martedì 31 gennaio 2012

SLOVENIA: JANEZ JANŠA (DI) NUOVO PREMIER?

Janez Jansa
di Marina Szikora [*]
Il parlamento sloveno con 51 voti a favore e 39 contrari ha affidato al presidente del Partito democratico sloveno, Janez Janša, gia' premier sloveno, il compito di formare il nuovo esecutivo sloveno dopo che lo scorso 4 dicembre si sono tenute le elezioni parlamentari anticipate. Cosi' e' stato deciso alla sessione straordinaria del neo Parlamento sloveno sabato scorso con una votazione segreta. Per precisare, Janša e' stato proposto a guidare la cosidetta 'coalizione contro crisi' dal Partito democratico sloveno, dal Partito popolare sloveno, dalla Lista civica di Gregor Virant, dal Partito democratico dei pensionati e dalla Nuova Slovenia democristiana.
Ricordiamo che, anche se i sondaggi in vista delle elezioni fino all'ultimo momento davano la vittoria a Janša, del tutto innaspettatamente, ha trionfato il sindaco di Ljubljana Zoran Janković. Ma la sua vittoria non e' stata convincente per ottenere la maggioranza in parlamento. Il presidente sloveno Danilo Tuerk, nonostante i numeri che parlano a favore del sostegno a Janša, si e' rifiutato comunque di affidare il mandato per la formazione del nuovo governo al leader del centro destra dopo che Janković non ha assicurato la necessaria maggioranza parlamentare. Tuerk da politico legalitario ha preso una tale decisione motivandola con il fatto che su Janez Janša pende un processo che potrebbe vederlo colpevole di atti di corruzione. D'altra parte, i partiti presenti nel nuovo parlamento hanno respineto la proposta del capo dello stato di riflettere sulla possibilita' di nominare un candidato 'tecnico' per la formazione del governo. Cosi' la decisione e' andata direttamente al parlamento. Janša ha gia' annunciato che il suo governo potrebbe essere formato al massimo entro il 10 febbraio. I candidati a ministro verrano presentati molto probabilmente nei prossimi giorni.
Nel suo intervento all'inizio del dibattito parlamentare, Janša ha presentato il programma del governo. Come obiettivo prinicpale ha indicato la ripresa economica su basi sane e senza indebitamento. Ha sottolineato la necessita' di un nuovo programma di sviluppo, la crescita della concorrenza economica e la stimolazione dell'impresa e dell'educazione nonche' l'apertura di nuovi posti di lavoro. Come la misura piu' urgente ha indicato la necessita' di diminuire radicalemente gia' da quest'anno il deficit del bilancio. Ha invitato l'opposizione e i sindacati che si dicono preoccupati "dell'abolizione dello stato sociale" e del calo dello standard di collaborare con il nuovo governo.
Una disciplina fiscale severa, taglio delle spese e calo del debito sono i segnali necessari al marcato finanziario internazionale per lanciare un messaggio che la Slovenia ha finito con la fase della non attuazione delle riforme e dell'instabilita' politica. Per queste misure non c'e' molto tempo e sono indispensabili per fermare il calo del reiting di credito della Slovenia e per far si' che i mezzi per i futuri progetti infrastrutturali siano piu' disponibili, ha avvertito Janša. Tra le misure di risparmio, Janša ha menzionato anche la "deburocratizzazione" dei servizi governativi e dell'amministrazione nonche' la razionalizzazione e il calo del numero degli impiegati nel settore pubblico.
Infine, va detto che i parlamentari dei Socialdemocratici guidati dall'ex premier Borut Pahor come anche la Slovenia positiva di Janković hanno votato contro Janša a candidato premier annunciando che saranno una opposizione costruttiva ma dura che controllera' il nuovo governo nella maggiore misura possibile. Diversi tra questi deputati hanno criticato le "acrobazie politiche" dei due partiti della coalizione di Janša. Si tratta della Lista civica di Gregor Virant, neo presidente del Parlamento sloveno e il partito dei pensionati DESUS che avrebbero negoziato con Janković mentre al tempo stesso, si dice, trattavano politicamente con Janša decidendosi infine per la coalizione del centro destra, giocando in tal modo un ruolo di 'cavallo di Troia' ingannando cosi' i loro elettori. Queste almeno le valutazioni di alcuni dei deputati di Janković. Janez Janša, ricordiamolo, aveva gia' guidato il governo sloveno del centro destra dal 2004 al 2008.

[*] Corrispondente di Radio Radicale

domenica 29 gennaio 2012

UNGHERIA: COSA STA SUCCEDENDO?

Intervista a Andrew Arato, costituzionalista, docente di Teoria Politica alla New School di New York
di Barbara Bertoncin, da UNA CITTÀ n. 0/2012 (segnalato da Settimio Conti)

Come siamo arrivati alla situazione attuale?
Tutti sanno che l'Ungheria, come altri paesi della periferia europea, è stata investita da grave crisi economica. Quello che non tutti sanno è che in Ungheria questa crisi è cominciata prima, e si è trasformata anche in una crisi politica e di legittimazione. Nel settembre del 2006 è stata infatti diffusa una registrazione audio di una riunione del partito socialista in cui il premier, Ferenc Gyurcsány, un tecnocrate, confessava d'aver deliberatamente nascosto ai cittadini la grave situazione economica del paese e di avere, di conseguenza, vinto le elezioni soltanto grazie alle menzogne. Questo ha portato a manifestazioni e tensioni e, di conseguenza, ad atti di violenza da parte della polizia. Il governo ha gestito molto male questa vicenda, soprattutto il primo ministro, poi sostituito da Gordon Bajnai, che ha avuto però poco tempo per rimediare alla situazione. Alla successiva tornata elettorale il partito di Orban, Fidesz, ha vinto le elezioni a man bassa. A questo va aggiunta una situazione economica da tempo molto precaria con un pesante calo dell'occupazione, comune ad altri paesi, soprattutto a scapito dei più giovani. Tutto questo nel tempo ha contribuito all'emergere della destra estremista. Parlo dello Jobbik, un partito fascista, ma più a destra del partito fascista italiano. Jobbik è riconducibile più alla tradizione nazista ungherese, più che alla tradizione della destra europea. Si tratta di un fenomeno che già da tempo preoccupa l'Europa.

Puoi parlarci di Fidesz, il partito di Orban?
Fidesz è nato nel 1988 con il nome di "Alleanza dei giovani democratici” (Fiatal Demokraták Szövetsége), nell'89 si era distinto tra quelli che promuovevano un cambio di regime. Solo col tempo si è trasformato in un partito di destra. Conosco personalmente il primo ministro Orban, l'ho incontrato in occasione di alcune conferenze che ho tenuto ai "giovani democratici”: nell'89 Orban era un liberale, e anche una persona con delle capacità politiche incredibili che ha capito prima del partito liberale (allora alleato del partito socialista al governo), che in Europa, e soprattutto nel contesto di un cambio di regime, non c'era futuro per un partito puramente liberale. Per cui già alla fine degli anni 96-97 ha iniziato a spostarsi verso posizioni autoritarie e populistiche di destra: mi dispiace di dover dire che un paio di cari amici, all'epoca suoi consulenti, hanno avuto un ruolo in questa trasformazione, che l'ha portato a entrare nel governo all'indomani delle elezioni del 1998 e ancora nel 2002.

Tu imputi la situazione odierna a un processo costituzionale rimasto incompiuto. Puoi raccontare?
L'Ungheria ha avuto un cambio di regime che noi costituzionalisti assimiliamo al modello dell'Europa centrale e del Sudafrica. Quando va bene, si tratta di un processo che avviene in due momenti: una fase negoziale che introduce una costituzione temporanea, ad interim, e una seconda fase, preceduta dalle elezioni, in cui la costituente redige appunto la costituzione definitiva. In Ungheria, la prima fase, quella che ha portato alla costituzione ad interim attraverso una serie di tavole rotonde ha prodotto un documento democratico liberale. Il problema è che questa costituzione ad interim non è mai stata sostituita. Infatti, nel periodo 94-98, tutti gli sforzi per arrivare alla costituzione definitiva sono falliti. Il paradosso è che è stato messo a punto un metodo con un alto livello di consenso e partecipazione da parte dei vari partiti, che tuttavia è stato boicottato dai suoi stessi promotori, i socialisti. Il partito socialista, all'epoca con a capo Gyula Horn, alla fine infatti non ha votato per il prodotto di questa costituente che esso stesso aveva guidato. Perché è accaduto? Perché i socialisti puntavano a includere una seconda Camera (delle corporazioni); perché volevano un tavolo sui diritti sociali e infine perché consideravano la costituzione che ne era uscita troppo liberale dal loro punto di vista. Alcune ragioni erano buone altre no, ma il punto è che votare contro il prodotto di un processo fortemente partecipato, di cui peraltro eri stato il maggior promotore si è rivelata una mossa disastrosa. E direi che la maggiore responsabilità va imputata proprio a Horn. Conosco bene i retroscena perché ho partecipato al processo come consulente, ho pure scritto alcune norme relative agli emendamenti per la costituzione. Il Parlamento mi ha anche pagato! Anch'io sono stato molto deluso per come il processo è fallito. Comunque il punto è che, non essendo stato concluso l'iter previsto, la costituzione ungherese è rimasta quella ad interim cioè, come denuncia la destra, una sorta di emendamento della Costituzione stalinista del '49. Questo ha dato grandi argomenti a Orban che da tempo, e legittimamente, denunciava il fatto che l'Ungheria non ha una costituzione definitiva. Da questo punto di vista Fidesz ha delle giustificazioni nel cercare ora di completare il processo. Nella legge internazionale si fa distinzione tra "in bello” e "ad bellum”. Fidesz aveva il diritto e delle buone ragioni per dare avvio a un processo costituzionale, era una mossa legittima; quello che è di dubbia legittimità è la strada che hanno scelto. Il fatto più eclatante è che Fidesz ha potuto riscrivere la costituzione forte di una maggioranza di due terzi di una singola camera. Questo è stato possibile perché la legge elettorale ungherese prevede una sorta di premio, quindi con il 52,7% dei voti Fidesz ha avuto i due terzi dei seggi in Parlamento. Ora, tra il '94 e il '98 anche il centrosinistra aveva il 70% del Parlamento ma anziché usarlo per fare una propria costituzione, ha messo in piedi le procedure necessarie a muoversi con il massimo consenso. Al di là dell'esito, che fu appunto deludente, comunque all'epoca il primo tentativo fu all'insegna del consenso, quello di Fidesz invece è stato subito dichiaratamente maggioritario.

