martedì 23 febbraio 2010

SUL GOLPE IN TURCHIA MOLTI DUBBI E UNA SOLA CERTEZZA: PROSEGUE LO SCONTRO TRA GOVERNO E ESTABLISHMENT KEMALISTA

I magistrati che indagano sul presunto golpe militare in Turchia hanno cominciato gli interrogatori di 51 ufficiali militari, tra cui gli ex capi di Stato maggiore di esercito e marina, sospettati di aver preso parte al complotto - denominata "Operazione Balyoz" (martello) - che secondo le accuse puntava a rovesciare il governo islamico-moderato del premier Erdogan con una vera e propria strategia della tensione. L'operazione di polizia ha arroventato di nuovo la lotta di potere tra l'establishment kemalista e l'attuale governo che conta ancora un forte consenso elettorale (anche se ridimensionato rispetto al grande successo delle elezioni del 2007).

Il quotidiano Taraf, che in gennaio aveva per primo denunciato il presunto piano golpista ordito nel 2003, oggi gioca con le parole e titola "Il martello più pesante sulla tutela militare", mentre Today's Zaman afferma che l'operazione è partita dopo che esperti hanno stabilito che alcuni documenti, oggetto di una fuga di notizie, erano autentici. Il governo ha smentito che l'operazione abbia moventi politici o sia stata architettata per tacitare i critici del governo, ma questo è proprio ciò che invece sostengono le opposizioni e anche diversi analisti. Ed è quello che si legge oggi anche in molti commenti pubblicati sulla stampa italiana.

Marco Guidi, sul Messaggero, scrive che "l'impressione è che un tentativo di sovvertire la vita politica turca esista davvero, ma che gli islamici l'abbiano lasciato andare avanti per poi colpire duramente", visto che "la storica posizione dei militari come guardiani della politica è indebolita e Erdogan e il suo Akp si possono mostrare come i veri tutori della democrazia". Livio Caputo sul Giornale ritiene che "è lecito dubitare che, in questo ultimo caso, la minaccia fosse veramente consistente, perché nessuno degli arrestati occupava posizioni chiave nella gerarchia militare" e che "i fermi di ieri sembrano piuttosto l'ultimo capitolo della faida che da sempre contrappone il governo del premier Erdogan alle forze laiche e nazionaliste".

Sempre sul Giornale, Gian Micalessin sottolinea che "la verità più nascosta è il cui prodest". Bisogna capire cioè "se quella retata di militari sia veramente una brillante operazione, scattata appena in tempo per sventare un golpe ai danni degli islamici moderati" oppure "una montatura del governo per ridimensionare il potere dei pasha, la potente casta dei generali sospettati di muovere le leve dei poteri forti". In entrambi i casi, scrive Micalessin, "c'è del marcio da vendere". Antonio Ferrari, sul Corriere della Sera, se da una parte ritiene quello del golpe militare come nell'80 uno scenario improponibile, dall'altra sostiene che "quanto è accaduto ieri in Turchia dimostra che lo scontro tra laici e islamici moderati è giunto a una svolta pericolosa". E se "un tempo nessuno avrebbe dubitato della serietà della retata", oggi la situazione è diversa: la Turchia è spaccata in due e "siamo alla resa dei conti tra le due anime del Paese".

Più scettico Carlo Panella su Libero: "Non convince l'accusa di un golpe [...] innanzi tutto perché quando i generali turchi hanno voluto fare un golpe l'hanno sempre fatto e chi stava al governo se n'è accorto solo il giorno dopo". Panella conclude che "è forte il sospetto che Ergenekon ed il suo progettato golpe sia una montatura architettata, o favorita, dall'Akp di Erdogan per eliminare pretestuosamente l'opposizione laica, così come sono fortissime le preoccupazioni per la stessa tenuta del quadro democratico in Turchia". Per lo storico turco Erol Ozkoray, studioso dei colpi di stato militari nel suo Paese, sentito da Marta Ottaviani per La Stampa, "la ragione sta nel mezzo". Ovvero, "Erdogan fa bene a volere ridimensionare il ruolo dei militari e della magistratura, ma è la persona meno indicata per portare a termine questo progetto". Per cui, "chi teme una progressiva islamizzazione del Paese adesso non ha tutti i torti".

Drastico il giudizio del Sole 24 Ore che in un breve commento intitolato "Il vicolo cieco della Turchia", a proposito di "presunto golpe e svolta islamica", parla senza mezzi termini di "ultima trovata del premier turco", annunciata "per alzare lo scontro con la componente laica del paese". Il quotidiano giudica l'operazione di ieri "solo il pretesto per screditare l'opposizione laica rappresentata dal baluardo delle forze armate" e ritiene che il "gioco al rialzo" di Erdogan per ottenere la riforma della Costituzione "rischa di portare la Turchia su una strada senza uscita". "La svolta ottomana preoccupa molto", aggiunge il Sole secondo cui "se ad ogni passo avanti per l'ingresso nell'Unione Europea ne corrispondono un paio indietro, il cammino si fa arduo". Insomma, "una Turchia europea gioverebbe alla Turchia ed all'Europa, ma non ad ogni costo".

E proprio di Turchia ed Europa scrive Enzo Bettiza sulla Stampa, notando prima di tutto che lo "scaltro manovriero" Erdogan ha dato l'annuncio dell'operazione di polizia contro i presunti golpisti durante la visita ufficiale in Spagna, presidente di turno dell'UE, perché "tra i diversi tavoli sui quali abilmente Erdogan punta le sue carte, quello europeo ha un posto preminente". Secondo Bettiza il premier turco "ha di fatto lanciato all'Europa una sfida o meglio l'enigma di un concetto ossimorico: se voi europeo volete davvero europeizzare la Turchia dovete condannare l'europeismo militarizzato ed eversivo degli stati maggiori e solidarizzare con l'europeismo evoluzionista e progressivo degli islamici moderati e non violenti".

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