mercoledì 26 giugno 2013

EMMA BONINO: L'EUROPA NON E' SOLO UNO SPREAD

Questa è una settimana cruciale per l’Europa: si sovrappongono sfide interne ed esterne. La crisi economica e finanziaria sta mettendo a dura prova la capacità delle nostre comuni istituzioni di bilanciare rigore e crescita, condizione indispensabile per affrontare il problema fondamentale della disoccupazione. L’Europa non è solo lo spread. Una Unione in buona salute deve anche guardare al di là dei propri confini, perché il resto del mondo non sta fermo ad aspettare che i nostri problemi interni siano risolti. L’Europa deve essere all’altezza delle sue responsabilità, con particolare riguardo a due questioni che sono in gioco in questi giorni. In primo luogo, la Turchia. L’Europa non può sottrarsi alla propria responsabilità storica di scegliere tra miopia e lungimiranza. Ci dispiace che alcune autorità turche, di fronte a manifestazioni pacifiche, abbiano reagito in modo sproporzionato. E tuttavia, le circostanze attuali devono infondere un rinnovato senso di urgenza nel far progredire i negoziati dell’Ue con Ankara. Bisogna coinvolgere in modo costruttivo le autorità turche, senza dare lezioni ma neppure mostrando segni di cedimento sui valori fondamentali di libertà e giustizia. Il continente europeo ha bisogno di una Turchia pienamente democratica all’interno dei suoi confini, non al di fuori. Questo è l’obiettivo da tenere in mente, e la Turchia - come l’ultimo decennio della sua storia ha dimostrato necessita dei vincoli e dei benefici che le derivano dall’ancoraggio con l’Europa, ora più che mai.

Non è il momento di chiudere le porte alla prospettiva europea della Turchia, ma, al contrario, il tempo di rafforzarla. La decisione di ieri del Consiglio Affari Generali dell’Unione Europea di riprendere i negoziati di adesione a ottobre e aprire il capitolo sulle politiche regionali è un segnale nella giusta direzione. Certo, se avessimo aperto in passato il negoziato su temi quali i diritti fondamentali e la giustizia, per esempio, oggi potremmo contare su una leva più efficace nel nostro dialogo con le autorità turche. Se facessimo l’errore di interrompere il processo di integrazione europea di Ankara, domani avremmo un’Europa meno credibile sullo scenario internazionale. In secondo luogo, il 27 e 28 giugno il Consiglio europeo si riunirà per concordare una data precisa per l’avvio dei negoziati di adesione della Serbia. Questa volta Belgrado ci guarda con particolare speranza. Anche a Pristina, capitale del Kosovo, si nutrono grandi aspettative per l’apertura dei negoziati per l’Accordo di Associazione e Stabilizzazione. Spero vivamente che, di qui a pochi giorni, noi europei saremo all’altezza della sfida, avendo fatto un ulteriore passo in avanti sulla via dell’integrazione dei Balcani, senza la quale l’unico - e certamente non auspicabile - risultato sarebbe il riemergere di impulsi nazionalistici a Belgrado e Pristina. Rimandare le decisioni potrebbe innescare una spirale negativa di sospetti e tensioni, nonostante il gigantesco sforzo già fatto da tutte le parti.