Nel paese la popolazione è consapevole di cosa sta succedendo?
Le questioni costituzionali non attirano mai molto interesse. Ovviamente ora che è stata sollevata l'attenzione internazionale, molta gente ha iniziato a capire che c'è qualcosa che non va, però mentre le cose stavano succedendo non c'era interesse. Tra l'altro Fidesz aveva organizzato una consultazione popolare mandando a ogni singolo cittadino un questionario su cosa voleva ci fosse nella costituzione. Ma questa è una forma molto passiva di partecipazione che coinvolge poche persone. E, comunque il governo non ha mai reso pubblici i risultati. D'altra parte Fidesz se lo poteva permettere: all'inizio del suo governo, i sondaggi lo davano in ascesa, proprio per il discredito gettato sulla coalizione di centrosinistra che aveva visto crollare verticalmente la propria popolarità. Anche oggi l'opposizione politica è molto debole.

Quali sono i cambiamenti più importanti che sono stati portati alla costituzione?
Preciso che molte delle misure adottate sono state introdotte attraverso degli emendamenti alla vecchia costituzione, prima cioè della promulgazione della nuova. Comunque le aree interessate sono, direi, quattro. Una è quella dei media che, attraverso la cosiddetta legge bavaglio (emanata prima della nuova costituzione) di fatto sono stati sottoposti a comitati di controllo governativo. Poi c'è l'area giuridica: il governo ha aumentato il numero dei giudici costituzionali nominando figure che presumibilmente voteranno in modo più favorevole al governo. Questo è successo recentemente anche in Turchia dove Erdogan ha fatto un referendum in proposito. In Ungheria non c'è stato bisogno di un referendum perché due terzi del parlamento possono cambiare le leggi della corte Costituzionale. Quindi c'è stata una riduzione della giurisdizione della corte. Si sono praticamente fatti una corte secondo i loro desideri. Come terza misura, stanno estendendo i mandati di alcuni organi di controllo in modo che i membri di Fidesz mantengano le loro posizioni anche oltre le prossime elezioni. Infine è stato passare un pacchetto di leggi che fa sì che qualsiasi cambiamento futuro in materia legislativa richieda una maggioranza dei due terzi del parlamento, non più la semplice maggioranza, anche per le leggi ordinarie. Questo significa che Fidesz sta varando delle leggi che difficilmente potranno essere modificate da un Parlamento futuro, a meno che realisticamente qualcun altro non abbia due terzi del Parlamento. Scenario assai poco verosimile visto che nella legge elettorale in discussione stanno anche riformando i distretti elettorali in modo da agevolare la vittoria di Fidesz.

Dicevi che in questo c'è un paradosso...
Il paradosso è che Fidesz sta facendo passare delle misure che potrebbero inibire la sua stessa capacità di governare in futuro. Se ad esempio tornassero al potere in una seconda tornata elettorale, senza però ottenere i famosi due terzi, succederà che loro stessi non saranno in grado di cambiare le leggi che hanno fatto passare. Quindi non potranno nemmeno cambiare la legge dei due terzi. Non è una cosa da poco, per esempio, in campo economico potrebbe voler dire che il governo non potrà cambiare le politiche fiscali o lo status della Banca nazionale o adottare qualunque altro provvedimento decidessero di prendere. Fidesz da una parte ha ridotto il carattere liberale della costituzione, indebolendo la Corte costituzionale e anche i tribunali ordinari. Hanno inoltre passato una serie di leggi, tutte con l'obiettivo di mantenere il potere nelle loro mani. Dall'altra parte, però, hanno varato delle misure che vanno in senso opposto. Non so quale sia il calcolo. Forse vogliono fare in modo che se sale al potere un altro partito si trovi un paese ingovernabile; questa strategia ha però il difetto di rendere il paese potenzialmente ingovernabile anche per loro.

Vedi qualche via d'uscita? E cosa può fare l'Europa?
Ci sono due livelli, quello domestico e quello internazionale. Nonostante gli slogan degli euroscettici, nell'Unione europea la dimensione nazionale è ancora fondamentale. All'inizio dell'anno c'è stata una grande mobilitazione popolare: anche nei sondaggi Fidesz sta perdendo quota. È ancora il maggior partito ma è in calo. Il problema è che i voti persi da Orban stanno andando in parte verso Jobbik, soprattutto le preferenze dei giovani. Questa è una novità: in passato era un partito costituito soprattutto da vecchi nostalgici. In assenza di un'opposizione organizzata, spesso la protesta assume forme radicali e irrazionali. Quindi possiamo dire che un'opposizione sta emergendo, ma è ancora molto debole, disorganizzata e in parte è un'opposizione da destra. A livello internazionale, l'Unione europea ritiene inaccettabile un governo autoritario di questo tipo. Le sfide alla Commissione sono venute in primo luogo dalle scelte di politica economica, in particolare dall'attacco all'autonomia della Banca centrale. Il Parlamento europeo è stato abbastanza energico nel condannare tutto questo. E poi c'è l'opinione pubblica europea che è stata coesa nel condannare le politiche di Orban. Questo ha sortito degli effetti sull'opinione pubblica ungherese che certo non desidera rimanere isolata in Europa. La prospettiva di un'Ungheria che guarda a Est, verso la Bielorussia e la Russia di Putin, non è propriamente desiderabile per gli ungheresi. Ho parlato del livello politico e dell'opinione pubblica, ma c'è poi il livello giuridico. Molti dei giudici rimossi dai propri uffici con un pensionamento forzato si sono appellati alla Corte europea per i diritti umani. Così hanno fatto personalità del mondo dei media. I casi si moltiplicheranno e questo, verosimilmente, porterà a delle sanzioni. La Commissione europea è nella posizione di poter comminare delle sanzioni economiche, per cui credo che le pressioni aumenteranno. Come poi questo interagirà con la politica nazionale, ecco questo non lo so.

giovedì 26 gennaio 2012

IL PRESIDENTE CROATO IVO JOSIPOVIĆ IN VISITA UFFICIALE IN ALBANIA

Tirana: il premier albanese Berisha
riceve il presidente croato Josipovic
di Marina Szikora [*]
Lunedi' 23 e martedi' 24 gennaio si è svolta la prima visita ufficiale del presidente croato Ivo Josipović in Albania, con tappe a Tirana e poi a Durazzo durante le quali ha avuto incontri con tutti i vertici dello stato, nonche' con il sindaco di Tirana. Gli incontri dalla parte croata sono stati giudicati molto positivamente. Ci sono abbastanza similtudini tra i due paesi, ha detto Josipović. E' vero che la Croazia, quando si tratta dell'adesione all'Ue, si trova un grande passo avanti, ma condividiamo comuni sforzi e il desiderio di entrare nell'Ue, ha osservato il capo dello stato croato sottolineando che la politica croata verso l'Albania fa parte della posizione croata relativa al sostegno dell'ingresso di tutti i paesi della regione. A differenza degli ottimi rapporti politici, la collaborazione economica tra i due paesi, come ha valutato Josipović "puo' e deve essere molto migliore" e ha aggiunto che si aspetta che il novo governo e gli imprenditori croati riconosceranno in Albania un partner che merita attenzione. Per quanto riguarda l'adempimento dei criteri politici che l'Ue ha posto all'Albania e relativi all'ottenimento dello status di candidato, il presidente croato ha spiegato alla stampa che gli ospiti albanesi ritengono che le cose si sono mosse avanti, che l'opposizione partecipa nel lavoro del Parlamento e che sono ottimisti.

Ricordiamo che l'Albania nell'aprile 2009 aveva ottenuto lo status di candidato all'adesione all'Ue, ma la Commissione europea nel suo parere sulla candidatura, nel novembre 2010 ha indicato 12 priorita', vale a dire compiti che l'Albania deve adempiere per soddisfare le necessarie condizioni. Nella strategia dell'allargamento per 2011-2012 e' stato valutato un certo avanzamento positivo relativo alla lotta contro la criminalita' organizzata, ma il Paese deve fare notevoli progressi nel settore di giustizia, lotta contro la corruzione, rispetto dei diritti di proprieta' nonche' nel campo delle procedure parlamentari ed elezioni prima di ottenere raccomandazioni per la candidatura. Rispondendo alle domande dei giornalisti albanesi sul suo modo di vedere le prospettive europee dell'Albania, Josipović ha valutato che all'Albania attende un simile cammino che aveva attraversato la Croazia, un processo lungo di adattamento, l'apertura della lotta contro la corruzione e riforme non facili. In tutto questo, ha sottolineato, e' importante mantenere l'ottimismo e la fiducia dei cittadini nella via europea.

Durante la seconda giornata in Albania, il presidente Josipović ha tenuto una lezione all'Universita' di Tirana con il titolo "La via croata verso l'Ue: esperienze e sfide" in cui si e' soffermato sulle tappe piu' importanti, sui problemi ed i compiti che la Croazia ha dovuto affrontare dall'inizio formale dei negoziati nel 2005. Ha illustrato con particolare attenzione i processi di transizione che il Paese ha dovuto passare cambiando il proprio sistema giuridico, costruendo una giustizia indipendente capace di farsi carico dei problemi di corruzione e sviluppando il sistema democratico del governamento e della salvaguardia del diritto. Ha parlato anche della politica croata indirizzata a sollecitare e sviluppare la collaborazione regionale in Europa sudorientale, l'importanza delle relazioni di buonvicinato e di sollecitazione del dialogo sottolineando in particolare l'appoggio che la Croazia in quanto nuovo stato membro dell'Ue dara' a tutti i paesi della regione. Infine, l'incontro con il sindaco della capitale Lulzim Basha e a termine della sua permanenza in Albania, Josipović ha visitato il porto di Durazzo e la citta storica Kruje.

