
Per quanto riguarda futuri riconoscimenti, alcuni Stati sono reticenti, osserva Tomuschat, poiche’ hanno paura di movimenti secessionistici interni. Secondo la sua opinione questo timore e’ infondato. Ad esempio – spiega il professor Tomuschat – il problema dei Baschi in Spagna e’ del tutto diverso. I Baschi hanno una larga autonomia e godono di diritti che ad essi competono. Non possono mai chiedere il diritto all’autodeterminazione o alla secessione. Con i kosovari la situazione e’ diversa: in quanto minoranza, essi sono stati veramente discriminati, sottolinea Tomuschat. E’ questa e’ stata anche la base per la proclamazione dell’indipendenza che molto probabilmente verra’ confermata – ritiene l’esperto politico tedesco – anche dalla Corte internazionale di giustizia dell’Aja. Aggiunge che secondo la sua opinione, la decisione di Pristina e’ stata in linea con il diritto internazionale anche se ammette che si tratta di una questione molto difficile e che i giuristi su questo sono divisi.
Secondo Tomuschat non e’ immaginabile una risposta negativa della Corte. Alla fin fine – afferma – la ruota della storia non si puo’ girare indietro ma bisogna guardare al futuro. “Un giorno avremo relazioni di amicizia tra la Serbia e il Kosovo. Quando pensiamo all’Europa occidentale, in cui oggi quasi non ci sono confini, allora dovremmo sperare che miglioreranno le relazioni tra il Kosovo, la Serbia e il Montenegro e che tra loro ci sara’ armonia” sostiene Tomuschat. Infine, avverte che senza il riconoscimento del Kosovo non sara’ possibile l’ingresso della Serbia nell’Ue. I due paesi, e’ dell’opinione Tomuschat, possono diventare membri dell’Unione soltanto insieme ma l’adesione del Kosovo sara’ un problema enorme per l’Unione poiche’ il Kosovo e’ economicamente estremamente debole.
Dopo due anni dalla proclamazione dell’indipendenza, la situazione in Kosovo non e’ molto cambiata, valutano gli esperti tedeschi di Berlino. “L’indipendenza del Kosovo e’ conseguenza della politica di Slobodan Milosevic. E’ una nuova realta’ nei Balcani e la Serbia deve fare i conti con questo fatto” affermano. Il Kosovo deve continuare a collaborare con la Serbia perche’ soltanto cosi’ puo’ compiere progressi, ha dichiarato per la ‘Deutsche Welle” Johannes Jung, esperto tedesco per l’Europa sudorientale. “Speriamo che l’avvicinamento all’Ue, che e’ l’impegno della Serbia, portera’ pregi anche per il Kosovo. Il Kosovo, in quanto stato indipendente, in questo momento non ci lascia sperare che si sta’ avviando verso l’Ue” ha sottolineato Jung.
Il politico tedesco Christian Schwartz Schilling, ex alto rappresentante della comunita’ internazionale in Bosnia Erzegovina, afferma che “il Kosovo e’ uno stato indipendente e questo non si puo’ piu’ annullare. Prima la Serbia accettera’ questo fatto, piu’ velocemente sara’ migliorato il suo futuro” e aggiunge che “Serbia e Kosovo devono collaborare evitando di sottovalutarsi”. Il politico tedesco ha rilevato che l’Europa deve risolvere finalmente la questione statale e legale del Kosovo. Oltre 20 paesi dell’Ue hanno riconosciuto il Kosovo. E’ una grande maggioranza – osserva Schwartz Schilling – e anche rispetto ai quattro o cinque paesi che sostengono opinioni diverse “l’Europa non dovrebbe essere cosi’ silenziosa e inpaurita rispetto a questa questione”.
In occasione del secondo anniversario del Kosovo indipendente si e’ pronunciato anche il presidente uscente della Croazia, Stjepan Mesic che domani con la cerimonia dell’inaugurazione del neoeletto presidente Ivo Josipovic, lascia il suo incarico di capo dello Stato croato durato per dieci anni. Mesic ha affermato qualche giorno fa, trovandosi in visita ufficiale a Berlino, che “la Serbia sta’ inasprendo le sue relazioni con tutti quelli che hanno riconosciuto il Kosovo, ma questo non lo fa’ con gli americani e gli altri ‘potenti’, bensi’ soltanto con i piccoli”. Mesic e’ dell’opinione che questo non e’ necessario e che la Serbia non deve riconoscere il Kosovo se non lo vuole, ma deve acconsentire agli altri nella regione di comunicare. Il presidente croato uscente ha aggiunto che secondo lui la questione, nonostante sia stata trasferita dalla sfera politica a quella giuridica, si trascinera’ anche nel futuro.