L’apertura dei negoziati è fondamentale: dobbiamo decidere adesso. I popoli di Serbia e Kosovo hanno dimostrato straordinario spirito di compromesso, con l’obiettivo finale di entrare a far parte della famiglia europea. Un rifiuto, o una risposta tardiva ai loro sforzi, potrebbe condurre al fallimento dello storico accordo raggiunto grazie alla mediazione dell’Ue. È in gioco la nostra credibilità, difficile da guadagnare e facile da perdere. E solo attraverso politiche credibili l’Europa sarà in grado di affrontare le prove che la attendono, come la stabilità dei suoi vicini orientali e meridionali. Per svolgere il suo ruolo internazionale, l’Unione Europea ha bisogno di una rinnovata legittimità democratica e della fiducia dei suoi cittadini. Oggi, progredire verso una "federazione leggera" non è solo una coraggiosa opzione, ma anche un imperativo su cui lavorare. Una Unione ipertrofica in campo monetario e fiscale, ma debole in materia economica e sociale, ipotecata dai governi nazionali in molti settori della politica estera e della sicurezza, non sarà capace di far fronte alle sfide interne né di contribuire ai futuri assetti internazionali. La domanda di Europa rimane forte dentro e fuori l’Europa - se solo l’Europa sarà in grado di rispondere e lo vorrà fare. In caso contrario, l’euroscetticismo si nutrirà della frustrazione per le lentezze, i ritardi, le ambiguità. In ultima analisi, l’Europa è chiamata a mandare un messaggio convincente ai suoi cittadini. Se falliremo, dalle prossime elezioni per il Parlamento Europeo potrebbe scaturire una maggioranza di forze euroscettiche e populiste. Oggi, che viviamo tempi difficili sul piano politico ed economico, non possiamo permettercelo.

Articolo pubblicato oggi su Il Messaggero, Il Mattino e Il Gazzettino

Questa è una settimana cruciale per l’Europa: si sovrappongono sfide interne ed esterne. La crisi economica e finanziaria sta mettendo a dura prova la capacità delle nostre comuni istituzioni di bilanciare rigore e crescita, condizione indispensabile per affrontare il problema fondamentale della disoccupazione. L’Europa non è solo lo spread. Una Unione in buona salute deve anche guardare al di là dei propri confini, perché il resto del mondo non sta fermo ad aspettare che i nostri problemi interni siano risolti. L’Europa deve essere all’altezza delle sue responsabilità, con particolare riguardo a due questioni che sono in gioco in questi giorni. In primo luogo, la Turchia. L’Europa non può sottrarsi alla propria responsabilità storica di scegliere tra miopia e lungimiranza. Ci dispiace che alcune autorità turche, di fronte a manifestazioni pacifiche, abbiano reagito in modo sproporzionato. E tuttavia, le circostanze attuali devono infondere un rinnovato senso di urgenza nel far progredire i negoziati dell’Ue con Ankara. Bisogna coinvolgere in modo costruttivo le autorità turche, senza dare lezioni ma neppure mostrando segni di cedimento sui valori fondamentali di libertà e giustizia. Il continente europeo ha bisogno di una Turchia pienamente democratica all’interno dei suoi confini, non al di fuori. Questo è l’obiettivo da tenere in mente, e la Turchia - come l’ultimo decennio della sua storia ha dimostrato necessita dei vincoli e dei benefici che le derivano dall’ancoraggio con l’Europa, ora più che mai.
Non è il momento di chiudere le porte alla prospettiva europea della Turchia, ma, al contrario, il tempo di rafforzarla. La decisione di ieri del Consiglio Affari Generali dell’Unione Europea di riprendere i negoziati di adesione a ottobre e aprire il capitolo sulle politiche regionali è un segnale nella giusta direzione. Certo, se avessimo aperto in passato il negoziato su temi quali i diritti fondamentali e la giustizia, per esempio, oggi potremmo contare su una leva più efficace nel nostro dialogo con le autorità turche. Se facessimo l’errore di interrompere il processo di integrazione europea di Ankara, domani avremmo un’Europa meno credibile sullo scenario internazionale. In secondo luogo, il 27 e 28 giugno il Consiglio europeo si riunirà per concordare una data precisa per l’avvio dei negoziati di adesione della Serbia. Questa volta Belgrado ci guarda con particolare speranza. Anche a Pristina, capitale del Kosovo, si nutrono grandi aspettative per l’apertura dei negoziati per l’Accordo di Associazione e Stabilizzazione. Spero vivamente che, di qui a pochi giorni, noi europei saremo all’altezza della sfida, avendo fatto un ulteriore passo in avanti sulla via dell’integrazione dei Balcani, senza la quale l’unico - e certamente non auspicabile - risultato sarebbe il riemergere di impulsi nazionalistici a Belgrado e Pristina. Rimandare le decisioni potrebbe innescare una spirale negativa di sospetti e tensioni, nonostante il gigantesco sforzo già fatto da tutte le parti.