Il quotidiano di Belgrado 'Blic', per quanto riguarda l'incontro dei due presidenti, Josipović e Bamir Topi scrive che i due capi di stato hanno affermato il loro impegno affinche' le relazioni nella regione siano senza pregiudizi e che si basino sul dialogo, sottolineando che questo e' particolarmente importante per i rapporti tra Belgrado e Priština. Nelle relazioni tra Serbia e Kosovo, prosegue 'Blic' citando informazioni dell'agenzia di stampa croata Hina, deve prevalere il dialogo e la ricerca pacifica della soluzione, cosi+ Josipović e Topi alla conferenza stampa. Il presidente croato ha ricordato le relazioni croato-serbe del recente passato e gli sforzi delle due parti nella normalizzazione delle relazioni e nel consolidamento della fiducia. In questo contesto, Josipović ha indicato l'importanza delle minoranze nazionali e la loro protezione. Ha sottolineato il valoroso contributo della minoranza albanese nella guerra per l'indipendenza della Croazia e nello sviluppo economico del Paese.

[*] Corrispondente di Radio Radicale. IL testo è tratto dalla corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi

LA CROAZIA DICE SI' ALL'UE: C'E' ANCORA FIDUCIA NELL'EUROPA

di Marina Szikora [*]
La Croazia ha scelto l'Europa. Al referendum svoltosi domenica, 22 gennaio 2012 a favore dell'ingresso della Croazia nell'Ue si e' espresso il 66 percento di votanti contro il 33 percento degli euroscettici che ritengono sia meglio che il loro paese non aderisca ancora all'Ue. Almeno per quelli che hanno deciso di recarsi alle urne in una giornata calda e solare, quasi primaverile, non vi e' stato nessun dubbio: essi hanno optato per la decisione storica che vedra' definitivamente la Croazia come 28-esimo paese dell'Ue. Questo e' stato il secondo referendum per i cittadini croati, il primo, ricordiamolo, quello del 1991 quando la stragrande maggioranza della Croazia aveva deciso la separazione del loro paese dall'ex Jugoslavia. L'unico sapore amaro di questo referendum riguarda la molto bassa affluenza alle urne: il 43,51 % percento degli aventi voto.

"Un grande sì europeo e' stato detto" cosi' il presidente croato Ivo Josipović dopo i primi risultati referendari, in un'atmosfera di festa, insieme agli altri due presidenti, quello del governo e quello del Parlamento e molti altri invitati al Sabor croato. Nel suo primo discorso, Josipović ha ringraziato pero' anche quelli che si sono detti contrari all'ingresso della Croazia nell'Ue aggiungendo che si terranno presenti anche la loro opinione, le loro paure e dilemmi. "Sono certo che la Croazia puo' e che la Croazia sa. La decisione odierna ha marcato definitivamente la Croazia in quanto paese europeo, il paese del futuro europeo" ha detto Ivo Josipović nella serata del si' europeo. In un'intervista per il quotidiano di Zagabria 'Jutarnji list' in vista dell'esito referendario, il capo dello stato croato aveva valutato che un chiaro messaggio dei cittadini croati a favore dell'ingresso nell'Ue sara' una forte motivazione al Governo e alle altre istituzioni dello stato di continuare con le riforme e ai cittadini di accettare e sollecitare queste riforme.

Il presidente Josipović ha espresso desiderio che il successo del referendum porti a quello che lui ritiene il piu' importante: un cambiamento del modo di pensare e di fare della gente. Un forte stimolo anche per gli investimenti, effetti positivi in diversi settori economici ma soprattutto in quello turistico. Una speranza che in particolare le generazioni piu' giovani sviluppino lo spirito imprenditoriale e la creativita' necessaria affinche' da soli, senza aspettarsi che lo stato possa risolvere tutto, realizzino i loro diritti e la loro esistenza. Anche per il neo premier Zoran Milanović il successo al referendum e' una decisione storica: "questo e' forse anche un momento di svolta nella nostra storia. Da oggi per le nostre decisioni definitivamente siamo responsabili da soli, il successo o l'insuccesso dipende da noi stessi" ha detto il capo del governo croato nella notte del risultato referendario.

"I croati con una grande maggioranza hanno appoggiato l'ingresso nell'Ue, con una risposta inaspettatamente positiva al referendum che Bruxelles nervosamente attendeva temendo reazioni antagoniste" ha scritto il 'Guardian' britannico aggiungendo che "mentre l'Ue sta affrontando la piu' peggiore crisi della sua storia, si temeva che il pessimismo che sta inghiottendo l'Europa potrebbe mettere a repentaglio anche il sentimento pro europeo in Croazia". Secondo il giornale britannico "si e' conclusa la grande ondata di allargamento dell'Ue, il blocco in cui nell'ultimo decennio hanno aderito 12 paesi. La domanda di adesione della Turchia – il paese ha iniziato i negoziati insieme alla Croazia nel 2005 – e' ancora ferma. Il resto dell'ex Jugoslavia e l'Albania aderirebbero volentieri e Bruxelles in maniera non sincera appoggia questo obiettivo. Probabilmente passera' un decennio prima che la Serbia, BiH e altri paesi siano ammessi nell'Ue, se mai questo avvera'. Se la Croazia domenica scorsa avesse rigettato l'adesione al referendum, questo sarebbe stato vissuto come una catastrofe e la Croazia verrebbe avviata verso la palude balcanica, conclude il 'Guardian'.

Grande interesse sull'esito referendario croato c'era tra numerosi giornalisti stranieri, ma in particolare tra i media della regione balcanica. Nessun dubbio che le esperienze e sfide croate sono e saranno molto utili per tutti i paesi dell'Europa sudorientale che allo stato attuale si trovane davanti alle porte dell'Ue, alcuni di loro con nemmeno uno status di candidato. La Bosnia Erzegovina e' l'unico dei paesi della regione che non ha ancora applicato per l'ingresso nell'Ue. Cio' nonostante, il cammino positivo della Croazia per alcuni significa nuove speranze. Cosi', Mehmed Handžić, cittadino di Bihać afferma "che per l'ingresso nell'Ue i nostri vicini hanno lottato dalla guerra fino ad oggi. Lo hanno meritato. Ho vissuto in Croazia dal 1995 per un po' di tempo e so qual e' l'umore". Asim Osivčić di Sarajevo si augura che tutti possano trarre pregi da questa situazione. Nonostante una certa rivalita' ereditata, la maggioranza dei cittadini della BiH guarda positivamente all'ingresso croato nell'Ue. Contrariamente, per quanto riguarda il progresso della Serbia, sono molto critici verso l'appoggio alle forze separatiste in BiH.

Generalmente positive anche le reazioni in Serbia. Il presidente serbo Boris Tadić congratulandosi con i cittadini della Croazia ha valutato che hanno preso una decisione buona per il futuro delle loro generazioni. "Questa decisione e' di enorme importanza per il futuro della Croazia, ma anche un segnale positivo per tutta la nostra regione" ha scritto Tadić nel suo messaggio di congratulazioni al suo collega croato Ivo Josipović e al premier croato Zoran Milanović. Tadić ha precisato che l'ingresso della Croazia nell'Ue apre maggiori possibilita' per l'integrazione della Serbia e degli altri paesi dei Balcani occidentali nell'unione dei popoli europei che hanno uguali diritti. "L'Ue significa il rispetto e l'attuazione degli standard e delle leggi europee ed e' la prospettiva per una vita migliore, piu' sicura e piu' pacifica per tutti i cittadini della nostra regione che durante la sua storia e' stata appesantita da guerre, tensioni e turbolenze. Questa e' l'unica via con la quale lasciamo i conflitti alle spalle e apriamo nuove pagine di pace, tolleranza e collaborazione" si legge nel messaggio di Boris Tadić. Congratulazioni ai vertici e ai cittadini croati anche da parte del presidente sloveno Danilo Tuerk. L'ex premier sloveno Borut Pahor ha qualificato la decisione al referendum quale “una decisione epocale per i croati”.

[*] Corrispondente di Radio Radicale. IL testo è tratto dalla corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi

mercoledì 25 gennaio 2012

PARLAMENTO EUROPEO: DANIEL COHN-BENDIT CONTRO L'UNGHERIA DI ORBAN

Daniel Cohn-Bendit
Mercoledì 18 gennaio il Parlamento Europeo ha discusso la situazione politica in Ungheria. Daniel Cohn-Bendit si è rivolto direttamente al premier ungherese Viktor Orban, leader del partito Fidesz, che ha deciso all'ultimo momento di presenziare alla seduta.
In un passaggio dice: "In tutti i giornali europei c'è un problema ungherese e qui il primo ministro e la destra del Parlamento ci dicono che non c'è. Lei (Orban) ha detto che sarebbe venuto qui a difendere l'onore dell'Ungheria dalla sinistra internazionale, io le dico che allora anche madame Clinton fa parte della sinistra europea, che la Merkel fa parte della sinistra europea, che Juppè anche fa parte della sinistra europea. (Lei) dice come la vecchia costituzione era una costituzione stalinista, il vostro vice dice lo stesso, ma allora noi siamo stati tutti pazzi qui che abbiamo fatto entrare un paese con una costituzione stalinista in Europa (...) Il sindaco di Budapest che fa parte del vostro partito e chiaramente antisemita è stato riabilitato. I miei amici e la mia famiglia ebrei hanno paura ora in Ungheria, lo spirito della nuova costituzione fa paura. Anche se avete la maggioranza, le minoranze hanno il diritto di non avere paura. Se siete sicuro di non avere paura di problemi di democrazia nel vostro paese facciamo l'articolo 7 (commissione libertà pubbliche), se avete ragione voi vi chiederò scusa, se ho ragione io vi chiederò di chiedermi scusa".

Guarda il video QUI

lunedì 23 gennaio 2012

LA CROAZIA DICE SI' ALL'UE

La Croazia ha detto sì all'Europa: il referendum tenutosi ieri sull'adesione all'Unione ha infatti registrato come previsto la vittoria dei sì, che hanno superato però le stime della vigilia, attestandosi oltre il 66%. "La Croazia va in Ue", ha titolato oggi il quotidiano Jutarnj list riassumendo l'esito del voto. L'ampia affermazione dei sì è bilanciata però dall'affluenza alle urne di appena il 43,58% degli aventi diritto, molto al di sotto di quella registrata alle elezioni del 4 dicembre. La validità della consultazione non era comunque vincolata ad alcun quorum ed il risultato spiana definitivamente la strada all'ingresso nell'Ue fissata il 1° luglio 2013, come prevede il Trattato di adesione firmato a Bruxelles il 9 dicembre, dopo sette anni di negoziati non facili. In quella data la Croazia diventerà il 28° membro dell'Unione ed il secondo Paese dell'ex Jugoslavia dopo l'ingresso della Slovenia nel 2004.