La piu’ grande minaccia alla stabilita’ del Kosovo, a due anni dalla proclamazione dell’indipendenza, e’ la difficile situazione economica, scrive la giornalista Zulfija Jakupi, corrispondente in Germania. A causa di grande poverta’ ma anche della corruzione, esiste la possibilita’ che scoppino grandi disordini sociali. Secondo i dati della Banca mondiale, il 45 percento della popolazione del Kosovo e’ povera, di cui il 15 percento vive in estrema poverta’. Quasi la meta’ dei kosovari non lavora, mentre lo stipendio medio degli impiegati e’ di 230 euro, scrive la Jakupi. Fehmi Krasnici, un operaio di Pristina, con lo stipendio di 185 euro sopravvive con grandi difficolta’: “e’ molto difficile in questa crisi con uno stipendio del genere mantenere la famiglia di cinque membri. Non so cosa fare prima. I salari sono bassi e i prezzi molto molto alti”, dice. Arbnor Kastrati, venditore di libri per strada, sottolinea che il suo stipendio e’ instabile e di essere costretto ad arrangiarsi in diversi modi: “Prima della guerra con uno stipendio era possibile mantenere una famiglia di dieci persone, mentre adesso sette membri devono lavorare per poter mantenere la stessa famiglia. Il nostro tenore di vita e’ molto basso”, racconta questo kosovaro.
L’esperto di economia Ibrahim Redzepi ritiene che e’ stato sbagliato aspettarsi che con la proclamazione dell’indipendenza tutto si sarebbe sistemato: “Era chiaro che appena con il riconoscimento iniziano i problemi interni, economici e sociali. Anche se i dati parlano di una certa crescita economica, essa e’ rallentata a causa dell’ ereditato non sviluppo e questo si riflette attraverso la disoccupazione e la crescita di estrema poverta’” spiega Redzepi. Negli ultimi due anni vi e’ un trend di calo degli investimenti stranieri. Gli esperti lo spiegano a causa di un clima inconveniente per gli investimenti e della corruzione, commenta Redzepi e aggiunge che c’e’ anche una mancanza di spettro legislativo, che le istituzioni non funzionano e il Parlamento non ha il pieno controllo sul Governo del Kosovo, per non parlare della corruzione.
Il vicepresidente della Camera di economia del Kosovo, Safet Grdjaliju, avverte che il Kosovo vive oggi secondo gli standard europei ma i salari sono a livello dell’Africa. Questo e’ un segnale molto negativo, afferma Grdjalijiu e tutto cio’ “rappresenta il Kosovo come una poloveriera che un giorno potrebbe scoppiare. Ogni giorno abbiamo le insoddisfazioni di certi settori della sanita’, giustizia, polizia e quando in uno stato anche la polizia si ribella e non e’ soddisfatta, allora questo e’ sicuramente il peggiore e il piu’ negativo segnale per il Governo”.
In Kosovo praticamente non c’e’ produzione e si esporta soltanto denaro, aggiunge il presidente della Camera di economia del Kosovo. “Il solo fatto che il 92 percento di tutto quello che si puo’ trovare nei negozie in Kosovo viene dall’esporto, dimostra che noi esportiamo il cash e in questo modo non possiamo avere nessun progresso economico. Dobbiamo ammettere con amarezza che in tal modo il Kosovo finanzia lo sviluppo economico di Serbia, Montenegro, Macedonia e Albania” avverte Grdjaljiu e aggiunge che in Kosovo vie e’ molta corruzione nella quale sono coinvolti anche gli ufficiali del governo. Per questo momento, la lotta per l’ordine e per il rispetto della legge sara’ dura, ma ci deve essere: se non sara’ raggiunto un livello di responsabilita’, se non si lottera’ contro la corruzione, il criminale e il monopolio, che purtroppo hanno qui le loro radici – sottolinea Grdjaliju – allora il Kosovo perdera’ la lotta per il suo futuro.