L’apertura dei negoziati è fondamentale: dobbiamo decidere adesso. I popoli di Serbia e Kosovo hanno dimostrato straordinario spirito di compromesso, con l’obiettivo finale di entrare a far parte della famiglia europea. Un rifiuto, o una risposta tardiva ai loro sforzi, potrebbe condurre al fallimento dello storico accordo raggiunto grazie alla mediazione dell’Ue. È in gioco la nostra credibilità, difficile da guadagnare e facile da perdere. E solo attraverso politiche credibili l’Europa sarà in grado di affrontare le prove che la attendono, come la stabilità dei suoi vicini orientali e meridionali. Per svolgere il suo ruolo internazionale, l’Unione Europea ha bisogno di una rinnovata legittimità democratica e della fiducia dei suoi cittadini. Oggi, progredire verso una "federazione leggera" non è solo una coraggiosa opzione, ma anche un imperativo su cui lavorare. Una Unione ipertrofica in campo monetario e fiscale, ma debole in materia economica e sociale, ipotecata dai governi nazionali in molti settori della politica estera e della sicurezza, non sarà capace di far fronte alle sfide interne né di contribuire ai futuri assetti internazionali. La domanda di Europa rimane forte dentro e fuori l’Europa - se solo l’Europa sarà in grado di rispondere e lo vorrà fare. In caso contrario, l’euroscetticismo si nutrirà della frustrazione per le lentezze, i ritardi, le ambiguità. In ultima analisi, l’Europa è chiamata a mandare un messaggio convincente ai suoi cittadini. Se falliremo, dalle prossime elezioni per il Parlamento Europeo potrebbe scaturire una maggioranza di forze euroscettiche e populiste. Oggi, che viviamo tempi difficili sul piano politico ed economico, non possiamo permettercelo.
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Questa è una settimana cruciale per l’Europa: si sovrappongono sfide interne ed esterne. La crisi economica e finanziaria sta mettendo a dura prova la capacità delle nostre comuni istituzioni di bilanciare rigore e crescita, condizione indispensabile per affrontare il problema fondamentale della disoccupazione. L’Europa non è solo lo spread. Una Unione in buona salute deve anche guardare al di là dei propri confini, perché il resto del mondo non sta fermo ad aspettare che i nostri problemi interni siano risolti. L’Europa deve essere all’altezza delle sue responsabilità, con particolare riguardo a due questioni che sono in gioco in questi giorni. In primo luogo, la Turchia. L’Europa non può sottrarsi alla propria responsabilità storica di scegliere tra miopia e lungimiranza. Ci dispiace che alcune autorità turche, di fronte a manifestazioni pacifiche, abbiano reagito in modo sproporzionato. E tuttavia, le circostanze attuali devono infondere un rinnovato senso di urgenza nel far progredire i negoziati dell’Ue con Ankara. Bisogna coinvolgere in modo costruttivo le autorità turche, senza dare lezioni ma neppure mostrando segni di cedimento sui valori fondamentali di libertà e giustizia. Il continente europeo ha bisogno di una Turchia pienamente democratica all’interno dei suoi confini, non al di fuori. Questo è l’obiettivo da tenere in mente, e la Turchia - come l’ultimo decennio della sua storia ha dimostrato necessita dei vincoli e dei benefici che le derivano dall’ancoraggio con l’Europa, ora più che mai.