Il presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy, ed il capo della Commissione europea, Jose Manuel Barroso, in una nota congiunta hanno accolto con soddisfazione la decisione che condurrà i croati a "nuove opportunità e rafforzerà la stabilità e la prosperità della loro nazione". Ma i croati, sembrano consapevoli che difficilmente l'ingresso nell'Ue porterà di per sé un miglioramento dello standard di vita e una soluzione alla crisi economica che per il momento vede il loro Paese in recessione ininterrottamente dal 2009, mentre la disoccupazione a ottobre superava il 17%. Il premier di centrosinistra Zoran Milanovic, da poco insediato, ha quindi subito interpretato la scarsa partecipazione come "un messaggio" per il suo governo chiamato ad affrontare la situazione economica, e anche il presidente Josipovic, al di là delle ovvie dichiarazioni ufficiali, dalla sua pagina Facebook ha tenuto a ringraziare "chi ha votato a favore e chi ha votato contro".

I croati sanno bene, come tutti gli europei, che la soluzione ai loro problemi va cercata innanzitutto all'interno dei confini nazionali, senza attendere che Bruxelles levi le castagne dal fuoco. Tuttavia mostrano anche di comprendere che, nonostante la crisi dell'Eurozona e dell'assetto istituzionale dell'Unione, quella dell'integrazione è una strada da cui non si torna più indietro. La vittoria del sì rincuora anche che continua, nonostante tutto a credere al sogno europeo e mostra come esso continui ad attrarre i popoli balcanici che vedono nell'Ue la possibilità di un futuro di stabilità dopo le tragedie degli anni'90. Non a caso, tra i primi a congratularsi per l'esito del voto croato è stato il presidente serbo, Boris Tadic, in attesa di ottenere a marzo la candidatura all'adesione del suo Paese. Credo che l'ingresso della Croazia nell'Ue sia un'ottima notizia. Spero che non troppo in là nel tempo si possa dire lo stesso per la Serbia. [RS]

Referendum in Croazia: gli umori del giorno dopo nella corrispondenza di Marina Szikora per il notiziario di Radio Radicale

giovedì 19 gennaio 2012

TERZI: INGIUSTO CONDIZIONARE LA SERBIA CON IL KOSOVO

di Marina Szikora [*]
Il ministro degli esteri italiano Giulio Terzi ritiene che la Serbia deve al piu' presto entrare nell'Ue e che il riconoscimento del Kosovo e' una condizione ingiusta e inadeguata. Cosi' il quotidiano di Belgrado 'Blic' riporta lunedi' l'intervista del capo della Farnesina rilasciata per il qutodiano di Trieste 'il Piccolo'. Il ministro Terzi spiega che in queste circostanze non sarebbe corretto condizionare l'ingresso della Serbia nell'Ue con il Kosovo tanto piu' perche' alcuni stati membri dell'Ue non hanno riconosciuto l'indipendenza di Priština. "E' nell'interesse dell'Europa che l'opinione pubblica in Serbia sia positiva nei nostri confronti" ha detto Terzi aggiungendo che porre ostacoli aggiuntivi significa dare spazio alle forze che sicuramente non sono elementi di stabilita', ne' per la Serbia tantomeno per il Kosovo. Nell'intervista per 'il Piccolo' che l'ambasciata italiana a Belgrado ha inviato all'agenzia di stampa serba Beta, il ministro Terzi ha detto che il suo programma contiene il pieno appoggio all'adesione della Serbia all'Ue, il rafforzamento del ruolo di Bruxelles nel maturamento istituzionale della BiH, il riavvio del dialogo con la Slovenia e con la Croazia sul patrimonio degli esuli e il mantenimento dei consolati a Capodistria e a Spalato.

Il capo della Farnesina ha espresso speranza che al prossimo Consiglio Ue che si svolgera' il primo e secondo marzo, la Serbia diventera' candidato per l'adesione all'Ue e ha valutato che il Paese rispetta le condizioni europee il che e' visibile nell'estradizione degli imputati di crimini di guerra al Tribunale dell'Aja e nel dialogo con Priština. "Si e' arrivati pero' agli scontri al nord del Kosovo...incidenti vergognosi ed innaccettabili in cui ci sono stati abbastanza feriti tra le forze della Kfor intervenute a fin di proteggere l'ordine pubblico e la pace, hanno purtroppo guastato il clima di negoziati a Bruxelles nel momento dell'ultima riunione dei ministri degli esteri dell'Ue e del Consiglio", ha rilevato il ministro italiano. Terzi ha avvertito pero' che soltanto alcuni giorni fa il presidente della Serbia Boris Tadić alla domanda se Belgrado riconoscera' il Kosovo aveva risposto: "Mai" - tali dichiarazioni, osserva il capo della diplomazia italiana, non aiutano ma non si possono porre nemmeno nuove condizioni per ottenere lo status di candidato. Terzi ha aggiunto che l'Italia e' stata il primo tra i paesi che avevano riconosciuto l'indipendenza del Kosovo e ha detto che l'intenzione dell'Italia e' quella di impegnarsi per un veloce avvicinamento di Priština alle istituzioni dell'Ue.

Il ministro degli esteri della Serbia Vuk Jeremić ha valutato invece che e' poco probabile che la Serbia ottenga lo status di candidato all'adesione il prossimo marzo se nuovamente verra' posta la condizione alla Serbia di rinunciare alla Risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza dell'Onu sul Kosovo. Per la Radio e televisione della Serbia Jeremić ha detto che questa e' stata la stessa condizione che Belgrado non ha potuto accettare lo scorso dicembre quando il Consiglio europeo decideva sullo status di candidato della Serbia. Secondo le sue parole, nelle prossime settimane gli organi dello stato faranno il tutto possibile affinche' alla Serbia non siano poste condizioni che non e' possibile adempiere. Jeremić ha annunciato che la diplomazia economica nel prossimo periodo sara' la priorita' del Ministero degli esteri serbo e ha aggiunto che lo stato adesso ha molta piu' influenza sull'economia rispetto ai decenni precedenti. Il capo della diplomazia serba ha rilevato che nonostante quello che potra' accadere alle prossime elezioni, si puo' aspettare una continuita' della politica estera di Belgrado e che il governo resta fedele agli obiettivi, tra cui ci sono il processo europeo, l'armonia regionale, una soluzione giusta e sostenibile per il Kosovo e l'approfondimento della collaborazione economica con il mondo.

Infine, da informarvi che questa settimana il ministro degli esteri uscente della Slovenia, Samuel Žbogar e' stato nominato rappresentante speciale dell'Ue a Priština. Gia' lo scorso anno, Žbogar e' stato nominato ambasciatore dell'Ue a Priština e con l'attuale decisione ha ricevuto anche un'altra funzione, scrive il quotidiano serbo 'Blic'. La sua funzione, l'ex ministro degli esteri sloveno la svolgera' sotto il patronato dell'alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza Catherine Ashton, mentre la funzione del rappresentante speciale sta nelle competenze del Consiglio europeo. Con questa nomina, si considera che la Slovenia per la prima volta dall'ingresso nell'Ue ha ottenuto un ruolo importante nella politica estera europea.

[*] Il testo è tratto dalla corrispondenza andata in onda oggi a Radio Radicale

CROAZIA: 20 ANNI DOPO L'INDIPENDENZA IL REFERENDUM SULL'UE

di Marina Szikora [*]
Il 15 gennaio la Croazia ha festeggiato il ventesimo anniversario del suo riconoscimento internazionale. E' il ricordo di quel 15 gennaio 1992, quando l'indipendenza dell'ex repubblica della Jugoslavia e' stata riconosciuta dai membri dell'allora comunita' internazionale, mentre la Germania che insieme alla Santa Sede aveva svolto un ruolo chiave in questo processo, lo stesso giorno aveva stabilito anche rapporti diplomatici con la nuova Croazia. L'allora presidente del primo Governo croato, Franjo Gregurić ha ricordato che la comune decisione della Ce ha riunito nella piazza principale di Zagabria spontaneamente una moltitudine di cittadini i quali festeggiarono insieme al primo presidente croato Franjo Tuđman la giornata piu' importante dello nuovo stato croato. All'epoca, Franjo Gregurić aveva dichiarato che "il riconoscimento della Croazia significa un riconoscimento finale della lotta che la Croazia aveva condotto per la sua indipendenza e sovranita'". Era al tempo stesso, dichiarava il presidente del governo croato "la conferma che la Jugoslavia non esisteva piu' e un aiuto affinche' piu' facilmente e piu' velocemente sia terminata la guerra sporca contro la Croazia e fosse possibile al piu' presto la riabilitazione della patria". Fu una lotta contro il tempo perche' furono gia' decise le forze di pace dell'Onu per le zone di crisi della Croazia e cio' significava anche la fine dell'agressione contro la Croazia. Va ricordato che il 15 gennaio 1996 con la Risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU 1037 e' stata istituita l'amministrazione temporanea dell'ONU in Slavonia orientale – UNTAES e l'amministratore temporaneo fu il generale americano Jacques Paul Klein. Il processo di demilitarizzazione della regione danubiana croata e il ritiro di tutte le unita' paramilitari serbe acconsenti' l'inizio dello sminamento e il ritorno dei profughi. L'accordo sulla conclusione della demilitarizzazione fu firmato a Vukovar il 27 giungo 1996. Nel settembre e ottobre dello stesso anno, durante l'esumazione della fossa comune di Ovčara furono ritrovati i resti di 200 vittime, difensori e civili croati dell'ospedale di Vukovar i quali furono uccisi dopo l'occupazione della citta'. Uno dei momenti chiave della restituzione del potere legale croato a Podunavlje furono le elezioni locali per i consigli comunali nonche' quelle per i parlamenti delle due contee.