PASSAGGIO SPECIALE: IL KOSOVO DUE ANNI DOPO L'INDIPENDENZA

Al Kosovo a due anni dalla dichiarazione unilaterale di indipendenza è dedicato lo Speciale di Passaggio a Sud Est in onda questa sera su Radio Radicale alle 23,30.

Un apparato istituzionale ancora fragile sottoposto al controllo della Comunità internazionale; un'economia ancora molto debole, con un tasso di disoccupazione che sfiora il 40%; un alto tasso di corruzione e criminalità; la sostanziale mancanza di sovranità sulla parte Nord del paese dove la popolazione serba, che in quella zona è in maggioranza non riconosce l'autorità di Pristina. E poi il relativamente scarso numero di riconoscimenti internazionali fermo per ora a 65 (tra cui 22 dei 27 paesi dell'Ue). Questa in estrema sintesi la situazione del Kosovo due anni dopo la dichiarazione di indipendenza proclamata unilateralmente dagli albanesi il 17 febbraio del 2008.
E nel giorno in cui Pristina celebra il secondo anniversario della secessione dalla Serbia, Belgrado ritiene che la partita politico-diplomatica sia ancora tutta da giocare e si dichiara pronta a fare "tutto il possibile per la riapertura dei negoziati sullo status" della sua ex provincia. Così, in un'intervista al quotidiano Danas, il ministro degli Esteri, Vuk Jeremic che traccia un bilancio positivo del biennio di iniziative contro l'indipendenza di Pristina che ha permesso di mantenere al "livello minimo" il numero di riconoscimenti internazionali del Kosovo. Belgrado è anche riuscita a ottenere, nell'ottobre del 2008, che la Corte internazionale di giustizia, il massimo organi giurisdizionale dell'Onu, esprima un parere circa la legittimità dell'indipendenza alla luce del diritto internazionale. Il verdetto, atteso fra quealche mese non avrà valore vincolante, ma avrà un peso politico tale da influire sulle decisioni dei governi che ancora non hanno deciso se riconoscere o no il Kosovo indipendente.
Pristina l'indipendenza è ormai uno status "irreversibile", Belgrado insiste sul fatto che non rinuncerà mai alla sua ex provincia e la società resta profondamente divisa, con albanesi e serbi che continuano a combattere le proprie battaglie individualmente sulla scena internazionale, anche se qualcosa si muove come hanno dimostrato le recenti elezioni amministrative. Eppure, in questo quadro internazionale e con una situazione interna non estente da rischi, problemi e contraddizioni, il piccolo Stato ha fatto dei passi in avanti e le istituzioni internazionali sono impegnate a consolidare la situazione, puntando all'integrazione della minoranza serba, con il riconoscimento dell'autonomia amministrativa, nel quadro più generale dela processo di integrazione europea di tutta l'area balcanica.

Nella trasmissione si parla della posizione della Serbia, dellle iniziative diplomatiche di Pristina per ottenere appoggi internazionali, dell'opinione degli analisti politici, e si propone un quadro della situazione secondo il parere dell'ambasciatore italiano in Kosovo, Michael L. Giffoni.

La trasmissione, curata da Roberto Spagnoli con la collaborazione dei corrispondenti Marina Szikora e Artur Nura, è disponibile sul sito di Radio Radicale nella sezione delle Rubriche.