Non è il momento di chiudere le porte alla prospettiva europea della Turchia, ma, al contrario, il tempo di rafforzarla. La decisione di ieri del Consiglio Affari Generali dell’Unione Europea di riprendere i negoziati di adesione a ottobre e aprire il capitolo sulle politiche regionali è un segnale nella giusta direzione. Certo, se avessimo aperto in passato il negoziato su temi quali i diritti fondamentali e la giustizia, per esempio, oggi potremmo contare su una leva più efficace nel nostro dialogo con le autorità turche. Se facessimo l’errore di interrompere il processo di integrazione europea di Ankara, domani avremmo un’Europa meno credibile sullo scenario internazionale. In secondo luogo, il 27 e 28 giugno il Consiglio europeo si riunirà per concordare una data precisa per l’avvio dei negoziati di adesione della Serbia. Questa volta Belgrado ci guarda con particolare speranza. Anche a Pristina, capitale del Kosovo, si nutrono grandi aspettative per l’apertura dei negoziati per l’Accordo di Associazione e Stabilizzazione. Spero vivamente che, di qui a pochi giorni, noi europei saremo all’altezza della sfida, avendo fatto un ulteriore passo in avanti sulla via dell’integrazione dei Balcani, senza la quale l’unico - e certamente non auspicabile - risultato sarebbe il riemergere di impulsi nazionalistici a Belgrado e Pristina. Rimandare le decisioni potrebbe innescare una spirale negativa di sospetti e tensioni, nonostante il gigantesco sforzo già fatto da tutte le parti.
L’apertura dei negoziati è fondamentale: dobbiamo decidere adesso. I popoli di Serbia e Kosovo hanno dimostrato straordinario spirito di compromesso, con l’obiettivo finale di entrare a far parte della famiglia europea. Un rifiuto, o una risposta tardiva ai loro sforzi, potrebbe condurre al fallimento dello storico accordo raggiunto grazie alla mediazione dell’Ue. È in gioco la nostra credibilità, difficile da guadagnare e facile da perdere. E solo attraverso politiche credibili l’Europa sarà in grado di affrontare le prove che la attendono, come la stabilità dei suoi vicini orientali e meridionali. Per svolgere il suo ruolo internazionale, l’Unione Europea ha bisogno di una rinnovata legittimità democratica e della fiducia dei suoi cittadini. Oggi, progredire verso una "federazione leggera" non è solo una coraggiosa opzione, ma anche un imperativo su cui lavorare. Una Unione ipertrofica in campo monetario e fiscale, ma debole in materia economica e sociale, ipotecata dai governi nazionali in molti settori della politica estera e della sicurezza, non sarà capace di far fronte alle sfide interne né di contribuire ai futuri assetti internazionali. La domanda di Europa rimane forte dentro e fuori l’Europa - se solo l’Europa sarà in grado di rispondere e lo vorrà fare. In caso contrario, l’euroscetticismo si nutrirà della frustrazione per le lentezze, i ritardi, le ambiguità. In ultima analisi, l’Europa è chiamata a mandare un messaggio convincente ai suoi cittadini. Se falliremo, dalle prossime elezioni per il Parlamento Europeo potrebbe scaturire una maggioranza di forze euroscettiche e populiste. Oggi, che viviamo tempi difficili sul piano politico ed economico, non possiamo permettercelo.
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Questa è una settimana cruciale per l’Europa: si sovrappongono sfide interne ed esterne. La crisi economica e finanziaria sta mettendo a dura prova la capacità delle nostre comuni istituzioni di bilanciare rigore e crescita, condizione indispensabile per affrontare il problema fondamentale della disoccupazione. L’Europa non è solo lo spread. Una Unione in buona salute deve anche guardare al di là dei propri confini, perché il resto del mondo non sta fermo ad aspettare che i nostri problemi interni siano risolti. L’Europa deve essere all’altezza delle sue responsabilità, con particolare riguardo a due questioni che sono in gioco in questi giorni. In primo luogo, la Turchia. L’Europa non può sottrarsi alla propria responsabilità storica di scegliere tra miopia e lungimiranza. Ci dispiace che alcune autorità turche, di fronte a manifestazioni pacifiche, abbiano reagito in modo sproporzionato. E tuttavia, le circostanze attuali devono infondere un rinnovato senso di urgenza nel far progredire i negoziati dell’Ue con Ankara. Bisogna coinvolgere in modo costruttivo le autorità turche, senza dare lezioni ma neppure mostrando segni di cedimento sui valori fondamentali di libertà e giustizia. Il continente europeo ha bisogno di una Turchia pienamente democratica all’interno dei suoi confini, non al di fuori. Questo è l’obiettivo da tenere in mente, e la Turchia - come l’ultimo decennio della sua storia ha dimostrato necessita dei vincoli e dei benefici che le derivano dall’ancoraggio con l’Europa, ora più che mai.