Nel suo intervento a Vukovar, in occasione della celebrazione dell'anniversario della reintegrazione pacifica, il presidente croato Ivo Josipović ha sottolineato che e' giusto dire che la reintegrazione pacifica della Slavonia orientale e' stato il progetto di pace dell'Onu di maggiore successo, il quale ha contribuito a proteggere molte vite. Un grande riconoscimento in questo senso, ha detto Josipović, va agli allora vertici croati, ai rappresentanti politici dei serbi nonche' alla comunita' internazionale. Secondo le sue parole, il processo di riconciliazione non sarebbe possibile senza la fiducia e senza la giustizia. La giornata del riconoscimento internazionale della Croazia rappresenta oggi, come ha rilevato il presidente Josipović, l'accettamento dei valori europei che hanno raggiunto il loro culmine nella conclusione del processo di negoziati con l'Ue. I vent'anni della Croazia indipendente non hanno cessato mai di essere un impegno per l'Europa e per i suoi valori democratici. Con i suoi alti e bassi, che si sono rispecchiati nei governi che avevano condotto questa Croazia, con tutti i difetti dello sviluppo democratico nei paesi di transizioni ma con le particolari circostanze di una guerra atroce di occupazione che ancor oggi non ha riportato il Paese al livello economico del prima della guerra, la Croazia e' oggi membro della Nato e a pochi passi dall'ingresso nell'Ue. Un processo molto lungo e spesso frustrante, entrato nel suo settimo anno. E sara' domenica prossima, il 22 gennaio che i cittadini della Croazia dovranno pronunciarsi al referendum se vogliono che il loro paese faccia parte della famiglia europea o meno.

Anche sul suo profilo di Facebook, il capo dello stato croato Ivo Josipović si e' rivolto ai 'cari amici' affinche' anche in questo modo potesse condividere con i cittadini gli argomenti sui quali si basa il suo sostegno alla membership croata nell'Ue. Il presidente ha sottolineato che con "l'ingresso nell'Ue non perdiamo la sovranita'. L'Ue non e' uno stato, bensi' la comunita' di stati e popoli a pari diritto e sovrani che con la propria volonta' hanno deciso di unirsi. Nell'Ue ogni stato nel processo decisionale ha una voce sovrana e uguale. L'adesione all'Ue come unione di stati e popoli ci assicurera' pace e sicurezza permanenti. E' la precondizione per lo sviluppo economico, culturale e di ogni altra specie. Lo stato di diritto e' uno dei valori fondamentali che ai cittadini di tutta l'Ue offre uguali possibilita' per il successo" ha scritto Ivo Josipović su Facebook aggiungendo che "gli effetti della globalizzazione non possiamo fermarli ai nostri confini, possiamo neutralizzarli insieme, perfino utilizzarli per il proprio sviluppo. L'economia di mercato oggi e' l'unico modello conosciuto ed accettato che nel mondo odierno non ha alternative. Alla Croazia in quanto nuovo stato membro saranno disponibili significativi mezzi dei fondi Ue per lo sviluppo economico", ha consluco Josipović.

Il giornalista e analista croato Boško Picula, scrive in questi giorni che ci avvicinano al referendum sull'adesione, che "invece dell'euroottimismo e euroscetticismo, il prevalente tono del prossimo referendum sull'adesione della Croazia all'Ue sara' quello dell'europragmatismo che negli ultimi anni e' stato generato dalle circostanze politiche ed economiche in Croazia come anche in Europa". In questo momento prevale l'opinione che domenica prossima al referendum vincera' il 'si' ma siamo ben lontani a qualificare l'atmosfera come quella dell'entusiasmo. L'attuale situazione di grande crisi europea e in particolare quella della zona euro, giustamente fanno prevalere l'incertezza e molti dubbi a gente come noi che ancora poco tempo fa guardavamo all'ingresso nell'Unione come ad un sogno che finalmente sara' realizzato. Secondo Boško Picula, resta soltanto la domanda quanti elettori si recheranno alle urne e in quale percentuale voteranno pro o contro l'adesione. I recenti sondaggi dell'opinione pubblica parlano di una sicura maggioranza ma le sorprese non sono comunque da escludere. Sara' la Croazia un nuovo paese che al referendum confermera' il suo eurottimismo oppure il molto probabile eisto del voto sara' piuttosto un riflesso del pragmatismo degli elettori croati, e' la domanda che ci si pone questo analista croato.

Va sottolineato che tutti gli attuali partiti politici in Parlamento, sia la coalizione dei partiti vincenti che l'opposizione guidata dall'ex partito governativo, l'HDZ, per quanto riguarda l'ingresso della Croazia nell'Ue parlano con una voce unica e danno pieno appoggio al buon esito del vicinissimo referendum sull'adesione della Croazia all'Ue. Siamo arrivati agli ultimissimi giorni della campagna referendaria iniziata subito dopo l'esito elettorale delle elezioni parlamentari svoltesi lo scorso 4 dicembre. Il blocco di quei partiti politici, non parlamentari e associazioni contrari all'adesione si e' maggiormente opposto alla data del referendum, giudicata troppo accelerata e un termine troppo breve per le informazioni necessarie affinche' i cittadini possano comprendere bene che cosa significhera' per loro e per il Paese l'ingresso nell'Ue. Va sottolineato che nel corso di questa campagna referendario, e' stata concessa pero' una adeguata presenza mediatica sia di quelli pro che quelli contro l'adesione della Croazia all'Ue.

[*] Il testo è tratto dalla corrispondenza andata in onda oggi a Radio Radicale

sabato 14 gennaio 2012

NATALE ORTODOSSO: DISTENSIONE IN CROAZIA, POLEMICHE IN KOSOVO

di Marina Szikora, Corrispondente di Radio Radicale [*]
Un gesto qualificato come storico e' stato quello del presidente croato Ivo Josipović e del premier Zoran Milanović che insieme hanno partecipato alla celebrazione religiosa della Vigilia di Natale ortodosso svoltasi nella chiesa ortodossa di Zagabria. Per la prima volta, il presidente e il premier croati si sono trovati cosi' ad assistere a questo evento. Salutati con applausi dai credenti, i due leader politici croati hanno espresso i loro auguri di Buon Natale al capo della chiesa ortodossa in Croazia, il metropolito Jovan Pavlović. La Vigilia del Natale ortodosso e' stata celebrata anche in altri parti della Croazia dove vive la comunita' serba. "Sono convinto che la celebrazione del Natale anche quest'anno sara' una motivazione per tutti i credenti e per la gente di buona volonta' di promuovere nei loro ambienti comportamenti sociali responsabili, dialogo, pace e collaborazione" si leggeva nell'augurio del presidente croato Ivo Josipović.
L'atmosfera alla Vigilia di Natale nella chiesa ortodossa di Zagabria e' stata quest'anno veramente speciale. All'inizio del suo mandato, a questo evento aveva partecipato anche l'ex presidente Stjepan Mesić, ma questa e' stata la prima volta che il presidente e il premier si sono riuniti insieme ai credenti ortodossi. Evidente e' stato anche l'entusiasmo del capo della chiesa ortodossa Jovan Pavlović il quale tra l'altro ha augurato ai credenti "molta fede e ottimismo perche' la leadership politica si impegnasse a far si' che le nostre negativita' presenti nello stato siano meno possibili e che ci sia il maggior possibile rispetto".

Non e' stato invece cosi' in Kosovo. La Vigilia del Natale ordotosso il presidente della Serbia Boris Tadić l'ha celebrata in Kosovo, piu' precisamente partecipando alla liturgia ortodossa nel monastero di Dečani. Gia' il suo arrivo ha dovuto subire un'accoglienza da non benvenuto. I militanti del movimento "Autodeterminazione" avevano lanciato pietre verso il convoglio di macchine in cui si trovava il presidente serbo. Circa 250 persone hanno manifestato a Dečani contro la visita del capo dello stato serbo mentre per la sua sicurezza hanno provveduto i rappresentanti della Kfor e dell'Eulex. Manifestazioni di protesta si sono svolte anche a Peć. I manifestanti oltre a denunciare la politica di Tadić paragonandola con quella di Milošević avevano indicato che i serbi kosovari godono di assoluta liberta' religiosa in Kosovo a differenza degli albanesi di Preševo, Bujanovac e Medveđa. Va ricordato che il monastero di Visoki Dečani e' oggi il piu' grande ed il miglior custodito monastero medievale serbo conosciuto soprattutto per i suoi affreschi del 14-esimo secolo. A Dečani oggi vive esclusivamente la popolazione albanese e il monastero e' assicurato dai rappresentanti italiani del contingente della Kfor.

Il messaggio del presidente serbo e' voluto essere quello di pace: "Invio un messaggio di pace a tutti, non soltanto ai serbi bensi' anche agli albanesi, a tutta la gente che vive in Kosovo e Metohija, un messaggio di pace anche alle persone di altre religioni, con il desiderio di collegare tutti non rinunciando pero' alla nostra identita' e valori, alla nostra chiesa, al nostro credo, credendo proprio nella pace" ha sottolineato Tadić. Ma nell'intervista per la TV "Most" (Ponte) di Zvečani, Tadić ha ribadito che non accettera' la richiesta di abolire le istituzioni serbe in Kosovo perche' cio' significherebbe a lungo termine il trasferimento della popolazione serba dalla provincia. Ha rieptuto che l'idea di spegnere le istituzioni rappresenta una grande pressione che arriva da quei paei che sono molto influenti, da parte delle grandi potenze – membri del Consiglio di Sicurezza che hanno riconosciuto il Kosovo e che desiderano mettere questo problema ad acta. Il presidente serbo ha ribadito che l'abolizione delle istituzioni serbe e' completamente impossibile. Tadić ha aggiunto che se avesse accettato che la Serbia rinunciasse alla Risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza quando si tratta della rappresentanza regionale delle istituzioni del cosidetto stato indipendente Kosovo, la Serbia avrebbe sicuramente ottenuto lo status di candidato all'adesione. Tadić ha sottolienato che bisogna trovare la soluzione che prende in considerazione non soltanto gli interessi nazionali serbi bensi' anche quelli albanesi e che pensa che cio' sia possibile. "La Serbia non accetta l'indipendenza del Kosovo e non lo accettera' mai. Cio' si basa sulla Risoluzione 1244 e sulla nostra Costituzione ma accettiamo la posizione delle grandi potenze che e' impossibile la divisione del Kosovo" ha detto il capo dello stato serbo.

