Bruxelles decide l'apertura di un nuovo
dossier. Intanto Erdogan non cambia linea sulle proteste di piazza.
L'Unione Europea rilancia i negoziati
di adesione con la Turchia, dopo tre anni di congelamento e
nonostante le perplessità e le critiche provocate dalla dura
repressione messa in atto dal governo di Recep Tayyip Erdogan contro
le manifestazioni di protesta di giugno e luglio. I ministri degli
Affari europei dell'Ue, riuniti oggi a Lussemburgo hanno stabilito
che i negoziati con Ankara
riprenderanno il prossimo 5 novembre.
Il Consiglio europeo di giugno aveva in effetti dato via libera
all'apertura di un nuovo dossier negoziale (il 22 sulle politiche
regionali), ma la riapertura effettiva della trattativa era stata
sospesa a causa della repressione delle proteste anti-governative a
Istanbul e in altre città turche. La decisione odierna era attesa
dopo la pubblicazione, una settimana fa, del rapporto annuale della
Commissione europea sull'allargamento, che pur criticando il governo
Erdogan per la linea dura contro le manifestazioni, aveva
raccomandato la ripresa dei negoziati con la Turchia. La Commissione
Ue ha chiesto che vengano affrontati anche i capitoli 23 e 24, che
riguardano questioni delicate come i diritti fondamentali, la
giustizia, la libertà e la sicurezza. Ma di questo ulteriore
sviluppo l'Ue discuterà più avanti, probabilmente al Consiglio
europeo di dicembre. La conferenza per l'apertura del capitolo dei
negoziati sulle politiche regionali, è stata fissata per il prossimo
5 novembre a Bruxelles.
L'annuncio odierno è arrivato via
twitter dalla presidenza di turno lituana dell'Ue, secondo cui
"l'apertura del capitolo 22 nei negoziati di adesione della
Turchia con l'Ue dopo tre anni e' un segnale importante". In
effetti, il negoziato è in corso da 8 anni ma dei 35 capitoli
negoziali previsti ne sono stati aperti solo 13 e ne è stato chiuso
ad oggi solo uno. Il commissario europeo per l'Allargamento, Stefan
Fule, ha sottolineato che "la decisione di oggi rappresenta un
passo importante. I recenti sviluppi in Turchia sottolineano
l'importanza dell'impegno dell'Ue e il fatto che l'Unione rimanga il
punto di riferimento per le riforme" del Paese. "Sono
felice che il nostro rapporto della settimana scorsa sia stato in
grado di fornire un contributo al processo che ha portato alla
decisione di oggi di aprire il quattordicesimo capitolo dei negoziati
con la Turchia e spero che molti altri seguiranno" ha concluso
Fule. I principali problemi sono però sempre tutti sul tappeto. Il
più spinoso resta la questione di Cipro: l'isola è divisa in due
dal 1974, con la parte nord occupata dalla Turchia, ma per la
Comunità internazionale la divisione non esiste e l'unico stato
riconosciuto è la repubblica di Cipro, membro dell'Unione europea,
il cui territorio si estende su tutta l'isola. Ankara, invece,
riconosce solo il Nord, dove si è costituita una repubblica nel
territorio corrispondente alla parte che occupò militarmente 39 anni
fa.
Intanto, apparentemente indifferente
alle critiche e ai consigli venuti da Bruxelles, il premier turco non
sembra voler cambiare atteggiamento nei confronti dell'opposizione
che sale dalla società turca rispetto ad alcune scelte o iniziative
dell'esecutivo. Né sembra mostrare un atteggiamento più disponibile
nei confronti delle proteste di piazza, come quelle suscitate dai
lavori per la costruzione del terzo ponte sul Bosforo a Istanbul.
Erdogan ha definito ''banditi moderni'' gli ambientalisti che hanno
cercato di bloccare i lavori per la costruzione del ponte dicendosi
pronto a demolire anche una moschea se necessario a favorire la
costruzione di una strada. ''Noi stiamo servendo il popolo, non gli
individui. Qualsiasi cosa puo' essere sacrificata per una strada.
Demoliremmo anche una moschea se una strada dovesse passare di li' e
la ricostruiremmo da un'altra parte'', ha detto Erdogan in Parlamento
sostenendo che ''il ponte non sarà utile solo agli abitanti di
Istanbul, ma a tutta l'umanità” e che ogni cosa puo' essere
sacrificata per delle strade.
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