Non è il momento di chiudere le porte alla prospettiva europea della Turchia, ma, al contrario, il tempo di rafforzarla. La decisione di ieri del Consiglio Affari Generali dell’Unione Europea di riprendere i negoziati di adesione a ottobre e aprire il capitolo sulle politiche regionali è un segnale nella giusta direzione. Certo, se avessimo aperto in passato il negoziato su temi quali i diritti fondamentali e la giustizia, per esempio, oggi potremmo contare su una leva più efficace nel nostro dialogo con le autorità turche. Se facessimo l’errore di interrompere il processo di integrazione europea di Ankara, domani avremmo un’Europa meno credibile sullo scenario internazionale. In secondo luogo, il 27 e 28 giugno il Consiglio europeo si riunirà per concordare una data precisa per l’avvio dei negoziati di adesione della Serbia. Questa volta Belgrado ci guarda con particolare speranza. Anche a Pristina, capitale del Kosovo, si nutrono grandi aspettative per l’apertura dei negoziati per l’Accordo di Associazione e Stabilizzazione. Spero vivamente che, di qui a pochi giorni, noi europei saremo all’altezza della sfida, avendo fatto un ulteriore passo in avanti sulla via dell’integrazione dei Balcani, senza la quale l’unico - e certamente non auspicabile - risultato sarebbe il riemergere di impulsi nazionalistici a Belgrado e Pristina. Rimandare le decisioni potrebbe innescare una spirale negativa di sospetti e tensioni, nonostante il gigantesco sforzo già fatto da tutte le parti.
L’apertura dei negoziati è fondamentale: dobbiamo decidere adesso. I popoli di Serbia e Kosovo hanno dimostrato straordinario spirito di compromesso, con l’obiettivo finale di entrare a far parte della famiglia europea. Un rifiuto, o una risposta tardiva ai loro sforzi, potrebbe condurre al fallimento dello storico accordo raggiunto grazie alla mediazione dell’Ue. È in gioco la nostra credibilità, difficile da guadagnare e facile da perdere. E solo attraverso politiche credibili l’Europa sarà in grado di affrontare le prove che la attendono, come la stabilità dei suoi vicini orientali e meridionali. Per svolgere il suo ruolo internazionale, l’Unione Europea ha bisogno di una rinnovata legittimità democratica e della fiducia dei suoi cittadini. Oggi, progredire verso una "federazione leggera" non è solo una coraggiosa opzione, ma anche un imperativo su cui lavorare. Una Unione ipertrofica in campo monetario e fiscale, ma debole in materia economica e sociale, ipotecata dai governi nazionali in molti settori della politica estera e della sicurezza, non sarà capace di far fronte alle sfide interne né di contribuire ai futuri assetti internazionali. La domanda di Europa rimane forte dentro e fuori l’Europa - se solo l’Europa sarà in grado di rispondere e lo vorrà fare. In caso contrario, l’euroscetticismo si nutrirà della frustrazione per le lentezze, i ritardi, le ambiguità. In ultima analisi, l’Europa è chiamata a mandare un messaggio convincente ai suoi cittadini. Se falliremo, dalle prossime elezioni per il Parlamento Europeo potrebbe scaturire una maggioranza di forze euroscettiche e populiste. Oggi, che viviamo tempi difficili sul piano politico ed economico, non possiamo permettercelo.
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