Clicca qui per ascoltare lo Speciale

martedì 16 febbraio 2010

MEMORIE SUL CONFINE

Il 10 febbraio è stato celebrato il "Giorno del ricordo" istituito per commemorare la tragedia delle foibe e il drammatico esodo degli italiani da Istria, Dalmazia e Fiume dopo la fine della seconda guerra mondiale. E' una pagina della storia del Novecento che continua a suscitare polemiche in Italia e fuori, tra l'Italia e gli altri Paesi che hanno condiviso le vicende di quello che noi chiamiamo "confine orientale". Quest'anno la ricorrenza è passata senza particolari polemiche, a differenza di quello che era successo nel 2007, quando le dichiarazioni del presidente Napolitano avevano suscitato la dura reazione dell'allora presidente croato Mesic. Proprio per questo è forse più necessario riflettere su vicende che condizionano fortemente le diverse memorie di coloro che quelle vicende vissero in prima persona, da una parte e dall'altra.

Quello che personalmente mi interessa non è però tanto la ricostruzione storica dei fatti, ma provare a guardare al di là delle contrapposizioni per riflettere sulla possibilità di una composizione delle diverse memorie, per capire se è possibile immaginare una loro conciliazione pur nel rispetto della specificità e della diversità di ogni esperienza personale, per cercare di andare oltre la pur doverosa commemorazione delle vittime di quelle tragiche vicende. Per comprendere a fondo quelle vicende, occorre per esempio considerare anche la realtà del Fascismo che al "confine orientale" ha mostrato la sua faccia più feroce, prima con l'italianizzazione forzata di intere popolazioni, poi con l'occupazione militare condotta insieme alla Germania nazista e ai regimi fantoccio che il nazi-fascismo aveva creato nei Balcani (con relativi crimini di guerra). Questo non per negare, nè tanto meno per giustificare le realtà delle foibe e dell'esodo, ma per meglio comprendere la complessità storica in cui quegli avvenimenti si svilupparono.

Riflettere sulle memorie individuali e sulla necessità di ascoltare e condividere anche le storie "degli altri" è quello che propone Melita Richter - sociologa, saggista, mediatrice culturale, studiosa della realtà balcanica e della questione del confine tra Italia e Balcani - nell'intervista che ho realizzato per Radio Radicale in collaborazione con Osservatorio Balcani e Caucaso (dove potete trovare vari suoi scritti). Riflettere sulle memorie individuali e sulla necessità di ascoltare anche le storie "degli altri" non per cercare una inesistente memoria collettiva e nemmeno per girare a vuoto attorno ad una non meglio definita memoria condivisa (strana espressione che assomiglia molto ad un ossimoro) impossibile da costruire, ma piuttosto per comporre una "memoria plurima" che faccia dei confini (fisici e mentali) non delle barriere, ma delle soglie attraverso cui stabilire canali di comunicazione.

Le considerazioni che Melita Richter propone sul "Giorno del ricordo" mi paiono molto interessanti anche perché possono valere per situazioni in cui popolazioni diverse vivono vicende analoghe a quelle del nostro "confine orientale". A questo proposito segnalo quanto scriveva tre anni fa su Osservatorio Balcani e Caucaso dopo la polemica Napolitano-Mesic: "Se non siamo capaci di imparare la lezione dalla storia da soli, prendiamo l’esempio da altri. Prendiamo l’esempio dall’insegnamento del rispetto delle memorie separate nelle terre che sanguinano tuttora, un esempio di straordinario significato che portano avanti dodici insegnanti israeliani e palestinesi delle superiori che non cercano di unificare le memorie, e tanto meno di cancellarle, ma di metterle a confronto, di raccogliere la narrazione dell’altro. Consapevoli che ambo i popoli sono stati traumatizzati, gli Israeliani dal ricordo del genocidio, i Palestinesi da quello dell’espulsione, si sono resi conto che sarebbe puerile chiedere loro di scrivere la stessa storia".

Ascolta l'intervista a Melita Richter sul sito di Radio Radicale