Molto dura e' stata la reazione di Priština. Per voce del vice del premier kosovaro e ministro della giustizia Hajredin Kući il governo kosovaro ha detto che non permettera' in futuro l'ingresso al presidente della Serbia Boris Tadić in Kosovo a causa delle sue dichiarazioni politiche nel monastero di Visoki Dečani. Per la televisione di Priština Kući ha precisato che Tadić ha abusato della sua visita al monastero dichiarando che il Kosovo e' terra serba e che la Serbia non riconoscera' mai l'indipendenza del Kosovo, in piu' che non intende ritirare le strutture parallele al nord del Kosovo. Sempre in occasione della festa di Natale a Dečani, Tadić aveva detto che "qui a Visoki Dečani non si puo' dire nient'altro e per questo il monastero e' il luogo sacro non soltanto per il popolo serbo bensi' per tutta la gente che visita il nostro Kosovo e Metohija, la nostra terra. Questo e' il nostro comune territorio europeo".

[*] Il testo è tratto dalla corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda giovedì 12 gennaio

BOSNIA: IL 20° DELLA REPUBLIKA SRPSKA TRA CELEBRAZIONI E POLEMICHE

Milorad Dodik brinda con Boris Tadic
(Foto Taniug)
Di Marina Szikora, corrispondente di Radio Radicale Gli interessi nazionali serbi sono stati ben presenti in Bosnia Erzegovina, o meglio nell'entita' a maggioranza serba, in occasione della celebrazione del ventennale dell'istituzione della Republika Srpska. Lunedi' [9 gennaio, n.d.r.] a Banja Luka, il capoluogo della RS, la celebrazione dell'anniversario ha avuto come ospite d'onore il presidente della Serbia Boris Tadić ma anche il premier Mirko Cvetković nonche' il ministro degli interni Ivica Dačić. In questa occasione, il capo della Serbia ha detto che la politica di violenze e di aspirazioni etnocentriste radicali e clericali a danno di un altro popolo devono per sempre essere eliminate da quest'area, ma che il popolo serbo, sia in Serbia ache nella RS, ha il diritto legittimo di difendere i suoi interessi legittimi.

Parlando della RS, Tadić ha detto che questa entita' e' stata creata come comunita' in cui il popolo serbo protegge i suoi interessi nazionali e la sua identita', rispettando gli interessi e l'identita' degli altri due popoli costituenti. Secondo le sue parole, i popoli della regione possono avere l'appoggio dell'Ue per un pacifico superamento dei loro contenziosi, per lo sviluppo economico e politico nonche' per la realizzazione dei valori e standard democratici. Tadić ha rilevato che la Serbia e' consapevole di tutti gli obblighi e diritti che risultano dall'Accordo di Dayton e ha ribadito che la Serbia sara' sempre pesente quando bisogna manifestare solidarieta' con il popolo della RS.

Il presidente della RS Milorad Dodik, in occasione dell'ventennale ha consegnato a Boris Tadić l'onorificenza di Santo Stefano. L'ospite serbo ha espresso gratitudine alla RS per il sostegno alla soluzione del problema kosovaro in modo tale che essa possa essere nell'interesse di tutta la popolazione del Kosovo, senza che vi siano perdenti o senza che la soluzione sia base per il triunfalismo di una parte. La Serbia – ha assicurato Tadić – continuera' ad essere garante dell'Accordo di Dayton appoggiando l'integrita' territoriale e la sovranita' della Bosnia Erzegovina, l'esistenza delle due entita' e dei tre popoli costituenti nonche' le soluzioni sulle quali vi e' un consenso all'interno della BiH. "Cosi' come in ogni occasione insistiamo sulla difesa dei diritti di tutti gli altri popoli nei Balcani occidentali, non rinunceremo mai a difendere gli interessi legittimi del popolo serbo laddove esso vive" ha detto Tadić.

Nel suo piuttosto lungo intervento, il presidente della RS Milorad Dodik ha dato invece tutta la colpa per la guerra in BiH ai bosgnacchi affermando che loro stessi sono responsabili anche per il genocidio che l'esercito dei serbi bosniaci ha commesso a Srebrenica. Per l'istituzione della RS ha detto che e' stato "un atto legittimo e democratico" e che e' stata creata "in modo pacifico" mentre le repubbliche che nel 1991 decisero di proclamare l'indipendenza dall'ex Jugoslavia, secondo Dodik hanno compiuto un atto "illegittimo". L'uomo forte della RS ha ripetuto tutta una serie di accuse sul conto della comunita' internazionale soprattutto tutti i tentativi di rafforzare la BiH come stato.

Secondo il presidente Tadić, la data dell'istituzione della RS e' stata una data storica e "una risposta politica" dei serbi bosniaci alla decisione relativa all'indipendenza della BiH. Come osservano i media croati, Tadić ha mancato pero' di menzionare che il referendum sull'indipendenza della BiH si era svolto soltanto a fine febbraio, un mese e mezzo dopo l'autoproclamazione della RS.

Va anche detto che i rappresentanti bosgnacchi hanno ignorato la celebrazione a Banja Luka. La radio e televisione della RS nel corso dell'intera giornata ha trasmesso un programma straordinario in cui sono stati eloggiati gli eventi del gennaio 1992, incluso il ruolo degli imputati dell'Aja per i piu' gravi crimini, Radovan Karadžić e Ratko Mladić. I media di Sarajevo hanno ricordato invece che il Tribunale dell'Aja per l'ex Jugoslavia fino ad oggi ha pronunciato oltre settanta sentenze contro i responsabili dei piu' gravi crimini di guerra commessi contro bosgnacchi e croati sul territorio dell'odierna RS.
[*] Il testo è tratto dalla corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda giovedì 12 gennaio

venerdì 13 gennaio 2012

CROAZIA: IL FUTURO DELLE RELAZIONI CON LA SERBIA SECONDO IL NUOVO MINISTRO DEGLI ESTERI VESNA PUSIĆ

Vesna Pusić
di Marina Szikora, corrispondente di Radio Radicale [*]
L'obiettivo dei futuri rapporti della Croazia con la Serbia e' quello di far sapere finalmente alla gente che cosa e' successo con i loro famigliari scomparsi nella guerra, che alla Croazia venisse restituito il patrimonio culturale e che siano risolte le reciproche accuse per crimini di guerra. Cosi' la neo ministro degli esteri croata Vesna Pusić ospite di una trasmissione della televisione di Osijek. "Se questo e' l'obiettivo che ci siamo posti, cerchiamo allora di raggiungerlo. Se non siamo in grado di risolverlo – e cio' dipende dalla parte croata e quella serba – allora niente, ci appresteremo alle accuse per genocidio, quale che sara' l'epilogo e come andra' a finire. Se siamo in grado di risolvere queste questioni concordando, all'ordine del giorno arriva anche il colloquio sulla possibilita' di ritirare le accuse per genocidio. Senza una precedente soluzione di questi problemi, la questione non puo' trovarsi all'ordine del giorno. Se saremo in grado di risolverla, abbiamo fatto un passo serio avanti. Il termine potrebbe essere un anno o due" ha detto la capo di diplomazia croata. In effetti, il tema delle reciproche accuse per genocidio davanti alla Corte internazionale di giustizia, dopo le elezioni in Croazia e il cambiamento del potere sono un tema di cui si tenta di ridiscutere.

Vesna Pusić valuta anche che la stabilita' della regione non e' possibile senza la stabilita' della BiH e che i croati in questo momento, per una serie di ragioni storiche in BiH, si trovano in una posizione maggiormente scomoda: il numero dei croati e' quello minore ma economicamente sono abbastanza forti, politicamente non hanno pero' la vera base di influenza. La ministro degli esteri croata sottolinea di essere l'ultima a ritenere che la rappresentanza etnica sia quella piu' moderna e la piu' accettabile, ma finche' esiste come tale, deve essere uguale per tutti. Non puo' essere differente per i croati rispetto alle altre entita'. La Croazia non imporra' soluzioni proprie ma e' pronta e capace a partecipare in una specie di colloqui regionali e trasmettere le proprie esperienze del processo europeo, conclude Pusić.

La ministro ha fatto riferimento anche ai problemi della zona euro. Secondo la sua opinione, alcuni dei stati membri vi sono entrati nella zona troppo presto, alcuni hanno acconciato o perfino falsificato i dati nel momento dell'accesso e adesso se ne stanno pagando i prezzi alti. Ma afferma che la crisi in cui sono entrati non e' relativa alla loro adesione all'Ue o alla zona euro ma e' causata dal loro comportamento relativamente irresponsabile. "Nei tempi di circostanze economicamente adeguate, di alti tassi di crescita, il boom dell'industria finanziaria ed i suoi derivati con i quali le banche avevano operato, bassi mutui ecc, non si e' riflettuto delle conseguenze e si e' arrivato a indebitamenti troppo grandi. Con l'inizio della crisi e' esploso il pallone del mercato di immobili e tali stati sono giunti in una situazione difficile. Con questo tipo di politica il loro destino sarebbe stato lo stesso anche se non fossero membri dell'Ue ma fouori dall'Ue sarebbero di gia' nella bancarotta" e' dell'opinione Vesna Pusić.
[*] Il testo è tratto dalla corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda il 12 gennaio

giovedì 12 gennaio 2012

SLOVENIA: LA CRISI POLITICA RESTA IRRISOLTA

Il parlamento nega la fiducia a Jankovic. Rispunta l'ex premier Jansa?

Mercoledì 11 gennaio il parlamento sloveno ha bocciato la nomina a premier di Zoran Jankovic, il magnate e sindaco di Lubiana, leader del partito di centro-sinistra "Nuova Slovenia" vincitore a sorpresa delle elezioni anticipate del 4 dicembre. Dei 90 deputati di cui è composto il parlamento hanno votato solo in 47: 42 a favore, uno contro e quattro nulli. Il presidente Danilo Turk deve trovare ora un altro candidato per la guida del nuovo governo, anche se in teoria può ridare l'incarico a Jankovic e a questo proposito rispunta il nome dell'ex-premier Janez Jansa.
Qui di seguito il testo della corrispondenza di Marina Szikora per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi a Radio Radicale, registrata prima del voto.

Il presidente sloveno Danilo Tuerk giovedi' scorso ha affidato a Zoran Janković, vincitore delle elezioni del 4 dicembre, il mandato per formare il nuovo governo sloveno. Dopo lunghe e difficili trattative, la soluzione sembrava essere raggiunta. Il partito Slovenia positiva guidato dal sindaco di Ljubljana Zoran Janković alle elezioni anticipate dello scorso 4 dicembre aveva vinto 28.5 percento di voti, ovvero 28 seggi di un totale di 90 seggi in Parlamento. Per ottenere la fiducia del Parlamento, Janković ha bisogno concretamente di 46 voti. Recentemente, va detto, il presidente sloveno e' stato molto irritato da certe dichiarazioni dell'ambasciatore americano in Slovenia. Viste le lunghe trattative, l'ambasciatore Joseph Mussomeli aveva proposto ai leader politici sloveni di formare "una grande coalizione". Tali dichiarazioni secondo il presidente Tuerk sono inadeguate e ha detto di aspettarsi reazioni da parte del ministro degli esteri sloveno poiche' non sono i diplomatici stranieri quelli che decidono sulla formazione del governo.
Tuttavia, come ormai diventato consueto, un nuovo terremoto politico in Slovenia sembra aver rimescolato le carte nel gioco. All'ultimo momento il neopresidente del Parlamento sloveno Gregor Virant ha rifiutato l'ingresso nella coalizione di Zoran Janković. Senza Virant, il potenziale premier Janković non ha gli indispensabili 46 voti in parlamento per averne la fiducia. Ne ha in questo momento soltanto 38. Nemmeno i due rappresentanti di minoranze non vogliono essere l'ago sulla bilancia. Dall'altra parte, si dice che Janez Janša ha gia' preparato di nascosto il suo accordo di coalizione con tutti i partiti della destra e con i pensionati ottenendo cosi' 50 voti. Se Janković non passa, sara' la vittoria di Janša. Cosi', anche se i cittadini sloveni alle elezioni dello scorso dicembre avevano deciso che il paese si girera' verso la sinistra, il nuovo governo potrebbe essere quello di destra. Ma Janković non rinuncia e ad un giorno prima della presentazione del programma del suo futuro governo afferma che si aspetta un risultato positivo del voto di fiducia. Il presidente del Parlamento Virant ha giustificato invece la sua decisione di non appoggiare Janković affermando che i negoziati con il candidato a premier hanno dimostrato enormi disaccordi sul programma.

mercoledì 11 gennaio 2012

I GIORNALISTI ITALIANI RACCONTANO LA SERBIA

Ieri, nell'ambito della manifestazione "Signore e signori... la Serbia!", apertasi il 27 dicembre presso il Museo della Civiltà Romana di Roma e che si chiuderà il prossimo 27, si è svolto l'incontro dal titolo "I giornalisti italiani raccontano la Serbia" nel quale alcuni dei giornalisti italiani che hanno seguito le vicende balcaniche sia all'epoca della Jugoslavia, sia durante i conflitti degli anni '90, sia dopo, dalla fine del regime di Milosevic all'attuale Serbia democratica che cerca l'adesione all'Unione Europea, hanno raccontato le loro esperienze, la loro idea e i loro legami con il Paese, la sua gente, la sua storia recente e le loro idee sul futuro della Serbia. L'iniziativa che rientra nell’ambito del progetto “Arte e cultura dell’Europa dell’Est a Roma”, promosso dall’Assessorato alle Politiche Culturali e Centro Storico – Sovraintendenza ai Beni Culturali di Roma Capitale e dalla Consigliera Assembleare Aggiunta per l’Europa Tetyana Kuzyk.

All'incontro sono intervenuti: Ennio Remondino (già corrispondente della Rai), Lorenzo Bianchi (Quotidiano Nazionale), Luciano Gulli (Il Giornale), Ettore Mencacci (già corrispondente dell'Ansa), Guido Alferj (Il Messaggero), Gigi Riva (L'Espresso), Marialina Veca (Il Giornale dei Carabinieri), Roberto Spagnoli (Radio Radicale), Cecilia Ferrara (freelance e collaboratrice Osservatorio Balcani e Caucaso), Matteo Tacconi (giornalista indipendente, collaboratore di Europa).
L'incontro, che si è svolto alla presenza dell'ambasciatrice della Repubblica di Serbia in Italia, signora Ana Hrustanovic, è stato introdotto da Manojlo Vukotic di Vecérnje Novosti e moderato da Ana Markovic, dell'ambasciata serba.

La registrazione dell'incontro è disponibile sul sito di Radio Radicale oppure direttamente qui

domenica 8 gennaio 2012

LA SERBIA E I PAESI VICINI

di Marina Szikora
Il testo è tratto dalla corrispondenza per Radio Radicale andata in onda il 5 gennaio

entering serbia
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Con l'inizio dell'anno il presidente della Croazia Ivo Josipović lancia messaggi chiari alla vicina Serbia relativi alle relazioni di buon vicinato e di sostegno croato al cammino della Serbia verso l'Ue. Per il quotidiano di Novi Sad 'Dnevnik' il capo dello stato croato ha dichiarato che la soluzione dei contenziosi del passato e' di interesse vitale croato e ha ripetuto che la Croazia dopo il suo ingresso nell'Ue non intende bloccare le integrazioni europee della Serbia a causa dei contenziosi bilaterali. Ricordando che la Croazia e' stata nelle circostanze di sperimentare il blocco di uno stato vicino, e qui si allude alla Slovenia e la disputa sul confine marittimo, Josipović ha detto che la Croazia e' politicamente maturata e che tra i politici seri in Croazia non c'e' nessuno che nelle relazioni con i paesi vicini utilizzerebbe i ricatti ed i blocchi. "La Croazia vuole sinceramene che la Serbia diventi un paese stabile, che si sviluppi e che diventi al piu' presto una parte integrale delle istituzioni dell'Ue" ha detto Josipović. Parlando delle reciproche accuse di Croazia e Serbia per genocidio davanti alla Corte internazionale di giustizia, il presidente croato ha ripetuto che non c'e' bisogno di continuare i processi se la Croazia e la Serbia attraverso i negoziati si impegnano affinche' le accuse diventino fuori discussione e riescano a risolvere i problemi che appesantiscono i loro rapporti. Ma se non si riuscira' a trovare la soluzione, la risposta sara' del tutto diversa, ha rilevato Ivo Josipović.

Sempre per quanto riguarda le integrazioni europee della Serbia, alla domanda se la Serbia di fatto dovra' accettare che il Kosovo e' uno stato indipendente o autonomo affinche' possa ottenere lo status di candidato all'adesione il prossimo marzo, una risposta ha tentato di darla il presidente della Serbia Boris Tadić. Secondo il capo dello stato serbo, bisogna innanzitutto differenziare la questione dell'autonomia dalla questione dell'indipendenza. I cittadini della Serbia devono accettare la realta' degli albanesi in Kosovo che non vogliono vivere sotto il tetto sovrano della Serbia. In questo senso c'e' bisogno di trovare un soluzione, sottolinea Tadić. Si e' detto felice che per la prima volta i fattori internazionali, quali Robert Cuper, ritengono che la Costituzione della Serbia, oltre al parere degli albanesi in Kosovo, e' altrettanto una realta' che deve essere presa in considerazione. La Risoluzione 1244 e' internazionalmente vincolante e la Serbia in seno alle Nazioni Unite non ci rinuncera' a nessuna pressione.

Per quanto riguarda il riconoscimento implicito o esplicito dell'indipendenza, Tadić ha ribadito che la Serbia non accettera' nessuna delle forme ma cio' non significa che la Serbia deve ignorare tutto quello che gli albanesi del Kosovo ritengano sia il loro interesse nazionale. La Serbia deve proporre la soluzione che prende in considerazione gli interessi legittimi e le richieste del popolo albanese e delle istituzioni albanesi di Priština, ha detto il presidente serbo Tadić. Ha aggiunto che il suo paese si trova in una posizione molto difficile e che lui non lo nega poiche' ci sono anche quelli che propongono di rinunciare agli interessi legittimi in Kosovo a favore delle integrazioni europee. Tadić ha sottolineato pero' che la Serbia non deve rinunciare ai suoi obiettivi strategici centrali ogni qualvolta si trova sotto pressione, ma deve trovare il modo per ottenere entrambi gli obiettivi: sia l'Ue che il Kosovo. Tadić ha informato che i colloqui con gli interlocutori europei a tal proposito saranno molto attivi quest'anno. "Non prometto lo status di candidato" ha detto ma "prometto che, quanto sia nel mio potere, lottero' per lo status di candidato e per la data dell'inizio dei negoziati".

Per quanto riguarda la decisione dei serbi al nord del Kosovo di indire un referendum in cui esprimere l'opinione se accettano le istituzioni kosovare o meno, il capo dello stato serbo ha detto che il referendum puo' provocare una reazione internazionale e che non serve a niente poiche' tutti nel mondo sanno che i serbi al nord del Kosovo non accettano l'allargamento delle istituzioni di Priština e si puo' mettere a repentaglio la sicurezza dei cittadini serbi in Kosovo. I soggetti politici – ha detto Tadić – che propongono certe misure devono assicurare che siano conforme alla Costituzione e il referendum non portera' ad un dialogo politico, ne' al dialogo tecnico tra Belgrado e Priština, come nemmeno all'approvazione di una soluzione fondamentale per lo status del Kosovo. Va precisato che i consiglieri dei comuni di Kosovska Mitrovica, Zvečan e Zubin Potok hanno deciso di organizzare un referendum il prossimo 14 e 15 febbraio al quale i loro cittadini si pronunceranno "se vogliono le istituzioni kosovare o no".

Un articolo della Deutsche Welle in questi giorni parla delle relazioni della Serbia con gli altri paesi della regione balcanica
Dragan Đukanović, membro del Forum per le relazioni internazionali sostiene che come sempre, queste relazioni hanno avuto i loro alti e bassi. Cio' riguarda in particolare la collaborazione con la Croazia, dove e' stato compiuto un evidente progresso. Đukanović aggiunge che secondo la sua opinione, dopo la vittoria della coalizione della sinistra e il dominante Partito socialdemocratico in Croazia, i rapporti saranno ancora piu' consolidati. Non soltanto a livello dei due presidente, Josipović e Tadić, come finora, bensi' anche nella prospettiva delle relazioni tra di due governi che saranno "molto piu' produttivi e che tenderanno a risolvere le altre questioni ancora aperte". Visto globalmente, le relazioni tra Serbia ed altri paesi della regione sono in una situazione di stallo anche se ci sono progressi individuali, ritiene invece Andrej Nosov, direttore del Fondo Heartfact e afferma che si ha l'impressione che la Serbia non abbia rinunciato alla sua ex politica verso la regione bensi' che questa politica e' modificata e adattata a qualcosa che arriva su richiesta da Bruxelles e che viene nominato come piena e sostenibile collaborazione regionale. "Pare che la collaborazione regionale sia soltanto una delle partite per l'adesione all'Ue invece di essere una necessita' reale, sostenibile e sincera dell'elite politica per stabilire con i paesi vicini relazioni profonde e normali nel 21-esimo secolo" afferma Nosov.

Le relazioni tra Serbia e BiH nel corso del 2011 sono state nel segno di una posizione sbilanciata di Belgrado verso la RS a danno della Federazione BiH, afferma Dragan Đukanović. Nella prospettiva, ritiene questo esperto politico, si dovrebbe rafforzare o rivivere il Consiglio interstatale per la collaborazione il che rafforzerebbe le relazioni anche con il potere centrale della BiH. Đukanović indica inoltre l'iniziativa di cui ha parlato recentemente il presidente Boris Tadić che riguada un accordo con la Federazione Bih sui visti speciali che esiste di gia' con la RS. In questo modo, ritiene, si potrebbero oltrepassare certi problemi relativi allo status dei cittadini della maggiore entita' della BiH in Serbia nel settore di educazione, sanita' e molti altri. Andrej Nosov punta sulla mancanza di collaborazione tra Belgrado e Sarajevo come qualcosa che appesantisce le relazioni tra Serbia e BiH. Fa riferimento anche al recente passato e in questo contesto ferma l'attenzione sul caso di Jovan Divjak che appesantisce molto le relazioni tra i due paesi. Questo esperto politico si sofferma anche sulle relazioni tra Serbia e Montenegro e afferma che sono andate nella direzione negativa dopo che Podgorica aveva riconosciuto l'indipendenza del Kosovo. Dall'altra parte si nota un evidente miglioramento della collaborazione nella lotta contro la criminalita' organizzata.

Il problema emerge anche a causa del sostegno di Belgrado verso la parte minoritaria del Montenegro che mette in questione l'indipendenza montenegrina, dice Nosov. Un problema molto grande nella collaborazione tra Belgrado e Podgorica sta proprio in questo tipo di posizione e anche se formalmente si', in fin dei conti la Serbia non ha ancora del tutto accettato le istituzioni del Montenegro. D'altra parte, il Montenegro ritiene che ogni volta che si menziiona la comunita' etnica serba in Montenegro, si interferisce nella statalita' montenegrina, valuta Đukanović. Invece, Belgrado dovrebbe svolgere un ruolo costruttivo nel processo di soluzione dello status della comunita' etnica serba. I due stati vengono inoltre appesantiti dal problema della doppia cittadinanza, i negoziati ormai maratoni non hanno dato nessun risultato e si dovrebbe lavorare sul raggiungimento di un accordo, afferma Đukanović. Gli inerlocutori della DW indicano pero' che la collaborazione economica, culturale, scientifica oppure quella tra i giovani, tra i paesi della regione segna risultati molto migliori rispetto alle relazioni politiche. Questa collaborazione e' in salita ma sempre ancora a livelli che si alternano.

sabato 7 gennaio 2012

LA BOSNIA HA UN PREMIER E FORSE AVRA' ANCHE UN GOVERNO

Vjekoslav Bevanda premier incaricato
della Bosnia Erzegovina
Si chiama Vjekoslav Bevanda, è un economista, ha 55 anni, è un esponente del principale partito dei croati di Bosnia (l'Unione democratica croata, Hdz), è già stato ministro delle Finanze dell'entità croato-bosgnacca tra il 2007 e il 2011, e ha ricevuto l'incarico di formare il nuovo governo centrale. La designazione, decisa all'unanimità dalla presidenza collegiale bosniaca, è arrivata esattamente quindici mesi dopo le elezioni legislative e subito dopo l'accordo tra le principali forze politiche che ha scongiurato la totale e definitiva paralisi delle istituzioni centrali del Paese. Ora la nomina dovrà essere approvata dal parlamento centrale, quindi il premier incaricato avrà un mese di tempo per formare il suo esecutivo. Salvo volta faccia dell'ultima ora, il nuovo governo dovrebbe essere insediato entro la fine del mese. Il patto che ha posto fine a quindici mesi di crisi politica ha permesso anche l'adozione del bilancio delle istituzioni centrali per il 2011, mettendo a disposizione del governo centrale un miliardo di marchi bosniaci, ovvero 515 milioni di euro. E' stata così evitata la paralisi delle istituzioni e, in attesa che venga redatta la legge finanziaria per l'anno appena cominciato, è stato adottato per decreto il bilancio per il primo trimestre del 2012.

Da tempo la comunità internazionale e l'Unione europea chiedevano ai leader bosniaci di trovare un'intesa e formare un governo centrale, in modo da far ripartire il processo di integrazione. L'Unione europea, dopo aver accolto con favore l'intesa sul governo, ha invitato le forze politiche bosniache a varare nuove riforme per accelerare il processo di integrazione. L'impasse che si trascinava dalle elezioni politiche di ottobre 2010 aveva bloccato il riavvicinamento di Sarajevo a Bruxelles. La Bosnia si è trovata così al traino di tutti gli altri paesi balcanici nel cammino verso la Ue anche perché resta l'unica repubblica ex jugoslava a non avere ancora chiesto a Bruxelles lo status di Paese candidato all'adesione. Dopo essersi accordati sulla formazione del nuovo governo, i leader politici delle tre principali comunità della Bosnia Erzegovina (serbi, croati e bosgnacchi) hanno così raggiunto un'intesa anche sull'attuazione di due riforme richieste con insistenza da Bruxelles: la legge sul censimento e quella sulla distribuzione delle sovvenzioni pubbliche.

venerdì 6 gennaio 2012

TURCHIA: ARRESTATO L'EX CAPO DI STATO MAGGIORE ILKER BASBUG

Ilker Basbug (File Photo)
Iniziamo il 2012 con una notizia clamorosa che arriva oggi dalla Turchia: una nuova puntata dell'annoso scontro tra governo islamico-moderato e forze armate che, nonostante le basse temperature stagionali, ha fatto immediatamente arrivare al calor bianco la temperatura politica a cavallo del Bosforo. L'ex capo di Stato maggiore turco, Ilker Babsug, è stato infatti arrestato oggi con l'accusa di voler rovesciare il governo di Recep Tayyip Erdogan. Il provvedimento, senza precedenti, è l'ennesimo episodio del braccio di ferro fra l'esercito, pilastro fondamentale dell'establishment kemalista, e il governo islamico-moderato. Basbug è l'ultimo degli ufficiali che, in ordine di tempo, sono stati arrestati nelle indagini su presunte cospirazioni contro il governo dell'Akp, ma è la prima volta nella storia del paese che un così alto grado militare viene posto in custodia cautelare.

Il 2 gennaio la magistratura ha aperto un'inchiesta a carico del generale nell'ambito dell'indagine sul presunto coinvolgimento delle forze armate nell'apertura di siti web di propaganda antigovernativa. Il nome di Basbug sarebbe stato fatto da diversi testimoni che lo avrebbero accusato di aver ordinato la creazione dei siti: tra gli accusatori l'ex primo comandante dell'esercito, il generale Hasan Igsiz, il generale Mehmet Eroz e il capitano Murat Uslukilic. La propaganda anti Akp su Internet rientrerebbe in un più ampio piano risalente al 2010, denominato “Piano d'azione per la lotta al sistema reazionario”. Secondo quanto riferito dall'avvocato Ilkay Sezer all'emittente Ntv, Basbug ha negato le accuse e ha definito "tragicomici" i capi di imputazione, ma dopo un interrogatorio durato sette ore i magistrati hanno deciso di arrestarlo.

L'ex capo di Stato maggiore, che ha guidato le forze armate dal 2008 al 2010, è accusato anche di essere coinvolto nella pubblicazione del comunicato dell'aprile 2007, con cui l'esercito lasciava intendere che sarebbe potuto intervenire se Abdullah Gul, uno dei massimi esponenti dell'Akp, già ministro degli Esteri di Erdogan, fosse stato eletto presidente della Repubblica. Un pronunciamento che subito rimandò la memoria ai colpi di stato con cui i militari nel passato avevano esautorato governi accusati di voler rovesciare i fondamenti della repubblica kemalista. Nelle elezioni del luglio 2007 Erdogan conquistò una maggioranza parlamentare tale da consentirgli di avviare le prime riforme per indebolire l'influenza delle forze armate e a mettere mano alla Costituzione del 1982, frutto dal golpe militare del 1980. Gul fu poi eletto presidente nell'agosto successivo.

Su Basbug grava, inoltre, il pesante sospetto di una possibile partecipazione a Ergenekon, l'organizzazione segreta che avrebbe cercato di destabilizzare il Paese con la violenza per rovesciare il governo Erdogan. Fino a questo momento sono oltre 300 le persone coinvolte nell'inchiesta, fra cui giornalisti, docenti universitari, imprenditori, intellettuali e, naturalmente, militari. Molti pensano o sospettano, però, che il caso sia stato gonfiato e sfruttato dal governo per mettere fuori gioco o quanto meno in difficoltà personaggi particolarmente critici nei confronti del governo. In effetti, lo scontro tra l'establishment, depositario (vero o presunto) dell'eredità kemalista e l'Akp, interprete della nuova classe dirigente anatolica arrivata al potere nell'ultimo decennio, va avanti da anni, e senza esclusione di colpi. Martedì scorso, la procura generale di Ankara, ha annunciato un atto d'accusa contro i due autori del golpe del 1980 ancora in vita: l'ex capo di stato maggiore Kenan Evren, che oggi ha 95 anni, e l'ex capo delle forze aeree, Tahsin Sahinkaya. L'iniziativa è stata interpretata da una parte dell'opinione pubblica come un ulteriore avvertimento dell'esecutivo alle forze armate.

Sarà estremamente interessante osservare ora che sviluppi avrà il clamoroso arresto di Basbug e, più in generale il braccio di ferro governo-militari. Certo, questo durissimo colpo all'establishment, proprio all'inizio dell'anno in cui Erdogan dovrebbe procedere con il progetto di riforma della costituzione per il quale non ha i numeri sufficienti in parlamento, fa supporre che i prossimi mesi saranno piuttosto tormentati. Per la Turchia si è trattato certamente di un inizio d'anno col botto. E non certo in senso pirotecnico. [RS]